Crocifissione
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La crocifissione era, al tempo dei romani, una modalità di esecuzione della pena capitale e una tortura terribile. La pena della crocifissione era tanto atroce e umiliante che non poteva essere comminata a un cittadino romano. Era applicata agli schiavi e agli stranieri.
Normalmente la crocifissione era preceduta dalla flagellazione.
Indice |
[modifica] Descrizione del supplizio
Alcuni dei contenuti di questa pagina potrebbero disturbare la sensibilità di chi legge. - Leggi il disclaimer
La croce consisteva di due pali, uno verticale e l'altro orizzontale, inchiodati insieme. Il condannato veniva inchiodato ad essa: le braccia al palo orizzontale, i piedi al palo verticale. Non sempre si potevano usare i chiodi, per la scarsità del ferro: in tal caso il condannato era legato ai due pali.
Normalmente sul luogo delle crocifissioni c'era già, saldamente piantato per terra, il palo verticale. Il condannato si avviava al luogo dell'esecuzione portando sulle sue spalle il palo orizzontale, detto in latino patibulum (da qui la parola italiana "patibolo"), al quale sarebbe stato confisso.
Per inchiodare gli arti superiori, i romani sapevano bene che conficcando il chiodo nel palmo della mano, il peso del corpo avrebbe immediatamente lacerato la mano stessa. Perciò il chiodo veniva posto in un punto del polso dove la struttura articolare riesce ad esercitare lo sforzo di sostenere il peso del condannato. A questa maniera rompeva il nervo che governa il movimento del dito pollice, con conseguenti fitte dolorosissime ad ogni movimento.
L'agonia del condannato era abbastanza lenta, potendo durare più di dodici ore.
La morte sopravveniva per asfissia o per collasso cardiocircolatorio determinato dallo stress, infatti, per respirare, il condannato doveva fare leva sulle gambe; quando, per la stanchezza, o per il freddo, o per il dissanguamento, il condannato non poteva più reggersi sulle gambe, rimaneva penzoloni sulle braccia, con conseguente difficoltà per respirare oppure tutti questi movimenti dolorosissimi portavano al cedimento del cuore.
I romani lo sapevano, e quando dovevano accelerare la morte rompevano con un bastone le gambe del condannato, in maniera che il soffocamento arrivasse in breve. Altre fonti riferiscono come in realtà la procedura fosse ancora più crudele e dolorosa, in quanto le gambe non venivano "spezzate" nel senso comune, ma, con una procedura simile alla "stappatura" di un tappo a corona per bottiglie, i carnefici facevano "saltare" la rotula del condannato con la punta del gladio. Non avendo più la rotula a trattenerlo, il femore fuoriusciva dalla sede naturale del ginocchio e il condannato non riusciva più a reggersi.
[modifica] La crocifissione nell'Impero romano
Presso le civiltà antiche la crocifissione era molto diffusa. Il primo documento che vi fa riferimento si trova nella letteratura sumerica. A Roma questo supplizio appare attorno al 200 a.C. e si distingue per l’atrocità e il vilipendio che vi è associato; i Romani punivano con quest’esecuzione il brigantaggio e la ribellione degli schiavi.
La crocifissione era relativamente frequente, ma le testimonianze iconografiche e i reperti archeologici sono scarsi. Data l’estensione dell’Impero, le applicazioni potevano variare da zona a zona e in relazione al delitto, al personaggio, all’ammonimento che si voleva dare.
Il giudice, riconosciuta la colpevolezza e pronunciata la condanna “sia messo in croce!”, dettava il titulus, cioè la motivazione della sentenza, e indicava le modalità d’esecuzione, compiuta poi dai carnefici, o, nelle province, dai soldati.
Il condannato, dinanzi al magistrato, veniva prima sottoposto ad una flagellazione affidata ai tortores, che operavano in coppia. Denudato e legato ad un palo o ad una colonna, veniva colpito con strumenti diversi a seconda della condizione sociale. Per gli schiavi e i provinciali c’era il flagrum o flagellum, formato da due o tre strisce di cuoio o corda (lora) intrecciate con schegge di legno oppure ossicini di pecora che provocavano serie lacerazioni ed abbondanti versamenti di sangue.
La flagellazione poteva essere una punizione esemplare fine a sé stessa, seguita dalla liberazione, oppure una condanna mortale: in questo caso produceva lacerazioni così profonde da far uscire i visceri e mettere allo scoperto le ossa. Se veniva inflitta come preambolo alla crocifissione, il numero di colpi doveva essere limitato ad una ventina perché la vittima non doveva morire prima di finire in croce.
Il condannato veniva poi rivestito e condotto al supplizio. Il titulus, appesogli al collo o portato da un banditore, aveva la funzione d’informare i passanti sulle sue generalità, sul delitto e sulla sentenza. I responsabili d’efferati delitti erano caricati del patibulum. Se i malcapitati erano più di uno, venivano legati tra loro con una lunga corda che poteva passare intorno al collo, ai piedi o ad un’estremità del patibulum.
Lungo il cammino essi subivano strattoni e venivano oltraggiati, maltrattati, pungolati e feriti per indebolirne la resistenza. A Gerusalemme alcune persone misericordiose offrivano ai condannati bevande aromatizzate, come il vino mirrato, per stordirli e farli resistere al dolore.
Sul luogo dell’esecuzione, situato sempre fuori dalle mura cittadine, era già piantato il palo verticale, lo stipes, su cui fissare il patibulum. La crux patibulata o crux compacta risultava a forma di T, il tau greco.
Il cruciario veniva spogliato e i suoi vestiti diventavano proprietà dei carnefici, quale prezzo della loro prestazione; solo uno straccio gli cingeva i fianchi, perché i Romani non esponevano la nudità completa. Esiste tuttavia una scuola di pensiero che suggerisce che il panno venisse comunque rimosso e che la nudità completa servisse ad umiliare ulteriormente il/la condannato/a. E' possibile ritenere l'aggiunta dello straccio nelle rappresentazioni dei crocifissi come una consuetudine di origine cristiana per le immagini sacre. Altre fonti riferiscono come le donne, spesso, venissero crocifisse con il viso rivolto verso il legno: in questo modo le parti più "oscene" erano coperte ed inoltre, non potendo piegare le ginocchia, morivano più rapidamente, soffrendo meno.
Veniva poi appeso alla croce per le braccia con chiodi, anelli di ferro o corde, come pure i piedi, che talvolta però venivano lasciati liberi.
Con la crocifissione i Romani volevano provocare una morte lenta, dolorosa e terrificante, esemplare per chi ne era testimone: per stillicidia emittere animam, lasciare la vita goccia a goccia. Origene scrive: “Vivono con sommo spasimo talora l’intera notte e ancora l’intero giorno”. Per questo si adottava una serie d’accorgimenti che ritardavano la morte anche per giorni: per esempio un sedile o un corno, posto nel centro del palo verticale.
Bevande drogate (mirra e vino) e la posca (miscela d’acqua e aceto) servivano a dissetare, tamponare emorragie, far riprendere i sensi, resistere alla sofferenza, mantenere sveglio il crocifisso perché confessasse le sue colpe.
Raramente la morte veniva accelerata; se ciò accadeva era per motivi d’ordine pubblico, per interventi d’amici del condannato, per usanze locali. Si provocava la morte in due modi: col colpo di lancia al cuore o col crurifragium, cioè la rottura delle gambe, che privava il condannato d’ogni punto d’appoggio con conseguente soffocamento per l'iperestensione della cassa toracica (non è possibile espirare completamente e viene meno quindi l'apporto di aria ossigenata all'organismo).
La vigilanza presso la croce era severa per impedire interventi di parenti o amici; l’incarico di sorveglianza era affidato ai soldati e durava sino alla consegna del cadavere o alla sua decomposizione.
Normalmente non esistevano ostacoli alla sepoltura del crocifisso, se non in casi di particolare gravità del delitto, per conferire maggior esemplarità alla pena e sottolineare la severità delle autorità.
In Occidente, all’inizio del IV sec., l’Imperatore Costantino il Grande vietò ai tribunali pubblici di condannare alla crocifissione. Questa pratica durò molto più a lungo in Oriente, sia pure sotto forme diverse.
[modifica] Crocifissi celebri
In ordine cronologico:
- I Vangeli narrano che Gesù Cristo è stato crocifisso dai Romani sotto Ponzio Pilato, su consegna da parte delle autorità giudaiche.