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Singoli del periodo Karim - Wikipedia

Singoli del periodo Karim

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Voce principale: Fabrizio De André.

Si usa indicare con l'espressione periodo Karim la fase iniziale della carriera del cantautore genovese Fabrizio De André, che va dal 1961, data della prima pubblicazione, al 1966.

In questo periodo De André era sotto contratto con l'etichetta genovese Karim, che pubblicò i suoi primi 18 brani, incisi su 10 singoli (escluse le ristampe), ed un album antologico, Tutto Fabrizio De André (1966). [1]

Nel 1966, quando la Karim fallì, la produzione della casa discografica venne rilevata dalla Roman Record Company; non essendo quindi le registrazioni delle canzoni di proprietà dell'autore, De André decise di registrare nuovamente tutto il materiale (escluso il primo singolo e le due canzoni "Per i tuoi larghi occhi" e "Geordie") e inserirlo nei dischi incisi per le case discografiche dell'amico Antonio Casetta, titolare della Bluebell (poi Belldisc) e della Produttori Associati.[2] Tutte le nuove registrazioni, effettuate insieme a Giampiero Reverberi in qualità di arrangiatore, furono pubblicate all'interno degli album misti Volume III (1968) e Canzoni (1974), tranne "Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers" che trovò posto in coda a Volume I.

Anno Titolo
1961 Nuvole barocche/E fu la notte
1961 La ballata del Michè/La ballata dell'eroe
1963 Il fannullone/Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
1963 Il testamento/La ballata del Michè
1964 La guerra di Piero/La ballata dell'eroe
1964 La canzone di Marinella/Valzer per un amore
1965 Per i tuoi larghi occhi/Fila la lana
1965 La città vecchia/Delitto di paese
1966 La canzone dell'amore perduto/La ballata dell'amore cieco
1966 Geordie/Amore che vieni, amore che vai

Indice

[modifica] Le canzoni

[modifica] Nuvole barocche (1961)

Fabrizio De André/Carlo Stanisci/Gianni Lario

[modifica] E fu la notte (1961)

Fabrizio De André/Carlo Stanisci/Franco Franchi

"Nuvole barocche" e "E fu la notte", i primi due brani interpretati dal cantautore, furono incisi in un 45 giri nel 1961, ma venivano eseguiti già dal 1958, quando, al teatro La borsa di Arlecchino di Genova, Fabrizio intraprendeva i suoi primi passi sulla scena.

Le due canzoni, però, vennero "ripudiate" dal cantautore genovese, che le considererà sempre estranee alla sua discografia riferendosi loro come «due peccati di gioventù». [2] [3]

Questi due brani differiscono notevolmente dal resto del repertorio di De André anche per quanto riguarda l'utilizzo della voce, che sembra ispirato all'interpretazione vocale di Gilbert Bécaud, celebre cantante transalpino, fonte di ispirazione per i cantautori italiani del periodo (Modugno, Bindi, Fidenco) per quanto riguarda l'utilizzo espressivo della voce attraverso pronuncia e timbro.[4]

[modifica] La ballata del Michè (1961)

Fabrizio De André/Clelia Petracchi
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«Questa canzone è del 1961. È la prima che ho scritto [il primo singolo, "Nuvole barocche/E fu la notte", non lo considera un "suo" prodotto, NdR] e mi ha salvato la pelle; se non l'avessi scritta, probabilmente, invece di diventare un discreto cantautore, sarei diventato un pessimo penalista.»
(Fabrizio De André, 1993)

Accompagnato da toni musicali cari alla malavita parigina e di chiara ispirazione "bretoniana" [5], il racconto si apre con il ritrovamento del corpo esanime di Michè appeso ad un cappio nella sua cella; il resto della canzone è narrato in flashback e spiega il motivo del suicidio e della detenzione: Michè aveva ucciso chi voleva rubargli la sua Marì, e si è tolto la vita perché non sarebbe riuscito a vivere senza di lei. Alla fine c'è una prolessi: Michè verrà gettato, poiché suicida, nella fossa comune, ma un flebile raggio di luce c'è: «qualcuno una croce col nome e la data su lui pianterà».

Già si notano i caratteri tipici di De André: tolleranza e rispetto, comprensione, l'implicita denuncia all'inappellabilità della Legge («vent'anni gli avevano dato, la corte decise così») ed alla scarsa misericordia della Chiesa («nella fossa comune cadrà, senza il prete e la Messa, perché di un suicida non hanno pietà»).[6]

Note
  • Direzione d'orchestra: Giampiero Reverberi
  • le versioni de "La Ballata del Michè" e "La Ballata dell’eroe" del singolo del 1961 (intitolate senza l'articolo, ovvero "Ballata" e non "La ballata") sono diverse da quelle uscite nei singoli del 1963 (per "La Ballata del Michè") e del 1964 (per "La Ballata dell’eroe"), e non sono mai state ristampate né in vinile né in cd: per gli album antologici del periodo Karim, infatti, sono state sempre usate le due versioni successive.[7]

[modifica] La ballata dell'eroe (1961)

Fabrizio De André

Primo sforzo antimilitarista di De André, la ballata, scritta nel 1961 e pubblicata su 45 giri come lato B, viene lanciata l'anno successivo da Luigi Tenco; la versione di Tenco faceva parte della colonna sonora del film La cuccagna, per la regia di Luciano Salce.[8]

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«Più che cercare di aiutarmi mi stimava. Gli serviva una canzone e, mentre avrebbe potuto prendersela tranquillamente (una volta depositato un pezzo chiunque lo può utilizzare) fu così delicato da telefonarmi. «Ti va se ti piglio "La ballata dell'eroe"?», disse. «Ma figurati, Luigi, mi fa piacere»...»
(Fabrizio De André, intervista a Luigi Viva)

Fabrizio De Andrè e Tenco si conobbero ai tempi del Modern Jazz Group (1956/58) dove avevano militato entrambi, Fabrizio alla chitarra e Luigi al sax. In seguito i due divennero amici. Nel giugno del 1961 Fabrizio andò ad ascoltare l'orchestra di Luigi Tenco; a metà serata, Tenco invitò De Andrè ad esibirsi: imbracciata la chitarra cantò "La ballata del Michè" e "La ballata dell'eroe". Quest'ultima canzone piacque molto a Tenco; si narra che Luigi arrivò a litigare persino con il regista Luciano Salce pur di convincerlo ad inserirla nella colonna sonora del film. Poi telefonò a Fabrizio per chiedergli il permesso.[9]

Musicalmente il brano presenta un ritmo "lento e triste", accompagnato dalla melodia di un'armonica. Il testo narra la storia di un soldato partito per la guerra; alla notizia della sua morte in battaglia mentre «la patria si gloria di un altro eroe alla memoria», «lei che lo amava aspettava il ritorno di un soldato vivo, d'un eroe morto che ne farà?».

Il nucleo centrale del testo, che recita: «troppo lontano si spinse a cercare la verità», è ripreso da una ballata, "L'amour et la guerre", scritta da Bernard Dimey e musicata ed incisa dal cantautore francese Charles Aznavour:

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«Où sont-ils à présent les héros de naguère?
Ils sont allés trop loin chercher la vérité»
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«Dove sono adesso gli eroi di poco fa?
Sono andati troppo lontano a cercare la verità.»
(Bernard Dimey, "L'amour et la guerre", 1960)
Note
  • Direzione d'orchestra: Giampiero Reverberi
  • "La ballata dell'eroe" è stata registrata nuovamente nel 1964 nella stessa sessione in cui fu incisa "La guerra di Piero".

[modifica] Il fannullone (1963)

testo: Fabrizio De André/Paolo Villaggio; musica: Fabrizio De André.

Lato A del singolo scritto in collaborazione con Paolo Villaggio che contiene la celeberrima "Carlo Martello...", "Il fannullone" è una ballata molto singolare sia dal punto di vista musicale, in quanto alterna un ritmo binario (2/4) ed un ritmo ternario (3/4), sia dal punto di vista poetico: è la storia di un uomo che ha scelto di vivere solo il lato giocoso della vita, dormendo di giorno e vagando di notte raccontando storie, ed è per questo inviso alla gente "per bene". All'uomo trovano anche lavoro in un grande ristorante,

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«ma tu dicevi: "Il cielo
è la mia unica fortuna
e l'acqua dei piatti
non rispecchia la luna"»

Povero ma felice, si innamora e si sposa; tuttavia l'uomo non riesce ad adattarsi alla vita matrimoniale:

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«Pensasti al matrimonio
come al giro di una danza
amasti la tua donna
come un giorno di vacanza»

La moglie prima lo tradisce e poi scappa; ci ripenserà, poi, e ritornerà per vivere raminga con il suo amato fannullone. [10][11]

Note
  • Arrangiamento e direzione d'orchestra: Giampiero Boneschi

[modifica] Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers (1963)

testo: Fabrizio De André/Paolo Villaggio; musica: Fabrizio De André.

In un linguaggio volutamente aulico, sottolineato da una musica buffamente solenne, De André e Villaggio danno un tocco di colore e di "rustica vitalità" alla tradizione medievale e cristiana fatta di crociate, onore e "cavalleria", narrando le vicende di Carlo Martello, che tornando dalle gloriose gesta belliche contro i mori non trova di meglio che comportarsi da perfetto maschio cialtrone con una povera ragazza del popolo per soddisfare i suoi appetiti sessuali, e che scappa quando la fanciulla gli chiede dei soldi per le sue "prestazioni".[12]

Il brano si rifà ad un antico genere popolare francese diffuso all'epoca dei trovatori, la "pastorella", che trattava appunto degli incontri tra cavalieri e popolane e delle proposte amorose che ricevevano queste ultime. Per rafforzare l'ambientazione bucolica e pastorale gli incontri avvenivano perlopiù vicino a ruscelli e specchi d'acqua; nel caso in questione si tratta di una "chiara fontanella". [4]

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«...la scelta dell'ambientazione medioevale fu tutta farina del mio sacco; Fabrizio ci mise solo la musica. Cioè avvenne il contrario, lui aveva già la musica ed io ci misi le parole. Fu così: era una giornata di pioggia del novembre del 1962 e io e Fabrizio, a Genova a casa mia in via Bovio, eravamo tutti e due in attesa del parto delle nostre signore, che poi partorirono lo stesso giorno, infatti Cristiano e il mio Pierfrancesco sono "gemelli". Ebbene, forse per distrarci o per passare il tempo, Fabrizio con la chitarra mi fece ascoltare una melodia, una specie di inno da corno inglese e io, che sono di una cultura immensa, cioè in realtà sono maniaco di storia, ho pensato subito di scrivere le parole ispirandomi a Carlo Martello re dei Franchi che torna dalla battaglia di Poitiers, un episodio dell'ottavo secolo d.C., tra i più importanti della storia europea visto che quella battaglia servì a fermare l'avanzata, fino ad allora inarrestabile, dell'Islam. Erano arrivati fino a Parigi, senza Carlo Martello sarebbe stata diversa la storia dell'Europa. Comunque mi piaceva quella vicenda e la volli raccontare, ovviamente parodiandola. In una settimana scrissi le parole di questa presa in giro del povero Carlo Martello.
La canzone passò abbastanza inosservata, Fabrizio ancora non aveva inciso "La canzone di Marinella" e non era quindi famoso, tanto meno io. Qualcuno però notò questa strana filastrocca che sbeffeggiava il potente Re dei Franchi: fu un pretore, mi pare di Catania, che ci querelò perché la considerava immorale soprattutto per quel verso: «È mai possibile, o porco di un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi p...». E pensare che noi eravamo già stati censurati e avevamo dovuto trasformare il verso finale che in originale suonava: «frustando il cavallo come un mulo, quella gran faccia da c...» con: «frustando il cavallo come un ciuco, tra il glicine e il sambuco». Ma, a parte questo pretore, nessuno notò la nostra canzone che fu riscoperta quando Fabrizio divenne famoso dopo "Marinella"

Si nota comunque, anche nell'ambito scherzoso e divertito della vicenda, che già di per sé in questo caso è una forma di antimilitarismo, un'implicita accusa alla guerra:

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«Il sangue del principe e del moro
arrossano il cimiero d'identico color»

Vi è, inoltre, una citazione dantesca: «Poscia più che 'l dolor, poté 'l digiuno» (Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIII, in riferimento al conte Ugolino), che diventa «Ma più dell'onor, poté il digiuno».

Meno rilevanti, dato il carattere chiaramente di "leggenda", sono le "licenze poetiche": Carlo Martello non era re, ma solo "maestro di palazzo" dei re Merovingi; la Battaglia di Poitiers avvenne nel mese di ottobre, non «nella calda primavera».

Note
  • Arrangiamento e direzione d'orchestra: Giampiero Boneschi

[modifica] Il testamento (1963)

Fabrizio De André

Allegra tarantella al vetriolo che scherza sulla morte e ridicolizza le ipocrisie, "Il testamento" è la resa in poesia delle ultime volontà di un immaginario personaggio che attende la morte e approfitta della sua situazione per farsi beffe de «gli artefici del girotondo intorno al letto di un moribondo»; tuttavia nel testamento vi è anche uno spazio per l'amore e per il tenero ricordo della sua unica amata.

Il tòpos letterario del "testamento" è utilizzato anche dai contemporanei cantautori francesi Georges Brassens ("Le testament", 1955) e Jacques Brel ("Le moribond", 1961), ma ha il suo punto di riferimento nella poetica del poeta quattrocentesco François Villon, che ispirerà Fabrizio nel suo album monotematico Tutti morimmo a stento (1968), incentrato sul tema della morte. [4]

Note
  • Testo diverso dalle edizioni successive: «riferirglieli tutti sbagliati» invece che «rivelarglieli tutti sbagliati»

[modifica] La guerra di Piero (1964)

...ma sono mille papaveri rossi...
...ma sono mille papaveri rossi...
testo: Fabrizio De André; musica: Fabrizio De André/Vittorio Centanaro [7]

Con "La guerra di Piero" Fabrizio ritorna, tre anni dopo "La ballata dell'eroe" (che non a caso è sull'altro lato del 45 giri), sul tema della guerra; punto di riferimento stilistico è Georges Brassens, ma l'ispirazione viene dalla figura dello zio Francesco. Il ricordo del suo ritorno dal campo di concentramento, i suoi racconti, il resto della vita trascorsa alla deriva, segnarono profondamente la sensibilità di Fabrizio, che in più occasioni si ricorderà di lui. [14]

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«Io della guerra ne ho parlato molto, ne ho parlato soprattutto ne "La guerra di Piero", attraverso i racconti che me ne faceva mio zio, il fratello di mia mamma, che si fece tutta la campagna di Albania»
(Fabrizio de André [15])

L'infanzia a Revignano d'Asti e i personaggi che la popolarono rimarranno fonte di ispirazione costante fino all'ultimissima produzione.

Fu con Vittorio Centanaro, valente chitarrista di impostazione classica, che Fabrizio mise a punto questa nuova composizione che sarebbe diventata una delle sue più famose. Fabrizio ha sempre ricordato l'amicizia con Centanaro e l'importanza della sua frequentazione, dalla quale sarebbe poi nata anche "Si chiamava Gesù", incisa in Volume I (1967). De André e Centanaro partirono per Roma con le loro chitarre e con un liuto; la canzone venne incisa a Roma tra il 18 e il 25 luglio 1964 agli studi Dirmaphon.[14]

La musica del brano, sebbene fosse stata scritta da Vittorio Centanaro, fu depositata da De André perché l’amico non era iscritto alla Siae.

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«Fabrizio mi diceva sempre: "Vittorio, iscriviti alla Siae, iscriviti". Se lo avessi fatto, oggi avrei beneficiato del successo che La guerra di Piero ha avuto nel corso degli anni.»
(Vittorio Centanaro[16])

"La guerra di Piero", inizialmente passata quasi inosservata, sarebbe poi entrata, col '68, nel repertorio militante degli studenti di sinistra e in quello dei cattolici, egualmente impegnati a ridefinire il proprio ruolo nel sociale.

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«Quando è uscita, "La guerra di Piero" rimase praticamente invenduta; divenne un successo solo cinque anni dopo, con il boom della protesta, con Dylan, Donovan e compagnia. Penso che finirò per scrivere una canzone in favore della guerra, che naturalmente venderò nel 1980 quando ci sarà qualche "guerra sacra" in nome di qualche non meglio identificato ideale»
(Fabrizio de André, in un'intervista al "Corriere Mercantile" di Genova, 8 marzo 1968)

La critica ha intravisto nel componimento degli echi provenienti da una celebre poesia del 1870 di Arthur Rimbaud, "Le dormeur du val" (L'addormentato nella valle), musicata e cantata nel 1955 da Léo Ferré [17]; vi sono inoltre delle corrispondenze (probabilmente casuali) con una canzone di Gustave Nadaud ispirata alla spedizione garibaldine dei Mille, "Le Soldat de Marsala". [14]

Un verso richiama la canzone "Dove vola l'avvoltoio" scritta nel 1958 da Italo Calvino e musicata da Sergio Liberovici:

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«Nella limpida corrente
ora scendon carpe e trote
non più i corpi dei soldati
che la fanno insanguinar»
(Italo Calvino, "Dove vola l'avvoltoio", 1958)
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«Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente»
(Fabrizio De André, "La guerra di Piero", 1964)
Note
  • Arrangiamento: Vittorio Centanaro
  • La versione originale de "La guerra di Piero" è molto più lenta rispetto alle successive
  • Nella prima edizione del singolo, "La guerra di Piero" è il lato B; nella seconda e terza edizione del singolo diventa lato A

[modifica] La canzone di Marinella (1964)

Fabrizio De André
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«Una storia senza tempo, che parlava di persone senza storia. Marinella era una prostituta, il cui corpo era stato trovato massacrato sul greto di un torrente. Sembra storia di oggi, ma è purtroppo storia di sempre. Una tragedia anonima, capace di rubare dieci righe a un giornale di provincia, letta alla luce della cronaca.
Vista in controluce, invece, diventa un dramma intenso, oltre la storia, a tracciare il percorso della radicata vicinanza tra amore e morte. Di un amore che non conosce scale gerarchiche, di una morte che sublima in dignità estrema del povero»
(Don Luigi Ciotti [18])

"La canzone di Marinella" è una favola che ha per protagonista una ragazza la quale, dopo aver trovato l'amore, muore in circostanze misteriose. I toni del brano sono lievi, fiabeschi, pieni di immagini e colori, a volte apparentemente lontani dal tipico realismo di Fabrizio.

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«"La Canzone di Marinella" non è nata per caso, semplicemente perché volevo raccontare una favola d’amore. È tutto il contrario. È la storia di una ragazza che a sedici anni ha perduto i genitori, una ragazza di campagna dalle parti di Asti. È stata cacciata dagli zii e si è messa a battere lungo le sponde del Tanaro, e un giorno ha trovato uno che le ha portato via la borsetta dal braccio e l’ha buttata nel fiume. E non potendo fare niente per restituirle la vita, ho cercato di cambiarle la morte.»
(Fabrizio De André [19])

In un'intervista del marzo 1969 Faber rispose così alla domanda del giornalista incuriosito dal fatto che i fan ritenessero "La canzone di Marinella" «una canzone bruttina, un prodotto spurio..»

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«..una tavoletta zeppa di concessioni retoriche, è vero. Uno come me, quando ha quasi trent'anni, deve pur pensare che non ha né cassa malattie né pensioni: e la famiglia, Gesù, è una cosa concreta. Quindi pensa anche al guadagno»
(Fabrizio De André [20])

Pur così atipica nei toni rispetto le altre composizioni del cantautore, nondimeno il brano segna innegabilmente la svolta per De André in fatto di popolarità: l'interpretazione della ballata da parte di Mina nel 1967, ben tre anni dopo la prima incisione della canzone, lo porta alla notorietà a livello nazionale. [21]

Tuttavia De André deluse le aspettative di quanti volevano continuasse a scrivere canzoni "leggere" e appetibili al grande pubblico: in un'intervista dell'agosto 1967, all'interrogativo del giornalista che chiese come mai non avesse continuato con «quel genere», che lo avrebbe portato in breve tempo ad «una note­vole popolarità», Fabrizio disse semplicemente:

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«Perché non mi era più venuta un'altra canzone di quel genere»
(Fabrizio De André [22])
Note

[modifica] Valzer per un amore (1964)

testo: Fabrizio De André; musica: Gino Marinuzzi, "Valzer campestre" della "Suite siciliana" ascolta

Si racconta che il padre di Fabrizio, per alleviare alla moglie i dolori del parto, mise sul giradischi la Suite siciliana di Gino Marinuzzi e, mentre suonava il pezzo più celebre dell'opera, "Valzer campestre", Fabrizio vide la luce. Anni dopo, venuto a conoscenza del fatto, De André vi aggiunse delle parole, ispirate ad un celebre sonetto di Pierre de Ronsard, "Quand vous serez bien vieille" (1578). Nacque così "Valzer per un amore".[23][10]

Il brano, così come il sonetto di de Ronsard, è un invito all'amata al "Carpe diem" oraziano, a cogliere la "bella giovinezza" finché è possibile, poiché la bellezza è effimera e destinata a spegnersi.

Note

[modifica] Per i tuoi larghi occhi (1965)

testo: Fabrizio De André; musica: Elvio Monti [24]

Uno dei brani meno noti di De André, "Per i tuoi larghi occhi" risente della poetica di Charles Baudelaire fin dal titolo, che è una citazione dell'autore: [25]

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«...Car j'ai pour fasciner ces dociles amants,
De purs miroirs qui font toutes choses plus belles:
Mes yeux, mes larges yeux aux clartés éternelles.»
Collabora a Wikiquote (IT)
«...Poiché dispongo, per affascinare quei docili amanti,
di puri specchi che rendono più belle tutte le cose:
i miei occhi, i miei larghi occhi dalle chiarità eterne»
(da "La Beauté", Charles Baudelaire)

Nel brano un uomo si dispera per la fine del suo amore, una donna gelida dal «cuore di neve» che, pur non avendolo mai totalmente ricambiato, rimane fissa nei suoi pensieri.

Note
  • Direzione d'orchestra: Elvio Monti
  • Registrata a Roma negli studi Dirmaphon di Viale Pola (dove incidevano gli artisti della RCA) insieme al lato B, "Fila la lana".[16]

[modifica] Fila la lana [File la laine] (1965)

Robert Marcy ascolta; adattamento italiano: Fabrizio de André [26]

Canzone medievaleggiante scritta da Robert Marcy e portata al successo in Francia da Jacques Douai nel 1949.

Il testo narra della triste sorte della vedova del "Monsieur de Marlbrough" (diventato in italiano "signor di Vly" per ragioni di metrica), morto in battaglia, che continua ad illudersi che il suo amato sia ancora in vita. [26]

Note
  • Direzione d'orchestra: Elvio Monti
  • Nei crediti dell'album si afferma, in maniera errata, che il brano è tratto «da una canzone popolare francese del XV secolo».

[modifica] La città vecchia (1965)

Genova, angiporto
Genova, angiporto
testo: Fabrizio De André; musica: Fabrizio De André/Elvio Monti

A ritmo di mazurca De André racconta frammenti di vita dello strano popolo dimenticato che vive presso il porto di Genova, «in quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori»: puttane, vecchi sbronzi, ladri, nani e assassini.

La morale finale è un po' la summa del pensiero di De André:

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«Se tu penserai e giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese.
Ma se capirai, se li cercherai
fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo»

Per il titolo ed il contenuto del brano Fabrizio si ispira a "La città vecchia", celebre poesia di Umberto Saba ambientata nella zona portuale di Trieste; sebbene la morale finale sia la stessa («la prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega [...] sono tutte creature della vita e del dolore», dice Saba), vi è tuttavia un enorme divario ideologico: se per Saba «s'agita in esse, come in me, il Signore», per De André a quella gente «il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldare gente d'altri paraggi».[27]

Quest'ultima frase è ripresa direttamente da una poesia di Jacques Prevert, "Embrasse moi", da Histories, 1946:

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«Le soleil du bon Dieu ne brill' pas de notr' côté
Il a bien trop à faire dans les riches quartiers»
Collabora a Wikiquote (IT)
«Il sole del buon Dio non brilla dalle nostre parti
ha già troppo da fare nei quartieri dei ricchi»
(da "Embrasse moi", Jacques Prevert)

La musica è fortemente ispirata a "Le bistrot" di Georges Brassens (1960). [4]ascolta

Note
  • Direzione d'orchestra: Elvio Monti [16]
  • Esiste una rara versione in vinile, censurata, con parole diverse («specie di troia» anziché «pubblica moglie»).
  • Registrata a Roma negli studi Dirmaphon di Viale Pola (dove incidevano gli artisti della RCA) insieme al lato B, "Delitto di paese".[16]

[modifica] Delitto di paese [L'assassinat] (1965)

Georges Brassens; adattamento italiano: Fabrizio De André

"Delitto di paese" è la prima di una serie di canzoni francesi di Georges Brassens tradotte da De André. [28]

La vicenda è quella di un pover'uomo oramai vecchio che si innamora di una giovinetta; quando però lui le dice di non avere nemmeno un centesimo, lei chiama il suo pappone e insieme uccidono il poveretto. Quindi i due «misero tutto sotto sopra senza trovare un soldo, ma solo un mucchio di cambiali e di atti giudiziari. Allora presi dallo sconforto e dal rimpianto del morto, si inginocchiaron sul poveruomo chiedendogli perdono. Quando i gendarmi sono entrati, piangenti li han trovati: fu qualche lacrima sul viso a dargli il paradiso».

Nella prima strofa Fabrizio nomina "I fiori del male", libro di Charles Baudelaire; questa citazione non è presente nel testo originale.[29]

Note
  • Direzione d'orchestra: Elvio Monti [16]

[modifica] La canzone dell'amore perduto (1966)

testo: Fabrizio De André; musica: Georg Philipp Telemann, "Concerto in Re maggiore per tromba, archi e continuo" - Adagio [30]ascolta
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«Molte delle canzoni che ha scritto sono reazioni a momenti particolari vissuti in famiglia o fuori. Amori andati a male, amori finiti. Uno qualunque certe cose se le trascina dentro, lui ha questa genialità di riportarle nei suoi pezzi. "La canzone dell'amore perduto" l'ha scritta quando i giochi tra noi erano ormai fatti. Le cose andavano male, ma abbiamo continuato a vivere insieme perché ci volevamo ancora bene»
(Enrica "Puny" Rignon, prima moglie di Fabrizio [16])

Una delle più famose ballate della storia della musica italiana (lo testimoniano le interpretazioni, tra gli altri, di Franco Battiato, Gino Paoli, Claudio Baglioni), "La canzone dell'amore perduto" è la storia di un amore ormai finito narrata dal punto di vista della donna, che accetta, rassegnata, la situazione:[10]

Ricordi, sbocciavan le viole...
Ricordi, sbocciavan le viole...
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«l'amore che strappa i capelli
è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po' di tenerezza»

E anche se l'amato rimpiangerà la fine della passione, sarà solo per un attimo, fino a che perderà la testa per un'altra donna.

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«Ma sarà la prima
che incontri per strada che tu
coprirai d'oro,
per un bacio mai dato
per un amore nuovo»
Note
  • Fabrizio depositò a suo nome alla Siae sia il testo che la musica.

[modifica] La ballata dell'amore cieco (1966)

Fabrizio De André

Il brano narra la tragica storia di un «uomo onesto, un uomo probo» che si innamora follemente di una femme fatale di chiara ispirazione baudelairiana, la quale come prova d'amore prima gli impone di uccidere la madre e poi di togliersi la vita. Tuttavia quando si accorge che il poveretto muore felice è presa da sgomento, perché il suo vanitoso atteggiamento di superiorità le si rivolge contro: mentre l'altro spira ridendo a lei non rimane nulla, «non il suo amore, non il suo bene, ma solo il sangue secco delle sue vene». In tal modo De André esce dal canone, dal topos letterario, mostrando anche l'umana fragilità del personaggio. [10]

Il testo drammatico stride con irriverenza con l'allegro ritmo di swing della musica, con tanto di un «tra-la-la-lalla, tra-la-la-lero» degno di una gioiosa filastrocca.[31]

Il soggetto del brano è ripreso dalla poesia "Cuore di mamma" del poeta francese Jean Richepin. [32]

[modifica] Geordie (1966)

Per approfondire, vedi la voce Geordie.
Antica ballata britannica. Adattamento italiano di Fabrizio De André

La versione di De André si allontana in alcuni punti dal testo della versione settecentesca inglese alla quale si ispira (la stessa cantata da Joan Baez) e due strofe appaiono persino composte ex novo; in particolare vi è una nuova strofa, nel finale, che si sofferma sull'assurda immobilità della Legge, contro la quale persino il sovrano non può nulla: [10]

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«Né il cuore degli inglesi né lo scettro del re
Geordie potran salvare,
anche se piangeranno con te
la legge non può cambiare»
Note
  • La voce femminile è di Maureen Rix, l'insegnante di inglese di Faber.[7]

[modifica] Amore che vieni, amore che vai (1966)

Fabrizio De André

Il tema della celebre ballata è la mutevolezza dell'amore, la sua contraddittorietà:

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«io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai;
amore che vieni, amore che vai»

L'incertezza dell'amore è sicuramente uno dei soggetti più cari a Fabrizio, e lo si può trovare in varie forme: ne "La canzone di Marinella", dove la passione, appena giunta, muore insieme alla protagonista; ne "La canzone dell'amore perduto", dove la fiamma lentamente ed inevitabilmente si spegne.

Nel brano De André utilizza esclusivamente un linguaggio denotativo, esplicito e di immediata comprensione.[33]

[modifica] Curiosità

  • Vi è una diciannovesima canzone scritta da De André nel periodo Karim: si tratta di "Stringendoti le mani" (anche scritto come "Stringendomi le mani", KARIM, KN 208), interpretata da Giuliana Milan; sulle note del disco la casa discografica la definisce una canzone «che rinnova la commovente tenerezza di un amore che sboccia». [34]
  • I primi dischi riportavano sulla copertina solo il nome, Fabrizio, per via del veto della famiglia De André a riportare il cognome. [2]
  • Tutte le canzoni di Fabrizio del primo periodo, tranne "La canzone di Marinella", furono censurate dalla commissione d'ascolto del­la RAI, che non le ritenne adatte al gusto degli italiani perché immorali. [35]

[modifica] Note

  1. Testo e musica sono delle Edizioni Musicali Leonardi srl/La Cascina Edizioni Musicali srl, tranne che per il primo 45 giri in cui sono Edizioni Settenote
  2. 2,0 2,1 2,2 fondazionedeandre.it, sito ufficiale della Fondazione
  3. giuseppecirigliano.it - E fu la notte
  4. 4,0 4,1 4,2 4,3 Enrico De Angelis. Le cento e più canzoni di Fabrizio De André (2004), in AA.VV. Volammo Davvero. Milano, BUR, 2007.
  5. Tommaso de Lorenzi, prefazione critica, in Giancarlo Fusco. Duri a Marsiglia. Torino, Einaudi, 2005
  6. giuseppecirigliano.it - La ballata del Michè
  7. 7,0 7,1 7,2 Michele Ceri; Claudio Sassi; Franco Settimo. Fabrizio De André-Discografia illustrata. Roma, Coniglio editore, 2006.
  8. Canzoni contro la guerra - La ballata dell'eroe
  9. Luigi Tenco, sito non ufficiale - Raccolta di interviste
  10. 10,0 10,1 10,2 10,3 10,4 Liana Nissim. Il rispettoso bardo della donna, da AA.VV. Fabrizio De André. Accordi eretici. EuresisEdizioni, 1997. link
  11. giuseppecirigliano.it - Il fannullone
  12. Canzoni contro la guerra - Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
  13. Andrea Monda. De André nel ricordo di Paolo Villaggio
  14. 14,0 14,1 14,2 Canzoni contro la guerra - La guerra di Piero
  15. In direzione ostinata e contraria, servizio de La storia siamo noi, Rai Educational, 2006. link
  16. 16,0 16,1 16,2 16,3 16,4 16,5 Luigi Viva. Vita di Fabrizio De André. Milano, Feltrinelli, 2000.
  17. giuseppecirigliano.it - La guerra di Piero
  18. Don Luigi Ciotti, Il mondo in controluce (2000), in AA.VV. Volammo Davvero. Milano, BUR, 2007.
  19. Luciano Lanza. Intervista a Fabrizio De André (1993). [1]
  20. Adriano Botta. È in testa alle vendite dei dischi a 33 giri, intervista apparsa sull'Europeo del marzo 1969 link
  21. link ai dischi di Mina che contengono canzoni di De André
  22. Berto Giorgeri. Il cantautore "medioevale" Fabrizio è lo sconosciuto più conosciuto d'Italia, intervista apparsa su ABC nell'agosto del 1967 link
  23. L'informazione è presente in ogni biografia dell'autore. link
  24. Copertina dello spartito ufficiale del brano
  25. giuseppecirigliano.it - Per i tuoi larghi occhi
  26. 26,0 26,1 Canzoni contro la guerra - Fila la lana/File la laine
  27. giuseppecirigliano.it - "La città vecchia": confronto tra Saba e De André
  28. bielle.org - I testi originali delle canzoni di Georges Brassens tradotte da Fabrizio De André
  29. giuseppecirigliano.it - Delitto di paese
  30. Franco Battiato, Tecnica mista su tappeto. Conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini. Torino, Edizioni EDT, 1992. Alle pagine 112 e 113 Battiato parla del riutilizzo di brani classici per creare nuove opere; senza esplicitare direttamente il nome di De André, sostiene che è una pratica diffusa anche nella musica leggera, ed aggiunge: "Un paio di cantautori hanno copiato letteralmente da pezzi di Telemann, e sono venute fuori due splendide canzoni".
  31. giuseppecirigliano.it - La ballata dell'amore cieco
  32. Testo originale della poesia
  33. giuseppecirigliano.it - Amore che vieni, amore che vai
  34. viadelcampo.com - copertina del disco
  35. Attilio Neri. Le sue canzoni censurate dalla Rai piacciono in Vaticano, articolo apparso su Bolero Teletutto del maggio 1968 link

[modifica] Collegamenti esterni


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