Tucidide
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«Il segreto della felicità è la libertà, e il segreto della libertà è il coraggio»
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(Tucidide)
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«Noi saremo sicuri dei nostri amici non accettando i favori da questi ma facendoli»
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( Tucidide, "La guera del Peloponneso")
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Tucidide (Atene 460 a.C. ca. - 400 a.C.?) è stato uno fra i più acuti e lucidi storici ed un grande esponente della letteratura greca. Il suo racconto della guerra del Peloponneso è considerato - in termini di modernità - uno dei maggiori modelli narrativi dell'antichità, sicuramente uno dei primi esempi di analisi degli eventi storici secondo il metro della natura umana, con l'esclusione quindi dell'intervento di ogni divinità.
Indice |
[modifica] Biografia
Nato ad Atene da nobile famiglia (suo padre era Oloro, imparentato con Cimone, figlio di Milziade) intorno al 460 a.C. e fervente sostenitore nella Grecia antica dello statista Pericle, Tucidide svolse un importante ruolo come stratego della flotta di Atene nella guerra contro Sparta sul mare Egeo settentrionale. Accusato di tradimento per aver fallito la spedizione di soccorso alla battaglia di Anfipoli, gli toccò (o scelse volontariamente) l'esilio in Tracia dove trascorse gran parte della vita. Non è però chiaro se, invece, Tucidide avesse deciso di rimanere in Atene di nascosto.
Nei lunghi anni di esilio (o di permanenza in incognito ad Atene) Tucidide riordinò i suoi scritti raccogliendoli nella sua articolata e sofferta opera: un insieme di otto libri che compongono La guerra del Peloponneso, profondo e analitico resoconto cronologico del conflitto che oppose fra il 431 a.C. e il 404 a.C. Sparta ed Atene, tese entrambe ad un controllo sulla Grecia.
I tomi numerati da uno a otto che compongono il racconto di Tucidide - redatti in maniera non sequenziale - sono giunti ai nostri giorni, come quelli di Erodoto, con il nome, non originario, di "Storie" o, semplicemente, "Guerra del Peloponneso"; comprendono tre fasi precise del conflitto: lo scontro tra i due colossi Atene e Sparta dal 431 a.C. al 421 a.C. (anno della pace stipulata dall'uomo politico e generale ateniese Nicia); la sventurata spedizione ateniese in Sicilia iniziata nel 415 a.C. e conclusa nel 413 a.C. con la distruzione della flotta nel porto di Siracusa da parte delle truppe del comandante spartano Gilippo; ed infine la prosecuzione del conflitto fino al 411 a.C..
Nelle intenzioni di Tucidide la narrazione sarebbe dovuta proseguire fino 404 a.C., cioè fino alla fine della guerra del Peloponneso.
[modifica] La concezione storiografica
Secondo Tucidide lo storico ha il compito di fornire a chi partecipa e guida la vita politica della comunità gli strumenti per interpretare il presente e prevedere gli svilupppi futuri dei rapporti tra le poleis. Tale previsione è resa possibile, egli ritiene, dal fatto che esiste, nella storia umana, una costante fondamentale, che è la natura (φύσις, "physis"): data l'esistenza di questa costante, è possibile delineare l'esistenza di leggi che regolano deterministicamente il comportamento degli uomini aggregati socialmente.
La principale caratteristica della natura umana è il desiderio inesauribile di accrescimento, che non può essere né limitato né contrastato se non da una forza uguale e contraria. L'accrescimento (αὔξησις, "áuxesis"), ossia la tendenza ad aumentare la propria potenza, è il tratto caratteristico e indissolubile della società umana organizzata politicamente: di conseguenza, quando, all'interno di un territorio circoscritto geograficamente, si vengono formando due centri di potere - nel caso greco le due poleis di Sparta e Atene - è certo che queste due entità tenderanno ad accrescere la propria forza, ad espandersi, a sottomettere le poleis più deboli, finché le reciproche sfere di infleunza entreranno inevitabilmente in conflitto. Non sono possibili altri esiti se non la guerra di annientamento: trattati di pace, accordi di convivenza, alleanze potranno avere luogo, ma solo per tempi e modi limitati, perché il desiderio di accrescimento non può che comportare il desiderio di annientare il rivale.
L'analisi di Tucidide fornisce questa spiegazione alla guerra del Peloponneso e questo è lo strumento di indagine che Tucidide fornisce agli storici e ai cittadini della polis: in ogni tempo e in ogni luogo, la politica si esplicherà attraverso rapporti di forza e la guerra sarà il naturale esito del confronto tra due centri di potere collocati all'interno di uno stesso territorio. Riconoscendo la centralità della guerra nella storia umana, Tucidide riconosce anche l'importanza delle basi materiali grazie alle quali gli uomini si fanno la guerra, vale a dire il denaro. Senza denaro non si fa la guerra. Tucidide lo afferma esplicitamente all'inizio della sua opera nei discorsi pronunciati da Archidamo a Sparta e da Pericle ad Atene, i quali considerano le riserve finanziarie l'elemento essenziale per sostenere una guerra di grandi dimensioni. Senza di esse non è possibile armare un esercito, pagare i soldati, costruire una flotta, sostenere un assedio. In Tucidide la storia è diretta dagli uomini e dalle risorse materiali, non dagli dei o da considerazioni di ordine diverso.
[modifica] Opere e discorsi (Ἔργα καὶ λόγοι)
Tucidide indicò con chiarezza i suoi criteri metodologici (Hist. I, 20, 23), in due pricipi generali, fili conduttori di tutta l'opera.
- Una concezione ciclica della storia, dalla quale deriva la necessità di conoscere il passato per poter comprendere il presente e, nei limiti dell'umano, prevedere il futuro; la storia quindi è κτῆμα ἐς αἰεί (Ktêma es aei, possesso perenne), ha cioè dei principi universali che sono validi per ogni epoca.
- L'intento di comporre un'opera storiografica assolutamente libera da esigenze estetiche delle akroaseis, ma basata sul vaglio critico delle fonti, lontana dunque da quella di Erodoto incentrata ancora sul mito e sul trascendente; la storiografia tucididea infatti circoscrive il suo campo d'azione ad eventi recenti, ricorrendo all' αὐτοψία (autopsía "attestazione personale"), processo che implica l'inserimento di eventi vissuti in prima persona dall'autore: caratteristico in questi frangenti è l'uso del verbo greco οἶδα (óida "so per aver visto)".
In piena fedeltà a questi principi, lo storico si propone di indagare in primo luogo i fatti, τὰ πραχθέντα (ta prachthenta), descrivendo con questo termine due categorie:
- Τὰ ἔργα le azioni vere e propie innescanti l'evento.
- οἱ λόγοι i discorsi dei protagonisti che ne costituiscono la premessa o la conseguenza, attraverso cui Tucidide analizza psicologicamente l'autore, cercando di scoprire le cause che lo muovevano.
Le azioni, dunque, sono, all'occhio dello storico, frutto di decisioni umane, preparate, difese o giustificate attraverso λόγoι. Le azioni sono causate da tre motivi della physis umana:
- Tὸ δέος la paura, l'istinto di autoconservazione dell'uomo che lo spinge a compiere azioni terribili pur di salvare la propria vita.
- Ἡ τιμή il desiderio di onore e prestigio.
- Ἡ ὠφελία l'utilità.
In nome del primo l'uomo è portato a difendersi, per i restanti ad attaccare, con un unico risultato; la guerra. Tucidide si distacca così dal resto della logografia greca, gettando le basi per la storiografia moderna.
[modifica] Il pensiero politico di Tucidide
Dato il criterio di imparzialità che lo scrittore si pone, potrebbe risultare difficile ricostruire il suo pensiero politico. Il pensiero politico può, tuttavia, essere compreso da un brano in particolare, le demegorie di Pericle. Tucidide infatti esprime, anche se discretamente, un'apprezzamento dell'opera dello statista ateniese: apprezzava infatti di quest'ultimo le scelte politiche e l'organizzazione dello stato, facendo cosi trasparire il proprio pensiero, moderato e conservatore allo stesso tempo. Una sorta di conciliazione tra democrazia ed autorità dello stato. Tucidide (II 65) elogia Pericle sostenendo che la sua scelta di non cercare lo scontro campale con gli Spartani e limitarsi a saccheggiare le coste nemiche sfruttando la propria superiorità navale costituiva una saggia decisione che alla lunga avrebbe sfiancato il nemico ed assicurato la vittoria finale di Atene. Secondo lo storico, tuttavia, gli Ateniesi non seguirono scrupolosamente le indicazioni di Pericle e dopo la sua morte si lanciarono in imprese troppo ambiziose, prima fra tutte la spedizione in Sicilia, la quale si concluse in un disastro e privò Atene delle sue migliori risorse umane e materiali accelerandone la sconfitta militare. Si tratta di una secca condanna della politica seguita dai democratici radicali dopo la morte di Pericle. Tra i personaggi più invisi a Tucidide vi erano i demagoghi Cleone ed Iperbolo, fortemente stigmatizzati nell'opera dello storico. Tucidide si rivela essere un democratico moderato quando definisce la costituzione dei Cinquemila del 411 a.C. come la migliore forma di governo mai avuta da Atene. Si trattava di una giusta commisurazione di democrazia ed oligarchia (metria xynkrasis), che tuttavia ebbe vita breve, poiché nel 410 a.C. fu restaurata la democrazia radicale inviasa allo storico.
Per Tucidide, inoltre, l'uomo politico deve conoscere le istanze razionali ed emotive che coesistono nell'essere umano, e deve saperle conciliare anche con l'elemento della "casualità".
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