Socialisti autonomisti
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Durante la Guerra Fredda, in particolare fino agli anni sessanta-settanta, erano chiamati Autonomisti, per distinguerli dai Carristi, i socialisti che operavano per l'affermazione dell'autonomia del PSI dal PCI dopo un decennio di politica frontista: quelli che poi saranno i socialisti liberali, i socialisti riformisti, i socialdemocratici.
[modifica] I socialisti autonomisti: i "socialdemocratici"
Il 18 gennaio 1947 con la scissione dal PSI del gruppo democratico-riformista dei saragattiani (contrari al fronte unico PSI-PCI), la maggior parte dei socialisti autonomisti uscì dal PSI e confluì nel nuovo partito socialista, democratico e filo-occidentale, (il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, poi Partito Socialista Democratico Italiano). All'interno del Psi l'ultimo baluardo riformista-autonomista, contro una stragrande maggioranza di sinistra filo-comunista e massimalista, rimase il la piccola pattuglia dei romitiani, rappresentata all'interno del Comitato Centrale PSI (80 membri), solo da 3 esponenti: Jacometti, Perrotti e lo stesso Romita.
Al 26° Congresso (Roma, gennaio 1948), Segretario di partito Basso, il Comitato Centrale viene abolito e tutti i suoi poteri avocati alla Direzione. Dei 21 membri della Direzione, 8 sono tendenzialmente autonomisti.
Dopo il 27° Congresso straordinario, il 28° Congresso (Firenze, maggio 1949) Romita e Viglianesi passano al partito socialdemocratico, e la corrente autonomista viene sciolta. Pietro Nenni riprende in mano il partito divenendone il Segretario.
Al 29° Congresso (Bologna, gennaio 1951) la sinistra totalizza il 90% dei posti nel Comitato centrale: analoga la situazione nel 30° (Milano, gennaio 1953) pur se si manifestano nuovi fermenti autonomistici.
Il successivo Congresso di Torino (aprile 1955) segna la ripresa della dialettica interna del partito.
[modifica] I nuovi autonomisti: i "craxiani"
La spaccatura del PSI durò in pratica fino all'avvento di Bettino Craxi che riunì tutto il partito su posizioni filo-occidentale.
All'inizio degli anni ottanta iniziò infatti una revisione ideologica ed anche estetica del partito, effettuata in buona parte dallo stesso Craxi. Ad esempio, vennero cancellati dal programma politico alcuni termini che potevano ricondurre al marxismo; venne eliminato il termine autonomismo che venne sostituito con la parola riformismo, giudicata pù inerente dalla corrente moderata e democratico-riformista. Venne inoltre abolito il termine "Comitato Centrale" (perché esso riconduceva immediatamente ai partiti comunisti), sostituito dal più neutro "Assemblea Nazionale", nella quale entrarono a far parte oltre ai politici anche uomini dello spettacolo, della moda, dello sport e della cultura. Si rinunciò al tradizionale anticlericalismo socialista (con l'approvazione del Concordato) e fu infine ridotto e poi eliminato (dal 1985) il simbolo della falce e martello nel logo del PSI, sostituito dal garofano rosso, che da allora divenne emblema del partito.
L'epicentro del potere socialista e craxiano era Milano, centro nevralgico della finanza e degli affari, con il cui ambiente il PSI finì per identificarsi. Nel dicembre del 1986 si avvicendarono alla guida del comune Paolo Pillitteri, cognato di Craxi, e una giunta monocolore socialista appoggiata all'esterno da altre forze laiche, con l'astensione del PCI (guidata da Carlo Tognoli).