Eugenio Cefis
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Eugenio Cefis (Cividale del Friuli 1921 - Milano, 28 maggio 2004) fu consigliere dell'AGIP, presidente dell'ENI e presidente della Montedison. Nel 1970 venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro.
[modifica] Carriera
Durante la Resistenza fu comandante della Brigata partigiana Valtoce, era soprannominato il “Corazziere” per la sua altezza. In quegli anni conobbe Enrico Mattei, che affiancò nell'attività di ristrutturazione dell'AGIP e, in seguito, nella fondazione dell'ENI. Gli successe alla guida dell'ente petrolifero dopo la sua tragica morte occorsa in un incidente aereo nel 1962.
Pur non avendo grande stima dei politici, godette dell’appoggio di Amintore Fanfani e dei leader DC del Triveneto. In campo finanziario, seppe come ottenere la fiducia di Enrico Cuccia, il banchiere al vertice di Mediobanca. L’istituto di via Filodrammatici vantava dei crediti di difficile riscossione nei confronti della Montedison, il colosso chimico nato nel 1966 dalla fusione della Montecatini con l'ex azienda elettrica Edison.
Cefis trovò il modo di togliere le castagne dal fuoco a Cuccia. Iniziò segretamente a comprare azioni della Montedison con i soldi dell’Eni e i dovuti appoggi politici a Roma. Cominciò così la sua scalata al gigante chimico, che si concluse nel 1971, quando Cefis abbandonò l'Eni e divenne presidente della stessa Montedison. Questa mossa sollevò molte polemiche: egli infatti aveva utilizzato il denaro dell'Eni (cioè denaro pubblico) per diventare presidente di una società privata.
Cefis progettò di fare della chimica un settore competitivo a livello internazionale sulla base di due considerazioni: a) le enormi potenzialità legate alla petrolchimica; b) la precisa convinzione dell’esistenza in Italia dello spazio per un solo grande operatore. Ma si rese ben presto conto che il governo, tramite le Partecipazioni statali, voleva entrare anche nella chimica e non gli avrebbe lasciato le mani libere.
Dopo aver respinto una scalata alla Montedison condotta dalla “sua” Eni e da Nino Rovelli, appoggiati da Giulio Andreotti, decise che era il momento di attuare quella strategia che egli rivelerà alcuni anni più tardi in una delle sua rare interviste: “Non si può fare industria senza l’aiuto della politica e un giornale può servire da moneta di scambio”.
Cefis instaurò così un braccio di ferro con Gianni Agnelli, che non aveva nessun tipo di feeling con Fanfani ed era padrone de La Stampa di Torino, oltre ad essere nella proprietà del Corriere della Sera. Nel 1974 lo scontro ebbe come teatro le presidenza di Confindustria. L’Avvocato fece il nome del repubblicano Bruno Visentini, Cefis replicò con quello di Ernesto Cianci. Dopo un gioco di veti incrociati, alla fine si arrivò a un compromesso: Agnelli presidente e Cefis vicepresidente.
L’intesa riguardò anche i giornali: Cefis ebbe via libera per Il Messaggero (il quotidiano più venduto di Roma), Agnelli ottenne che La Gazzetta del Popolo non desse più fastidio alla Stampa (infatti verrà chiusa nel giro di pochi anni) e in cambio acconsentì che la Rizzoli acquistasse il Corriere.
A metà degli anni settanta il suo potere era enorme, ma nel 1977 Cefis lasciò improvvisamene la scena pubblica per ritirarsi a vita privata in Svizzera e gestire il suo patrimonio, stimato allora in cento miliardi di lire.
[modifica] Dissero di lui
Per Guido Carli fu l'esempio più evidente di quella che il Governatore chiamò la "borghesia di Stato".
[modifica] Bibliografia
- Paul Ginsborg, Storia dell'Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, 1989