Castello della Cuba
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Il Castello della Cuba, o più semplicemente Cuba, è una costruzione palermitana di età normanna il cui progetto e il cui decoro sono però fortemente intrisi di elementi artistici e culturali arabo-musulmani.
La dinastia degli Altavilla, impadronitasi della Sicilia fino ad allora dominata dall'elemento arabo-berbero, non si rifiutò di adottare i costumi dei loro nuovi sudditi musulmani ed avviò una serie di edificazioni che, per molti versi, risentirono del gusto e del pensiero stesso islamico, pur accordati con quanto di tipicamente cristiano e di normanno i nuovi dominatori dell'isola intendevano trasmettere ai sudditi, ai visitatori e ai semplici osservatori.
Di questo connubio artistico e culturale (di sincretismo religioso non si potrà comunque mai parlare) sono fulgidi esempi numerosi palazzi che i re normanni si vollero fare costruire, al fine di esaltare l'universale dominio di Dio e di Cristo in tutto il creato e del loro ruolo di reggitori e amministratori di uomini in terra che il casato d'Altavilla pensava fosse suo propria prerogativa.
Nacquero così a Palermo i palazzi, o castelli, della Zisa e della Cuba e il parco reale della Favara (dall'arabo Fawwāra, "sorgente") e del suo palazzo ormai scomparso di Maredolce.
La Cuba (dall'arabo Qubba, "cupola") fu costruita come suo casino di caccia nel 1180 dal re Guglielmo II, al centro di un ampio parco e di un vasto bacino lacustre artificiale che si chiamava Jannat al-ard ("il Giardino - o Paradiso - della terra"), il Genoardo. Dell'impianto complessivo originario sopravvive, a Villa Napoli, un ulteriore casino di dimensioni asssai più contenute: la Cubula. La costruzione - ricordata già dal Boccaccio nella sesta novella della quinta giornata del Decamerone - fu eretta nei pressi del castello di Maredolce o della Favara, che Ruggero II aveva fatto riedificare sulle rovine del Palazzo di Ja'far ( Qasr Ja'far ), un emiro kalbita che aveva governato Palermo fra il 998 e il 1019.
Oggi rimane la pura costruzione e il suo aspetto cubico, con la sua minuscola cupola sovrastante (oggi colorata di rosso, quasi certamente non il colore originario), ha fatto inizialmente ritenere che il nome dell'edificio fosse derivato proprio dal caratteristico impianto della costruzione. Nella sala che s'affaccia a settentrione è però leggibile una bella epigrafe araba tradotta da Michele Amari, il massimo studioso della storia islamica della Sicilia, che dice: "[Nel] nome di Dio clemente e misericordioso. Bada qui, fermati e mira! Vedrai l'egregia stanza dell'egregio tra i re di tutta la terra Guglielmo II. Non v'ha castello che sia degno di lui. ... Sia lode perenne a Dio. Lo mantenga ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita".
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[modifica] Bibliografia
- Michele Amari, Storia dei musulmani di Sicilia, Catania, R. Prampolini,. 1933-9, 3 voll in 5 tomi.
- A. Aziz, A History of Islamic Sicily, Edinburgh, 1975.
- F. Gabrieli - U. Scerrato, Gli Arabi in Italia, Milano, Scheiwiller, 1979.
- A. De Simone, "Palermo nei geografi e viaggiatori arabi del Medioevo", in: Studi Magrebini, II (1968), pp. 129-189.
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