Villa Minozzo
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Stato: | ![]() |
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Regione: | ![]() |
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Provincia: | ![]() |
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Coordinate: |
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Altitudine: | 680 m s.l.m. | ||
Superficie: | 168 km² | ||
Abitanti: |
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Densità: | 25 ab./km² | ||
Frazioni: | Vedi elenco | ||
Comuni contigui: | Busana, Carpineti, Castelnovo ne' Monti, Castiglione di Garfagnana (LU), Frassinoro (MO), Ligonchio, Montefiorino (MO), Sillano (LU), Toano, Villa Collemandina (LU) | ||
CAP: | 42030 | ||
Pref. tel: | 0522 | ||
Codice ISTAT: | 035045 | ||
Codice catasto: | L969 | ||
Santo patrono: | SS. Giuditta e Quirico | ||
Giorno festivo: | 15 luglio | ||
Sito istituzionale | |||
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Villa Minozzo è un comune di 4.150 abitanti della provincia di Reggio Emilia, 54 km a sud-est del capoluogo. Il territorio comunale è tra i più vasti d'Italia, se si escludono i capoluoghi di provincia. Vi si trova la stazione sciistica di Febbio e la cima più alta della provincia, il Monte Cusna (m 2121). Attraverso Civago ed il passo delle Forbici (m. 1574) si giunge in Garfagnana.
Indice |
[modifica] Etilmologia di Villa Minozzo
Il nome “Villa” deriva dal latino “Villae” che sta ad indicare una casa padronale. Generalmente asservita a grandi latifondi con “cortis” ovvero fattorie o poderi dove si tengono greggi e armenti. Le “Villae” ospitavano generalmente fattori e schiavi dediti al lavoro agricolo.
Il nome “Minozzo” è di più difficile interpretazione: sappiamo che in località “Minozzo” esisteva un’ antichissima "Rocca" chiamata del “Melocio”, che in dialetto locale Minozzo pronuncia “M’nocc”. Dai primi documenti pervenuti intorno all'anno 1000 si ha notizia di un “Archpresbyter Melocii subscripsi” e, successivamente, abbiamo anche un parroco chiamato “Antonio de Menotio”. Ulteriore testimonianza è un diploma dell'Imperatore Ottone II che porta la data 14 ottobre 980 che assegna la “Crotem de’ Melocio cum plebe” alla Chiesa di Reggio.
Se il nome derivasse dal latino potrebbe essere “Melocium”, ”Mellociun”, “Minotium” o “Menotuim”, “Minocium”, “Menocuim” il che ci riconduce a qualcosa che non ha un significato preciso. Tuttavia, dal “De Bello Apuano”, che parla della guerra tra “Liguri Apuani e Frinati” che occupavano questo territorio prima dell'arrivo dei Romani, troviamo un console romano di nome Quinto Minucio Termo: Minucio in latino si scrive “Minucium”, che ha quanche rassomiglianza con il nome Minozzo .
Probabilmente si può dire che “Villa Minozzo” sta ad indicare un latifondo o una proprietà terriera romana con abitazione padronale con fattori e schiavi dediti al lavoro agricolo, di proprietà un certo “Minucium”, il che è perfettamente in linea con la tradizione orale che fa risalire la costruzione dei primi insediamenti in queste terra a dei fuggiaschi o deportati romani.
[modifica] Storia
Fra le prime tracce della presenza umana nel comune ci sono i reperti mesolitici raccolti in località Lama Lite, oltre 1700 metri sul livello del mare. L’epoca romana ha lasciato qui, presso l’abitato di San Bartolomeo lungo il Secchia, una delle poche necropoli appenniniche. Nei pressi del capoluogo di comune, si segnala il ritrovamento di una fibula gallica, mentre la prima menzione di Villa Minozzo si ha nel 963 quando con un diploma imperiale Ottone I conferma il possesso alla chiesa reggiana della corte di Villa. Una seconda testimonianza arriva quasi 130 anni dopo, nel 1092, quando l’antipapa Guiberto ne parla in una bolla. I secoli a cavallo dei due millenni videro nel reggiano la crescita della famiglia Canossa e la contessa Matilde nel 1102 cita un ricovero per poveri sito in Campo Camelasio; successivamente, nel 1106, fa riferimento ad un eremo situato in San Venerio nella zona di Carrà. Nel 1200 il comune di Reggio «colonizza» la montagna appenninica e verso il 1240 molte località villaminozzesi gli giurano fedeltà. Tra queste: Cerrè, Costabona, Coriano, Santonio, Secchio e la comunità di Asta. Tra le famiglie che esercitarono autorità nella zona vanno ricordati i Dalli, provenienti dalla Garfagnana e filo-Estensi, i Fogliani, i Malvasia, oltre a casate fiorentine, gli Arnaldi, e modenesi, i Rocchi. Nel XV sec. si ricordano le dispute coi pastori garfagnini di Soraggio per l’uso di certi pascoli nei dintorni di Gazzano (non a caso il passo appeninico attraversato da questi ha il nome di Passo di Lama Lite). Della questione fu investito il Duca che, dopo ricorsi e controricorsi, diede ragione ai toscani che ebbero i pascoli a livello in cambio di un orso vivo all’anno da portare al Duca. Da questo fatto è nato il proverbio Mnèer l’ors a Modna (condurre l'orso a Modena) per rappresentare un’impresa difficoltosa ma priva di risultati pratici. Se oggi di orsi nell'Appennino reggiano non v’è più traccia, anche allora non dovevano essere tanti, se dopo qualche anno il canone livellario fu mutato in un cinghiale. Nel XVI secolo la montagna reggiana conosce una recrudescenza del banditismo; tra i briganti più famosi Domenico Amorotto, protetto dalla curia romana e ricercato da Francesco Guicciardini, aveva una sua dimora anche in questa parte di Appennino, tra Gazzano e Civago in una località che gli dedica il nome, Torre dell’Amorotto.
Alla Repubblica reggiana aderiscono, nel 1796, centri come Asta, Febbio e Secchio. Nell’età napoleonica il «Distretto n. 22 di Minozzo» fa parte del dipartimento del Crostolo e con la restaurazione estense, Villa Minozzo conta 36 comunelli. Dal 1815 è definitivamente sede di Comune, confermato tale anche dopo l’unità d’Italia, che in un primo tempo eresse sede di comune anche Gazzano, salvo, dopo pochi anni, incorporarlo a Villa Minozzo.
[modifica] XX secolo
In Val d’Asta durante la prima guerra mondiale si istituì un campo di lavoro per prigionieri dell’esercito austro-ungarico, unico esempio nella provincia di Reggio Emilia, ma oggi non ne rimane quasi traccia, né vi furono «incroci» con l’allora locale popolazione femminile. Questi prigionieri lavoravano lungo la ferrovia a scartamento ridotto che nacque nel 1918 fra Riparotonda, non lontano da Febbio, e Quara (16 Km. con pendenza max. 3%), nata per portare a valle il legname ricavato sulle pendici del Cusna, di cui in quei tempi c’era grande necessità; presso Gova lungo un piano inclinato i tronchi finivano nel torrente Dolo, da qui nel fiume Secchia, e venivano raccolti a San Michele dei Mucchietti presso Sassuolo. Purtroppo già nel 1920 la ferrovia venne smantellata, mentre poteva essere una opportunità per lo sviluppo della Val d’Asta. Un disastroso terremoto il 6 settembre 1920 distrusse molte case e fece molte vittime.
Durante la seconda guerra mondiale, il 20 marzo 1944 la frazione di Cervarolo fu distrutta per rappresaglia dai tedeschi, che uccisero 23 persone. Cervarolo è tra i rarissimi casi di località di frazione ad essere inserita tra le città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stato insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Tutto il territorio comunale ha fatto successivamente parte della Repubblica partigiana di Montefiorino ed il comune è stato insignito della Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Il vastissimo territorio comunale è ora quasi del tutto compreso nell'ex Parco del Gigante, ora Parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano. Si sta anche restaurando la grande torre ottagonale di Minozzo (che compare nello stemma comunale), edificio di cui si hanno già notizie nel X secolo, e che fino all’epoca napoleonica era utilizzato per uffici amministrativi.
[modifica] La Rocca del Melocio
Sulle origini di questa struttura difensiva non si hanno fonti certe. Il Milani viste le tipologie costruttive usate ne deduce che potrebbe essere un opera risalente al tardo Impero Romano o alle lotte tra Bizantini e Longobardi. Le prime tracce certe del esistenza della “Rocca del Melocio” si hanno intorno al anno 1000 e nei secoli successivi.
Decisamente si può escludere che si tratti di un opera militare del tardo impero romano visto la relativa distanza dalle principali vie Romane. E in oltre sarebbe stato un doppione del "Castrum Bismanto", questo si di probabile origine romana da dove si riesce a controllare quasi tutto l’alto appennino Reggiano.
Dalle ricostruzioni fatte dal Milani si può ricavare che sicuramente si trattava di un opera importante visto doveva avere un altezza tra i 20 e 30 metri , protetta da due torri di guardia una ubicata in località “Castellino” e una in località “Triglia” e protetta alle spalle dal “Monte Prampa”.
Si può escludere anche la necessità delle popolazioni locali sulla necessità di erigere un opera difensiva di tale importanza, visto che come avevano già fatto in passato i Liguri Friniati si potevano facilmente nascondere e disperdersi nelle ampie boscaglie che si estendono sui versanti del monte Prampa, strategia talmente efficace che è stata usata dalle popolazioni locali anche durante il secondo conflitto mondiale durante le operazioni di rastrellamento fatte dai nazi-fasciti per tornare a riprendere i controllo del territorio della Repubblica di Montefiorino.
Nella zona vi sono o vi erano delle ricchezze tali da giustificare una tale opera difensiva, visto che fino ai giorni nostri l’ attività prevalente era quella agricola-pastorale, se per attività agricola si può chiamare quella dove si semina 1 e si raccoglie dai 3 a 5 sementi o per lo meno questa era la resa delle colture agrarie fino agli inizi del 1900. (In queste vallate la faceva da padrone la “Miseria Stabile” fino ai giorni nostri).
A riconferma che una simile opera militare non è posizionata in punto strategico particolarmente importante è che nella sua storia millenaria non è mai stata oggetto di uno scontro militare significativo che ci sia giunto fino ai giorni nostri. In oltre si può anche esclude che le popolazioni locali debite in prevalenza al agricoltura e alla pastorizia avessero nel medioevo come nei secoli successi le necessarie conoscenze tecniche per costruire una simile opera. Fornire una risposta plausibile non è cosa facile e semplice in assenza di prove documentali certe.
Non ci resta che analizzare la lunga guerra intercorsa tra “Longobardi e Bizantini” (“Di circa 200 anni”)Che il Milani non ha preso in considerazione. Da altre fonti storiche si ha notizia che per un certo periodo il corso del fiume Secchia ha costituito il confine naturale tra i territori controllati dal Esarcato di Ravenna (Bizantini) e i territori controllati dai Longobardi. Se nella pianura reggiana la situazione era fluida con rapidi ribaltamenti di fronte e questo ci è confermato dal fatto che le città della pianura emiliana hanno cambiato alcune volte di proprietà. Sul appennino Tosco-Emiliano le cose sono sicuramente andate in modo differente visto la natura del territorio che non si presta a facili avanzamenti e altre tanti ribaltamenti di fronte, quindi è presumibile che le cose siano andate molto più lentamente e in modo diverso. Gli storici ci dicono ricavandole da notizie frammentate che parte del territorio del alto e medio appennino reggiano nella prima metà del VII (600/650 d.c.) secolo con la caduta del "Castrum Bismanto" sia passarono in mano ai Longobardi, mentre il resto rimaneva in mano Bizantina tra cui i territori dei comuni Toano, Villa Minozzo e Ligonchio che restarono in mano bizantina fino al 728 d.c. In questa data in seguito ai disordini avvenuti nel Esarcato d’Italia o Ravenna e provocati dalla decisione di Leone III l'Isaurico di proibire la venerazione delle icone. In questa occasione in pratica i territori del alto Appennino Modenese e Reggiano si ribellarono e passarono dalla mano bizantina a quella di Longobardi quasi senza colpo ferire. Nei quasi cento anni che intercorsero tra i due fatti gli storici sostengono che i territori in mano Bizantina del alto appennino Reggiano e Modenese hanno resistito alla pressione dei Longobardi, grazie una fortificazione inespugnabile chiamata “Castrum Verabulum”.
Però anche gli stessi storici non sono d’accordo su ubicazione di castello.
Nel Liber Pontificalis non compare Bologna, contrariamente a “Paolo Diacono” e in quest'ultimo caso, non è citato un Castrum Verabulum, contrariamente al Liber Pontificalis.
Alcuni lo vogliono identificare con “S. Vitale di Carpineti” (appennino reggiano) mentre altri con una località scomparsa, nei pressi di Bologna, non lontano da Crespellano (Basso Appennino Bolognese).
Gli storici hanno raggiunto questa conclusione sulla persistenza toponomastica ancora presente in carte del X secolo (diploma del 980) e successive, dove indicata una pieve di S. Vitale “de Verabolo” e questo inequivocabilmente ubicare nella montagna reggiana il “Verabolo”. Sempre gli stessi ci fanno notare che la cosa sarebbe indubbiamente curiosa, se Verabulum sorgeva nella zona di Carpineti avremmo, un' “isola” bizantina in territorio da tempo Longobardo.
Da questi ricostruzioni possiamo ricavare che il Verabulum si trova quasi sicuramente nel territori del alto appennino Reggiano, ma l’ ubicazione in S. Vitale di Carpineti è discutibile, se poi si considera Bismantova in mano ai Longobardi il sito di S. Vitale di Carpineti diventa praticamente indifendibile e sicuramente non avrebbe impedito le infiltrazioni verso l’alta appennino Reggiano e Modenese, partendo da Bismantova.
Torniamo ora alla nostra misteriosa “Rocca del Melocio” e inseriamola in questo quadro strategico. Bismantova è caduta in mano ai Longonardi, l’alto appennino reggiano e modenese è esposto alle incursioni dei longobardi. I Bizantini hanno la necessità di difendere questo territorio per mantenere sicura l’ antica via romana “Bibulca” chiamta anche “via Imperiale”, (L’ imprtanza strategica di questa strada deriva dal fatto che permette ai Bizantini di mantenere i contatti con le loro posizioni in Garfagnana che sono di vitale importanza visto che in qualche modo possono controllare o disturbare i Longobardi nel unico stretto varco che hanno tra l’ appennino Tosco Emiliano e Alpi Apuane (Luigiana)per accedere ai loro domini Italia centrale e meridionale). E questo ci è confermato dal fatto che Longobardi ben conoscevano l’ importanza della via Bibulca visto che appena ne sono venuti in possesso il Re Liutprando, nella prima metà dell’ VIII secolo, modificò o apri il percorso del “Passo delle Radici” che faceva parte dell’ antica via Bibulca tracciata dai Romani.
Come abbiamo già detto è abbastanza improbabile che Castrum Verabulum sito in S. Vitale di Carpineti possa assicurare un adeguata copertura al territorio controllato dai Bizantini nel alto appennino Reggiano, per cui è ragionevole pensare che a difesa di questi territori vengano allestite una serie di fortificazioni per difendere quanto resta nelle loro mani.
In questo quadro è altre tanto plausibile che al "Castrum Bismanto" si voglia contrapporre un altra fortificazione che impressioni i Longobardi anche in una zona relativamente penetrabile. (I Bizantini ne hanno la tecnica, visto che nello stesso periodo sono in grado con il “Fuoco Greco” di respingere l’assedio della flotta mussulmana a Costantinopoli e che permetterà a Bizantini di sopravvivere per ancora 700 anni). La Materia prima (Sassi e calce o più verosimilmente gesso non mancano vedi gessi Triassici della valle del Secchia) la reperiscono in loco, vista anche le difficoltà di trasportare su queste montagne prodotti più sofisticati, la manodopera specializzata forse non manca del tutto, è molto probabile che le popolazioni latine della pianura emiliana abbia trovato rifugio su queste montagne.
In questo quadro la scelta della località di Minozzo diventa plausibile e infatti ci ritroviamo sistema difensivo ubicato su una roccia di “Diabase Porfirica” che sul lato che guarda Bismantova si innalza dai 20/40mt su cui si innalzava un ulteriore torrione di 25/30 mt, per cui possiamo stimare che da Bismantova si vedesse un opera innalzarsi dai 50/70 metri (Sicuramente qualcosa di maestoso e impressionante per quel epoca). Se poi consideriamo che nelle vicinanze sempre che guardano verso Bismantova vi erano altri due torri di avvistamento una in località “Castellino” e una in località “Triglia”, in oltre sempre in punti strategici, si ha traccia di altre due torrioni o rocche anche loro non datate una in Località Sologno e una in località Carniana, e sempre per completare il quadro si ha anche traccia di un antico castello non datato uno in località Piolo, uno in località Toano nei pressi di una antica chiesa Romanica di epoca Matildica e un altro sempre di epoca longobarda sul Torrente Dolo vicino alla località di Quara. In pratica siamo in presenza di un sistema difensivo abbastanza articolato che copre parte del alto appennino Reggiano e quello del alto Modenese seguendo lo sviluppo del fiume Secchia e Torrente Dolo. E questo da una spiegazione più plausibile della particolare resistenza offerta alla penetrazione dei longobardi nel alto Appennino Reggiano e Modenese. Se come ci dicono gli storici il “Castrum Verabulum” sito S. Vitale di Carpineti non è una cosa certa l’alternativa più plausibile di un simile sistema difensivo sono il “Castello di Toano” che proteggeva dalle incursioni provenienti dalla bassa valle del Secchia e che in modo speculare si contrappone a S. Vitale di Carpineti, oppure in alternativa proprio la “Rocca del Melocio” che si contrapponeva al centro dello schieramento Bizantino proprio al "Castrum Bismanto".
[modifica] Curiosità
Fino al 1815 la sede comunale di questo territorio era ubicata nella frazione di Minozzo, nella millenaria Rocca del Melocio. Durante il turbolento periodo napoleonico, nel 1805, nell'ambito del riordino del dipartimento del Crostolo (Reggio Emilia), questo fu suddiviso in cantoni di cui il n.8 era quello di Minozzo, composto di sette comuni o comunelli anziché sei come lo erano in passato, dato che Villa e Minozzo, che sono due località distinte, erano da sempre state aggregate in un unico comune sotto il nome di Minozzo. Venne fatta questa aggregazione:
- Minozzo pop. 2815.(?)
- Villaminozzo con Bedogno, Cadegobbi(? Forse intendevano Case Zobbi),Carniana, Poiano, Carù (Nel documento originale è scritto "Cantù"), Sologno, Cerrè Sologno, Castellaro(?), Primavore (?) pop. 2033
- Toano con Cerrè Marabino pop. 915
- Ligonchio con Piolo, Vaglie, Cinquecerri, Campo e Caprile pop.1654
- Febbio con Coriano, Asta, Deusi e Riparotonda pop. 1418
- Guera (? Quara) con Gova, Secchio e Costabona pop. 1000
- Gazzano con Civago, Cervarolo, Morsiano e Novellano pop. 1762
Il cancelliere distrettuale diede la colpa di questa novità alla volontà del consiglio dipartimentale che «senza cognizione delle località aveva fissato in sette i comuni facenti capo al cantone di Minozzo» mentre «il cantone era sempre stato organizzato in sei, perché si è sempre ritenuto incorporato Villa nei paesi annessi a Minozzo».
Il capo ufficio del dipartimento, pur riconoscendo l'errore, rispose provvisoriamente «Convengo che le cose restino nello stato presente fino a quando il governo non si compiaccia di comunicare le definitive sue determinazioni».
Si diede così origine ad una concorrenza tra Minozzo e Villa per la residenza del comune, mantenendo uno stato incerto e talmente ingarbugliato che nella fissazione degli uffici reggiani "Villa di Minozzo" e "Minozzo" dovevano essere la stessa frazione e consideravano Villa di Minozzo come comune, mentre come sede di cantone restava Minozzo.
Quando, nel 1809/1810 il Governo si compiacque di comunicare le definitive sue determinazioni, la confusione aumentò, essendosi deciso di sopprimere un comune: «Comune: “Minozzo” aggregati “Villa con Minozzo”».
Dopo sei mesi comparve un ulteriore rettifica: «Comune dominante Minozzo (con Sonareto, Razzolo, Valbucciana, Motefelecchio, Garfagno), comune aggregato Villa di Minozzo».
Puntualmente, nell'anno successivo seguì un'ulteriore rettifica:
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«Cantone di Minozzo 5 Comuni:
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Nel 1812 ulteriore trasformazione in 4 comuni:
- Minozzo ab. 2074
- Toano ab. 2193
- Asta ? (Gazzano) ab. 2548
- Ligonchio ab. 1458
Con la caduta di Napoleone ritornarono i vecchi governanti e le cose tornarono come prima, con comune a Minozzo nella Rocca del Melocio. Ma la vecchia sede millenaria iniziava a sentire il peso degli anni e a cadere a pezzi, ed il sindaco scrisse a Reggio Emilia che la sede non era più idonea ad ospitare la sede dell'amministrazione.
Il procuratore di Reggio Emila scrisse alla sede del Ducato, a Modena, la seguente lettera:
Risposta con autografa del Duca di Modena del 4 Marzo 1815:
Il 15 marzo 1815 la sede comunale si trasferì da Minozzo a Villa.
Questi fatti hanno innescato un vivace polemica tra i due campanili, di cui rimane eco ancor'oggi, a quasi 200 anni di distanza, nelle vivaci e pacifiche discussioni tra i cittadini del luogo. È diventato quasi un elemento folcloristico locale, dove si sono perse le vere origini dei fatti ma la polemica rimane viva e ognuna delle due fazioni antepone il nome del proprio paese a quello del altro motivandolo con altrettante buone ragioni.
[modifica] Amministrazione comunale
Sindaco: Fiocchi Luigi dal 30/05/2006
Centralino del comune: 0522 801122
Email del comune: urp@comune.villa-minozzo.re.it
[modifica] Frazioni
Asta, Carniana, Carù, Cerrè Sologno, Cervarolo, Civago, Costabona, Febbio, Gazzano, Gova, Minozzo, Morsiano, Novellano, Poiano, Santonio, Secchio, Sologno
[modifica] Evoluzione demografica
Abitanti censiti