Utente:Salli/Cannitello
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Cannitello, paesino di antichissima origine,....
chiamato anche Cannae Tellus terra di canne, Cannatello, Caine o Caenis.
Uno degli storici più importanti, Giuseppe Pensabene, spiega che l’odierna Cannitello deriva dal termine "Columnella".
Il suffisso "ella" non è un diminutivo ma deriva da "tellus" (terra).
Quindi il senso di Terra della canna, da non confondersi con "terra di canne" ma "della canna", che rappresentava l’indicazione di un limite, di un confine con altro territorio, cioè del "limite della penisola".
Terra di confine, in quanto sorgeva l’antica Columna Regina, contrassegnata dalla famosa colonna.
Canna era la misura che delimitava (in effetti nel dialetto reggino si dice “Cannateddu”, non “cannitu”).
In Appiano (storico greco II sec d.c.) si trova il termine Stilida, versione greca del toponimo e quindi una piccola presunta colonna, cioè Columnella.
I Greci giunsero in Calabria tra l’VIII secolo a.C. e il V secolo a.C. per fondare delle colonie e trovare uno sbocco vitale alla loro esistenza.
Sulla marina di Cannitello vi presero stabile dimora numerosi Greci, agricoltori e marinai, che avevano abbandonato la loro terra alla ricerca di sicurezza e di possibilità di lavoro e qui, si registrano i primi insediamenti, a causa della sua posizione marinara, che per secoli rappresentò la principale risorsa per quelle popolazioni.
Quando nell’VIII secolo seguì la conquista politica dei Greci, lo Stretto divenne noto, perché transitato dai fondatori di Cuma e di altre città.
In seguito gli Ioni, che avevano fondato Zancle (Messina), vollero che sull’opposta riva sorgesse una città sorella, in modo da tenere ambo le chiavi di questo vitale passaggio.
Ma gli Etruschi vollero libero il transito per i loro commerci e l’ottennero, fino a quando, dopo la sconfitta di Cuma (474 a.C.), perdettero il dominio del mare.
Subito dopo, lo Stretto divenne causa di fiere contese tra Reggio e Siracusa, ed in seguito alla distruzione di Messana per opera dei Cartaginesi (396), Dionigi, dopo che ebbe riconquistata Reggio (387), risolse anche la questione dello Stretto.
Nel III secolo Roma, ambì alla padronanza dello stretto, soprattutto per la lotta contro Cartagine e il possesso della Sicilia, importanza dello Stretto diminuì divenuto il Mediterraneo il mare di Roma.
Lo stretto, comunque, rimase sempre un punto di notevole importanza anche nel Medioevo, nei commerci col Levante, con le conquiste militari quando la Sicilia passò dai Bizantini agli Arabi, ai Normanni, agli Svevi.
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[modifica] Tempio di Nettuno
Il Tempio di Nettuno, detto Possidonio (Poseidonion), secondo gli studi ed i rinvenimenti in zona sorgerebbe Vicino Reggio Calabria in località Cannitello, frazione di Villa San Giovanni.
[modifica] Storia
Fu fatto edificare da Antioco e dedicato al dio del mare, protettore di quello stretto pericoloso.
L’esistenza di un Tempio a Nettuno può dare l’idea del timore di Ottaviano di affrontare le acque insidiose e la volontà di costruire navi oceaniche tali da non essere facilmente inghiottite dai vortici imperdonabili o danneggiate dal mare.
L’erezione di un tempio a Nettuno a Cannitello, tra le fiumare Santa Trada e Zagarella venne considerato un riparo ospitale e meno insidioso.
Ciò spiega perché le truppe di Ottaviano sostavano lungo la costa tirrenica ed in particolare nell’area dello Stretto.
La dimostrazione dell’esistenza del tempio deriverebbe, appunto, da un ex-voto attribuito a Cesare Ottaviano, consistente in un’epigrafe collocata allo scopo di placare l’ira di Nettuno che "per ben due volte aveva danneggiato le sue navi".
Gli studiosi attestano la reale esistenza dei resti.
Si è pure parlato di un boschetto sacro, o luogo alberato, dedicato a Libitina, dea italica della voluttà e della morte, e in pari tempo degli orti e dei vigneti, talvolta assimilata e confusa con Venere e Proserpina.
[modifica] Voci correlate
[modifica] Ritrovamenti
Numerosi furono i ritrovamenti fatti in questo luogo sia dagli archeologi ma anche degli abitanti del luogo e la maggior parte delle volte tennero per se questi meravigliosi ritrovamenti.
Il biologo Angelo Mosso (1846-1910), in Cannitello compì degli scavi che fecero venire alla luce i resti di un villaggio preistorico dell’età della pietra.
In esso fu rinvenuta una capanna di forma quadrangolare.
Intorno al 1890 fu trovato un sepolcro della prima età del ferro pieno di ossa combuste e sempre nelle campagne di Cannitello, furono rinvenute tombe isolate che si susseguivano nei terreni privati.
Sulle colline soprastanti l’abitato sono state rinvenute delle ceramiche preelleniche, mentre più in basso, fra la linea ferroviaria e la strada statale, vanno segnalate delle ceramiche frammentarie risalenti al terzo periodo siculo.
Sempre a Cannitello, fu trovata una sepoltura con ceramiche tipo Thapsos databili fra il XIV secolo a.C. e gli inizi del XIII secolo a.C.
A Pirgo, gli archeologi, fecero delle interessanti scoperte di rilevanza storica.
Vennero rinvenute monete greche e nel 1886, mentre si eseguivano degli scavi per la strada ferrata, in un fondo irriguo presso la stazione di Cannitello (appartenente a Giuseppe Santoro), si trovarono delle tombe con 120 monete.
Il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio ne poté acquistare solo 8 di cui 6 appartenevano a Placidio Valentiniano, imperatore romano di Occidente (419-455).
Anche il Marafioti ricorda come "nelle campagne dì Cannitello molte persone, rompendo le antiche mura per accomodare le loro possessioni, giardini e vigne, abbiano ritrovate casse di marmo serrate piene di monete".
Nel Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio è ospitata un’ancora romana, ritrovata nelle acque di Cannitello, del peso di 500 kg, risalente al V secolo a.C.
Nel 1969, a Porticello, fu fatta una scoperta eccezionale: fu rinvenuto il relitto di una nave della fine del V secolo a.C., con il relativo carico di numerose anfore, di parti di ancore di piombo, di frammenti di grandi statue di bronzo.
Ma il pezzo più importante è rappresentato dalla testa del filosofo di Porticello che è esposta al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio, e rappresenta dopo i Bronzi di Riace, il pezzo più importante dei reperti archeologici ivi presenti.