Michele Bianchi
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Michele Bianchi (Belmonte Calabro, CS, 22 luglio 1883 - Roma, 3 febbraio 1930) è stato un giornalista ed un uomo politico italiano.
Frequentò il liceo a Cosenza e la facoltà di giurisprudenza a Roma, ma si dedicò al giornalismo prima di concludere gli studi. Assunto come redattore dall' Avanti!, aderì al Partito Socialista Italiano di cui fu dirigente nella Capitale e nel 1904 prese parte al Congresso di Bologna del PSI in cui appoggiò la corrente guidata da Arturo Labriola.
Nel 1905 di dimise dall'Avanti! ed assunse, dall'1 luglio e per qualche mese, la direzione della Gioventù socialista, organo della Federazione dei giovani socialisti. Dalle colonne della sua nuova testata lanciò una campagna antimilitarista che lo costrinse prima al carcere e poi al trasferimento forzato a Genova. Nel capoluogo ligure divenne comunque segretario della locale camera del lavoro rivoluzionaria e direttore di Lotta socialista.
Nel 1906, a seguito di alcune sollevazioni operaie che appoggiò, espresse al PSI la sua linea pacifista che non fu accolta positivamente in maniera unanime. Trasferitosi a Savona, ebbe una parte di rilievo nelle vicende che condussero alla scissione dei sindacalisti dal Partito Socialista, avvenuta prima al congresso giovanile socialista di Bologna nell'aprile del 1907, e poi al primo congresso sindacalista tenuto a Ferrara nel luglio dello stesso anno.
Dopo vari arresti e viaggi in giro per l'Italia, nel maggio del 1910 divenne direttore del giornale La Scintilla in cui lanciò l'idea, poi non accolta, di una lista unica di socialisti e sindacalisti rivoluzionari in vista delle imminenti elezioni amministrative. Messo in minoranza per "aver tradito la spontanea genuinità del sindacato", decise, dato l'aumento dei suoi lettori, di trasformare La Scintilla da settimanale in quotidiano, da cui diresse alcune rivolte proletarie scoppiate nel 1911.
Le difficoltà economiche gli imposero la sopressione del giornale, non prima però di essere nuovamente arrestato a Trieste per un articolo in cui attaccò Giovanni Giolitti e la sua guerra Italo-Turca. Tornato a Ferrara grazie ad un'amnistia, fondò e diresse il giornale La Battaglia, creato appositamente in vista delle elezioni politiche del 1913 in cui si candidò senza successo. Successivamente si spostò a Milano, dove divenne uno dei maggiori esponenti della locale Unione Sindacale.
Esattamente come Benito Mussolini, Bianchi si schierò su posizioni interventiste durante la Prima guerra mondiale cui partecipò da volontario, diventando sottufficiale prima di fanteria e poi di artiglieria. Conclusosi il conflitto bellico, Bianchi partecipò alla fondazione prima dei "Fasci italiani di combattimento" e poi del vero e proprio Partito Nazionale Fascista, di cui nel 1921 venne eletto segretario nazionale. In questa veste egli cercò di stabilire un'allenza tra i fascisti e le altre forze di destra ma autorizzò un gran numero di raid eseguiti dalle camicie nere.
Dopo aver stroncato uno sciopero contro le violenze delle sue squadre mussoliniane, nell'ottobre del 1922 partecipò come quadrumviro alla marcia su Roma, che ebbe la conseguenza della nomina di Mussolini alla carica di presidente del Consiglio dei ministri: il 4 novembre dello stesso anno Bianchi assumeva la carica di segretario generale al Ministero degli Interni nel neonato governo guidato dal duce. In breve tempo, dopo essersi dimesso nel 1923 dalla carica di segretario del PNF, egli divenne membro del Gran Consiglio del Fascismo e nel 1924 fu deputato tra le fila del Listone Mussolini, ma il 14 maggio si dimise dall'incarico di segretario generale agli Interni.
Nel 1925 fu nominato sottosegretario ai Lavori Pubblici, nel 1928 assunse la stessa carica al Ministrero dell'Interno mentre il 12 settembre 1929 venne nominato Ministro dei Lavori Pubblici. Rieletto deputato, le sue condizioni di salute, già da tempo precarie per una grave malattia, peggiorarono irrimediabilmente tanto da portarlo alla morte a soli 47 anni ancora da compiere.