Scuola siciliana
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La scuola siciliana fu una scuola poetica, anche se dai contorni non proprio accademici (si trattava di un gruppo di principi e di notai e alti funzionari della corte sveva che componevano per pura passione) che si sviluppò in Sicilia presso la corte di Federico II di Svevia.
Il Minnesang era una lirica cortese in uso dal XII al XIV secolo prodotta da poeti e musici di area germanica, detti Minnesänger, che trattavano d'amore (Minne = "pensiero d'amore" / singen="cantare"). I Minnesänger appartenevano generalmente all'aristocrazia.
I componimenti dei poeti della scuola siciliana ci sono arrivati prevalentemente attraverso il manoscritto Vaticano Latino 3793, che è stato compilato da un copista toscano. Il copista ha però tradotto dal volgare siciliano al volgare toscano: oggi non abbiamo quindi alcuna testimonianza della vera lingua utilizzata dai poeti della corte di Federico II. Si sono salvate sono due canzoni: una di Stefano Protonotaro (Pir meu cori alligrari) e una di Re Enzo (S'iu truvassi Pietati), in una trascrizione dell'erudito emiliano Giovanni Maria Barbieri, che nel '500 disse di aver trascritto questi versi da un manoscritto di cose siciliane oggi perdute.
Seguendo l'ordine dato dal manoscritto, gli esponenti della scuola siciliana furono: Giacomo da Lentini, considerato anche il caposcuola, Ruggieri d'Amici, Odo delle Colonne, Rinaldo d'Aquino, Arrigo Testa, Guido delle Colonne, Pier della Vigna, Stefano Protonotaro, Mazzeo di Ricco, Jacopo Mostacci, Percivalle Doria, Re Enzo, Federico II e Giacomino Pugliese. A questi vanno aggiunti Cielo d'Alcamo, Tommaso di Sasso, Giovanni di Brienne, Compagnetto da Prato e Paganino da Serzana.
Benché dai tratti linguistici prevalentemente siciliani, costituisce il primo standard italiano anche se conosciuto prevalentememte da un'elite di poeti e dignitari. Fu però ripreso da Dante, il quale ne fece il modello del volgare illustre toscano da lui sviluppato e trattato nel De vulgari eloquentia, pur rielaborandolo e arricchendolo sapientemente di apporti toscani, latini, e francesi. Si ponevano così le basi dell'italiano moderno.
Ma diversi componimenti si distaccano già dalla poesia provenzale, presentando già timidi esiti stilnovistici (Segre: 1999). La terminologia cavalleresca francese è tuttavia rivisitata e non copiata pedissequamente, attraverso il conio di nuovi termini italiani mediante anche nuovi sistemi di suffissazione in -za (<fr.-ce) e -ière (< -iera), novità linguistica notevole per quest'epoca.
La Scuola Siciliana si sviluppò tra il 1230 ed il 1250 presso la corte itinerante di Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero. Egli si stabilì per un lungo periodo in Sicilia, luogo di incontro e fusione di molte culture per la sua centralità nel mediterraneo, dove creò una scuola di poeti ed intellettuali che ruotavano intorno alla sua figura, ed erano parte integrante della sua corte. I poeti Siciliani contribuirono in modo significativo al patrimonio letterario italiano. Federico II, uomo di grande cultura, sapeva parlare il Tedesco, il Francese, il Latino, l'Arabo, ed il volgare Siciliano, intendeva avvalersi di ogni possibile mezzo per stabilire la sua supremazia sull'Italia, e in Europa. A questo fine attuò una politica strumentale, anche nel campo culturale. Con la Scuola Siciliana egli volle creare una nuova poesia che fosse laica, e si potesse così contrapporsi al predominio culturale che la Chiesa aveva nel periodo, non Municipale, da opporsi alla produzione poetica comunale (l'imperatore era in lotta con i comuni), e aristocratica, che ruotasse, cioè, intorno alla sua figura. I Poeti di questa corrente letteraria appartenevano all'alta borghesia, ed erano tutti funzionari di corte, o burocrati, che lavoravano presso la corte di Federico. Essi producevano poesia solo per diletto. Avevano inoltre una cultura universitaria, e si trattava quindi di intellettuali laici. La lingua in cui scrivevano era il Siciliano Illustre, una lingua nobilitata dal continuo raffronto con le lingue auliche del tempo: il latino ed il provenzale. I poeti siciliani erano solo venticinque, ed operarono nel ventennio compreso tra il 1230 ed il 1250, avendo un forte influsso sulla produzione culturale delle città ghibelline dell'Italia centrale (come per esempio Bologna, città dove visse Guido Guinizzelli, padre del Dolce Stil Novo, influenzato dalla scuola Siciliana). Dopo la morte di Federico II la Scuola Siciliana ebbe un rapido tramonto.
[modifica] Importanza linguistica della scuola siciliana
Meno forte dunque nei contenuti, la poesia lirica dei Siciliani (come li chiamava Dante) presenta dunque un linguaggio sovraregionale, qualitativamente e quantitativamente ricco rispetto ai dialetti locali, data anche la sua capacità di coniare parole nuove e assimilare vari apporti dialettali, dai dialetti italiani e francesi (è dimostrata la stretta relazione tra i siciliani e la Marca Trevigiana, con cui Federico aveva stretti contatti) alle lingue d'oltralpe. Tale ricchezza fu dovuta anche alle caratteristiche intrinseche alla "Magna Curia", che spostandosi al seguito dell'irrequieto imperatore nel corso delle sue campagne politico-militare, non poteva per forza di cose prendere a modello della nuova lingua un singolo dialetto locale. Limitandoci solo al discorso sui dialetti, vi sono già differenze notevoli tra la parlata catanese e palermitana, e a queste dobbiamo aggiungere alcune influenze continentali soprattutto, ma non esclusive alla zona della Puglia.
[modifica] La tradizione posteriore
Alla morte di Manfredi nel 1266, la scuola siciliana cessa di esistere. Grazie alla fama che aveva già ricevuto in tutta Italia e all'interesse dei poeti toscani, tale tradizione venne per così dire ripresa, ma con risultati minori, da Guittone d'Arezzo e i suoi discepoli, con cui fondò la cosiddetta scuola neo-siciliana. A quel punto, però, i poeti toscani lavoravano già su manoscritti toscani e non più su quelli siciliani: furono infatti i copisti locali a consegnare alla tradizione il corpus della Scuola Siciliana, ma per rendere i testi più "leggibili" essi apportarono modifiche destinate a pesare sulla tradizione successiva e quindi sul modo in cui venne percepita la tradizione "isolana".
Non solo vennero toscanizzate certe parole più aderenti al latino nel testo originale (cfr. gloria > ghiora in Giacomo da Lentini), ma per esigenze fonetiche il vocalismo siciliano fu adattato a quello del volgare toscano. Mentre il siciliano ha cinque vocali (discendenti dal latino nordafricano: i, e, a, o, u), il toscano ne ha sette (i, é, è, a, ò, ó, u). Il copista trascrisse la u > o e la i > e, quando la corrispondente parola toscana comportava tale variazione. Alla lettura, quindi le rime risultarono imperfette (o chiusa rimava con u, e chiusa con i, mentre anche quando la traduzione permetteva la presenza delle stesse vocali, poteva accadere che una diventava aperta, l'altra chiusa). Mentre questo errore fu considerato una licenza poetica da Guittone e poi dagli Stilnovisti, alla lunga contribuì probabilmente a svalutare i pregi metrico-stilistici della scuola, soprattutto nell'insegnamento scolastico. Pochi, infatti, sono i manoscritti siciliani originali rimastici: quelli di cui disponiamo sono solo copie toscane.
É ormai quasi certa per tutti gli studiosi l'ascrizione della paternità del sonetto vero e proprio a Giacomo da Lentini, nella forma metrica ABAB - ABAB / CDC DCD. Il sonetto avrà nei secoli una fortuna costante e imperitura, mantenendo inalterata la forma classicamente composta da due quartine e due terzine di endecasillabi (variando invece a livello di schema rimico): ancora nel Novecento, infatti, dopo la parentesi negativa di Leopardi che nell'Ottocento aveva rifiutato questa forma, grandi poeti come Giorgio Caproni, Franco Fortini e Andrea Zanzotto hanno scritto sonetti.
[modifica] Voci correlate
Capiscuola: Federico II · Giacomo da Lentini |
Altri autori: Ruggieri d'Amici · Odo delle Colonne · Rinaldo d'Aquino · Arrigo Testa · Guido delle Colonne · Pier della Vigna · Stefano Protonotaro · Mazzeo di Ricco · Jacopo Mostacci · Percivalle Doria · Re Enzo · Giacomino Pugliese · Cielo d'Alcamo · Tommaso di Sasso · Giovanni di Brienne · Compagnetto da Prato · Paganino da Serzana |
Manoscritti: Vaticano Latino 3793 · Laurenziano Rediano 9 |
Progetto:Sicilia · Progetto:Letteratura |
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