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Il Principe - Wikipedia

Il Principe

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Voce principale: Niccolò Machiavelli.

N.Machiavelli
N.Machiavelli

Il Principe è un trattato di dottrina politica composto da Niccolò Machiavelli nel 1513 mentre si trovava a San Casciano confinato in seguito all'accusa di aver complottato contro i Medici. Machiavelli dedicò l'opera a Lorenzo II de' Medici, figlio di Piero II de' Medici, con la speranza di riacquistare l'incarico di Segretario della Repubblica, e fu pubblicata postuma nel 1532. Si tratta senza dubbio della sua opera più rinomata, quella dalle cui massime (spesso superficialmente interpretate) sono nati il sostantivo "machiavellismo" e l'aggettivo "machiavellico".

La prima menzione di questa opera si ha in una lettera datata il 10 dicembre 1513 indirizzata all'amico Francesco Vettori, in risposta ad una lettera di quest'ultima che raccontava la sua vita a Roma e che chiedeva notizie sulla vita che conduceva Machiavelli a San Casciano. Quest'ultimo rispondendo raccontandogli gli aspetti rozzi della vita in campagna e parlando anche dei suoi studi, dichiara di aver composto un "opuscolo" intitolato "De principatibus".

È un'operetta non ascrivibile a un genere particolare in quanto non ha le caratteristiche di un vero e proprio trattato. Se ne è ipotizzata la natura di libriccino a carattere divulgativo. L'intera opera fu composta nella seconda metà del 1513 all'Albergaccio tranne la Dedica a Lorenzo de' Medici e l'ultimo capitolo, composti pochi anni dopo. La prima edizione a stampa fu edita nel 1532. Il Principe si compone di una Dedica e ventisei capitoli di varia lunghezza; l'ultimo capitolo consiste nell'appello ai de' Medici ad accettare le tesi espresse nel testo.

Indice

[modifica] Sommario

Per raggiungere il fine di conservare e potenziare lo Stato Machiavelli giustifica qualsiasi azione del Principe, anche se in contrasto con le leggi della morale ("si habbi nelle cose a vedere il fine e non il mezzo", scrive nei Ghiribizzi scripti in Raugia (Ragusa in Croazia), da cui la forzatura gesuitica sintetizzata nella celebre massima erroneamente attribuita a Machiavelli che "il fine giustifica i mezzi"), ma tale comportamento è valido solo per conseguire la salvezza dello Stato, la quale, se è necessario, deve venire prima anche delle personali convinzioni etiche del principe, poiché esso non è il padrone, bensì il servitore dello Stato.

[modifica] La contraddizione del Principe e del pensiero di Machiavelli

Machiavelli ne Il Principe teorizza quindi come ideale un principato assoluto, nonostante egli si sia formato nella scuola repubblicana e abbia sempre creduto nei valori della repubblica; il suo modello è la Repubblica Romana, che Machiavelli esalta nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, con la partecipazione diretta del popolo. I critici risorgimentali sostennero la tesi che il Principe fosse una specie di manuale delle nefandezze della tirannide, celebre l'immagine del Foscolo dei Sepolcri ("quel grande che temprando lo scettro ai regnatori gli allor ne sfronda ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue"). Il dibattito su questa questione è tuttora aperto, tra le ipotesi c'è anche quella dell'opportunismo: Machiavelli vuole riottenere un posto politico di rilevanza e sarebbe quindi disposto anche ad accettare la dimensione monarchica, oppure il suo principe potrebbe essere un modello universale di capo di stato, di qualunque forma esso sia, monarchia o repubblica. La critica moderna ha però ultimamente ipotizzato che la volontà di scrivere il Principe, e quindi di parlare di monarchia, è stata mossa dall'aggravarsi della situazione in Italia. Difatti alla fine del '400 ed inizio del '500, l'Italia si trovava in un periodo di continue lotte interne. Machiavelli, attraverso il suo trattato, voleva quindi incitare i principati italiani a prendere le redini del paese, ormai sommerso da queste continue guerre, credendo che l'unico modo per riacquistare valore, in quel preciso periodo, fosse proprio un governo di tipo monarchico. È dunque questo il motivo che ha suscitato numerose critiche per lo più fuorvianti.

[modifica] Stile e Lessico

Lo stile è quello tipico di Machiavelli, cioè molto concreto in quanto deve essere in grado di fornire un modello immediatamente applicabile, non sono presenti particolari ornamentazioni retoriche, piuttosto fa massiccio uso di paragoni e similitudini (come la metafora del centauro per evidenziare l'unione tra fisicità, energia e intelligenza che insieme costituiscono la virtà di Machiavelli) e metafore tutte basate sulla concretezza, per esempio le metafore arboree spesso presenti. Numerosissimi sono i riferimenti ad eventi del suo presente, soprattutto riguardanti il regno di Francia, ma anche dell'antichità classica, si riferisce all'Impero Persiano di Ciro, a quello Macedone di Alessandro, alle polis greche e alla storia romana. Machiavelli costruisce quindi il suo modello osservando la realtà, questo è il concetto di realtà effettuale. Il lessico non è aulico ma quasi un sermo cotidianus (Machiavelli nel dibattito sulla lingua sostiene l'utilizzo del fiorentino parlato). Tutto il testo è caratterizzato da un lessico connotativo e una forte espressività esclusi la Dedica e l'ultimo capitolo che hanno un registro diverso dalla parte centrale, infatti in entrambi prevale il carattere enfatico e specialmente la perorazione finale fuoriesce dalla realtà effettuale che caratteristica l'opera. La sintassi è molto articolata con prevalenza della ipotassi; la subordinazione è presente soprattutto nel processo dilemmatico, che è una delle caratteristiche di quest'opera: Machiavelli presenta due situazioni; la prima viene svolta rapidamente per poi discutere ampiamente la seconda, questa tecnica dà un carattere di scientificità all'opera e suggerisce l'ipotesi giusta secondo l'autore (esempio: nel Capitolo I Machiavelli propone la trattazione De' principati ereditarii e De' principati misti: la prima viene sviluppata in poche righe nel Capitolo II mentre la seconda viene ampiamente argomentata nel Capitolo III). I titoli dei capitoli sono tutti in Latino (con corrispondente traduzione in Italiano probabilmente fatta dallo stesso Machiavelli), perché nell'ambiente umanista-rinascimentale si usava scrivere o almeno titolare le opere in Latino in quanto conferiscono dignità e prestigio al testo.

[modifica] Le caratteristiche del principe ideale

Le qualità che, secondo Machiavelli, deve possedere un principe ideale sono tuttora citate nei testi sulla leadership:

  • la disponibilità di imitare il comportamento di grandi uomini, es. quelli dell'Antica Roma
  • la capacità di mostrare la necessità di un governo per il benessere del popolo, es. illustrando le conseguenze di un'oclocrazia
  • il comando sull'arte della guerra - per la sopravvivenza dello stato
  • la capacità di comprendere che il male simulato può essere essenziale per mantenere stabilità e potere
  • la prudenza
  • la saggezza di cercare consigli soltanto quando è necessario
  • la capacità di essere "simulatore e gran dissimulatore"
  • il totale controllo della fortuna attraverso la virtù (met. fiume = fortuna; virtù = argini)

[modifica] La natura umana e la concezione ciclica della storia

Secondo Machiavelli la natura umana è malvagia e immutabile: poiché gli uomini sono malvagi la pace non è efficace in quanto significa assenza di armi, quindi esistono solo due deterrenti alla malvagità: le leggi e più importanti di queste le armi; poiché la natura umana è immutabile essa non cambia nei diversi contesti storici. Questa teoria dà vita ad una concezione della storia di tipo naturalistico, in cui la storia è ciclica e il passato ritorna; è anche questo il motivo dei numerosi riferimenti al passato in cui non solo Machiavelli trova uomini a cui il suo principe potrebbe ispirarsi come modelli, ma anche situazioni che il principe potrebbe dover affrontare, anche se in un altro contesto storico e sociale.

[modifica] Il rapporto tra Virtù e Fortuna e la loro nuova concezione

Il termine virtù in Machiavelli cambia significato; la virtù è l'insieme di competenze che servono al principe per relazionarsi con la fortuna, cioè gli eventi esterni. La virtù è quindi un insieme di energia e intelligenza, il principe deve essere intelligente ma anche efficace ed energico. La virtù del singolo e l'occasione, cioè la fortuna, si implicano a vicenda: le doti del politico restano puramente potenziali se egli non trova l'occasione adatta per affermarle, e viceversa l'occasione resta pura potenzialità se un politico virtuoso non sa approfittarne. L'occasione è spesso rappresentata da una condizione negativa, che serve di stimolo ad una virtù eccezionale. Machiavelli nei capitoli VI e XXVI scrive che occorreva che gli ebrei fossero schiavi in Egitto, gli Ateniesi dispersi nell'Attica, i Persiani sottomessi ai Medi perché potesse rifulgere la "virtù" dei grandi condottieri di popoli come Mosè, Teseo e Ciro. La virtù umana si può poi imporre alla fortuna attraverso la capacità di previsione, il calcolo accorto. Nei momenti di calma l'abile politico deve prevedere i futuri rovesci e predisporre i necessari ripari, come si costruiscono gli argini per contenere i fiumi in piena.

[modifica] Concezione della religione a servizio della politica e rapporto con la Chiesa

Machiavelli concepisce la religione come "instrumentum regni", cioè un mezzo con il quale tenere salda e unita la popolazione nel nome di un unica fede. La religione per Machiavelli è quindi una religione di stato che deve essere sfruttata per fini eminentemente politici e speculativi, uno strumento di cui il principe dispone per ottenere il consenso comune del popolo, quest ultimo ritenuto fondamentale dal segretario fiorentino per l'unità e la lungimiranza del principato stesso. La religione nell'Antica Roma, che riuniva tutte le divinità del Pantheon romano, è stata fonte di saldezza e unità per la Repubblica e più tardi l'Impero e su questo esempio illustre Machiavelli incentra il suo discorso sulla religione, criticando aspramente la religione Cristiana e la Chiesa che, secondo lui, è stata, per secoli, la causa della mancata unità nazionale italiana. Per questo è proprio del Machiavelli l'acceso anticlericarismo e avversione nei confronti della Chiesa che traspare senza mezzi termini in più punti del trattato, come la critica nei confronti di Girolamo Savonarola, "il quale ruinò ne' suoi ordini nuovi, come la moltitudine cominciò a non crederli".

[modifica] Reazioni

Il nome Machiavelli e il termine "machiavellico" sono spesso stati disapprovati, in gran parte a causa della scarsa comprensione del suo metodo. Non vi è però tra i critici alcun dissenso sulla precisione del suo pensiero e la chiarezza del suo stile. Machiavelli è sicuramente rammentato per aver fondato in Europa la moderna idea della politica, conquistandosi la fama che in Asia poteva corrispondere a quella degli antichi Sun Tzu e Confucio.

Il Principe è sempre stato nell'Indice dei libri proibiti dalla Chiesa cattolica, in parte perché smontava le teorie politiche cristiane come quelle - rispettate a lungo tempo - di Sant'Agostino e Tommaso d'Aquino, ma soprattutto perché Machiavelli annulla ogni nesso tra etica e politica: infatti, secondo lui, il Principe deve cercare di sembrare magnanimo, religioso, onesto ed etico. Ma in realtà, i doveri di un principe non gli permettono di possedere alcuna di queste virtù. Il Principe ha sfidato la filosofia scolastica della Chiesa cattolica e la sua lettura ha contribuito alla fondazione del pensiero Illuminista e quindi del mondo moderno, occupando così una posizione unica nell'evoluzione del pensiero in Europa. Le sue massime più conosciute sono ampiamente citate anche oggi, in genere nella critica di leader politici:

  • "è molto più sicuro essere temuti che amati", ma non è meglio essere odiati, e nemmeno di ignorare virtù e giustizia quando questi non minacciano il proprio potere
  • "il fine giustifica i mezzi"

Le idee di Machiavelli circa le virtù di un Principe ideale furono di ispirazione per la moderna filosofia politica e trovarono le più disparate e distorte applicazioni soprattutto nel XX secolo. Come esempio si ricordano, in Italia, le prefazioni al Principe di Benito Mussolini, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi. Persino il concetto di Realpolitik si basa sulle idee di Niccolò Machiavelli. Magari è più ragionevole chiedersi quali teorie del ventesimo secolo non abbiano a che fare con Machiavelli. Anche quelle dell'economia politica sembrano di dovere qualcosa a quest'opera del Rinascimento. La giustifica morale della colonizzazione delle Americhe nel XVI secolo possono trovarsi in parte in quest'opera, anche se molti colonizzatori e attività di costruzione imperiale hanno superato l'obiezione morale.

Il politologo Bernard Crick considera la "prudenza" come una delle virtù politiche. Nella sua analisi sulla "sindrome morale", Jane Jacobs ha evocato l'importanza della ricchezza nella dimostrazione di potere. Nick Humphrey ha adoperato il termine "intelligenza machiavellica" per spiegare la funzione di queste virtù in ambienti meno rilevanti, in una "politica di tutti i giorni", come il lavoro o la famiglia. Rushworth Kidder ha caratterizzato l'etica come un'istanza simile alla politica consistente di numerosi diritti che non possono essere sorretti allo stesso momento.

[modifica] Indice dei contenuti

  • Dedica  : Nicolò Machiavelli al Magnifico Lorenzo de' Medici
  • Capitolo I : Di quante ragioni sieno è principati, e in che modo si acquistino
  • Capitolo II : De' principati ereditarii
  • Capitolo III : De' principati misti
  • Capitolo IV : Per qual cagione il regno di Dario, il quale da Alessandro fu occupato, non si ribellò dà sua successori dopo la morte di Alessandro
  • Capitolo V : In che modo si debbino governare le città o principati li quali, innanzi fussino occupati, si vivevano con le loro legge
  • Capitolo VI : De' Principati nuovi che s'acquistano con l'arme proprie e virtuosamente
  • Capitolo VII : De' principati nuovi che s'acquistano con le armi e fortuna di altri
  • Capitolo VIII : Di quelli che per scelleratezze sono venuti al principato
  • Capitolo IX : Del Principato Civile
  • Capitolo X : In che modo si debbino misurare le forze di tutti i principati
  • Capitolo XI : De' principati ecclesiastici
  • Capitolo XII : Di quante ragioni sia la milizia, e de' soldati mercennarii
  • Capitolo XIII : De' soldati ausiliarii, misti e proprii
  • Capitolo XIV : Quello che s'appartenga a uno principe circa la milizia
  • Capitolo XV : Di quelle cose per le quali li uomini, e specialmente i principi, sono laudati o vituperati
  • Capitolo XVI : Della liberalità e della parsimonia
  • Capitolo XVII : Della crudeltà e pietà e s'elli è meglio esser amato che temuto, o più tosto temuto che amato
  • Capitolo XVIII : In che modo e' principi abbino a mantenere la fede
  • Capitolo XIX : In che modo si abbia a fuggire lo essere sprezzato e odiato
  • Capitolo XX : Se le fortezze e molte altre cose, che ogni giorno si fanno da' principi, sono utili o no
  • Capitolo XXI : Che si conviene a un principe perché sia stimato
  • Capitolo XXII : De' secretarii ch'e' principi hanno appresso di loro
  • Capitolo XXIII : In che modo si abbino a fuggire li adulatori
  • Capitolo XXIV : Per quale cagione li principi di Italia hanno perso li stati loro
  • Capitolo XXV : Quanto possa la Fortuna nelle cose umane, et in che modo se li abbia a resistere
  • Capitolo XXVI : Esortazione a pigliare la Italia e liberarla dalle mani de' barbari

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