Marigliano
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Stato: | ![]() |
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Regione: | ![]() |
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Provincia: | ![]() |
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Coordinate: |
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Altitudine: | 30 m s.l.m. | ||
Superficie: | 22 km² | ||
Abitanti: |
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Densità: | 1377 ab./km² | ||
Frazioni: | Lausdomini, Casaferro, Miuli, Faibano, Pontecitra | ||
Comuni contigui: | Acerra, Brusciano, Mariglianella, Nola, San Vitaliano, Scisciano, Somma Vesuviana | ||
CAP: | 80034 | ||
Pref. tel: | 081 | ||
Codice ISTAT: | 063043 | ||
Codice catasto: | E955 | ||
Nome abitanti: | mariglianesi | ||
Santo patrono: | San Sebastiano | ||
Giorno festivo: | 20 gennaio | ||
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Marigliano è un comune di circa 30mila abitanti della provincia di Napoli, nell'agro mariglianese-nolano.
LA STORIA [2]
Le Origini della Città Cenni Storici sulla Città Caratteri Geo-Storici Le evoluzioni socio-culturali del dopoguerra
LE ORIGINI DELLA CITTA'
Marigliano è sicuramente un antico centro di origine romana, la cui fondazione e storia sembrano essere molto legate a quella della molto più famosa e rinomata città di Nola.
Non si hanno dati inconfutabili e precisi sulla antichissima origine della città di Marigliano. Il suo territorio, completamente pianeggiante, fa parte della più vasta pianura campana, attraversata da un buon numero di fiumi.
Di Marigliano ed in particolare delle sue origini e della sua storia sino al XIX secolo, si sono interessati, tra gli altri, due illustri ed appassionati studiosi di storia locale che rispondono al nome di Tommaso Turboli e Alfonso Ricciardi. Dal loro lavoro sono nati due scritti entrambi di facile e piacevole lettura in cui sono riportati fatti di narrazione storica a dimostrazione delle loro tesi a proposito.
La trattazione del Ricciardi (Marigliano ed i comuni del suo mandamento — Napoli 1893) è sicuramente più vasta e dettagliata, anche se per certi versi può sembrare prolissa e dispersiva, a differenza di quella del Turboli (Ricerche storiche di Marigliano e Pomigliano d’Arco — Napoli 1791) molto concisa e, per quanto è possibile, precisa.
Sulla origine dell’appellativo “Marigliano” e circa l’individuazione del sito ove questa città è sorta, sono state avanzate alcune tesi (tre in particolare) tutte supportate da più o meno certi fatti storici che non permettono di escluderne nessuna con sicura certezza e che di seguito si schematizzano con riserva di approfondirle in seguito.
La prima individua il luogo dove ora sorge Marigliano derivandone il relativo nome da un’antica villa Mariana qui sorta ad opera della “gente Maria nolana”, il cui vasto latifondo “intravediamo, all’epoca del romano impero, coltivato dai servi e dai coloni della gente Maria nolana, nucleo della villa ed embrione, forse, della città, che ebbe il nome dalla famiglia che ne tenne il possesso e che nella tenace eternità domestica lo trasmise di secolo in secolo, che assiste e sfida gli eventi delle guerre che intorno ad esso hanno teatro sanguinoso, seguendo a volta il destino dei vinti, a volta le glorie dei vincitori” (A.Ricciardi).
La seconda, invece, individua l’attuale sito della città in quello in cui si stabilì un antico accampamento romano quivi sorto ad opera di Claudio Marcello, console romano nato a Nola, che tanto fieramente lottò contro Annibale nel periodo immediatamente successivo alla disfatta romana a Canne (216 A.C., 215 A.C., 214 A.C.). In questo accampamento si trapiantarono colonie di cittadini romani che “diedero principio alla popolazione di Marigliano”. Nel 631 (ab urbe condita), Silla, strappò Nola ai Sanniti e distribuì a quarantasette legioni tutti i terreni che aveva tolto alle città ribelli, (tra le quali Nola); fra le famiglie dei legionari premiate vi fu quella dei Mari da cui, il Turboli ritiene che il comune odierno abbia tratto il nome Marigliano.
Nel Medio Evo Marigliano era cinta da mura quadrate ed aveva Quattro porte di accesso.
La terza ipotesi, infine, argomenta le origini del toponimo da un possedimento della famiglia Marilia qui stabilitasi.
E’ da notare, però, che delle tre tesi su esposte la prima e la terza potrebbero concettualmente essere fuse in una soltanto, facendo queste derivare l’origine del nome e della città da due diverse famiglie gentilizie romane quasi sicuramente esistite. Sembra verosimile che alcune delle famiglie che avrebbero avuto in possesso alcune delle terre intorno Nola abbiano lasciato in eredità al luogo il loro nome o comunque una alterazione dello stesso. E’ il caso, ad esempio, della vicina Brusciano, il cui nome sembra derivare da quello della famiglia Bruto o Bruziano, o quello della anche vicina Mugnano il cui nome deriverebbe da quello della famiglia Muciana, Miniana o Muiana. Dunque Marigliano potrebbe vedere il proprio nome far capo a quello della famiglia Marilia o Mariana.
A testimonianza di ciò esistono o sono esistiti nelle città nominate lapidi marmoree nelle cui iscrizioni sono presenti tali nomi, come ad esempio, quella (citata nella su accennata opera del Turboli) nella quale vi è la citazione del nome ‘Marianus”:
D. M.
Areila Aurel. Vixit an. XVII
Aur. Marianus fil. ejus vix.
An. I. M. IIII. Aur. Babus Vet.
Un simile nome si trova in quest’altra, dove si cita la famiglia Fabiana: donde il nome di “Fagiano” o Faibano nome col quale attualmente è chiamata una frazione di Marigliano:
Vaciae Hungariae prope Budam
L.Annio Fabiano III. Viro Capital.
Trib. Leg. II. Aug. Quaestori Urbano
Trib. Pleb. Praetori. Curatori Viae
Latinae. Leg. X. Fretensis Leg.
Aug. Pr. Pr. Provinc. Dac. Col.
Ulp. Traian. Sarmat.
I più antichi documenti, non lapidari, che ci attestano l’esistenza di Marigliano Marilianum) risalgono all’anno 917 D.C.; si tratta in particolare, di pergamene attestanti donazioni di fondi siti in Marilianum.
CENNI STORICI SULLA CITTA'
E’ certo, però, che l’origine della città è molto più antica, e ciò è suffragato da molti elementi tangibili, come ad esempio, il rinvenimento di alcuni frammenti architettonici in occasione di lavori di scavo per la ristrutturazione del Convento dei Frati Minori Francescani di San Vito risalenti sicuramente al periodo romano; oppure il rinvenimento di marmi antichi in occasione dello scavo delle fondamenta della Chiesa Di Santo Stefano in località Casaferro (1874), anch’esse di probabile fattura romana, o, infine, il non meno trascurabile, anche se spesso taciuto e solo in sporadici casi denunciato, ritrovamento di antiche mura o tombe, forse romane, sempre in occasione di scavi per costruzioni edilizie.
IGermani, con le loro invasioni impetuose e distruttive, non risparmiarono il territorio dell’attuale Marigliano e nemmeno quello della “vecchia Liburia” (territorio compreso tra il fiume Clanio, antico corso d’acqua che nasceva dalle montagne di Cancello, e Cancello stesso) di cui faceva parte. Infatti con la caduta dell’Impero romano d’Occidente anche queste terre furono oggetto non solo delle violenze barbariche, ma anche di contestazioni tra le vicine città di Nola e Napoli che ne rivendicavano il possesso. In effetti le notizie a nostra disposizione, riferite particolarmente a questi territori, non sono ancora sufficienti a farci avere un quadro preciso della situazione storica e dell’appartenenza del sito mariglianese a Nola o a Napoli.
Il primo documento pergamenaceo che attesta l’esistenza di Marigliano risale al 27 marzo 917: è un atto per il quale tale Don Giovanni dona a Giovanni Teofilatto un fondo sito in “Marilianum”. Sempre al decimo secolo appartengono altri documenti attestanti non solo l’effettiva esistenza di Marigliano, ma anche quella di due casali (attualmente sue frazioni): esattamente “Casa-Ferrea” (Casaferro) e “Faibanum” (Faibano).
Ilducato di Napoli, di cui Marigliano ed altre terre della Liburia facevano parte, non subì l’invasione normanna fino all’anno 1132, anno nel quale Sergio, duca di Napoli, si sottomise al re normanno Ruggero I d’Altavilla. Ciò comportò il fatto che coloro che popolavano tali luoghi non furono condizionati, per parecchio tempo, dalle istituzioni normanne, anche se, col passare degli anni, le innovazioni di materia feudale ne attanagliarono ben presto le strutture economiche e sociali.
Il territorio mariglianese non fu assoggettato ad istituzioni di tipo feudale fino al 1132; fu in quell’anno che Ruggiero Il d’Altavilla trasformò in feudi le terre della Liburia e ne diede il possesso, insieme con quello acerrano, al normanno Roberto De Medania già conte di Acerra. Questi fu il primo signore di Marigliano a cui successe Riccardo, cognato del re Tancredi. Di tutte le concessioni feudali fatte nel secolo XII, non abbiamo documenti scritti, in quanto, durante una ribellione della nobiltà napoletana contro il re normanno Guglielmo I “il Malo”, fu distrutta l’intera cancelleria reale dove tali scritti erano conservati.
Dal matrimonio tra Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, e Costanza d’Altavilla, figlia di Guglielmo II, la città di Napoli e l’intero Regno delle Due Sicilie, passò sotto il dominio svevo. Fu in seno alla nuova dinastia che, nel 1197, l’Imperatore Enrico VI condannò Riccardo di Medania, ultimo rappresentante della dinastia normanna, ad essere prima trascinato da un cavallo per le vie di Capua e poi ad essere impiccato a testa in giù. Diopoldo D’Arce, che aveva consegnato Riccardo di Medania ad Enrico VI, ottenne come premio il possesso del Contado di Acerra, ma presto finì per essere imprigionato da Federico II. Quest’ultimo, infine, diede in possesso lo stesso Contado di Acerra e le terre di Marigliano a Tommaso conte d’Aquino che le trasferì al nipote Tommaso che sposò Anna, figlia naturale dell’imperatore.
Morto Federico II, Manfredi, suo figlio naturale, osteggiato da Papa Innocenzo IV, non riuscì ad impossessarsi del trono del defunto padre, ma fu costretto a fuggire. Il Regno di Sicilia, Puglia e Palermo non fu suo fino al 1258. Nel 1265 Carlo D’Angiò, signore di Provenza, fu investito da Papa Clemente IV re di Sicilia e di Puglia muovendosi tosto alla conquista delle terre che ne facevano parte. La battaglia tra angioini e svevi avvenne nei pressi di Benevento nel 1266 e vide Manfredi abbandonato dalla sua nobiltà, sconfitto e morto sul campo.
Le terre di Marigliano rimasero così nelle mani di Tommaso II d’Aquino fino al 24 aprile del 1274; in questa data il feudo, ad opera di Carlo I, passò al Conte Roberto di Alverno.
Il figlio di Tommaso II d’Aquino, Adinulfo, comunque, godendo delle grazie del re Carlo II, riuscì ad impossessarsi delle terre dell’acerrano e del mariglianese, ma i feudi finirono con l’essere ceduti a Filippo, figlio di Carlo I d’Angiò, in uno col principato di Salerno, dopo che Adinulfo si macchiò di fellonia.
Morto Filippo gli successe il figlio Roberto e, quindi, il fratello Filippo II. Nel 1348 le terre del napoletano, comprese quelle dell’acerrano e del mariglianese, furono duramente saccheggiate dall’esercito ungaro guidato da Luigi re d’ungheria, che voleva vendicare il fratello Andrea, marito della regina Giovanna I, ucciso nel 1345. Re Luigi ed il suo esercito si stabilirono presso Acerra da dove mossero per saccheggiare le terre dintorno compresa Nola.
Sempre nel periodo angioino, Giacomo del Balzo, nipote di Filippo II, ereditate le terre di cui andavamo parlando, compreso il principato di Taranto, dovette scontrarsi ben due volte con la regina Giovanna I accorsa in aiuto a Ugone Sanseverino, a cui Giacomo aveva sottratto la città di Matera. L’acerrano ed il mariglianese finirono per essere affidate ad Ottone di Brunswick, duca di Sassonia e quarto marito della regina.
La venuta di papa Urbano VI segnò la fine del regno di Giovanna I (sostenitrice di Clemente VIIl’antipapa), in favore di Carlo, duca di Durazzo; uno dei possedimenti di Ottone di Brunswich, forse proprio Marigliano, fu venduto a Ramondello del Balzo Orsino. Risulta, infatti, da documenti ufficiali che nel 1397 Ramondello del Balzo Orsino possedeva estesi feudi in Puglia, a Benevento, Acerra e Marigliano.
Dopo la sua morte, il possedimento di Marigliano, confiscato dal re Ladislao, fu di poi venduto ad Annecchino Mormile di Napoli per 7.700 ducati d’oro. Il 7 di giugno del 1421 il feudo di Marigliano fu assediato dai mercenari di Braccio da Montone, assoldato da Giovanna II per strappare tale possedimento al ribelle Mormile, sostenitore del duca Ludovico d’Angiò al trono di Napoli.
Il giorno 1 di aprile del 1422 Marigliano finì per ritornare tra i possedimenti del principe di Taranto Giovanni Antonio del Balzo Orsino, primogenito di Ramondello. Morto quest’ultimo (16 novembre 1463) tutti i suoi averi andarono per sua volontà al re Ferdinando I d’Aragona e per i sedici anni seguenti tali possedimenti faranno sempre parte del Regio Demanio. Il re aragonese il 26 agosto 1479 vendette il possedimento di Marigliano, con il castello, i casali e le ville, al regio consigliere Alberico Carafa per la cifra di 6.000 ducati. Nel 1482 Alberico Carafa ottenne per Marigliano il primo titolo nobiliare; infatti, il 22 giugno fu nominato conte da re Ferdinado II ed il feudo di Marigliano diventò così contado.
Marigliano, ed i suoi cittadini per essa, deve sicuramente molta riconoscenza al conte Alberico Carafa per tutte le opere di ricostruzione e restauro che lo stesso ha ivi operato e tra queste l’ampliamento e restauro della Chiesa di San Vito e Santa Maria delle Grazie, facendola anche diventare Collegiata.
Alberico II Carafa, figlio di Francesco Carafa e di Francesca Orsini, fu il terzo conte di Marigliano, ma avendo poi parteggiato per la lega antiasburgica contro l’imperatore Carlo V, si macchiò di tradimento e, dopo aver avuto confiscati tutti i beni, dovette fuggire in Francia. Intanto Carlo V diventò re delle Due Sicilie, il 30 giugno 1532 donò il ducato di Ariano e lo stesso contado di Marigliano a Ferrante Gonzaga, principe di Molfetta, cui gli successe il figlio Cesare che il 6 settembre 1566 vendette Marigliano e casali a Vincenzo Carafa, fratello di Alberico II. Quest’ultimo morì dopo appena sette anni e avendo lasciato debiti di vario genere, essi finirono per gravare sui suoi possedimenti tanto che, il giorno 14 aprile 1573, le terre di Marigliano furono messe all’asta e comprate da Geronimo Montenegro, banchiere di Napoli, che il 23 dicembre 1578 ottenne dall’imperatore Filippo II il titolo di marchese. La famiglia Montenegro vendette il possedimento mariglianese a Cesare Zattera di Genova che, a sua volta, lo cedette, insieme ai casali, a Giulio Mastrilli per 136.800 ducati. Quest’ultimo, già consigliere del re, il 4 agosto 1644 ottenne il titolo di duca da Filippo IV di Spagna.
La famiglia Mastrilli eserciterà il suo dominio sul territorio mariglianese ancora per circa centocinquant’anni e di alcune terre del circondano. Da ricordare durante questo lungo dominio è sicuramente il notevole interessamento di Isabella Mastrilli per i fiorentissimi centri di cultura dell’epoca, costituiti per la gran parte dalle diffusissime accademie culturali.
Isabella Mastrilli fu l’iniziatrice di una non famosissima accademia denominata “Accademia di Marigliano” di cui fecero parte notissimi esponenti della cultura del secolo tra i quali spicca il nome di Carlo Pecchia.
Il lungo dominio della famiglia Mastrilli, però, dovette attraversare non poche e dure traversie. E’ il caso, ad esempio, della rivolta dei vassalli di Giulio Mastrilli costretto a rinchiudersi nel Convento di San Vito a causa delle gabelle troppo alte, della peste del 1656, dell’inondazione del casale di Faibano del 1743, della carestia del 1764, della siccità del 1779 e della terribile eruzione del Vesuvio dell’8 agosto 1779.
Il 1789, anno dello scoppio della Rivoluzione Francese, inneggiante la sacra e giusta libertà ed uguaglianza, segnò un momento importante della storia europea. Infatti, il 3 maggio 1799 Giovanni Mastrilli duca di Marigliano fu arrestato. Dopo una breve restaurazione borbonica durata sino al 1806, Napoleone Bonaparte nominò il fratello Giuseppe re di Napoli. Il 2 di agosto del 1806 Giuseppe Bonaparte dichiarò definitivamente estinta la feudalità e Marigliano divenne un libero Comune. Nonostante ciò, però, è ancora presto per poter parlare di Nazione libera ed unita; infatti, dovrà trascorrere ancora mezzo secolo per poter vedere realizzate tali aspettative.
Marigliano e la sua gente non rimasero estranei alle lotte risorgimentali. In molti, infatti, parteciparono ai moti che caratterizzarono questo periodo storico. Tra i tanti si ricorda la figura di Mariano Semmola, docente universitario e poi Segretario del Parlamento, che partecipò, insieme a Morelli e Silvati, ai moti del luglio 1820.
Il giorno 2 aprile 1896 il re Umberto I e il Presidente del Consiglio Francesco Crispi firmarono il Decreto, poi registrato alla Consulta Araldica del Regno d’Italia, col quale si concedeva a Marigliano il titolo di “Città” , a testimonianza e riconoscimento della laboriosità del popolo di questa terra e per il ruolo ricoperto in vari accadimenti di rilevante importanza storica.
CARATTERI GEO-STORICI
La città di Marigliano, compresa attualmente nella provincia di Napoli, è un centro di 22,60 Km2 situato a 30 metri s.l.m., a circa diciannove chilometri da Napoli; all’ultimo censimento (20.10.2001) conta 9.619 famiglie per un totale di 30.083 abitanti.
Il suo abitato si è sviluppato sulla sinistra della direttrice stradale della statale di Terra di Lavoro, che collega Pomigliano D’Arco con l’alto nolano. A tutt’oggi Marigliano rappresenta un importante centro agricolo della Pianura Campana e può contare su un numero di addetti in agricoltura sempre piuttosto congruo anche se forse sempre più occasionale, attestato su un valore vicino al 45% e non sempre in grado di offrire un reddito sufficiente.
L’economia, dunque, anche qui si va terziareggiando dato che le imprese individuali sono ben poca cosa.
LE EVOLUZIONI SOCIO-CULTURALI DEL DOPOGUERRA
Nel presente secolo, la storia di Marigliano e della sua gente non è stata molto diversa rispetto a quella dei Comuni e delle popolazioni viciniore e delle due città quasi finitime e molto più grandi e importanti storicamente, di Nola e Pomigliano D’Arco, tra le quali geograficamente è situata. Varie, complesse ed immaginabili sono state le traversie che i cittadini mariglianesi, in gran parte contadini, hanno dovuto affrontare solo per poter sopravvivere, prima, durante e dopo i due grandi conflitti mondiali, che, se poco o niente hanno devastato direttamente il territorio con azioni belliche, hanno comunque indelebilmente segnato le vicissitudini del paese soprattutto nei due dopoguerra.
Infatti, il popolo mariglianese, parsimonioso e previggente per eccellenza, si trovò a subire proprio l’incertezza della vita che aveva fatto di tutto per evitare. Ancora oggi, le persone anziane parlando delle difficoltà di vario genere provocate specie dalla seconda guerra mondiale, non menzionano tanto i sacrifici fatti in termini di scarsità di cibo, di lontananza di familiari perché impegnati nel conflitto o anche di perdite dolorose, quanto l’impossibilità o la aleatorietà del risparmio.
Così e di questo parlano gli anziani agricoltori, non menzionando, perché ne ignorano le cause, il problema fondamentale che nel secondo dopoguerra ebbe inizio e avrebbe in seguito funestato l’attività principale della zona, l’agricoltura.
Infatti, con i carri armati alleati transitanti per la SS 7/bis e accampati sia pur brevemente un po’ qua e un po’ là non giunsero soltanto i films western, il pane bianco, le sigarette bionde, il cioccolato e biondi, baldanzosi e disinvolti giovanottoni americani; con quei carri armati giunse invisibile la dorifora, il perniciosissimo parassita della patata, l’ortaggio più coltivato, col pomodoro San Marzano, nella zona, devastandone le piantagioni e falcidiando i raccolti per numerosi anni, fino all’avvento del D.D.T. prima e dei numerosissimi insetticidi e anticrittogamici dopo.
Furono queste disastrose annate agricole le peggiori bombe sopportate dalla zona, più devastanti di tutti i “napalm” di questo mondo, tanto che, ridotti alla miseria più nera, nei primi anni cinquanta, i contadini mariglianesi, che per la natura del loro mestiere e per la persistenza di pacifiche tradizioni erano i meno indicati, si ribellarono e furono protagonisti di azioni violente inusitate fino ad all’ora.
“La situazione era tale”, affermava un vecchietto dalle idee chiare e dalla lingua pronta, “che il curare un genitore ammalato sia pure di una bronchitella, era un onere pressocchè insostenibile, una vera disgrazia, per eliminare la quale, non bastava il ricavato di un’annata agricola. Tali spese potevano essere sopportate solo per la compiacenza di medici e farmacisti disposti ad attendere mesi e mesi prima di avere il loro”.
I raccolti quasi mai ripagavano i contadini del loro strenuo, ma affezionato lavoro; l’indefesso lavoro dalle prime luci dell’alba a sera, permetteva loro appena di poter vivere per il semplice motivo che producevano quel tanto che era indispensabile alla famiglia spesso numerosa. A vedere oggi il rigoglio della vegetazione in questa zona quasi non si crede ad una situazione tanto miserrima di una quarantina d’anni fa; ma bisogna tener presente che in quei tempi non esistevano le sementi selezionate, irradiate, ecc., nè i concimi chimici, nè i diserbanti, nè i macchinari per il movimento terra, nè gli insetticidi di oggi.
Ma proprio in questo periodo disastrato, nasce e si affermerà la tendenza dei contadini a far studiare i figli, per tenerli lontani da un mestiere troppo ingrato. Cosi si sono avuti e si hanno liberi professionisti oltreché operai, impiegati e negozianti, figli di contadini che appena sapevano, se lo sapevano, leggere e scrivere.
Un insegnante raccontava che negli anni quaranta studiare all’Università costava moltissimo, all’incirca il valore di una vacca da latte ogni anno, animale quest’ultimo, considerato dai contadini, una vera e propria ricchezza, vendere la quale significava assicurare il cibo per un intero anno ad una famiglia. Niente studi, quindi, tutti al lavoro e in più si è tanto meglio. I guai arrivavano quando dopo mesi di lavoro i frutti non si vedevano, nel senso che i ricavati non solo non ripagavano del faticoso lavoro permettendo loro, nel caso di riparare e rendere più vivibile la loro casa, acquistare qualche altro capo di bestiame e così via, ma assicuravano a mala pena la sopravvivenza della famiglia.
Fu un lunedì del Luglio 1959, che alcuni tra i più facinorosi, organizzarono un corteo al quale presero parte quasi tutti i contadini del paese con l’intenzione di manifestare, come già era successo numerose volte, innanzi al Municipio. I più esagitati erano anche armati di vanghe, forconi, rastrelli, ecc., con i quali volevano dimostrare la decisione di non più lavorare la terra. Ma poi la protesta traviò e, dopo aver fatto sgomberare la vicina scuola, alcuni tra i più temerari invasero il Comune dandolo completamente alle fiamme. La protesta si spostò poi nella vicina fiera settimanale che fu letteralmente saccheggiata.
Il fatto non passò certo inosservato dato che il seguito costò ad alcuni qualche mese di prigione.
Dalla fine degli anni cinquanta fino ad oggi le cose sono andate un po’ evolvendosi, nel senso che l’uso dei pochissimi prodotti che le nostre terre sono riuscite a fornire con eccellente qualità, hanno trovato, a poco a poco, una abbastanza puntuale collocazione nel giovane mercato europeo. Questa crescente domanda per i prodotti ivi coltivati ha permesso a tutti, col passare degli anni, di poter fidare con più sicurezza nei guadagni derivanti dal lavoro dei campi e di poter vedere, in qualche caso, realizzato qualche sogno tenuto per anni nel cassetto.
Il passare degli anni, però, e soprattutto l’introduzione di mezzi tecnici sempre più innovativi e di più largo uso, ha permesso lo sfruttamento dei terreni in modo sempre più razionale ed intensivo, anche se con l’impiego di discreti capitali e innovative tecniche.
Il sorgere di qualche piccola fabbrica, il voluto abbandono dei campi per intraprendere altri mestieri spesso artigianali ed in qualche caso l’emigrazione volontaria, hanno favorito la diminuzione degli addetti
fissi nel campo dell’agricoltura, i quali hanno cercato fonti di guadagno alternative e più redditizie.
Il lavoro dei campi, unito sempre all’amore per la terra, è diventato, salvo che per i sempre più numerosi vecchietti, per buona parte dei nuovi addetti, un secondo reddito, anche se non sempre consistente, unito a quello derivante da un’occupazione industriale (Alfasud, Alfa Romeo, ecc. di Pomigliano D’Arco, piccole aziende locali) o artigianale (edilizia, lavorazione del ferro, idraulici, piccoli negozi, ecc.). Possedere un appezzamento di terra, gli attrezzi acquistati in tempi passati ed una certa disponibilità di tempo, spingono ancora molti a non lasciare incolti i propri campi constatando, purtroppo, regolarmente, al momento della vendita dei prodotti, una forte crisi tutt’ora in atto per chi, come loro produce poco e con costi di gestione molto alti rispetto a grossi o intraprendenti imprenditori del settore che riescono a produrre in maggiori quantità, a minor costo e con migliore qualità, grazie all’uso più intensivo e razionale di macchinari e prodotti chimici vari.
Negli ultimi anni, però, anche questa agricoltura da secondo reddito, è andata in crisi, perché nel vicino Tavoliere delle Puglie sono riusciti a produrre prima e a minori costi i pomodori pelabili che erano la specialità dell’agro nolano e noverino-sarnese.
Le condizioni del terreno della nostra zona, infatti, non possono competere con quelle del Tavoliere meno sfruttato, recentemente bonificato ed in mano ad imprenditori che mettono a coltura migliaia di ettari di terreno fertilissimo e con mezzi meccanici e tecniche all ‘avanguardia.
Per avere un’idea esatta della gravità del fenomeno, si può dire che i pomodori prodotti nel Tavoliere vengono acquistate dalle industrie di trasformazione ad un prezzo che è all’incirca un quarto di quello praticato dai produttori mariglianesi.
Fino a quando i produttori dell’agro nolano e nocerino sarnese non riusciranno ad ottenere un marchio di qualità del pomodoro San Marzano e conseguentemente un prezzo più alto per il loro specialissimo prodotto, la situazione di crisi del settore è destinata a permanere, se non ad aggravarsi.
Resta “l’amore per la terra” che c’è ancora e ci sarà, ma quanto potrà durare ?
[[Notizie sulla salvaguardia del patrimonio etnoantropologico mariglianese]] [3]
Marigliano è un paese con un notevole patrimonio architettonico, artistico ed etnoantropologico. A conferma di ciò, vi sono sia i palazzi del centro storico che i vari casali , masserie ed anche una villa romana, oltre a vari complessi monastici e vari edifici di culto. La storia mariglianese sta perdendo pezzi ogni giorno che passa, mentre la villa romana, ritrovata durante alcuni scavi edili, è sempre lì, sottoterra, e nessuno mette a punto dei progetti o quantomeno cerca di trovare dei finanziamenti per riportarla alla luce. Oltre al Comitato Pro Borgo,il senatore Tommaso Sodano (RC), ha portato nuovamente all’attenzione dei suoi colleghi romani la situazione di stallo e di disinteresse che c’è a Marigliano per il patrimonio architettonico ,artistico ed etnoantropologico.
Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-00404 Pubblicato il 27 luglio 2006 Seduta n. 27 SODANO - Al Ministro dei beni e delle attività culturali.
Vista l'interrogazione a risposta scritta 4-05238, presentata dall'interrogante nella XIV legislatura il 23 settembre 2003, pubblicata nel resoconto della 459a seduta pubblica del Senato, relativa alla mancata tutela e valorizzazione del centro storico e delle emergenze paesaggistiche, ambientali, architettoniche, storico-artistiche e demoetnoantropologiche che ricadono sul territorio di Marigliano (Napoli);
considerato che: a seguito della suddetta interrogazione e del clamore giornalistico che ne è scaturito, il Ministero dei beni e delle attività culturali - attraverso la Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico di Napoli e provincia - con nota n. 29423 del 16 dicembre 2003, annunciò un organico programma di interventi volto alla tutela e alla valorizzazione dell'antica “Terra murata” di Marigliano e degli altri nuclei storici del territorio comunale;il suddetto programma prevedeva una precisa campagna di vincoli ambientali e architettonici ai sensi del decreto legislativo 42/2004, preceduta da un'accurata fase di conoscenza e catalogazione dei numerosi complessi di interesse culturale;tra le emergenze monumentali una “particolare attenzione” sarebbe stata riservata al Castello Ducale di Marigliano - con gli annessi giardini, il complesso della Dogana, la Cavallerizza e gli altri ambienti pertinenti - per il quale è in vigore un vincolo parziale molto blando; provvedimenti di tutela sarebbero stati emessi, altresì, per numerosi monumenti del centro storico tra cui: Palazzo Griffo (secc. XV-XVI), il palazzo delle “Ornie Catalane” (secc. XV-XVI), palazzo Doria d'Angri (sec. XVIII), palazzo d'Alessandro (secc. XVI-XVIII), palazzo Cesarano (sec. XVIII), l'ex Convento del “SS. Salvatore” dell'ordine dei frati di S. Agostino (secc. XIV-XVI);una particolare attenzione sarebbe stata riservata, inoltre, anche alle masserie, ai casali e alle ville di “delizia” che la nobiltà napoletana faceva edificare tra il XV e il XVI secolo nella tranquilla campagna locale, nonché ai notevoli esempi di edilizia rurale storica concentrata a via Fratelli Bandiera nel borgo medievale di Lausdomini (palazzo Terracciano, palazzo Monda, la Casa -torre catalana di proprietà La Marca, eccetera), in applicazione di un preciso articolato previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio che sollecita la salvaguardia delle tipologie di architetture rurali;
constatato che: dopo circa tre anni di inerzia nessun provvedimento di dichiarazione di interesse culturale sugli immobili su indicati è stato emesso;nessuna comunicazione dell'avvio dei procedimenti amministrativi è stata mai notificata né ai proprietari dei beni né al Comune in cui ricadono i beni medesimi,
si chiede di sapere: quali siano i motivi di questi incomprensibili ritardi che rischiano di pregiudicare, in assenza anche di adeguati strumenti urbanistici, l'integrità e le caratteristiche peculiari dei nuclei storici di Marigliano e le qualità architettoniche, ambientali e storiche dei numerosi complessi dislocati sul territorio comunale; quali provvedimenti si intendano attuare per sollecitare e supportare l'azione della competente Soprintendenza nell'adempimento dei suoi impegni istituzionali.
LE MURA ARAGONESI [4] Ennesima interrogazione presentata dal Senatore Tommaso Sodano (PRC) in difesa dei beni artistici di Marigliano. Oggetto dell'interrogazione presentata dall'onorevole di Palazzo Madama ai ministri per i beni e le attività culturali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare vi sono le mura perimetrali che cingono il centro storico mariglianesi. “Il centro storico di Marigliano” si legge nell'interrogazione “cresciuto e stratificato sull’antico tessuto urbano romano, risulta cinto da mura e da rocche fin dal X secolo, potenziate in epoca normanno-sveva. Nel versante di nord-est del centro storico sopravvive ancora una parte della cinta muraria aragonese compresa tra il Monastero agostiniano del SS. Salvatore e il complesso della Cavallerizza, della Dogana ducale e del parco del Castello. Il tratto di mura e il relativo terrapieno quattrocentesco presentano un’altezza che varia dai quattro ai sette metri e sono costituite da grossi blocchi di pietra vesuviana non squadrati legati da abbondanti strati di malta in cui venivano annegati disparati elementi lapidei insieme a scheggioni di tufo, lava vulcanica, laterizi e tegole; negli ultimi anni la situazione del tratto di cinta muraria aragonese è peggiorata ed ora versa in uno stato rovinoso.A questa situazione di incuria si aggiunge uno stillicidio di interventi abusivi che ne alterano progressivamente l’aspetto e che pregiudicano la possibilità di un recupero del bene monumentale e dei suoi spazi originali che costituiscono parte integrante del complesso murario; in particolare, la recente lottizzazione del terrapieno quattrocentesco, adibito ad orti e giardini con la costruzione di villette, ha causato un pesante degrado urbano ed ambientale. I nuovi manufatti edilizi, realizzati a meno di un metro dalle mura, sono stati costruiti in violazione agli strumenti urbanistici comunali, che, per la zona A-Centro storico definita “satura”, autorizzano soltanto la manutenzione ordinaria e straordinaria, il restauro, il risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia; gli interventi edilizi, non condonabili, hanno implicato, inoltre, un’arbitraria manomissione delle mura aragonesi: il fronte su via delle Carceri è stato parzialmente rivestito di intonaco e lungo il suo perimetro sono state sistemate lampade in plastica colorata con relativi impianti elettrici. Si chiede di sapere: quali urgenti provvedimenti si intendano adottare al fine di accertare le eventuali responsabilità amministrative e di ripristinare lo stato dei luoghi; quali iniziative si intendano adottare per tutelare il tratto di cinta muraria aragonese nel centro storico di Marigliano al fine di prevenire nuovi abusi; se non si ritenga necessario avviare, in collaborazione con gli enti locali, una ricognizione delle mura, allo scopo di documentarne lo stato di conservazione, i dissesti, il degrado, l’alterazione dei materiali in funzione degli auspicabili interventi di consolidamento, restauro e valorizzazione.”
PALAZZO NICOTERA[5]
Sul "Mattino" del 20 Aprile era pubblicata questa notizia: "Storici palazzi da salvare. La Soprintendenza per i beni culturali di Napoli e provincia avvia una campagna di vincoli ambientali e architettonici su tutto il territorio di Marigliano per bloccare la speculazione edilizia. L'ufficio vincoli di Palazzo Reale ha già espletato tutte le procedure burocratiche per formalizzare presso la conservatoria i procedimenti.Tra i primi palazzi storici ad essere vincolati villa Galdi, Palazzo Trifuoggi e Palazzo Nicotera. In ritardo, invece, il protocollo d'intesa con il comune che non è stato ancora formalizzato nonostante le continue sollecitazioni da parte della Soprintendenza partenopea."Con il restauro e la valorizzazione di Palazzo Nicotera, si recupera un pezzo di storia mariglianese, in quanto il palazzo, antica dimora gentilizia del centro storico di Marigliano, è sconosciuto alle nuove generazioni, le quali non hanno avuto la fortuna di poterlo ammirare nel suo splendore, come gran parte dei palazzi storici mariglianesi. Palazzo Nicotera, per espresso volere testamentario della famiglia Nicotera, doveva essere un luogo in cui giovani mariglianesi potessero godere appieno della cultura; una parte del palazzo doveva essere riservata però ai giovani seminaristi poveri affinché potessero studiare. E' d'obbligo fare una precisazione, Palazzo Nicotera non appartiene alla Curia Vescovile, ma è un bene della Chiesa Santa Maria Delle Grazie, quindi un bene della città di Marigliano. Lo stesso discorso vale per il Campo Sportivo "Santa Maria Delle Grazie", la famiglia Nicotera, sempre per espressa volontà testamentaria, lo ha lasciato ai giovani mariglianesi affinché avessero un luogo dove poter praticare dello sport. Quindi qualsiasi altro uso di quel campo sarebbe un illecito, anche tenerlo chiuso e lasciarlo nel degrado totale è venir meno alla volontà testamentaria dei Nicotera. La Famiglia Nicotera ha lasciato dei beni inestimabili alla propria città e ai propri concittadini, chiedendo in cambio solo qualche fiore sulla loro tomba. Vogliamo ricordare cosa si nasconde dietro l'impalcatura di Via Giannone, cosa è vietato ammirare alle nuove generazioni mariglianesi. Palazzo Nicotera occupa una posizione di testata rispetto all’insula che prospetta su via Giannone, probabile “via principalis” del castrum romano che ha dato origine alla città di Marigliano. L’edificio nella sua attuale configurazione è il risultato di una complessa aggregazione di corpi di fabbrica di varie epoche, riorganizzati e ridefiniti nella seconda metà del XVIII secolo. Presenta un impianto planimetrico articolato con tre corti interne in cui si aprono scale e ampie logge. I tre prospetti, dalle linee settecentesche sono scanditi con regolarità dalle aperture dei balconi e delle finestre arricchite con eleganti cornici in stucco; oggetti in pietra vesuviana, ringhiere e grate di ferro battuto, marcapiani in stucco disegnano ulteriormente le facciate. Il prospetto su via Collegiata è, inoltre, caratterizzato da una loggia di coronamento di notevole effetto scenografico. Dal palazzo dell’antica famiglia Nicotera sono migrate verso altre residenze molti oggetti d’arredo e quadri, tra cui alcune tele dipinte dal pittore napoletano Giacinto Diano. Estremamente interessante doveva essere il “museo archeologico” che Rocco e Luigi Nicotera, ultimi rampolli del nobile casato, avevano allestito nel loro palazzo. La cospicua collezione di oggetti antichi di varia fattura e provenienza raccolti con “grande premura”, tra cui [/i] “moltissime monete consiliari ed imperiali, vasi fittili ed altri avanzi di antichità” fu dispersa alla fine degli anni Settanta. Fino alla metà degli anni Settanta era possibile ammirare anche l’arredo settecentesco della farmacia del palazzo, situata su via Garibaldi. Tra le scansie di uno “stiglio” e i banconi impiallacciati in radica, probabilmente opera di ebanisti locali, erano collocate numerose ampolle di vetro dove venivano conservati i medicamenti e bellissimi “albarelli” di ceramica, i vasi da farmacia settecenteschi en camaeiu bleu, decorati con scene paesistiche, secondo una tecnica di ascendenza iberica. Gli albarelli, di varie dimensioni, presentavano sul retro il monogramma F. N .(Farmacia Nicotera ) e la data 1740. Ne sono stati rintracciati alcuni in varie collezioni private italiane ed europee. All’interno del sontuoso palazzo sono ancora presenti in diversi ambienti alcune decorazioni pittoriche parietali, raffinati stucchi, interessanti carte da parati dipinte, pavimenti sette-ottocenteschi in cotto e maiolica e delle controsoffittature di tela dipinte con scene paesistiche. Le pregevoli coperture settecentesche si presentano sia piane a terrazzo sia a tetto con antiche capriate lignee ricoperte da un manto di tegole con coppi napoletani. La conformazione dell’edificio e l’organizzazione degli spazi, pur nascendo come abitazione nobiliare si prestano straordinariamente ad utilizzi pubblici e funzioni diverse. Ecco alcuni possibili usi degli spazi: - Fruizione estetica e utilizzo integrato: visite individuali e organizzate dell’edificio, mostre, convegni, incontri, strutture di accoglienza; - Formazione umana, culturale e professionale. Corsi di specializzazione e di orientamento per i giovani; - Creazione di un polo museale ( Museo dell’Opera della Collegiata con la sistemazione di una notevole collezione di arredi sacri, dipinti, sculture, ricami e tessuti custoditi per secoli nelle sagrestie delle chiese della città ma anche materiale storico e archeologico rinvenuto sul territorio; Museo delle tradizioni popolari campane e/o del teatro povero campano); - Spazi per le attività artigianali e commerciali; Destinazione varie: pubbliche, enti e associazioni. Il progetto può avere ampie ricadute non solo sul piano dell’immagine ma anche sullo sviluppo economico, sociale e culturale del territorio. Formazione di maestranze specializzate nel restauro, un’economia connessa al turismo, l’artigianato, la ricettività, la ristorazione, i servizi, sono tutti corollari dell’operazione principe: restituire dignità culturale ad un’area povera di un’identità specifica attraverso il recupero dei beni culturali. Un recupero che non sia solo fruizione estetica delle meraviglie architettoniche e artistiche ma diventi anche un fattore produttivo di ricchezza. Per la sua felice posizione geografica, Marigliano si candida a diventare la “Porta di Accesso” per i percorsi storico - turistici diretti verso il Nolano (Cimitile, Nola, Somma Vesuviana, il parco letterario Giordano Bruno, il parco naturale del Vesuvio) e l’Irpinia (Avella, Lauro, Monteforte, Mercogliano, Avellino, il Parco naturale del Partenio) .Nel programma potrebbero essere inseriti altri progetti, finalizzati alla valorizzazione di significativi episodi del ricco patrimonio architettonico, archeologico e artistico-culturale del territorio. La sostenibilità del programma appare garantita dalla considerazione che tutti i progetti ivi inseriti, sono destinati a perdurare nel tempo. In quest’ottica finiscono per integrarsi ad altre iniziative analoghe dell’area nolana e irpina, sviluppando un turismo colto e alternativo nell’ambito della Regione Campania.
'COMPLESSO MONUMENTALE DEI SANTI GIUSEPPE E TERESA' ( PALAZZO VERNA) [6]
Il complesso monumentale dei Santi Giuseppe e Teresa, sede dell’ex Convitto “Antonia Maria Verna” occupa un’insula del nostro centro storico già dal 1300, anche se è stato notevolmente ampliato nel Cinquecento e nel Seicento, fino a diventare la cittadella monastica, funzione conservata fino al sisma del 1980 (anno in cui la struttura era occupata dalle suore d’Ivrea).Gravemente danneggiato dal terremoto la monumentale struttura, di proprietà del comune di Marigliano, è stata abbandonata a sé stessa: le suore, ospitate per breve tempo nella casa canonica hanno poi definitivamente abbandonato la città, lasciando, però tutte le opere d’arte che il sisma aveva risparmiato all’interno della meravigliosa fabbrica.Ebbene, molte di queste opere d’arte sono state progressivamente rubate: tra esse c’era una tela di tale preziosa fattura che in un documento degli inizi del `900 veniva attribuita al Tiziano. Il culmine del paradosso si è raggiunto allorquando una delle tele che adornavano gli altari laterali della chiesa del Verna è stata ritrovata in una casa privata in occasione di un blitz antimafia a Palermo, sequestrata dalla magistratura e ancora in attesa di restituzione al comune di Marigliano.Il ciborio dell’altare maggiore è stato rinvenuto invece a Piacenza ed è ora conservato nell’ufficio del Sindaco, una collocazione temporanea quanto inopportuna ma necessaria per preservare il manufatto artistico da un nuovo furto, in assenza di una qualsiasi struttura di tipo museale nella nostra città. Sparse per la casa comunale ci sono altre opere d’arte d’inestimabile valore lasciate senza alcuna cura.Ad ogni modo, qualche anno dopo il sisma dell’80, a fronte dei numerosissimi furti, l’amministrazione diede mandato di trasferire in altre chiese le opere più pregiate, i mobili antichi furono invece affidati ad alcune associazioni di volontariato, di cui, in seguito, si sono perse le tracce. I manufatti antichi si trovano oggi in chissà quali mani. Si arriva così al 1996, anno nel quale il Comune di Marigliano approvava e mandava in appalto un progetto di “recupero” (la cui denominazione rimandava in realtà alla categoria di opere di ristrutturazione) che ha destato sdegno negli ambiti culturali regionali e nazionali in quanto, di fatto, avrebbero distrutto la memoria storica conservata nel palazzo. Nella fattispecie si intendeva realizzare una serie di interventi che andavano ben oltre le opere di adeguamento sismico previste dalla legge: si intendeva costruire una serie di scale ed un ascensore in ferro e cemento armato al centro del chiostro seicentesco; distruggere le capriate e i solai lignei del Settecento per sostituirli con capriate in carpenteria metallica e solai in cemento armato; eliminare dalle celle, dal refettorio, dal parlatorio, dalle cucine buona parte di archi, volte, stucchi, pitture, aperture, camini, oculi con le caratteristiche grate e roste in legno e ferro battuto per adeguare i locali a bagni, docce, palestre, uffici, laboratori, depositi di una scuola; manomettere radicalmente i prospetti, rimuovere i pavimenti maiolicati del Settecento, i marmi, le lapidi, le iscrizioni terragne, le lastre in pietra locale e gli infissi lignei barocchi. Ad ogni modo, i lavori di pseudo-recupero (affidati alla RO.MI. srl, successivamente fallita e con la quale l’ente ha un contenzioso in atto) furono fermati nel 1997, allorquando furono rinvenute durante i primi lavori di scavo notevoli strutture murarie di epoca medievale e reperti archeologici. Dalla sospensione dei lavori il complesso è stato nuovamente abbandonato a se stesso e fatto oggetto di nuovi furti: tra l’altro, la chiesa del Verna conservava le spoglie mortali dei santi Liberato e Fortunata, spoglie delle quali è stato fatto scempio nel tentativo di trovare all’interno delle tombe fantomatici tesori. Tutto questo accade in una città che ha fame di spazi pubblici e che, si dice “non riesce a trovare una sua vocazione”. Perché, allora, non recuperare il Verna e farne la prima tappa di un percorso museale?“Ci sono dei fondi” ci spiega lo storico Giovanni Villano “che potrebbero essere utilizzati per il restauro, e sottolineo restauro, del Verna. Sono insufficienti, è vero, ma potrebbero essere utilizzati per la realizzazione di un primo lotto funzionale, finalizzato al consolidamento strutturale. Se il Verna crollasse, chi se ne assumerà la responsabilità di fronte alla comunità e alla Storia? Chi si assumerà la responsabilità politica e culturale di aver privato ingiustamente le generazioni future di un bene storico ed architettonico di tale importanza? A mio avviso, bisogna archiviare quanto già fatto, voltare pagina e affidare un nuovo progetto, stavolta non di “ristrutturazione” ma di vero e proprio restauro all’ ufficio tecnico e alla soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio e per il patrimonio storico artistico e demoetnoantropologico di Napoli e Provincia, in modo da avere enti pubblici come interlocutori con conseguente risparmio. Con i fondi a disposizione si potrebbe procedere ad un primo consolidamento della struttura e ad effettuare una necessaria campagna di scavi archeologici. Contestualmente inoltre bisognerebbe procedere a quella catalogazione delle opere d’arte presenti ancora nel Verna come proposto dieci anni or sono dall’assessore alla cultura, Pasquale Beneduce (amministrazione Caccavale, n.d.r. )Una schedatura mai realizzata che ci consentirebbe di non disperdere ulteriormente il patrimonio mobile che, col passare degli anni diventerà irrecuperabile. Il restauro poi dovrebbe essere affidato a maestranze specializzate e ditte qualificate, in modo da recuperare ogni minima traccia del passato: gli stucchi, i marmi, i legni, i paramenti tufacei e lapidei, gli affreschi che potrebbero rivelarsi sotto gli intonaci. Quanto alla destinazione d’uso, il complesso non è assolutamente compatibile con le esigenze di una moderna scuola. Ci sarebbero mille diverse possibili funzioni compatibili con i versatili ed ampi spazi del monumento. La navata della chiesa potrebbe prestarsi a sala conferenze, e ci sarebbe posto per una biblioteca con supporti multimediali e cartacei, un museo storico e archeologico della città…Insomma la casa di tutti i Mariglianesi. Tante funzioni e servizi di cui la nostra città, sempre affamata di spazi per attività pubbliche, ha bisogno e che soprattutto come dicevo, compatibili con le istanze irrinunciabili di conservazione dell’antica fabbrica”.
LA STORIA DI MARIGLIANO Altre nozioni di storia della Città di Marigliano[7]
Il Portale di Cultura e Informazione di Marigliano[8]
Tutto quanto fa cultura e informazione a Marigliano[9]
Sito ufficiale comune Marigliano[10]
[modifica] La presenza della camorra
Come si evince dalla relazione approvata dalla Camera nel 2000 sullo stato alla lotta alla criminalità organizzata in Campania [11], il territorio della città di Marigliano risulta essere ben controllato dalla camorra, in particolare dal clan riconducibile ad Antonio Capasso. Infatti, in tempi recenti, la zona di Marigliano era stata "teatro di uno scontro tra il gruppo riconducibile ad Antonio Capasso e una cellula operativa del clan Mazzarella, insediatasi a Ponte Citra. L'arresto di alcuni componenti di quest'ultimo sodalizio ha, peraltro, consentito ai Capasso di riappropriarsi completamente del territorio." (dalla citata relazione della Commissione Parlamentare).
La vita sociale ed economica del paese è fortemente influenzatata dalla presenza della camorra. Una delle attività dominanti risulta essere quello dello smaltimento illegale dei rifiuti tossici nelle campagne fra i comuni di Marigliano, Nola, Acerra.
Il 31 agosto 2004, la rivista medica inglese "The Lancet Oncology" pubblica un lavoro di Alfredo Mazza [12], ricercatore in Fisiologia Clinica del CNR, uno studio considerato "agghiacciante" dagli oncologi anglosassoni. In esso viene mostrato che la zona compresa fra i territori dei comuni di Marigliano, Nola, Acerra e' un vero e proprio triangolo della morte, dimostrando come vi si muoia di cancro e ed altre patologie molto di più che nel resto d'Italia.
Ad esempio, sempre dall'articolo di Mazza, per il cancro al fegato l'indice di mortalità per 100.000 abitanti (per gli uomini) è di 14.0 in Italia e 15.0 in Campania, mentre arriva fino alla impressionante cifra di 38.4 nella Asl Napoli4 e 35.9 nel distretto 73 (per le donne, il tasso di mortalità è di 20.8 nella Asl Na4 e 20.5 nel distretto 73, contro il 6.0 della media italiana e l'8.5 della Campania).
[modifica] Evoluzione demografica
Abitanti censiti