Utente:Salli/Leonzio Pilato
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|Attività2 = traduttore |Attività3 = |AttivitàAltre = grecofono |Nazionalità = italiano |PostNazionalità = della zona di Reggio. Fu insegnante di greco di Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca aiutandoli nelle traduzioni delle opere di Omero |Immagine = |Didascalia = }} -->
Indice |
[modifica] Vita di Leonzio Pilato
Poco si sa della vita di questo monaco calabrese prima dell'incontro con Petrarca e Boccaccio, e comunque la figura di Leonzio Pilato è rimasta abbastanza in ombra per molti secoli a causa del fatto che i suoi manoscritti e le notizie su di lui sono rimaste racchiuse in biblioteche per secoli o andate perdute del tutto.
Sul luogo di nascita di Leonzio la confusione nacque dal fatto che egli amava definirsi "Tessalo come il grande Achille" tanto era l'amore che portava per la sua patria spirituale e letteraria, affermando il suo essere figlio soprattutto di una cultura senza confini come quella greca. Ma che egli fosse un Italo-Greco, e precisamente che era nato a Seminara sulle colline poco sopra Reggio Calabria, lo sapeva benissimo il Petrarca che infatti scrive:
![]() «Leo Greco vere Calaber, sed ut ipsa vult Thesalus, quasi sit grecum esse quam italum»
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![]() «??? TRADUZIONE ???»
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[modifica] Allievo di Barlaam in giro per le corti
Non si sa con esattezza quando nacque ma si sa, per parole dello stesso Leonzio, che Barlaam di Calabria, l'altro grande monaco Calabro-Bizantino nato anch'egli nei pressi di Reggio, lo vuole come discepolo. Nel 1342 Leonzio infatti è a Gerace quando Barlaam diviene Vescovo. Il Maestro, oltre la lingua e la letteratura greca, trasmise l'amore per i viaggi che fece di Leonzio un errabondo.
Lasciata la Calabria insieme al suo maestro Barlaam, Leonzio Pilato fu ospite a volte gradito e a volte no delle corti umanistiche più in vista: nella Napoli di Roberto d'Angiò conobbe per la prima volta Giovanni Boccaccio, definito "il suo discepolo più amato", a Padova conobbe invece Francesco Petrarca e Firenze, Siena e Venezia, gli valsero ognuna la conoscenza, oltre che di uomini nuovi, anche degli antichi, il Digesto di Giustiniano sopra tutte le altre cose. Verso il 1350 Leonzio si reca a Creta forse a perfezionare la sua padronanza della lingua greca.
[modifica] L'incontro di Petrarca e Boccaccio
Nell'inverno del 1358 dunque leonzio si reca a Padova per seguire i corsi di studio, e un giurista lo presenta a Petrarca che è alla ricerca di un traduttore delle opere di Omero. Leonzio comincia a tradurre i primi cinque libri dell'Iliade ma interrompe il lavoro per andare a far visita alla tomba del suo maestro Barlaam morto di peste ad Avignone.
Nel 1359 Pilato si sposta a Venezia e mentre si prepara a passare ad Avignone in cerca di fortuna presso la curia lo raggiunge Giovanni Boccaccio inviato da Petrarca, che cerca di trattenerlo in Italia per continuare le traduzioni dell'Iliade e dell'Odissea. Per convincerlo Boccaccio gli promette la cattedra di greco nello Studio Fiorentino e uno stipendio. Poiché le lezioni nello Studio Fiorentino iniziavano il 18 ottobre di ogni anno, è certo che Pilato continua le traduzioni dall'autunno del 1360 fino al 1362, periodo in cui tiene cattedra traducendo brani di Euripide, forse di Aristotele e soprattutto Omero, con un metodo - versione in prosa e «verbum de verbo» - che lascia perplesso il Petrarca, il quale ne seguiva le vicende.
Nel novembre 1362, terminata l’opera Leonzio riprende la via di Venezia presso il poeta, ma non consegna loro le opere tradotte e commentate che pochi mesi dopo porta con sé nel momento in cui, inveendo contro l’Italia e gli italiani, si imbarca per Costantinopoli, luogo dove decide di continuare i propri studi. Non passò molto tempo, e il Petrarca ricevette una lettera di Leonzio con la supplica di farlo ritornare, sembra però che il poeta non abbia risposto alla missiva.
Sulla via del rotorno da Bisanzio, nel dicembre del 1635, mentre percorre la traversata verso Venezia la nave di Leonzio naufraga ed egli muore insieme ai libri che probabilmente trasporta con sé.
Quanto alla traduzione di Omero, il poeta la ricevette completa solo nel corso del 1368, inviatagli dal Boccaccio. Nel '400, un umanista milanese, Pier Candido Decembrio, scriverà che il poeta era spirato proprio leggendo l’Odissea.
[modifica] Critica
Sin dall’infanzia Leonzio era stato destinato a cercare di perpetuare e difendere la cultura di derivazione greca che ancora impregnava la Calabria dell’epoca.
[modifica] Fonti
Durante la Grande mostra sui "Greci d’Occidente", tenutasi a Venezia tra il 16 ottobre e il 15 novembre 1996, venne mostrato per la prima volta al mondo un manoscritto risalente al XIV xecolo, autografo di Leonzio Pilato detto "l'Attico", conservato nella Biblioteca Marciana della città lagunare; il manoscritto riporta la prima traduzione mai realizzata dal greco al latino "De verbo ad verbum" dell'Iliade omerica.
![]() «non fui forse io per primo tra i Latini, udir privatamente, la traduzione dell’Iliade da Leonzio»
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![]() «io sono stato il primo, tra i latini, che da Leonzio Pilato, ho udito l'Iliade»
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(Giovanni Boccaccio - Geneologie deorum gentilium - Genalogia degli Dei Gentili.)
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Giovanni Boccaccio nella Geneologie deorum gentilium afferma con sua grande meraviglia e con una certa dose di orgoglio una verità che fu poi dimenticata per secoli consegnando Leonzio Pilato all'immortalità; mentre Francesco Petrarca nelle Selines, dopo una descrizione del tutto particolare del monaco Calabro-Bizantino, ne parla da discepolo che ha conosciuto un grande Maestro.
Dopo le descrizioni del Boccaccio e del Petrarca cala il silenzio sulla vita di Leonzio Pilato fino al 1579, anno in cui Mehus trattò di Leonzio nelle pagine introduttive dedicate all'epistolario di Ambrogio Traversari, e più tardi, solo nel 1907, Pierre de Nolhac ne trattò e da studioso profondo qual era non ne poteva fare a meno studiando il Petrarca.
Le menzioni contenute nelle lettere sue e del Boccaccio offrono l’immagine di un personaggio bizzarro e scontroso («barba et crinibus... horridior»; «mestissimus», Senile III, 6), sudicio, ostinato («saxeum illud caput», Senile III, 6), aggressivo («magna bellua», Senile III, 6), vanitoso: «il nostro Leonzio in verità è calabrese, ma lui preferisce essere tessalo, quasi fosse più nobile esser greco che italiano» (Senile III, 6).
Doveva comunque possedere una certa cultura poichè secondo Petrarca si dilettava con Terenzio e amava i poemi omerici.
[modifica] Il rapporto con i poeti
Leonzio Pilato ebbe con Petrarca un rapporto conflittuale "da padrone si atteggiava verso di me, io che non avevo avuto mai padroni e che, anzi, il mio povero e trasandato aspetto fisico voleva essere inno alto e solenne contro ogni forma di condizionamento e sottomissione".
Soprattutto, il soave "cantore di Laura" era insofferente per il modo che aveva Leonzio di accostarsi alla translatio, attraverso il metodo, lento e meditato, del verbum de verbo, una translatio cioè nel rispetto dell’opera, con una riverenza sacra per la parola in se stessa e per il posto che essa occupava nella frase originale, così gli aveva insegnato, sin dalla più tenera infanzia, il suo maestro Barlaam, il piccolo calabrese erudito, a cui fu affidato il compito di riunire, senza riuscirci, le due chiese cattolica e ortodossa.
[modifica] Il traduttore di Omero
Leonzio non tradì mai l’insegnamento del suo maestro soprattutto nelle traduzioni dal greco in latino che egli per primo fece dell’Iliade e dell’Odissea di Omero, che non conobbero però molta gloria e che la storia dimenticò. Giovanni Boccaccio, nella Genealogia deorum gentilium, dice con orgoglio:
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«Non fui forse io per primo tra i Latini, udir privatamente, la traduzione dell’Iliade da Leonzio.»
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In realtà pare che le copie tradotte e commentate dei poemi omerici che lo stesso Leonzio aveva lasciato a Boccaccio quando era partito da Firenze, dopo il 1365 giunsero nelle mani di Petrarca. Le copie che si salvarono invece dal naufragio capitarono nelle mani di un umanista del XIV secolo che vi appose alcune note e le ricopiò.
Solo verso la metà del secolo scorso uno studioso, Agostino Pertusi, individuò, nei fondi manoscritti di due biblioteche italiane, gli autografi di Leonzio e la traduzione verbum de verbo dell'Ecuba di Euripide.
[modifica] Critica e memoria
[modifica] Essere, non apparire
Leonzio può assurgere a simbolo di coloro i quali non si curano delle apparenze e non si fermano alla superficie delle cose ma ne cercano l’essenza: una rarità nel nostro mondo contemporaneo!
Nelle loro epistole, Boccaccio e Petrarca offrono l’immagine di un uomo bizzarro e scontroso, «orrido» nell’aspetto, con barba lunga e incolta, capigliatura corvina e arruffata.
Insomma un aspetto tale da essere scambiato per mendicante o per servo;
[modifica] Damnatio memoriae per Leonzio
Probabilmente molti di noi, né nella quotidianità, com’è ovvio, né nel corso degli studi, si sono mai imbattuti in questo bizzarro erudito calabrese, tutt'altro che secondario nella storia della civiltà occidentale, se si pensa che grazie a lui Omero e i suoi poemi fino ad allora erano rimasti muti, perché parlavano lingua “straniera”. Un’impresa mai tentata prima…
Ancora più importante risulta il suo operato se si pensa che i notai si dilettavano a stupire i giudici, ricorrendo a dotte citazioni di passi dell’Iliade, perché il paragone portava autorità alle loro tesi. Frequentemente Leonzio, quando la complessità del cavillo giuridico lo richiedeva, su richiesta diveniva “districatore di matassa” perché era l’unico a conoscere, interamente, il greco antico e la poesia di Omero.
Eppure, abbastanza celebre nel suo tempo, è stato completamente dimenticato e non è chiaro il meccanismo a cui tutto ciò è dovuto, è possibile che anche per Leonzio sia valso il destino degli uomini di cultura meridionali che, per essere tali, sovente, sono condannati all'anonimato o ad argomenti di studio solo per specialisti, al pari di Barlaam o di Gioacchino da Fiore.
[modifica] Bibliografia
- Santo Gioffrè, Leonzio Pilato, collana Il colibrì, Rubbettino, 2005, ISBN 8849811748
- Agostino Pertusi, Leonzio Pilato tra Petrarca e Boccaccio, Leo S. Olschki, 1964, seconda edizione 1979;
[modifica] Voci correlate
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Certamente Leonzio Pilato segue il destino degli uomini di cultura meridionali che per essere tali, sovente, sono condannati all'anonimato o ad argomenti di studio solo per specialisti, altrimenti non si capisce come mai egli, al pari del Barlaam o di Gioacchino da Fiore, non compaiono mai come argomenti di didattica nei programmi scolastici, ad esempio, nel caso di Leonzio, quando, nelle scuole s'inizia lo studio dell'Iliade e dell'Odissea .