Banca Sicula

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La Banca Sicula di Trapani è stata una banca italiana privata di proprietà della potente famiglia D'Alì, con altri soci, fondata negli anni '80 dell'Ottocento e confluita nel 1991 nella Banca Commerciale Italiana (oggi Banca Intesa).

Uno dei punti di riferimento per il credito privato in Sicilia per un lungo periodo, fu più volte travolta da scandali. Il primo quando, nel 1983, l'allora amministratore delegato dell’istituto, Antonio D'Alì, fu costretto a lasciare la carica in quanto il suo nome risultava iscritto nelle liste della loggia P2; allora gli subentrò l'omonimo nipote e futuro Senatore della Repubblica, Antonio jr.

Dopo qualche anno, il Commissario di Polizia Calogero Germanà ipotizzava che l’istituto, al pari della Banca Rasini, fosse uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra: il funzionario faceva rilevare, infatti, come il collegio dei sindaci fosse presieduto dal prof. Giuseppe Provenzano, accusato di essere il commercialista dell’omonima famiglia mafiosa Provenzano e poi divenuto presidente della Regione.

Nel 1991 la banca Sicula viene inglobata dalla Comit, nel cui consiglio di amministrazione va così a sedere Giacomo d’Alì, figlio dello zio di D’Alì e quindi cugino del senatore. Poco prima dell’incorporazione, la Banca aveva aumentato il proprio capitale di 30 miliardi. Niki Vendola, allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, nel 1998, inviò alla Vigilanza della Banca d'Italia un rapporto in cui chiedeva da dove fossero arrivati quei soldi e chi ne avesse finanziato la ricapitalizzazione.