Dinastia Pahlavi
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La dinastia Pahlavi regnò in Iran dal 1925 al 1979, quando la Rivoluzione iraniana mise fine alla millenaria tradizione monarchica del Paese.
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[modifica] Reza Shah Pahlavi
Nel 1921 l'ufficiale dell'esercito Reza Khan attuò un colpo di Stato contro il sovrano Ahmad Shah Qajar, e utilizzò i quattro anni successivi per consolidare il proprio potere personale sopprimendo ogni opposizione. Nel 1925 la Majlis (il Parlamento iraniano) convocata in seduta speciale depose l'ultimo rappresentante della dinastia Qajar e nominò Reza Khan, denominatosi Pahlavi, quale nuovo scià.
Ispirandosi all'azione di Kemal Ataturk in Turchia, Reza Shah intraprese un'ambiziosa opera di modernizzazione dell'Iran. Venne dato impulso allo sviluppo dell'industria pesante e delle infrastrutture, con la costruzione di un sistema ferroviario nazionale; venne potenziato l'apparato burocratico dello Stato e migliorati i sistemi giudiziario e sanitario; vennero promossi i costumi occidentali e la parità sociale per le donne. Contemporaneamente il nuovo scià operò per indebolire il potere del clero: tolse ai religosi il monopolio dell'istruzione con l'istituzione della scuola pubblica statale, e li bandì dai tribunali istituendo un sistema giudiziario laico.
La modernizzazione, anche se favorì il rapido sviluppo di una classe media di professionisti e di un proletariato industriale, non diede tutti i frutti sperati. Questo perché nell'attuarla lo scià cercò di reprimere ogni forma di opposizione (soprattutto tra il clero) mediante detenzioni senza processo, esili forzati, condanne a morte, che crearono malcontento e disaffezione tra la popolazione.
Nel 1935 la Persia adottò ufficialmente il nome di Iran, "Paese degli ariani", accentuando il carattere nazionalista della politica pahlavide. Seguendo tale politica, che mirava a fare dell'Iran una potenza regionale svincolata dalle potenze straniere, Reza Shah evitò di coinvolgere troppo la Gran Bretagna e l'URSS (erede della Russia imperiale) nelle vicende del regno, preferendo rivolgersi a esperti francesi, italiani e tedeschi per lo sviluppo delle tecnologie, mentre la Germania diventava il principale partner commerciale.
[modifica] L'Iran durante la II guerra mondiale
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Per approfondire, vedi la voce Corridoio persiano. |
Dopo l'invasione tedesca dell'URSS, britannici e sovietici divennero alleati e l'Iran acquistò un valore strategico fondamentale. Le ferrovie iraniane erano infatti indispensabili per inviare armi e rifornimenti anglo-americani dal Golfo Persico all'Unione Sovietica impegnata a respingere l'assalto nazista. Lo scià dichiarò la neutralità dell'Iran nel conflitto, ma i britannici accusarono i tecnici tedeschi residenti nel Paese di essere spie inviate a sabotare i pozzi della Anglo-Iranian Oil Company e ne chiesero l'espulsione. Lo scià rifiutò e ciò, unito ai buoni rapporti commerciali con la Germania, gli valse l'accusa di filo-nazismo. Nell'agosto del 1941, URSS e Gran Bretagna invasero l'Iran, arrestarono il sovrano e lo deportarono in Sudafrica. Sul trono salì il figlio Mohammad Reza Pahlavi, che dichiarò guerra alla Germania nel settembre 1943.
Con l'occupazione anglo-sovietica le mire delle potenze straniere sui giacimenti di petrolio iraniani si fecero sempre più manifeste. L'URSS favorì la nascita di repubbliche autonome azere e curde tra il 1945 e il 1946, e permise all'Iran di riprenderne il controllo solo dopo aver ottenuto alcune concessioni petrolifere. Il governo britannico, proprietario della Anglo-Iranian Oil Company (AIOC), continuava a controllare quasi tutta la produzione di petrolio del Paese. Nonostante gli accordi, le truppe occupanti rimasero fino a metà del 1946, mentre cresceva il movimento popolare, nato negli anni 1930, che sosteneva la nazionalizzazione dell'industria petrolifera.
Il sistema politico iraniano si fece più aperto; nacquero diversi partiti in occasione delle elezioni per la Majlis del 1944, le prime con una vera competizione elettorale dopo più di venti anni.
[modifica] L'Iran durante la Guerra Fredda
Mohammad Reza Pahlavi prese il posto del padre sul trono il 16 settembre 1941 desideroso di continuarne la politica, ma trovò la forte opposizione di Mohammad Mossadeq, leader dei nazionalisti.
A dispetto del suo ruolo di monarca costituzionale che lo obbligava ad attenersi alle decisioni del governo parlamentare, Mohammad Reza Pahlavi si intromise frequentemente negli affari del potere esecutivo. Ricostruì l'esercito e si assicurò che rimanesse sotto il controllo della corona quale fondamento del suo potere. Nel 1949, dopo un fallito attentato, il partito comunista (Tudeh) ritenuto responsabile fu messo al bando e i poteri dello scià vennero ampliati.
Nel 1951, la Majlis nominò Mohammad Mossadeq nuovo primo ministro, che subito dopo decise la nazionalizzazione dell'industria petrolifera, nonostante l'opposizione dello scià che temeva l'embargo occidentale.
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Per approfondire, vedi la voce Crisi di Abadan. |
Dei proventi del petrolio lo Stato iraniano non otteneva che briciole: per esempio, dei 112 milioni di dollari incassati dalla AIOC nel 1947, all'Iran andarono circa 7 milioni. Questo, unito alla diffusa povertà tra la popolazione, rafforzò le posizioni dei nazionalisti, che di fronte al rifiuto del colosso britannico di ridefinire le royalties, decisero per la nazionalizzazione.
La Gran Bretagna impose l'embargo sull'Iran e ricorse alla corte dell'Aja, che però si pronunciò a favore di Tehran, quindi ruppe le relazioni diplomatiche nel 1952. Gli USA, temendo che l'embargo portasse l'Iran (e il suo prezioso petrolio) nell'orbita sovietica, decisero di intervenire. La CIA, in collaborazione con i servizi segreti britannici, organizzò un colpo di Stato, e il 13 agosto 1953 lo scià nominò il generale Zahedi primo ministro. I nazionalisti reagirono e costrinsero lo scià a fuggire a Roma, ma in pochi giorni i lealisti ebbero il sopravvento e i dirigenti del movimento nazionalista (tra i quali quelli del Tudeh) vennero arrestati e messi a morte. La condanna di Mohammad Mossadeq venne tramutata in confino perpetuo.
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Per approfondire, vedi la voce Operazione Ajax. |
Mohammed Reza riprese quindi la politica del padre che intendeva fare dell'Iran una potenza regionale. Riallacciate le relazioni diplomatiche con i britannici, che rimossero l'embargo, a Tehran affluirono ingenti prestiti statunitensi che volevano garantirsi la fedeltà dello scià. La competenza sul petrolio passò ad un consorzio di cui le compagnie straniere detenevano il controllo, e le industrie statali vennero privatizzate. Migliorarono anche le relazioni con l'URSS, con la quale l'Iran firmò accordi commerciali e militari. Lo scià intraprese anche diverse riforme, come quella terriera, dell'estensione del diritto di voto alle donne e della lotta all'analfebetismo.
Se da un lato queste misure portarono alla formazione di una ricca classe media, dall'altro le condizioni di povertà tra la popolazione non migliorarono affatto. I metodi di governo del sovrano, inoltre, erano quelli tipici dei dittatori: messa al bando dell'opposizione, elezioni controllate, limitatissima libertà di stampa, azioni frequenti della polizia segreta (SAVAK). Il malcontento venne cavalcato dalle gerarchie religiose: nel 1963, dopo un discorso di Ruhollah Khomeini, scoppiarono disordini che la SAVAK represse sanguinosamente. Khomeini venne arrestato e poi condannato all'esilio.
[modifica] La fine della dinastia
Lo scià, sordo alle richieste dell'opinione pubblica, continuò a rifutare la concessione delle libertà democratiche. Nel 1971 celebrò i 2.500 anni della monarchia persiana, della cui eredità si considerava depositario, e nel 1976 sostituì il calendario islamico con un "calendario imperiale", per cui si passò dall'anno islamico 1355 all'anno imperiale 2535.
Queste azioni, recepite come anti-islamiche, non fecero che esasperare la rabbia dei religiosi. Negli anni 1970, i leader islamici, in particolare l'ayatollah Khomeini dal suo esilio, furono capaci di catalizzare il malcontento popolare legandolo a un'ideologia fondata su principi religiosi, e guidarono la rivoluzione che rovesciò il trono e instaurò una Repubblica islamica nel 1979.
Mohammad Reza Pahlavi e la sua famiglia fuggirono in Egitto, dove lo scià morì poco tempo dopo. Con lui finì la tradizione monarchica dell'Iran.