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De Catilinae coniuratione - Wikipedia

De Catilinae coniuratione

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Voce principale: Gaio Sallustio Crispo.

Il De Catilinae coniuratione (La congiura di Catilina) è la prima in ordine cronologico delle due mononografie di argomento storico scritte dallo storiografo e politico latino Gaio Sallustio Crispo (86-34 a.C.). Tratta, secondo una scansione narrativa suddivisa in 61 capitoli, uno degli argomenti più emblematici della decadenza morale e sociale della classe al governo di Roma: la congiura (o meglio il secondo tentativo di congiura) ordita da Catilina nel 63 a.C. nel tentativo, rivelatosi fallimentare, di instaurare a Roma una dittatura.

Cicerone denuncia Catilina in Senato, rivelando la sua congiura - 1880 affresco, C.Maccari
Cicerone denuncia Catilina in Senato, rivelando la sua congiura - 1880 affresco, C.Maccari

Indice

[modifica] Caratteristiche

L'opera compare nei codici medioevali con il titolo di "Bellum Catilinae", "Bellum Catilinarium" o "Liber Catilinarius"; molti tuttavia preferiscono assegnarle il titolo di "De Catilinae coniuratione", traendo l'espressione dal capitolo 4,3 della monografia.

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«\mathfrak{I}gitur de Catilinae coniuratione quam verissume potero
paucis absolvam»
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«\mathfrak{D}unque tratterò in breve la congiura di Catilina con quanta più
obbiettività mi sarà possibile»
(Sallustio, De Catilinae coniuratione- cap. 4, 3)
Gaio Sallustio Crispo, l'autore della monografia
Gaio Sallustio Crispo, l'autore della monografia

La scelta del titolo tuttavia non è un caso: il termine coniuratio[1] infatti è carico di tutti quei connotati e giudizi negativi che Sallustio nutre nei confronti del fenomeno catilinario.
L'argomento della prima monografia sallustiana, composta molto probabilmente tra il 43 ed il 40 a.C., è uno dei più conosciuti della storia antica. Dopo vari tentativi di raggiungere legalmente il consolato, Lucio Sergio Catilina, di nobile famiglia economicamente decaduta, nel 63 ordisce un colpo di stato raccogliendo intorno a sé un gruppo di congiurati provenienti dai ceti più disparati della società romana, anche lontani tra loro, ma accomunati dal disprezzo per la legalità e dall'uso della violenza. Tra essi si annoverano persone provenienti dai ceti più alti della societas romana, come nobili fortemente indebitati, equites (cavalieri), ma anche persone meno altolocate, come plebei, proprietari terrieri falliti, veterani di Silla ormai in rovina nel contado dell' Etruria che rimpiangono le «precedenti vittorie e saccheggi» (cap 16.4) con cui si erano arricchiti a dismisura, persino donne, schiavi e popolazioni straniere scontente del giogo di Roma, eccessivamente sfruttatore e poco leale, come i Galli Allòbrogi: Catilina li unisce tutti intorno ad un programma "democratico", con le sue abili manovre demagogiche, i cui obbiettivi erano il condono dei debiti, la distribuzione di terre ai meno abbienti ed il riscatto dei cittadini più miseri.

L'arco di tempo coperto dalla narrazione va dai primi di giugno del 64 a.C., data di inizio della congiura secondo lo storico, fino al gennaio del 62 a.C., con lo scontro finale nella battaglia di Pistoia e la morte in battaglia di Catilina.

Struttura del De Catilinae coniuratione
capp 1-4 proemio incipit dove spiega la scelta forzata dell' otium
cap 5 ritratto di Catilina la natura malvagia del protagonista
capp. 6-13 1° excursus («archaeologia») cause morali della congiura; quì lega l'evento alla storia generale
capp 14-36,4 avvenimenti sino alla fuga di Catilina fatto storico
capp 36,5-39 2° excursus cause sociali ed economiche della congiura; vengono però trascurate le vere cause, quelle politiche
capp 40-61 avvenimenti fino alla morte di Catilina conclusione

Lo sviluppo del racconto però non è lineare; i 61 capitoli che costituiscono l'opera sono scanditi infatti secondo una perfetta ed accuratissima "regìa", che alterna i fatti con le pause che la storiografia classica rende in un certo qual modo obbligatorie (proemio, ritratto del protagonista, excursus politici e morali, discorsi, documenti), allo scopo di rendere variato il testo e più efficace il giudizio politico. Ne emerge così un'omogenea visione della storia repubblicana dell'ultimo secolo, in cui largo spazio è concesso al contesto sociale e politico, mentre accanto a Catilina altri personaggi, divenuti poi famosissimi, salgono alla ribalta degli eventi e della cronaca antica.

Caricatura ottocentesca della scoperta da parte di Cicerone della congiura di Catilina
Caricatura ottocentesca della scoperta da parte di Cicerone della congiura di Catilina

[modifica] Personaggi

La vicenda narrata nella monografia ruota su tre personaggi principali: Catilina, Cesare e Catone da Utica. Non trova invece un ampio spazio, come ci si aspetterebbe anzi dalla realtà dei fatti, la figura di Cicerone, che nelle sue celebri Orationes in Catilinam, dette anche Catilinarie, aveva tanto esaltato i propri meriti nella scoperta e nella repressione della congiura. Nella monografia sallustiana l'arpinate non ha una propria e ben definita personalità, come gli altri personaggi chiave, né pronuncia discorsi riferiti per intero; il suo è il ruolo di chi ha fatto al meglio il proprio dovere, ma niente di più. Sebbene lo stesso Sallustio non trascuri la sua importanza, definendolo un optimus consul, appare fondata l'ipotesi secondo cui nell'atteggiamento piuttosto freddo dell'autore si specchia una sorta di ritorsione contro il De consiliis suis, opera con cui Cicerone accusava apertamente Cesare di aver retto i ranghi della congiura.

[modifica] Il ruolo di Cesare nel Bellum Catilinae

Busto di Giulio Cesare
Busto di Giulio Cesare

Un ruolo particolare all'interno della vicenda è riservato alla figura di Cesare. In effetti è molto verosimile, sebbene non venga fatto trasparire, che il futuro dictator di Roma avesse riposto più di una speranza nel buon esito della cospirazione catilinaria, come aveva già fatto nella cosiddetta prima congiura (di cui si parla nei capitoli 18 e 19; si tratta di un tentativo di congiura fatto in precedenza dallo stesso Catilina, ma stroncato sul nascere), anche se non viene mai fatto apertamente il suo nome. Tra gli intenti massimi di Sallustio vi è per l'appunto quello di sollevare Cesare da ogni capo d'accusa che intendesse collegare la sua politica con un possibile esito rivoluzionario; la presunta volontà di coprire le responsabilità di Cesare, secondo alcuni critici, avrebbe spinto Sallustio ad individuare per la congiura soltanto cause generali e di natura morale, trascurando i veri motivi del misfatto, ovvero le cause politiche ed economiche. Inoltre lo scrittore non perde occasione di sottolineare la preoccupazione di Cesare per la legalità, nel momento in cui gli fa prendere la parola in Senato con una tonalità solenne, quasi divina, il 15 dicembre del 63 a.C., per opporsi alla condanna a morte dei congiurati: essa sarebbe incostituzionale e quindi contraria, sostiene, ai mores patrum (i costumi dei padri).

Questo Cesare descritto da Sallustio è insomma tutt'altro che un rivoluzionario; la sua opposizione al partito senatorio non ha nulla a che fare col programma eversivo di Catilina.

Statua di Catone Uticense
Statua di Catone Uticense

Anzi: Cesare viene visto infatti come un fedele custode del mos maiorum tradizionale e perciò viene posto sullo stesso piano di Catone Uticense, uomo estremamente conservatore, dello stesso stampo del celeberrimo avo di cui porta il nome (ed il carattere). Egli, partendo da analoghe premesse (la tradizione e la prisca virtus [l'antica virtù]), giunge però a conclusioni diametralmente opposte; chiede infatti la pena capitale per i congiurati.

[modifica] Cesare e Catone Uticense: due "magni viri " a confronto

Uno dei capitoli più importanti dell'opera, il 54, è dedicato proprio al confronto tra Cesare e Catone, tra la generosa clemenza del primo (Sallustio ne sotolinea la misericordia e la munificentia) e la severa fermezza (integritas, constantia) del secondo. L'implicita conclusione di Sallustio è che l'uno e l'altro personaggio, l'uno e l'altro atteggiamento siano essenziali per la sopravvivenza della res publica: se Cesare è colui in grado di dare splendore allo stato, Catone appare il depositario dei valori dell'antica tradizione dei Quirites (i romani), cui Sallustio non intende in nessun modo rinunciare. Il problema più grave però è che queste due immani personalità della Latinitas e di tutto il mondo antico giovano solo imperfettamente al bene della res publica romana, il che tra i vari sintomi di crisi dello stato è forse il più preoccupante.

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«1. \mathfrak{I}gitur eis genus, aetas, eloquentia, prope aequalia fuere; magnitudo animi par, item gloria, sed alia alii. 2. Caesar beneficiis ac munificentia magnus habebatur, integritate vitae Cato. Ille mansuetudine et misericordia clarus factus, huic severitas dignitatem addiderat. 3. Caesar dando, sublevando ignoscendo, Cato nihil largiundo gloriam adeptus est. In altero miseris perfugium erat, in altero malis pernicies. Illius facilitas, huius costantia laudabatur. 4. Postremo Caesar in animum induxerat laborare, vigilare, negotiis amicorum intentus sua neglegere, nihil denegare quod dono dignum esset; sibi magnum imperium, exercitum, bellum novum exoptabat ubi virtus enitescere posset. 5. At Catoni studium modestiae, decoris, sed maxume severitatis erat. 6. Non divitiis cum divite neque factione cum factioso, sed cum strenuo virtute, cum modesto pudore, cum innocente abstinentia certabat. Esse quam videri bonus malebat; ita, quo minus petebat gloriam, eo magis illum assequebatur.»
Collabora a Wikiquote (IT)
«1. \mathfrak{E}ssi ebbero dunque la stessa origine, età, eloquenza quasi uguali; uguale grandezza d'animo, parimenti la gloria, ma diversa nell'uno e nell'altro. 2. Cesare era considerato grande per i favori e per la generosità, Catone per l'integrità della vita. Quello era diventato famoso per la mitezza e per la pietà, a questo l'austerità aveva aggiunto dignità. 3. Cesare conseguì la gloria col dare, con l'aiutare, con il perdonare, Catone con il non concedere niente.In uno c’era rifugio per i miseri, nell'altro rovina per i malvagi. Di quello veniva lodata l'indulgenza, di questo la coerenza. 4. Alla fine Cesare si era deciso a darsi da fare, a vegliare, interessato agli affari degli amici, a trascurare i propri, non negando niente che fosse degno di un dono. Desiderava per sé un grande potere, un esercito, una nuova guerra dove il valore potesse risplendere. 5. Ma Catone aveva la passione della modestia, del decoro, ma soprattutto dell'austerità.
6. Gareggiava non in ricchezza con il ricco, non in faziosità con il fazioso, ma con il valoroso in valore, con il modesto in pudore, con l'onesto in temperanza. Preferiva essere buono piuttosto che apparire; così quanto meno aspirava alla gloria tanto più questa lo inseguiva.»
(Sallustio, De Catilinae coniuratione- cap. 54)

[modifica] Catilina, personificazione della corruzione romana

Tuttavia c'è un altro aspetto che svilisce la tesi che l'opera abbia un fine puramente propagandistico, e cioè il fatto che Sallustio attribuisca una grande importanza agli excursus storici, tesi a collocare nel punto più esatto la crisi in atto, risalendo agli antefatti ed alle cause più vicine e più remote.

In particolare nei primi paragrafi dell'opera, traendo ampiamente ispirazione dall'analoga digressione presente nel Περί τοῦ Πελοποννησίου πόλεμου (pron. Perì tu Peloponnēsìu pòlemu, La guerra del Peloponneso) di Tucidide, Sallustio ripercorre la storia di Roma, della sua ascesa e della sua decadenza, individuando come nodo cruciale una data ben precisa: il 146 a.C., anno della distruzione di Cartagine. Fu questo l'episodio che segnò la fine del metus hostilis e di conseguenza la fine dell'unità delle parti sociali. Il metus hostilis è la paura che i romani nutrivano nei confronti dei loro nemici di sempre, i cartaginesi; dopo la distruzione di Cartagine ad opera di Scipione l' Emiliano, è venuto a mancare questo forte compattante, che aveva tenuto uniti gli strati sociali romani nei secoli precedenti; questa mancanza da una parte ha acutizzato l' ambitio e l' avaritia, dall'altra ha favorito il concentrarsi dell'aggressività nei confronti degli adversarii politici interni.
Nell'«archaeologia» romana va ravvisato il centro ideologico su cui ruota l'intera opera: il Catilina sallustiano, il monstrum, non è né un figlio del caso, né una cancrena da eliminare per preservare la sanità del resto del corpo-stato, né tantomeno, come ce lo dipinge Cicerone, un fanatico estremista contro cui si devono concentrare le forze di tutti i boni, ovvero i membri della classe agiata schierati su posizioni politiche moderate. Questo monstrum ha in realtà origini remote: nasce innanzitutto dal clima di violenze instauratosi, a partire dai tentativi di riforma, nell'età dei Gracchi e duramente represso nel sangue; nasce anche dal contesto di illegalità diffusa, nonché di innumerevoli rancori e vendette personali, relitto della tirannide sillana; ma nasce soprattutto con la cessazione del metus hostilis che causa a Roma un sovvertimento delle pristinae virtutes del mos maiorum che avevano funto da supporto per le vittorie romane in età cartaginese. Tutta questa serie di concause ha fatto si che i civites romani, liberi dala necessità di lottare per la sopravvivenza, hanno dato spazio all'individualismo, all'egoismo e a tutta la serie di vizi aspramente condannati nelle opere sallustiane.

Dunque il Catilina visto da Sallustio è la figura emblematica dei tempi assai corrotti in cui versava l'attuale società romana; è un uomo malvagio ma non privo di un'ambigua grandezza, esattamente come appariva la Roma di allora; su questa grandiosa figura si proietta non casualmente il " fascino dell'eroica fine", da lui stesso ricercata combattendo a viso aperto nella battaglia di Pistoia, dove appare in una posa quasi statuaria, frutto di ragioni profondamente radicate nella mentalità romana.

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«\mathfrak{C}atilina vero longe a suis inter hostium inventus est,
paululum etiam spirans ferociamque animi, quam habuerat
vivos, in voltu retinens»
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«\mathfrak{C}atilina fu ritrovato lontano dai suoi tra i cadaveri dei nemici,
mentre respirava ancora un pochino e portava impressa in viso
la ferocia d'animo che aveva avuto da vivo»
(Sallustio, De Catilinae coniuratione- cap. 61, 4)

In seguito lo storico Publio Annio Floro (I-II secolo d.C) esclamerà in merito a tale fatto:

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«\mathfrak{P}ulcherrima morte, si pro patria sic concidisset!»
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«\mathfrak{U}na morte onorevolissima, se lui fosse morto per la patria! »
(Floro, Epitome- II,12,12)

Dunque Sallustio pare voler ribadire a questo punto a quale esito sarebbe potuta arrivare la virtù di Catilina se non fosse stata corrotta da tali pesanti vizi, che non sono i vizi solo di un uomo, bensì i vizi di tutta l'umanità, i vizi che lacerano gravemente da decenni le basi della società romana.

[modifica] I motivi di una scelta

Marco Tullio Cicerone, autore delle "Orationes in Catilinam"
Marco Tullio Cicerone, autore delle "Orationes in Catilinam"

Le fonti che fanno capo a Cicerone ed alle sue celebri Catilinarie (Orationes in Catilinam) interpretano il tentativo di insurrezione di Catilina come un atto rivoluzionario ai danni del senato e dei cavalieri, accusando esplicitamente Cesare e Crasso di avervi avuto parte in qualche modo, forse come «mandanti occulti». Una parte della critica moderna ha seguito il filone opinionistico di Cicerone, considerando conseguentemente la monografia sallustiana come un'opera di propaganda fortemente di parte ed accusando lo storico di aver distorto la vicenda in vari punti; su tutti l'eccessiva amplificazione della figura demoniaca di Catilina, che si fa strada con prepotenza sin dall'inizio dell'opera, avrebbe l'obbiettivo di fare da copertura per responsabilità politiche ben precise, ovvero quelle di Crasso e Cesare, e più in generale di tutta la factio dei populares. Allo stesso modo un'altro aspetto molto discusso, ovvero l'anticipazione di un anno della data effettiva di inizio della congiura (giugno del 64 anziché luglio 63), avrebbe il fine di isolare Catilina, già autore di un precedente tentativo insurrezionale nel 66 a.C., dal partito popolare e di caricare le responsabilità sulla sua oscura determinazione.

Tuttavia sarebbe estremamente riduttivo ritenere che Sallustio abbia scelto questo episodio per incolpare la nobilitas al solo scopo di esentare da ogni colpa Cesare e difendere la factio popularis; anzi la realtà è ben più complessa. Dal De Catilinae coniuratione emerge un giudizio storico più moderato, proprio in medio, a metà tra l'estremismo eccessivo di populares ed optimates: lo storico si fa portavoce dell'aspirazione alla pace ed alla legalità dei ceti benestanti romani ed italici, atteggiamento che si fa più forte dopo la disfatta dei cesaricidi nella battaglia di Filippi del 42 a.C.. Da questo punto di vista l'ideologia sallustiana pare convergere verso il motto che era stato la parola d'ordine della seconda metà del primo secolo a.C., quel consensus omnium bonorum (il consenso di tutti gli onesti) che era alla base del progetto ciceroniano di allargare le basi del potere coinvolgendo le forze moderate.

[modifica] Il problema dell'attendibilità storica

[modifica] Note

  1. Il termine coniuratio deriva cum + il verbo iurare, che inizialmente aveva il significato di "prestare giuramento insieme"; in seguito ha assunto il connotato negativo di "giurare insieme a fini maligni", quindi "cospirare".

[modifica] Bibliografia

  • Gaio Sallustio Crispo, L. Canali (a cura di). La congiura di Catilina. Testo originale a fronte. 1982. Garzanti Libri. ISBN 881158278-4
  • O. Bianco. La Catilinaria di Sallustio e l'ideologia dell'integrazione. 1976. Milella.
  • D. Mevoli. La vocazione di Sallustio. 1994. Congedo. ISBN 88-8086-032-1
  • R. Syme. Sallustio. 1968. Paideia. ISBN 8839400230
  • (EN) T.F. Scanlon. The influence of Thucydides on Sallust. 1980. Heidleberg.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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