Sant'Antonio di Padova
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Sant'Antonio di Padova, al secolo Fernando Bulhão (Lisbona, 15 agosto 1195 - Padova, 13 giugno 1231) è stato un frate francescano, ed è Santo e Dottore della Chiesa cattolica, che gli tributa da secoli una fortissima devozione.
Prima agostiniano a Coimbra (1210), poi (1220) francescano, viaggiò molto vivendo prima in Portogallo quindi in Italia. Nel 1221 incontrò alla Porziuncola San Francesco d'Assisi, che lo inviò all'eremo di Montepaolo, presso Forlì, dove iniziò la sua attività di predicatore. Professore di teologia e nello stesso tempo predicatore, combatté l'eresia catara, specialmente in Francia, con estremo vigore e notevole successo. Fu trasferito poi a Bologna e quindi a Padova. Morì all'età di 36 anni in odore di santità. Per la mole di miracoli attribuitegli venne canonizzato a un anno dalla morte da papa Gregorio IX. Pio XII, che nel 1946 ha annoverato Sant'Antonio tra i Dottori della Chiesa cattolica, gli ha dato il titolo di Doctor Evangelicus, in quanto nei suoi scritti e nelle prediche che ci sono giunte era solito sostenere le sue affermazioni con citazioni del Vangelo.
La grande Basilica di Padova è dedicata a Sant'Antonio; sia la basilica che Sant'Antonio vengono comunemente chiamati in città "Il Santo". La sua data di nascita è data dalla tradizione. La sua festa cade il 13 giugno (giorno della sua morte) e a Padova, in occasione della ricorrenza, si svolge un'imponente celebrazione con processione.
In Portogallo è venerato con il nome di Sant'Antonio da Lisbona.
[modifica] Il contesto storico
Gli anni in cui visse Sant'Antonio si collocano nel cuore del Medioevo. Tutta l'Europa era scossa da profondi cambiamenti: la nascita della società urbana dei Comuni e della borghesia; l'aumento della produzione agricola e la conseguente maggior mobilità delle persone e ripresa dei commerci fra campagna e città. Artigiani e commercianti, notai e medici, mercanti e banchieri s'apprestavano a dar vita ad una nuova classe sociale: la borghesia, che andava ad aggiungersi ai cavalieri, al clero e ai nobili.
In questo quadro di grandi cambiamenti, la Chiesa visse mutamenti significativi:
- il fiorire delle Cattedrali, monumento tipico della città che rinasceva: dopo l'XI secolo, la Cattedrale divenne (così come lo erano stati i monasteri nei secoli precedenti) il centro focale della vita religiosa.
- l'epoca delle Crociate, in tutto sette: le prima nel 1096, l'ultima nel 1270;
- l'epoca dei papi Innocenzo III e suo nipote Gregorio IX. Assertori convinti del potere papale e riformatori in campo spirituale, avvertirono entrambi l'esigenza di rinnovare le istituzioni ecclesiastiche, sospinti anche da un incalzante movimento popolare che criticava l'eccessivo interesse della Chiesa per le cose terrene. Sotto questi due Papi sono nati gli Ordini mendicanti, i francescani e i domenicani.
[modifica] Le origini del Santo: da Fernando ad Antonio
Dell'infanzia di Sant'Antonio di Padova si conoscono poche cose con certezza: il nome di battesimo, Fernando (che significa "ardito nella pace"), e la città natale, Lisbona. Già sulla data di nascita gli storici non concordano, anche se i più propendono per il 15 agosto 1195, calcolato sottraendo dalla data della morte, 13 giugno 1231, gli anni attribuitili dal Liber miraculorum, scritto verso la metà del Quattordicesimo secolo.
La biografia più antica fu compilata da un frate anonimo nel 1232 sulla base di informazioni ricevute dal vescovo Soerio II Viegas, vescovo di Lisbona dal 1210 al 1232. Quest'opera, nota come Vita prima o Assidua ci riporta le poche notizie che abbiamo sui primi anni del futuro santo.
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«I fortunati genitori di Antonio possedevano, dirimpetto al fianco ovest di questo tempio una abitazione degna del loro stato, la cui soglia era situata proprio vicino all'ingresso della chiesa. Erano essi nel primo fiore della giovinezza allorché misero al mondo questo felice figlio; e al fonte battesimale gli posero nome Fernando. E fu ancora a questa chiesa, dedicata alla santa Madre di Dio, che lo affidarono affinché apprendesse le lettere sacre e, come guidati da un presagio, incaricarono i ministri di Cristo dell'educazione del futuro araldo di Cristo»
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(Anonimo del XIII secolo - Vita prima o Assidua)
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Antonio nasce dunque da una potente famiglia. Sua madre si chiamava Maria, suo padre Martino Afonso, cavaliere del re e, secondo alcuni, discendente di Goffredo di Buglione[1]. Si ritiene, ma è incerto, che il padre lo abbia indirizzato al mestiere delle armi. Nel 1210 a quindici anni, decide di entrare a far parte degli Agostiniani dell'Abbazia di San Vincenzo, abbandonando gli agi e il potere della casa paterna. Più avanti negli anni, nei suoi Sermoni scriverà:
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«Chi si ascrive a un ordine religioso per farvi penitenza, è simile alle pie donne che, la mattina di Pasqua, si recarono al sepolcro di Cristo. Considerando la mole della pietra che ne chiudeva l'imboccatura, dicevano: chi ci rotolerà la pietra? Grande è la pietra, cioè l'asprezza della vita di convento: il difficile ingresso, le lunghe veglie, la frequenza dei digiuni, la parsimonia dei cibi, la rozzezza delle vesti, la disciplina dura, la povertà volontaria, l'obbedienza pronta… Chi ci rotolerà questa pietra dall'entrata del sepolcro? Un angelo sceso dal cielo, narra l'evangelista, ha fatto rotolare la pietra e vi si è seduto sopra. Ecco: l'angelo è la grazia dello Spirito Santo, che irrobustisce la fragilità, ogni asperità ammorbidisce, ogni amarezza rende dolce con il suo amore»
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(sant'Antonio di Padova - Sermoni)
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Soggiornò nel convento di Lisbona per circa due anni. Poi, volendo un maggior raccoglimento che le continue visite di amici e parenti gli negavano, chiese ed ottenne di venire trasferito a Coimbra, al monastero di Santa Croce. Si dedicò, come desiderava, agli studi e alla vita ascetica. Divenne sacerdote ed essendo versato nelle Sacre Scritture e nella predicazione, gli si prospettava una brillante carriera all'interno dell'Ordine. Tuttavia due avvenimenti contribuirono a scrivere una storia diversa.
[modifica] I difficili inizi
Al re Alfonso I succedette, sul trono del Portogallo, il figlio Sancho I ed alla morte di questi (1211) il nipote Alfonso II. Alfonso I ci è tramandato come un re devoto, autenticamente interessato alle cose delle fede; i suoi successori, tuttavia, tesero a intromettersi nelle decisioni ecclesiastiche a vari livelli decisionali. Alfonso II nominò come priore di Santa Croce una persona che potesse supportare la nuova linea politica e che mostrò scarsissimo interesse per la vita ascetica e ancor più scarsa capacità di gestire il monastero: dilapidò in breve tempo, infatti, le sostanze del ricchissimo monastero con uno stile di vita dissoluto. Le sue gesta scandalizzarono la comunità e fu raggiunto persino dalla scomunica di papa Onorio III. Se ne poté, tuttavia, disinteressare grazie alla distanza da Roma ed all'appoggio del re.
A poco a poco la comunità monastica di Coimbra finì per spaccarsi in due correnti: da una parte i sostenitori del nuovo priore e del suo stile, dall'altra coloro che desideravano ancora condurre un vita sobria, modesta e dedicata alla contemplazione di Dio. Tra questi anche Fernando, che aveva ottenuto di trasferirsi a Coimbra proprio per questo motivo.
[modifica] Il primo incontro con il Francescanesimo
Nel 1219 Francesco d'Assisi approntò una spedizione missionaria alla volta del Marocco, con l'intento di convertire i musulmani d'Africa. I membri della spedizione, i tre sacerdoti Berardo, Pietro ed Ottone e i due fratelli laici, Adiuto e Accursio, transitarono anche da Coimbra, dove la loro semplicità, povertà e dedizione a Dio impressionarono profondamente Fernando. Giunti in Africa i cinque furono uccisi quasi subito e i loro corpi furono riportati a Coimbra pochi mesi dopo. Antonio riferì che il loro martirio costituì per lui la spinta decisiva all'ingresso nell'ordine Francescano. Volendo sottolineare con un gesto eclatante il radicale mutamento di vita, decise di cambiare il nome di battesimo: da Fernando in Antonio, in onore del santo monaco orientale cui era dedicato il romitorio francescano di Olivares.
Superate le opposizioni dei confratelli Agostiniani, Antonio si unì ai Francescani e di lì a poco chiese a fra Giovanni Parenti, suo superiore, il premesso di partire come missionario. Nell'autunno del 1220 s'imbarcò con un confratello, fra Filippino di Castiglia, alla volta del Marocco. Giunto in Africa, tuttavia, contrasse la malaria e dopo alcuni mesi estenuanti di malattia venne convinto da Filippino a tornare a Coimbra. Per Antonio fu un grande dolore dover rinunciare al progetto missionario, e fu lungamente tormentato dall'idea che l'insuccesso fosse il segno divino che il suo desiderio di partire fosse stato motivato da un desiderio di gloria personale. Col tempo si rasserenò, e maturò la convinzione che l'abbandono alla volontà di Dio fosse la via principale per la Santità, un'idea che trasparirà da tutta la sua opera.
I due frati si imbarcarono alla volta della Spagna, ma la nave incorse in una tempesta e terminò il viaggio con un naufragio in Sicilia, vicino a Messina. Soccorsi dai pescatori, i due vennero portati in un vicino convento francescano.
Qui Antonio apprese che nel mese di maggio, in occasione della Pentecoste, Francesco avrebbe radunato tutti i suoi frati per il Capitolo Generale. L'invito a parteciparvi era esteso a tutti e nella primavera di quell'anno 1221 Antonio e i frati di Messina cominciarono a risalire l'Italia a piedi.
[modifica] L'incontro con Francesco di Assisi
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Il viaggio durò parecchi mesi. Per Antonio si rivelò un'occasione fondamentale, poiché aveva conosciuto l'insegnamento di San Francesco solo attraverso le testimonianze di chi lo aveva seguito. Il capitolo, presieduto dal cardinale Antonio Capocci, ebbe luogo nella valle attorno alla Porziuncola dove si raccolsero più di tremila frati. Fra Giordano da Giano descrisse l'avvenimento:
Il Capitolo durò per tutta l'Ottava di Pentecoste e analizzò molti problemi: lo stato dell'Ordine, la richiesta di novanta missionari per la Germania, la discussione sulla nuova Regola.
Le richieste di modifica della Regola primitiva furono per Francesco un considerevole problema. Lassisti e Spiritualisti rischiavano di spaccare l'Ordine in due tronconi. L'Ordine s'era troppo ingrandito e ai giovani accorsi con entusiasmo mancava un'eguale adesione alla disciplina, mentre ai dotti risultavano strette le disposizioni sulla povertà assoluta. Con la mediazione del Cardinale si giunse ad un compromesso che cercava di salvaguardare ad un tempo l'autorità morale di Francesco e l'integrità dell'Ordine. La nuova Regola verrà poi approvata da Papa Onorio III il 29 novembre 1223. l'Assidua riporta che:
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«Concluso il Capitolo nel modo consueto, quando i ministri provinciali ebbero inviato i fratelli loro affidati alla propria destinazione, solo Antonio restò abbandonato nelle mani del ministro generale, non essendo stato chiesto da nessun provinciale in quanto, essendo sconosciuto, pareva un novellino buono a nulla. Finalmente, chiamato in disparte frate Graziano, che allora governava i frati della Romagna, Antonio prese a supplicarlo che, chiedendolo al ministro generale, lo conducesse con sé in Romagna e là l'impartisse i primi rudimenti della formazione spirituale. Nessun accenno fece ai suoi studi, nessun vanto per il ministero ecclesiastico esercitato, ma nascondendo la sua cultura e intelligenza per amor di Cristo, dichiarava di non voler conoscere, amare e abbracciare altri che Gesù crocifisso.»
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Frate Graziano, apprezzando l'umiltà d'Antonio, decise di prenderlo con sé e lo assegnò all'eremo di Montepaolo vicino all'odierna Castrocaro
Qui rimase un anno dedicandosi ad una vita semplicissima, ai lavori umili, alla preghiera e alla penitenza.
Nella seconda metà del 1222 la comunità francescana scese a valle per assistere alle ordinazioni sacerdotali nella cattedrale di Forlì. l'Assidua racconta che
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«venuta l'ora della conferenza spirituale il Vescovo ebbe bisogno di un buon predicatore che rivolgesse un discorso di esortazione e di augurio ai nuovi sacerdoti. Tutti i presenti però si schermirono dicendo che non era loro possibile né lecito improvvisare. Il superiore si spazientì e rivoltosi ad Antonio gli impose di mettere da parte ogni timidezza o modestia e di annunciare ai convenuti quanto gli venisse suggerito dallo Spirito. Questi dovette obbedire suo malgrado e "La sua lingua, mossa dallo Spirito Santo, prese a ragionare di molti argomenti con ponderatezza, in maniera chiara e concisa»
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Sebbene cogliesse tutti di sorpresa, la predica di Antonio palesò le grandi doti umane e di predicatore che la tradizione riporta. Ne giunse notizia sino ai superiori ad Assisi, che lo richiamarono alla predicazione.
[modifica] Ortodossia e teologia: il martello degli eretici
Scendendo da Montepaolo, Antonio cominciò con grande decisione il suo nuovo incarico, predicando nei villaggi e nei castelli. Trattava con particolare rigore quelli che chiamava "cani muti": i potenti e i notabili che avrebbero avuto l'incarico di guidare e proteggere le popolazioni, ma di cui si disinteressavano per inseguire il proprio tornaconto economico. Nei Sermoni scriverà:
Questa frase è forse la più esemplificativa dello stile e della vita di Antonio, che si schierò sempre in favore dei poveri e dei deboli. Insieme alle istanze morali Antonio si dedicò con grande impegno alla predicazione contro i cristiani eterodossi, cioè gli eretici. A quel tempo i movimenti considerati ereticali più importanti erano gli Albigesi, che prendevano nome dalla città di Albi nella Francia meridionale, i catari (i puri), e i patarini diffusi in Lombardia.
Tutti i movimenti si caratterizzavano per un profondo desiderio di rinnovamento spirituale, per una visione del Cristo come creatura più divina che umana, per un'aperta ostilità nei confronti di tutto ciò che era materiale e terreno. In tal senso l'ostilità verso la Chiesa, che esse identificavano prevalentemente nel potere temporale del papa e nei preti corrotti, era estremamente netta.
Il Francescanesimo stesso si iscrisse in questa corrente di profondo rinnovamento, collocandosi però fin dall'inizio all'interno della Chiesa per modificarla dall'interno, piuttosto che a porsi al di fuori, enfatizzando lo scontro. In questa stessa corrente di rinnovamento nell'ortodossia si colloca Antonio: la tradizione gli darà l'appellativo di "martello degli eretici".
Antonio constatò che la riflessione teologica e antieretica era impossibile senza solide basi dottrinali e insistette per ottenere, tra l'altro, la fondazione nel 1223 del primo studentato teologico francescano a Bologna, presso il convento di Santa Maria della Pugliola. Francesco stesso, che pure aveva sperato che la preghiera e la dedizione potessero bastare, si trovò ad approvare l'iniziativa di Antonio:
L'operato di Antonio contribuì, in questo senso, a cambiare in modo considerevole il volto del Francescanesimo che in quegli anni si costruiva una regola e un'identità. Antonio ricevette l'incarico di predicare nell'autunno del 1222 e il territorio affidatogli comprendeva, oltre alla Romagna, l'Emilia, la Marca Trevigiana, la Lombardia e la Liguria. La Romagna fu il primo territorio dove ottenne dei risultati considerevoli e fu a Rimini che si narra si verificasse l'episodio della mula considerato uno dei miracoli più noti e riportato in numerosi affreschi. Il successo di Antonio delle sue predicazioni sulla presenza reale di Cristo nell'Ostia consacrata nelle città della Romagna fu tale che, quando papa Onorio III chiese a Francesco di Assisi di inviare qualcuno dei suoi come missionario nella Francia meridionale per convertire i catari e gli albigesi, questi inviò Antonio.
[modifica] La predicazione francese contro gli eretici
In terra francese, Antonio giunse nel tardo autunno del 1224 e rimase un paio d'anni, fino alla morte di Francesco. La Provenza, la Linguadoca, la Guascogna sono le regioni che più di altre furono teatro dalla sua predicazione, poiché Arles, Montpellier, Tolosa erano le città dove l'influenza degli eterodossi era più forte. A riguardo della sua oratoria e del suo approccio umano, un cronista dell'epoca, il francese Giovanni Rigauldt, dice che
L'itinerario di Antonio in Francia è incerto. Si sa che nel novembre del 1225 partecipò al Sinodo di Bourges, convocato dal primate d'Aquitania per valutare la situazione della Chiesa francese e per pacificare le regioni meridionali. All'arcivescovo Simone de Sully, che si lamentava degli eretici, Frate Antonio, invitato quel giorno a predicare, disse a bruciapelo:
Lo stesso Arcivescovo, riportano le cronache, chiese ad Antonio che lo confessasse per trovare la forza di mettere in pratica ciò che gli aveva ricordato.
Il Provinciale della Provenza, fra Giovanni Bonelli da Firenze, lo nominò prima Guardiano del convento di Le Puy-en-Velay e poi Custode, cioè superiore, di un gruppo di conventi attorno a Limoges. Qui, vicino a Brive, Antonio trovò una grotta che gli ricordava gli anni passati nel romitorio di Montepaolo, e lì «amava ritirarsi, da solo, in una grande austerità di vita, applicandosi alla contemplazione e alla preghiera.» Le cronache riportano numerosi miracoli e fatti inspiegabili attribuiti ad Antonio, il più celebre è quello della bilocazione di Montpellier, durante la quale sarebbe apparso a predicare in due luoghi completamente diversi.
L'esperienza francese si concluderà presto: il 3 ottobre 1226, in una cella della Porziuncola muore a 44 anni Francesco d'Assisi. Frate Elia, vicario generale dell'Ordine, fissa per la Pentecoste dell'anno seguente il Capitolo Generale per la nomina del successore. L'invito per quel Capitolo è esteso anche ad Antonio, superiore dei conventi di Limoges.
[modifica] Padova, seconda patria
Le fonti sono incerte sul periodo del viaggio di Antonio dalla Francia a Padova: un'antica tradizione riporta che imbarcatosi per mare naufragò nuovamente in Sicilia, dove sono conservate numerose reliquie attribuitegli. Il futuro santo è in Assisi il 30 maggio 1227, festa di Pentecoste e giorno d'apertura del Capitolo Generale, che doveva eleggere il successore di san Francesco. Molti prevedevano che il Capitolo eleggesse frate Elia, il vicario generale di Francesco e suo fedele compagno di missione in Oriente. Le cronache riportano che Elia fosse geniale organizzatore ma di temperamento piuttosto focoso. I superiori dell'Ordine gli preferirono il più prudente fra Giovanni Parenti, ex magistrato, nativo di Civita Castellana e Provinciale della Spagna. Questi, che aveva accolto Antonio nell'Ordine anni prima, lo nominò ministro provinciale per l'Italia settentrionale; in pratica, la seconda carica – per importanza – dopo la sua. Antonio ha 32 anni. I successivi quattro, gli ultimi della sua vita, saranno i più importanti per la sua eredità spirituale.
[modifica] Lo stile di Antonio come santo e come uomo
Le cronache riferite a quegli anni riportano come Antonio sapesse far convivere grande rigore e dolcezza d'animo. Riporta la Benignitas:
Giovanni Rigauld, il suo biografo francese, dirà che nonostante la carica di Guardiano:
Antonio stesso nei sermoni scrisse:
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«La vita del prelato deve splendere d'intima purezza, dev'essere pacifica con i sudditi, che il superiore ha da riconciliare con Dio e tra loro; modesta, cioè di costumi irreprensibili; colma di bontà verso i bisognosi. Invero, i beni di cui egli dispone, fatta eccezione del necessario, appartengono ai poveri, e se non li dona generosamente è un rapinatore, e come rapinatore sarà giudicato. Deve governare senza doppiezza, cioè senza parzialità, e caricare sé stesso della penitenza che toccherebbe agli altri… Inargentino i prelati le loro parole con l'umiltà di Cristo, comandando con benignità e affabilità, con previdenza e comprensione. Ché non nel vento gagliardo, non nel sussulto del terremoto, non nell'incendio è il Signore, ma nel sussurro di una brezza soave ivi è il Signore.»
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In un'altra predicazione scrisse:
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«Assai più vi piaccia essere amati che temuti. L'amore rende dolci le cose aspre e leggere le cose pesanti; il timore, invece, rende insopportabili anche le cose più lievi.»
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A differenza di quanto accadeva in altri contesti religiosi, la Regola francescana imponeva ai Ministri Provinciali di visitare i conventi e i religiosi affidati alle loro cure:
La provincia di Padova allora ricopriva un ampio territorio. Accompagnato dal giovane padovano Luca Belludi, cominciò dall'estremità orientale, da Trieste: di lì sconfinò in Istria e Dalmazia. Furono molte le conversioni e le vocazioni che lo accompagnarono e nuovi conventi vennero fondati a Pola, Muggia e Parenzo; rientrato in Friuli, passò per Udine, Cividale, Gorizia, Gemona. Da lì a Conegliano, Treviso, Venezia per poi tornare a Padova, prima di proseguire per i conventi dell'Emilia, della Lombardia e della Liguria.
[modifica] Il rientro a Padova
Nella quaresima del 1228 Antonio rientrò a Padova, la città a cui più di ogni altra resterà legato. Qui Antonio coltivò molti legami e relazioni anche con gli esponenti di altri ordini. Divenne amico del superiore dei benedettini, l'abate Giordano Forzatè, e del conte Tiso di Camposampiero, facoltoso e generoso verso i francescani. Nel giardino dei conti Papafava e dei Carraresi la tradizione colloca la pietra sulla quale Antonio saliva per predicare. Tra le persone conosciute e più fidate Antonio fondò una sorta di confraternita, così com'era in uso nel medioevo. Dal nome della chiesa di Santa Maria della Colomba, dov'erano soliti ritrovarsi, presero il nome di "Colombini". Avevano per divisa un saio grigio e si dedicavano ad opere caritative. Antonio soggiornò a Padova per pochi mesi, ma decise, una volta scaduto il mandato di Ministro Provinciale nel 1230, di tornarvi definitivamente.
Nei Sermoni traccia il profilo del superiore che deve "eccellere per purezza di vita", avere "larga cognizione delle Sacre Scritture", possedere doti di eloquenza, saper imporre disciplina ed aver fermezza.
[modifica] Antonio da Padova e Gregorio IX. L'Arca del Testamento
Durante il suo mandato di Superiore dell'Italia settentrionale, Antonio lasciò la Provincia soltanto in due occasioni, nel 1228 e nel 1230: entrambe le volte – per diversi mesi – le mete furono Roma e Assisi. I biografi non riportano da parte di Antonio un gran entusiasmo in merito:
Le circostanze si fecero sentire acutamente nel marzo del 1228, quando il Ministro Generale, fra Giovanni Parenti, lo mandò a chiamare «per un'urgente necessità della sua famiglia religiosa»: si era nuovamente infiammata la disputa tra l'ala conservatrice e quella riformatrice dell'Ordine ed era necessario trovare un accordo che salvaguardasse tanto l'unità dell'ordine quanto l'integrità del messaggio di san Francesco. Antonio fu scelto anche in virtù del suo passato: s'era battuto per aprire ai frati la via dello studio, ma aveva saputo mantenere viva la povertà francescana. Antonio era umile, ma non inutilmente timido e sapeva mettersi al servizio del prossimo senza farsi scudo di questo per schivare le grandi responsabilità di una guida spirituale. Dava perciò ampie garanzie d'imparzialità ad entrambi gli schieramenti contrapposti di un ordine che si era ingigantito in pochissimi anni e non poteva più trovare conforto nella guida di san Francesco, morto prematuramente.
Vanno inoltre ricordate le enormi difficoltà logistiche legate al governo di decine di migliaia di frati disseminati per tutta l'Europa in un tempo dove la maggior parte dei viaggi veniva intrapresa a piedi, su strade insicure e dove i mezzi di comunicazione erano pressoché inesistenti.
La vertenza gravava attorno a punti diversi: c'era chi spingeva ad un maggior impegno negli studi, privilegiando il frate sacerdote a discapito del frate laico. Altri volevano mitigare la rigida povertà di Francesco con una regolamentazione più consona ad una comunità che da "girovaga" stava trasformandosi in "residenziale". La questione aveva ormai raggiunto posizioni radicali e apertamente polemiche trasformandosi in uno sgradevole: o con Francesco o contro Francesco.
L'Ordine decise che la disputa aveva travalicato la sua stessa autorità e che era giunto il momento di sottoporre la questione al Papa. Antonio venne incaricato in tutta fretta di prepararsi ad andare a Roma e sottoporre a papa Gregorio IX i termini della questione.
[modifica] Il primo viaggio a Roma
Le cronache non riportano i particolari di come Antonio portò a termine il suo incarico, tuttavia pare che a papa Gregorio IX il giovane frate piacque molto per la sua intelligenza, la sua cultura e soprattutto per la serenità umile e determinata con cui sapeva rendere produttive entrambe. Il Papa anziché congedarlo, lo trattenne con sé per predicare a lui e ai cardinali le meditazioni quaresimali. Quelle prediche furono un tale successo che l'ottuagenario Pontefice, rompendo ogni protocollo, lo chiamò «arca del Testamento», «peritissimo esegeta», «esimio teologo». Quattro anni più tardi, canonizzandolo, ricorderà quei giorni di quaresima:
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«personalmente sperimentammo la santità e l'ammirevole vita di lui, quando ebbe a dimorare con grande lode presso di noi.»
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L'impressione fu molto forte anche tra i cardinali e i prelati di curia, i quali – scrive ancora l'Assidua – «l'ascoltarono con devozione ardentissima» e qualcuno di loro lo invitò a predicare al popolo.
Erano i giorni della Settimana Santa e a Roma confluivano pellegrini da ogni parte, ognuno con la sua lingua e i suoi dialetti. Si riferisce nel processo di Canonizzazione che Antonio, sebbene conoscesse alcune di quelle lingue, iniziò a predicare nella volgata del popolo di Roma. Ma come nella Pentecoste degli apostoli tutti «sentivano e capivano» esattamente come se il Santo si esprimesse contemporaneamente nell'idioma nativo di ciascuno. Da lì a pochi mesi Antonio ebbe modo di incontrarsi nuovamente con il Pontefice, che giunse in Assisi per canonizzare Francesco, dichiararlo santo e benedire la prima pietra della Basilica dove avrebbe riposato il suo corpo.
[modifica] Il secondo viaggio a Roma
La basilica di cui Gregorio IX aveva benedetto la prima pietra venne completata in soli due anni. L'ordine scelse la Pentecoste per fissare il Capitolo Generale e per traslare il corpo di san Francesco dalla Chiesa di San Giorgio alla cripta del nuovo edificio. La basilica venne inaugurata il 25 giugno. Ancora una volta i frati erano accorsi a migliaia da ogni parte d'Europa, e con loro sfilarono in processione autorità di ogni grado, prelati, vescovi e i tre Cardinali Legati inviati per l'occasione da papa Gregorio. La folla fu tale che travolse il servizio d'ordine e si temette per le spoglie del Santo. Frate Elia, si vide costretto a sbarrare le porte e «mettere in salvo» il corpo del Santo sotto pesanti lastre di marmo. Lì rimarrà, nonostante tutte le critiche di cui Elia fu fatto oggetto per la decisione, sino al 1818 quando Pio VII ne autorizzerà la rimozione.
La folla non gradì affatto la piega che gli avvenimenti avevano preso e la situazione degenerò tristemente in una rissa collettiva, con grande scandalo e maggiori proteste, che misero in imbarazzo l'Ordine Francescano giungendo sino alle orecchie del Papa.
Se nel periodo di costruzione della Basilica la disputa interna all'Ordine si era sopita, con l'apertura del nuovo Capitolo si riacutizzò. Il testamento di san Francesco, infatti ribadiva vigorosamente la necessità della povertà assoluta e una parte dei Francescani voleva inserirlo come parte integrante della Regola dell'Ordine. Nell'impossibilità di dirimere la questione si decise di nominare una commissione di sette frati per riportare a Gregorio IX la questione. Antonio, chiamato a farne parte si vide costretto a partire nuovamente per Roma. Gregorio IX prenderà la sua decisione da lì a pochi mesi, promulgando il 28 settembre la Bolla Quia elongati.
Tornato ad Assisi, Antonio accusò diversi disturbi: chiese ed ottenne d'essere sollevato dall'incarico di Ministro Provinciale. Si ritirò nella sua amata Padova, dove gli succedette come Superiore il pisano fra Alberto.
[modifica] Ritorno alle origini: predicare ai ricchi per salvare i poveri
Come semplice frate Antonio terminò la sua ultima incombenza: la stesura del secondo volume dei Sermoni che gli era stato commissionato dal Cardinale Rinaldo Conti che diverrà Alessandro IV. Infine poté dedicarsi alla gente; privilegiò la predicazione e il confessionale; in questo senso la grande quaresima del 1231, l'ultima della sua vita terrena sarà il suo testamento spirituale.
Padova era un città decisamente ricca, che presentava gli stessi difetti e pregi di altri comuni analoghi. Il denaro aveva i suoi pochi eroi e le moltissime sue vittime: l'usura serpeggiava e gli umili pativano continui soprusi.
Fu in questa direzione che Antonio predicò con tutto il rigore che lo aveva reso famoso. Dal pulpito si schierò apertamente dalla parte dei poveri, degli oppressi, degli affamati. Si scagliava soprattutto contro chi praticava l'usura, uno dei mali peggiori della sua epoca, dicendo:
Antonio conosceva bene la società in cui operava, i suoi limiti, le sue viltà. Le sue prediche, come le cronache riportano, erano sempre bene ancorate al reale, per quanto sgradevole potesse essere da affrontare. Non parlava per sentito dire e non colpiva mali occasionali, ma affrontava i problemi di pubblico dominio e di vasta portata sociale.
Il linguaggio della sua predicazione, che in buona parte ci è stata tramandata, è semplice e diretto; Antonio usava parole chiare, comprensibili a tutti, violente per centrare il problema, senza inutili giri di parole, individuando chiaramente i colpevoli e le vittime. Denunciava tanto i mali e i danni materiali e sociali, quanto la portata morale del peccato commesso: il male sociale faceva strage dei corpi, il male morale avrebbe concluso l'opera facendo strage dell'anima, dannandola per sempre:
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«La natura ci genera poveri, nudi si viene al mondo, nudi si muore. È stata la malizia che ha creato i ricchi, e chi brama diventare ricco inciampa nella trappola tesa dal demonio.»
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Antonio considerò il confessionale come un banco di prova privilegiato del suo lavoro di predicatore. Non sarebbe infatti servito a molto avere folle di ascoltatori, se nessuno di loro avesse poi manifestato alcun pentimento e desiderio di cambiamento.
Passava giornate intere a confessare e a ricordare: «Come ti sei confessato, così devi emendarti; vi sono parecchi che confessano i loro peccati, ma non si emendano mai; il vero penitente deve aver fisso nell'anima il proposito di non ricadere nella colpa». La forza della personalità e della statura morale del futuro Santo era enorme e la gente si dava alla penitenza, anche con veri e propri eccessi.
L'avvenimento, molto noto, venne poi raffigurato in un bassorilievo di Donatello.
[modifica] Il testamento di Antonio: la grande quaresima del 1231
Possiamo supporre che quei quaranta giorni, dal 6 febbraio al 23 marzo 1231, siano stati per Antonio uno dei periodi più fruttuosi, poiché poté senza distrazioni esortare a sollevarsi dalle proprie miserie ed a rivolgersi a Dio. La predicazione quotidiana in Quaresima era una novità assoluta per quei tempi;quella di Antonio attirava gente di ogni condizione, dai poveri ai Vescovi.
La folla crebbe al punto da non poter stare in nessuna delle chiese, sicché Antonio decise di predicare nei prati, che offrivano tutto lo spazio necessario. Secondo l'Assidua gli venne addirittura assegnato un gruppo di guardie del corpo, che formassero un cordone di sicurezza tra lui e la folla: «le donne nel fervore della devozione, portandosi delle forbici, gli tagliavano la tonaca come fosse una reliquia, e si ritenevano fortunati coloro che riuscivano a toccare almeno l'orlo del suo vestito» I confratelli temevano per la sua incolumità.
Le cronache riferiscono molti segni di cambiamento tra le mura di Padova e nei dintorni, molte dispute concluse senza finire con il consueto spargimento di sangue. Ma Antonio riuscì anche ad influenzare la conduzione della Cosa Pubblica; uno dei cambiamenti più importanti fu, il 15 marzo 1231, la modifica della legge sui debiti:
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«su istanza del venerabile fratello il beato Antonio, confessore dell'ordine dei frati minori»
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il podestà Stefano Bador stabilì che il debitore insolvibile senza colpa, una volta ceduti in contropartita i propri beni, non venisse più imprigionato né esiliato.
[modifica] Avvicinarsi a Dio: Antonio e il noce
La Quaresima e la predicazione avevano fiaccato Antonio, che in diverse occasioni aveva dovuto farsi portare a braccia sul pulpito. Afflitto dall'idropisia e dall'asma tanto da non poter più camminare, acconsentì a ritirarsi per una convalescenza nel convento di Santa Maria Mater Domini. Il suo riposo, tuttavia, si dovette bruscamente interrompere. Spadroneggiava a quel tempo, tra Verona e Vicenza, Ezzelino III da Romano, emissario dell'imperatore Federico II contro i liberi Comuni. Noto tiranno di pochissimi scrupoli verrà collocato da Dante nell'Inferno, nel girone degli omicidi. Riuscito a farsi eleggere Podestà di Verona, città guidata dai conti di Sambonifacio, aveva intrecciato con loro un doppio matrimonio: lui con Zilia, sorella del conte Rizzardo, e questi con sua sorella Cunizza. Una volta ottenuto il potere, passò sopra i legami di parentela e ruppe l'alleanza con i Sambonifacio, mandando in carcere il cognato. Alcuni cavalieri del conte Rizzardo ripararono a Padova e da lì cercarono di organizzarne la liberazione. Verso la fine di maggio Antonio partì alla volta di Verona, per ottenere da Ezzelino la grazia per il conte Rizzardo; non riuscì ad ottenere nulla. Ezzelino fu irremovibile, anzi risparmiò ad Antonio la sorte del conte Rizzardo soltanto per rispetto dell'abito che portava.
[modifica] La cella sul noce
Quando Antonio tornò a Verona, i frati lo convinsero a trasferirsi nel romitorio di Camposampiero, in campagna e lontano dalla folla e dal caldo opprimente. Qui i francescani avevano a disposizione un piccolo convento offerto, anni addietro, da un amico del Santo, il conte Tiso. Vicino si trovava un noce e sui rami più bassi il conte Tiso aveva preparato una specie di piattaforma dove Antonio poteva ritirarsi a pregare e riposare, di giorno, al riparo del fogliame. La folla non ci mise molto a rintracciarlo e giunse ai piedi della tana in breve tempo. Antonio riprese a predicare da sopra l'albero, circondato da ragazzi e bambini. Due episodi chiariscono il rapporto che la gente, e i bambini, aveva con lui in tal senso. Una sera, mentre rientrava in convento, gli si fece incontro una mamma che reggeva tra le braccia un piccino deforme. «Padre – gli chiese la donna – tocca il mio bambino: solo tu puoi ridonargli la salute». Gli rispose Antonio: «Buona donna, pregate con fede il Signore. I miracoli li fa solo lui». Frate Luca, lì vicino, intercedette per lei: «Padre, esaudiscila! Il Signore ti ascolta sempre quando gli chiedi una grazia!». Il Santo, lasciatosi convincere, prese in braccio quella creaturina deforme e dopo aver pregato, gliela rese risanata. Un'altra donna, in lacrime gli chiese: «Vieni a salvare mio figlio che sta morendo, solo tu puoi ottenerne la guarigione». Anche a lei Antonio rispose: «Prega con fede il Signore, è lui il padrone della vita e della morte». E la donna, di rimando: «Lo so, ma se tu intercedi per lui, si salverà. È il mio unico figlio; l'ho atteso per tanti anni e ora non voglio vederlo morire!». Gli rispose il Santo: «Va' in pace, pregherò con te: Dio ascolta sempre le preghiere di una mamma!». Tornata a casa trovò il figlio che giocava, completamente guarito.
Anche a racconti come questi si ispirerà l'iconografia tipica del Santo, diffusa su milioni di immaginette devozionali, che lo raffigurano con una espressione dolce e con Gesù bambino in braccio. Si narra, infatti che il conte Tiso in una notte in cui non riusciva a dormire vedesse una luce violenta sul noce di Antonio. Temendo un incendio si precipitò alla porta e si trovò a contemplare il frate che reggeva in braccio Gesù Bambino.
[modifica] Lungo la strada per Arcella
A mezzogiorno di venerdì 13 giugno 1231, Antonio scese dal noce per il pasto comunitario e si sentì mancare. Comprese senza alcun timore che non gli restava molto da vivere e chiese d'essere riportato a Padova: là desiderava morire. Antonio venne riportato lentamente verso Padova su un carro agricolo trainato da buoi. Ci volle un pomeriggio per compiere i venti chilometri della vecchia strada romana che oggi è detta via "del Santo". In vista delle mura la comitiva incontrò frate Vinotto che risaliva verso Camposampiero per far visita al Santo. Viste le condizioni del moribondo, il frate consigliò di fermarsi all'Arcella, nell'ospizio accanto al monastero delle Clarisse. Lì, fuoriporta, sarebbe stato al sicuro – soggiunse frate Vinotto – dalle "sante intemperanze" della folla quando si fosse sparsa la notizia della morte. I confratelli temevano che la folla si precipitasse sul carro per toccare il corpo del Santo.
Al convento i confratelli adagiarono Antonio sulla nuda terra e intonarono il suo canto preferito alla Vergine. Ricevuta l'estrema unzione mormorò: «Video Dominum meum...», cioè ecco, vedo il mio Signore, poi chiuse gli occhi e morì. Aveva soltanto 36 anni.
[modifica] La disputa per la sepoltura
La notizia della morte d'Antonio si diffuse rapidamente e quel che temeva padre Vinotto s'avverò. Le reliquie di un Santo erano viste come portatrici, oltre che di vantaggi spirituali e miracoli, di prosperità sicura in tempi di pellegrinaggi e di fede diffusa. Gli abitanti di Capodiponte, nella cui giurisdizione si trovava Arcella, arrivarono per primi: «Qui è morto e qui resta»; spalleggiati dalle clarisse: «Non lo abbiamo potuto vedere da vivo, che ci resti almeno da morto». L'indomani giunsero all'Arcella i frati di Santa Maria Mater Domini per traslare la salma, ma furono affrontati, armi in pugno, dagli uomini più giovani di Capodiponte. Ogni forma di dialogo pacato risultò inutile, sicché i frati rientrarono a Padova dove si rivolsero al Vescovo. Questi, saputo che Antonio aveva espresso precisa volontà di morire in città, nel suo convento, diede loro ragione e incaricò il Podestà di sedare gli animi, anche con la forza, se necessario. L'uso della forza non si rese, fortunatamente, necessario e il 17 giugno, all'Arcella, c'era tutta Padova a seguire il feretro.
[modifica] La canonizzazione
Fin dal giorno dei funerali la tomba di Antonio divenne meta di pellegrinaggi che durarono per giorni. Persone di ogni condizione sociale sfilavano davanti alla sua tomba toccando il sarcofago e chiedendo miracoli, grazie e guarigioni. A causa della folla le autorità decisero di disciplinare il flusso e tutta Padova – si legge nell'Assidua –«nei giorni prefissati veniva in processione a piedi nudi», anche di notte.
In quel periodo furono attribuiti alla sua intercessione molti miracoli e, «a furor di popolo», il vescovo e il podestà li sottoposero al giudizio del papa.
Papa Gregorio IX, che conosceva Antonio, avendo assistito alle sue prediche, accolse gli ambasciatori padovani e nominò una commissione di periti, presieduta dal vescovo di Padova, per raccogliere le testimonianze e le prove documentarie utili al processo di canonizzazione.
Secondo l'Assidua la commissione fu sommersa a Padova «da una gran folla, accorsa per deporre con le prove della verità, di essere stata liberata da svariate sciagure grazie ai meriti gloriosi del beato Antonio». Il Vescovo ascoltò attentamente «le deposizioni confermate con giuramento» e mise per iscritto i miracoli approvati, poi promosse indagini scrupolose sulle condizioni delle persone e dei fatti, prendendo nota del tempo e del luogo, di ciò che fu udito e veduto. Completato l'esame diocesano dei miracoli, Padova inviò al Papa una seconda delegazione. A Roma l'istruttoria fu assegnata al cardinale Giovanni d'Abbeville, che in pochi mesi esaurì il compito assegnatogli.
Fu Gregorio IX stesso che pose la parola fine al processo quando tagliò ogni ritrosia rimasta fissando al 30 maggio, festa di Pentecoste, la cerimonia ufficiale di canonizzazione e che inviò per questo una Bolla «ai nostri cari figli, il podestà e il popolo di Padova». Nella Cattedrale di Spoleto, Gregorio IX ascoltò la lettura dei cinquantatré miracoli approvati e, dopo il canto del Te Deum, proclamò solennemente e ufficialmente santo frate Antonio, fissandone la festa liturgica nel giorno anniversario della morte, il 13 giugno. Padova poté festeggiare Antonio come santo esattamente un anno dopo la sua morte.
Per l'afflusso di pellegrini che confluiva a Padova sulla tomba del santo si iniziò la costruzione di una chiesa più capiente che sarà terminata nel 1240. Nel 1263 il Ministro Generale dei francescani, Frà Bonaventura da Bagnoregio, traslò la salma del Santo nella nuova basilica. Durante l'ispezione prima del trasporto dei resti mortali, fu rinvenuta perfettamente conservata intatta e rosea come fosse viva la lingua del Santo. Ogni anno, ancora oggi, i frati Antoniani in Padova ricordano quel ritrovamento.
[modifica] Sant'Antonio da Padova patrono
Festeggiato dalla Chiesa Cattolica il 13 giugno, Sant'Antonio è patrono di Lisbona.
In Italia, inoltre, è il protettore dei seguenti comuni (oltre a Padova): Anacapri (NA), Andretta (AV), Bisaccia (AV), Busachi (OR), Capistrello (AQ), Castel Viscardo (TR), Ceglie Messapica (BR), Cerreto Sannita (BN), Cianciana (AG), Conca dei Marini (SA), Cutrofiano (LE), Fragagnano (TA), Gravina di Catania (CT), Lodè (NU), Maletto (CT), Melissano (LE), Montefalcone nel Sannio (CB), Nicolosi (CT), Olivetta San Michele (IM), Orta Nova (FG),Pago del Vallo di Lauro(AV), Palazzo San Gervasio (PZ), Peia (BG), Petrizzi (CZ), Pietrarubbia (PU), Poggiardo (LE), Poggiomarino (NA), Ravarino (MO), Rotondella (MT), San Paolo di Civitate (FG), Santa Maria Nuova (AN), Schilpario (BG), Soleto (LE), Stigliano (MT), Tramonti (SA), Valledolmo (PA), Vigarano Mainarda (FE), Zollino (LE).
[modifica] Note
- ↑ Cfr. prof. Giuseppe Trombetta, Il taumaturgo di Dio
[modifica] Bibliografia
- Alfonso Salvini, Sant'Antonio di Padova, Cinisello Balsamo 1989
- Antonio Cojazzi, Sant'Antonio da Padova nella testimonianza d'un suo contemporaneo, Torino 1931
- Chiara Amata, Sant'Antonio di Padova", Milano 1997
- Claudio Mazza, Un Santo per amico: agiografia di Sant'Antonio da Padova per gli amici del Beato Annibale, Milano 1992
- Edoardo Luini, Sant'Antonio di Padova: maestro di vita cristiana: pagine dai suoi sermoni, Localizzazioni: FI0098 - Biblioteca nazionale centrale di Firenze - FI
- Emanoel de Azevedo (1713-1798), Vita di Sant'Antonio di Padova taumaturgo portoghese dell'abate Emanuelle de Azevedo di Coimbria, Edizione: Nuovamente prodotta alla luce dal p. Savino Bachechi, Firenze 1829
- Enrico Camisani, L'evangelico dottore Sant'Antonio di Padova, Brescia 1992
- Giuseppe Fiocco, Il reliquiario della lingua del Santo, Padova 1963
- Giuseppe Trombetta, Il taumaturgo di Dio, La Gaia Scienza - Jubilaeum
- Piero Lazzarin, Un santo, una basilica, una citta: storia e segreti di un santuario notissimo e poco conosciuto : virtu e vizi di una piccola grande città, Padova 1990
- Pio Ciuti, S. Antonio da Padova : tredici conferenze intorno alla vita del santo e orazione panegirica, Giarre: Libreria francescana, 1931
- Breve racconto della vita, miracoli e morte del grande taumaturgo Sant'Antonio di Padova, Bologna 1873
- Vita e miracoli di Sant'Antonio da Padova, Firenze 1880
[modifica] Voci correlate
[modifica] Altri progetti
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[modifica] Collegamenti esterni
- La vita di Sant'Antonio
- Biografia e immagini di Sant'Antonio di Padova dal sito Santiebeati.it
- La Basilica di Sant'Antonio a Padova
- Il sito della preghiera a Sant'Antonio di Padova
- Sant'Antonio
- Il testo completo dei Sermoni di Sant'Antonio
- (EN) Trascrizione dei Sermoni domenicali
- (LA) Trascrizione dei Sermoni domenicali
- Foto della Basilica del Santo - Padova
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