Giacomo Mancini
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Giacomo Mancini (Cosenza, 21 aprile 1916 - 8 aprile 2002) uomo politico italiano, esponente di primo piano del Partito Socialista Italiano e Ministro della Repubblica.
Avvocato, antifascista, figlio di Pietro Mancini, uno dei fondatori del PSI, nel 1944 entrò a far parte dell'organizzazione militare clandestina a Roma. Dopo la liberazione, rientrato a Cosenza, diventò segretario, fino al 1947, della locale federazione socialista e membro della direzione nazionale del partito fino al 1948.
Consigliere comunale di Cosenza dal 1946 al 1952, alla Camera entrò nel '48, con 26 mila voti di preferenza tra la sua gente, eletto nelle liste del Fronte Democratico Popolare: ci restò per nove legislature.
Nel gennaio del 1953 venne eletto segretario regionale del PSI. Nel 1956, all'indomani della feroce repressione sovietica della rivoluzione ungherese, le strade dei socialisti e dei comunisti si separarono e Mancini fu chiamato da Pietro Nenni a occuparsi dell'organizzazione del PSI.
Autonomista, nenniano, uomo di governo nel centrosinistra, fu Ministro della Sanità nel primo governo Moro e Ministro ai Lavori Pubblici nel secondo e terzo governo Moro e nel primo e secondo governo Rumor, diventando ministro del Mezzogiorno nel quinto governo Rumor.
Da ministro della Sanità impose tra l'altro l’introduzione del vaccino antipolio Sabin. Da ministro dei Lavori pubblici realizzò l'autostrada Salerno-Reggio Calabria e fu durissimo verso gli speculatori dopo la frana di Agrigento del 1966. Consapevole di non disporre di tempi tecnici per poter varare una riforma organica della legge urbanistica del 1942, portò in Parlamento un disegno di legge che, facendo da "ponte" all'auspicata riforma urbanistica, introduceva nella normativa in vigore una serie di disposizioni all'avanguardia (repressione dell'abusivismo, standards urbanistici, obbligatorietà dei piani urbanistici, eccetera). Fu così che nacque la legge 6 agosto 1967 n. 765, detta "legge-ponte". Essa fu il risultato della tenacia di Giacomo Mancini contro le resistenze di numerosi settori della Democrazia Cristiana, coadiuvato dall'allora direttore generale per l'urbanistica Michele Martuscelli, principale ispiratore della nuova normativa. La legge è tutt'ora in vigore.
Diventò vicesegretario nazionale del PSI il 9 giugno del 1969. Si batté per l'unificazione tra PSI e PSDI, ma quando questa rapidamente fallì non arrestò la sua corsa e, il 23 aprile del 1970, divenne segretario del partito. Ha scritto Paolo Franchi sul Corriere:
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«Durò solo un paio di anni, ma furono anni importanti. Qualcuno, più tardi, vi scorse anche una premessa, un’anticipazione della stagione di Craxi, una sorta di variante meridionale di quella politica di collaborazione sì, ma anche di competizione a muso duro con la DC che Bettino avrebbe condotto in stile milanese. Di certo Mancini non apprezzò affatto la linea del suo successore, Francesco De Martino, di cui pure era personalmente amico: né la teoria degli «equilibri più avanzati» né, tanto meno, l’idea che il compito dei socialisti fosse essenzialmente quello di favorire l’imminente compimento dell’evoluzione del PCI.»
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Si batté sempre in primissima linea per i diritti civili: a cominciare dalla battaglia per il divorzio. Negli anni di piombo non si associò al fronte della fermezza contro il terrorismo, e gli furono rimproverate, in specie dai comunisti, debolezze e simpatie personali verso esponenti di primo piano dell’Autonomia. La sinistra extraparlamentare gli era lontana mille miglia: ma per libertarismo e anche per calcolo politico non le sbatté mai la porta in faccia.
Fu lui, nel luglio del '76, a pilotare il Comitato centrale del Midas, che dopo la sconfitta elettorale aveva defenestrato De Martino, verso l’elezione di Craxi: un po’ perché quel suo vicesegretario che conosceva così poco non gli dispiaceva, molto perché pensava che, debole come all’epoca Craxi era, sarebbe stato facile guidarlo da padre nobile. Un altro errore, in tutta evidenza. Scontato con una rapida emarginazione nel partito.
Non lasciò l’attività politica legata alla terra d’origine: nel 1993 venne eletto sindaco di Cosenza, alla testa di alcune liste civiche non collegate ai partiti tradizionali. Fu proprio in quell'anno, però, che prese l'avvio la sua vicenda giudiziaria, quando alcuni pentiti lo accusavano di presunti rapporti con cosche mafiose del reggino e di Cosenza. Mancini respinse sdegnosamente le accuse che gli venivano rivolte, ma il Tribunale di Palmi, il 25 marzo 1996, lo condannò per concorso esterno in associazione mafiosa. Un anno dopo, la Corte d'Appello di Reggio Calabria, il 24 giugno 1997, annullò la sentenza per incompetenza territoriale, rimandando tutti gli atti a Catanzaro. Una prima conclusione della vicenda giudiziaria arrivò il 19 novembre 1999, con l'assoluzione da parte del giudice per l'udienza preliminare, Vincenzo Calderazzo, che dichiarò estinto per prescrizione il reato di associazione per delinquere, mentre per quello di concorso esterno in associazione mafiosa, Mancini venne assolto perché il fatto non sussiste. Il processo d'appello, fissato a fine giugno del 2000, venne rinviato a nuovo ruolo e non ha mai avuto inizio.
Dopo le vicende giudiziarie, Mancini riprese l’attività politica ed amministrativa, dopo un periodo di sospensione dalla carica di sindaco. Ritornò a guidare l'amministrazione comunale cosentina e venne rieletto sindaco al primo turno nel 1997, sostenuto anche dalla coalizione dell'Ulivo. Dopo la dissoluzione del PSI fonda il PSE-Lista Mancini, che si propone di portare nella poltica italiana i valori del socialismo europeo.
È morto l'8 aprile del 2002, all'età di 86 anni.
Ha un nipote, omonimo, Giacomo Mancini Jr, che si occupa di politica, erede della Lista Mancini, deputato nazionale, stringendo collaborazioni dapprima con i Democratici di Sinistra, poi con lo SDI e dunque la Rosa nel Pugno.
Predecessore: | Ministro della Sanità della Repubblica Italiana | Successore: | ![]() |
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Angelo Raffaele Jervolino | 4 dicembre 1963 - 22 luglio 1964 | Luigi Mariotti | I |