Benelli Sei
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La Benelli Sei è una gamma di motocicli italiani, comprendente la Benelli 750 Sei e la Benelli 900 Sei, dotati di propulsore ciclo Otto, esacilindrico frontemarcia, prodotta dalla Benelli dal 1974 al 1986.
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[modifica] Il contesto
È l'inizio degli anni settanta quando l'industriale argentino Alejandro De Tomaso acquisisce la Moto Guzzi e la Benelli, due marchi che possono vantare grande tradizione e prestigio, ma la cui produzione è messa in ginocchio dal successo della concorrenza giapponese.
Il mercato italiano delle maxi-moto, un tempo dominato dalle "mezzolitro" monocilindriche di Mandello del Lario, di Arcore e di Pesaro, spadroneggiano ora le super tecnologiche nipponiche.
Il piano di De Tomaso per uscire dalla situazione di stallo produttivo è molto semplice: copiare i modelli giapponesi meglio riusciti e migliorarli.
La stessa filosofia che i nipponici avevano applicato, nell'immediato dopoguerra, replicando la tecnologia "duetempistica" cecoslovacca delle Jawa e CZ, le soluzioni telaistiche inglesi delle Norton e Triumph ed i motori plurifrazionati italiani della Gilera e MV Agusta, nobili discendenti dalla Rondine.
Vale ricordare che, nella seconda metà degli anni ‘60, la medesima operazione era stata messa in atto dalla Laverda che aveva ottenuto un buon successo commerciale con i modelli bicilindrici da 650 e 750 cc, "ispirati" alla Honda CB 450.
[modifica] Il progetto
De Tomaso pensa in grande e decide di attaccare frontalmente le case giapponesi: la gamma Guzzi-Benelli verrà completamente rivoluzionata con l'inserimento di una decina di nuovi modelli, partendo dai ciclomotori e fino ad arrivare alla punta di diamante della produzione: una ‘’750’’ che rappresenti il massimo della tecnologia mondiale.
Il programma è particolarmente ambizioso e servirebbero almeno 5 anni di incessante lavoro, solo per progettare i motori ed approntare dei prototipi funzionanti. Fare tutto in un solo anno, come si pretendeva, era pura follia.
Per ovviare al problema, De Tomaso escogita una soluzione molto semplice. Per quanto riguarda i motori a 2T, verranno utilizzati progetti esistenti che giacciono nel reparto esperienze Benelli da alcuni anni. Per quanto attiene i motori 4T plurifrazionati, ci si dovrà “ispirare” ai propulsori della gamma “Honda Four” che con la sua "750 CB K1" e sorelle minori di “500” e “350” cc, è l’indiscussa regina del mercato.
La parola d’ordine è copiare la Honda senza farlo capire e superarla sul fronte dell’immagine tecnologica, se non della sostanza.
Ben conscio circa l'importanza, per un prodotto “ludico”, dell'aspetto estetico e della componentistica di livello, De Tomaso affida il design alla Vignale ed alla Ghia e coinvolge Pirelli, Brembo e Marzocchi per la realizzazione di appositi pneumatici, freni a disco e forcella.
È con questa commessa che la “Brembo” realizza i primi freni a disco per motociclo, per la cui produzione diverrà leader mondiale.
La parte telaistica non rappresentava certo un problema per le maestranze della Guzzi - Benelli, ma si incontrarono seri problemi per la realizzazione dei propulsori, in quanto i motori plurifrazionati non erano mai stati prodotti in serie dalle due case italiane.
Per la progettazione dei motori viene incaricato Piero Prampolini che, a tempo di record, realizza un propulsore di 750 cc, equamente distribuiti nei sei cilindri frontemarcia. Tenuto conto che la componentistica italiana di quell'epoca era assolutamente inadeguata ad affrontare un simile impegno, la creatura di Prampolini è da considerarsi un autentico capolavoro.
Sul finire del 1972, viene presentata la Benelli 750 Sei, suscitando un enorme scalpore ed una grande attesa nel popolo motociclista europeo. In realtà, si tratta solamente di un'operazione d'immagine poiché la moto non è ancora pronta per essere prodotta e venduta. Nel frattempo, però, alla Benelli le prenotazioni fioccano, tutti i modelli in produzione hanno un'impennata di vendite e le marche giapponesi, battute sul loro stesso terreno, masticano amaro.
[modifica] La realizzazione
Le intenzioni e l'entusiasmo sembravano preludere ad ottimi risultati, tuttavia De Tomaso dovrà fare i conti con la realtà industriale italiana. Inoltre, alcuni problemi deriveranno anche dalla decisione di utilizzare i reparti Moto Guzzi per la produzione dei motori.
Quelli non erano i tempi delle macchine utensili computerizzate, del "Just in time" e della globalizzazione. Le parti meccaniche venivano costruite al tornio da maestranze specializzatissime e fortemente fedeli alla marca; silenziose artefici delle vittoriose galoppate dei vari Ubbiali, Lomas, Anderson e Lorenzetti.
Convincere gli operai della Moto Guzzi a far girare i loro torni per costruire un motore Benelli non sembrava un'operazione semplice e, forse causato anche dal troppo marcato campanilismo, ne soffrì l'affidabilità del motore che lamentava numerosi problemi alla distribuzione ed al cambio; problemi dovuti anche alla scarsa attenzione nella costruzione delle parti fondamentali, in particolare gli alberi a camme ed i bilanceri: proprio quei pezzi in cui, solitamente, la Moto Guzzi non aveva rivali nel mondo.
[modifica] La Produzione
Protraendosi per oltre due anni, l'attesa di coloro che l'avevano prenotata diventò estenuante e quando finalmente venne loro consegnata si accorsero che, a dispetto dell'interminabile gestazione, la moto presentava una miriade di "difetti di gioventù". Ciò nonostante, il prezzo concorrenziale (L. 2.550.000 su strada) e il prestigio derivante dal possedere l'unica sei cilindri in commercio, contribuirono ad una discreta diffusione.
Negativa per il successo commerciale (non certo all'altezza dell'enorme scalpore suscitato con la presentazione) fu, invece, la mancata tempestività produttiva che pose in vendita il veicolo quando l'interesse per le maxi-moto andava scemando. La Benelli 750 Sei restò l'unica moto a sei cilindri in produzione fino all'uscita della Honda CBX 1000, nel 1978.
Negli anni di produzione, a molti dei difetti iniziali che affliggevano la "Sei" venne posto rimedio, ma l'ingresso sul mercato della concorrenza nipponica, impose alla Benelli un aggiornamento radicale del modello.
Nel 1979 venne proposta la "900 Sei" che, oltre alla maggiore cilindrata, offriva una rivisitazione della ciclistica ed un profondo cambiamento dei canoni estetici che, però, non entusiasmò il pubblico.
Fu probabilmente questa la principale causa, oltre all'innegabile gap tecnologico, che determinò l'insuccesso commerciale della "900 Sei", la cui produzione, tuttavia, si trascinò stancamente fino al 1986.
Lunghezza | 2.170 mm |
Larghezza | 740 mm |
Altezza della sella | 820 mm |
Interasse | 1.460 mm |
Peso a vuoto | a vuoto 232 kg |
Capacità serbatoio | 23 litri |
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Tipo motore | Esacilindrico verticale frontemacia ciclo Otto |
Cilindrata | 747,77 cc |
Alesaggio | 56 mm |
Corsa | 50,6 mm |
Raffreddamento | ad aria |
Distribuzione | Monoalbero a camme in testa mosso da catena centrale, 2 valvole per cilindro |
Potenza | 75 CV SAE a 9.000 giri |
Frizione | Dischi multipli in bagno d'olio |
Cambio | a 5 marce, leva a sx |
Trasmissione | a catena |
Avviamento | elettrico |
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Telaio | Tubolare in acciaio a doppia culla chiusa |
Sospensioni anteriori | Forcella teleidraulica Marzocchi da 38 mm |
Sospensioni posteriori | Forcellone oscillante con ammortizzatori Sebac regolabili su 5 posizioni |
Freno anteriore | a doppio disco Brembo da 280 mm |
Freno posteriore | a tamburo centrale da 200 mm |
Pneumatici | anteriore 3,50-18; posteriore 120/90-18 su cerchi a raggi Borrani |
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Velocità massima | 200 km/h |
Accelerazione | 13,01 sec sui 400 mt da fermo sec |
Consumo | medio 16 km/litro |
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