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Martiri di Belfiore - Wikipedia

Martiri di Belfiore

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L’episodio risorgimentale noto come Martiri di Belfiore (dalla valletta di Belfiore situata all'ingresso sud di Mantova ove furono eseguite le sentenze di morte) riguarda la prima di una lunga serie di condanne a morte per impiccagione irrogate dal governatore generale del Lombardo-Veneto, feldmaresciallo Radetzky. Esse rappresentarono il culmine della repressione seguita alla prima guerra d’indipendenza e segnarono il fallimento di ogni politica di riappacificazione.

Indice

[modifica] La particolare situazione di Mantova

La città di Mantova era entrata a far parte del patrimonio della casa d’Asburgo d’Austria sin dal 1707. Capitale di un piccolo ma assai ricco ducato, la città presentava, anche, degli importanti vantaggi militari: tanto per la qualità delle fortificazioni, quanto per la posizione geografica, che consentiva di controllare il passaggio dal Veneto alla Lombardia, nonché un gran numero di passaggi sul Po.
Infatti, essa fu al centro della campagna napoleonica del 1797; di tutte le successive invasioni austriache sino alla resa del Beauharnais il (23 aprile 1814) nelle mani del Bellegarde, della prima guerra di indipendenza. Appare quindi logico che, a partire dal 1849 gli Austriaci abbiano ridotto la città ad una sorta di grande piazzaforte, forse la più grande del regno Lombardo-Veneto.
Con tanti militari in giro, essa si adattava splendidamente, ad ospitare (nel castello di San Giorgio) un carcere di massima sicurezza, come diremmo oggi, per patrioti lombardi e veneti, incarcerati la loro opposizione alla occupazione austriaca. Lo stesso ragionamento, d’altra parte, avevano svolto i francesi quando, il 20 febbraio 1810, avevano giustiziato, proprio a Mantova, il patriota tirolese Andreas Hofer (il quale si era ribellato a due regni clienti di Napoleone I: i bavaresi che occupavano il Tirolo germanico e il Regno d'Italia che aveva annesso il Trentino italiano.

[modifica] Il contesto politico

L’atteggiamento del governo austriaco subì un forte indurimento, dopo la sconfitta dell’esercito di Carlo Alberto (che univa l’esercito sardo e innumerevoli volontari lombardi, veneti e di mole altre regioni italiane). In un solo anno, dall'agosto del 1848 all'agosto del 1849, vennero eseguite 961 impiccagioni e fucilazioni, comminate oltre 4’000 condanne al carcere per cause politiche, effettuate numerose requisizione dei beni degli espatriati, imposti pesanti tributi e imposte straordinarie alle popolazioni. La politica repressiva era operata direttamente dal Radetzky, governatore generale, ma fortemente sostenuta, a Vienna dalla corte. Ciò che non lasciava spazio di ambiguità riguardo alle reali intenzioni della potenza occupante.

Il clima era stato, se possibile, aggravato dalle due visite dell’Imperatore nel 1851 (marzo-aprile a Venezia, settembre-ottobre a Milano Como Monza), che avevano mostrato come la politica del Radetzky non avesse ottenuto alcun successo nell’avvicinare le popolazioni e la nobilità al regime asburgico.
In coincidenza con i falliti viaggi, il governatore generale plenipoteziario, aveva emesse due proclami (21 febbraio e 19 luglio 1851) che decretavano da uno a cinque anni di carcere duro a chi venisse trovato in possesso di scritti ‘rivoluzionari’ (patriottici, diremmo noi), reimponeva lo stato di assedio, teneva solidamente responsabili le municipalità che ospitassero, anche a loro insaputa, società segrete.


[modifica] La congiura mantovana

Come naturale, il malcontento, se possibile, crebbe ulteriormente, e i patrioti ripresero ad incontrarsi ed organizzarsi. Segretamente, come è ovvio. Una si organizzò a Mantova, con una prima riunione il 2 novembre 1850 cui parteciparono diciotto patrioti, tra i quali l'ingegnere Attilio Mori, l'insegnante Carlo Marchi, Acerbi, Sacchi, il medico mantovano Carlo Poma. L’ispiratore della congrega era don Tazzoli, un prelato vicino al movimento mazziniano.
In particolare, egli aveva contatti con figure notevoli quali Tito Speri (il protagonista delle dieci giornate di Brescia) o lo Scarsellini di Legnano di Venezia. Stampava proclami, fondava cellule a Milano, Venezia, Brescia, Verona, Padova, Treviso e Vicenza, raccoglieva denaro vendendo le cosiddette ‘cartelle del prestito interprovinciale’ organizzato dal Mazzini per finanziare iniziative rivoluzionarie.
Si trattava delle stesse cartelle che avevano portato all’arresto del comasco Dottesio, impiccato a Venezia l’11 ottobre 1851. Alla sua esecuzione aveva fatto seguito, a fine 1851 l’esecuzione di don Giovanni Grioli, parroco di Cerese, arrestato il 28 ottobre e condannato a morte il 5 novembre, in direttissima, per l’accusa di aver tentato di indurre alla diserzione due soldati ungheresi e di essere in possesso di scritti rivoluzionari.

[modifica] L’arresto

Nel rinnovato clima repressivo, la polizia austriaca aveva aumentato l’attività di vigilanza in Mantova e il 1 gennaio 1852, il commissario Rossi rinvenne una cartella di venticinque franchi del prestito mazziniano, nel corso di una perquisizione in casa di Luigi Pesci, esattore comunale di Castiglione delle Stiviere. Il Pesci era, in effetti, sospettato di falsificazione di banconote austriache e, quindi, la scoperta giunse inaspettata.

Il Pesci, sottoposto a feroce interrogatorio, rivelò che le cartelle provenivano dal sacerdote don Ferdinando Bosio, amico del Tazzoli e e professore di grammatica nel seminario vescovile di Mantova. Questi, arrestato a sua volta, dopo 24 giorni confessò ed indicò nel Tazzoli il coordinatore del movimento, ciò che ne consentì l’arresto, il 27 gennaio. Al Tazzoli vennero sequestrati molti documenti, fra i quali un registro cifrato in cui aveva annotato incassi e delle spese, con i nomi degli affiliati che avevano versato denari.

[modifica] Le torture ed il processo

Tazzoli non cedette agli interrogatori, condotti dall’auditore giudiziario Krauss, ma la polizia riuscì a decifrare il registro grazie alla delazione del figlio di un commissario di polizia (tal Luigi Castellazzo) coinvolto nella associazione segreta. Collaborò anche un altro delatore, l'avvocato veronese Faccioli.
Ciò che consentì loro di procedere all’arresto di Poma, Speri, Montanari e altri iscritti di Mantova, Verona, Brescia e Venezia. In totale vennero arrestati 110 patrioti, oltre a trentatré contumaci (fra i quali Benedetto Cairoli).

La polizia austriaca ed il governo occupante era, evidentemente, assai esacerbata, tanto che sottopose buona parte dei prigionieri a tortura. Buona parte confessarono, altri morirono prima di parlare, il Pezzotto scelse di suicidarsi nella sua cella al Castello di Milano. Al termine furono 110 le persone spedite a processo.

Il Krauss sostenne l'esistenza dell'associazione di Mantova e dei comitati delle altre province, i rapporti col Mazzini e gli espatriati in Svizzera, il tentativo del Montanari di mappare le fortificazioni di Mantova e Verona, un piano di Igino Sartena, patriota trentino, di attentare alla vita del al Radetzky, un altro piano di catturare Francesco Giuseppe in occasione della sua visita a Venezia (tanto folle che Poma e Speri si erano all'ultimo rifutati di eseguirlo).

Localizzazione dell'Italia

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Storia d'Italia

Voci principali
Categoria: Storia d'Italia

[modifica] La condanna e l’intervento del vescovo di Mantova

Il 13 novembre si riunì un primo consiglio di guerra per giudicare don Tazzoli, Scarsellini, Poma, Bernardo de Canal l’agente di commercio Paganoni ed il ritrattista Zambelli, tutte e tre veneziani, il negoziante milanese Mangili, il medico mantovano Giuseppe Quintavalle e Don Ottonelli parroco di San Silvestro in Mantova. E, infine, il Giulio Faccioli, che pure aveva collaborato. Subito vennero, tutti, condannati a morte.

La notizia, tuttavia, non venne subito resa pubblica, in modo da avere il tempo di eseguire la sconsacrazione dei due preti condannati, Tazzoli ed Ottonelli. Il problema non era semplicissimo, in quanto, in teoria, i sacerdoti potevano essere giudicati unicamente dal foro ecclesiastico. E, infatti, quando, un anno prima, era stato condannato don Grioli, per rimarcare il proprio dissenso, il vescovo di Mantova, Monsignor Giovanni Corti, aveva rifiutato il proprio assenso e il parroco di Cerese fu assassinato dal boia austriaco in abito talare.
In questo, tuttavia, gli austriaci avevano fatto le cose per bene, ottenendo, per tempo, un ordine speciale di Pio IX, che sconfessò il vescovo. La sconsacrazione avvenne, quindi, il 24 novembre. Solo a quel punto, il 4 dicembre, gli austriaci diedero ai dieci processati, lettura della sentenza.

L’intervento del vescovo, avrebbe potuto rappresentare una svolta della vicenda. Egli, infatti, in cattedra dal 1847 al 1868, aveva guadagnato grandi benemerenze presso gli austriaci, dopo che si era distinto, nel marzo 1848, nell’impedire che la sollevazione popolare si limitasse alla organizzazione di una piccola guardia cittadina, e non pervenisse a cacciare gli austriaci dalla città. E come pavido fu bollato dal Cattaneo.
Già una volta Monsignor Corti aveva potuto salvare il Tazzoli quando quest’ultimo (originario di Canneto sull'Oglio nella diocesi, professore al seminario vescovile e impegnato nella fondazione dei primi asili d'infanzia della città), era stato arrestato, il 12 novembre 1848, al termine di una messa celebrata in una basilica di Mantova. Deferito al delegato della Fortezza di Mantova, generale Gorzkowski, che ne ordinò l'arresto, il successivo 23 novembre venne prosciolto, anche per l’intervento del vescovo Monsignor Giovanni Corti che ne ringraziò il Gorzkowski e gli promise di impedire, per il futuro, al suo sacerdote simili iniziative.

Nel 1852, quindi, il rifuto austriaco alla clemenza, quindi, segnò uno scarto fra la chiesa cattolica lombarda e l’autorità imperiale, dimostrando, se ancora ve ne fosse bisogno, la totale insensatezza della politica del Radetzky e di Francesco Giuseppe, che lo sosteneva e lo lasciò fare perben otto anni, sino al 1856.

[modifica] Le esecuzioni

Il vescovo di Mantova tentò ancora un intervento, sostenuto anche da alri vescovi e dalla generale commozione che si era diffusa a tutto il Lombardo-Veneto. Ma il governatore generale accettò unicamente di confermare la pena per Tazzoli, Scarsellini, Poma, De Canal e Zambelli, mentre commutava per gli altri la pena in otto-dodici anni di ferri in fortezza. I due austriaci erano, probabilmente, convinti di dar prova di una magnanimità cesarea. In realtà commettevano un tremendo errore politico, che segnò la fine di ogni prospettiva di pacificazione delle provincie italiane. A perderci di più fu l’immagine di imperatore, che cominciò, appena ventiduenne, ad essere indicato come l’”impiccatore”: un marchio del quale non si sarebbe mai liberato, fino alla esecuzione di Oberdan, Sauro e Battisti, e che sarebbe stato consegnato ai posteri dalla canzone del piave.

La mattina del 7 dicembre i cinque condannati furono condotti nella valletta di Belfiore, situata fuori porta Pradella all'ingresso sud della città, ove furono appesi alle forche.

Nel marzo 1853, furono comminate le ultime condanne contro i restanti ventitré cospiratori. Prima Speri, Montanari e don Grazioli, arciprete di Revere furono condannati a morte ed impiccati a Belfiore il 3 marzo 1853. Ai resanti venti imputati la condanna a morte venne commutata in vent’anni di reclusione. Più tardi venne condannato Pietro Frattini, impiccato il 19 marzo. La piccola strage terminò solo due anni dopo, il 4 luglio 1855, con l’impiccagione di Fortunato Calvi, poco oltre il ponte di San Giorgio.

Per somma ingiuria, e con gran dispetto alla pieà cristiana, il governo austriaco vietò il seppellimento in terra consacrata. Ciò che doveva suonare ad ulteriore scorno della Chiesa mantovana.

[modifica] Eventi successivi

Ma l’avventura non era finita ed ebbe un seguito con il rinvenimento delle salme, avvenute nel 1866.
Dopo la seconda guerra di indipendenza, infatti, Mantova era restata all’Austria. Nel corso di quel mese di giugno, in preparazione della terza guerra di indipendenza, il comando austriaco ordinò dei lavori di rafforzamento delle fortificazioni della città.

Nel quadro di detti lavori, si rese necessario effettuare dei lavori di scavo per recuperare la sabbia necessaria alle opere murarie. In detta occasione i capimastri mantovani Andreani, padre e figlio, rinvennero delle salme che identificarono come le spoglie dei martiri (mancavano sol quelle di Pietro Frattini e don Grioli, che furono rinvenute l’anno seguente). Gli Andreani tennero, ovviamente, nascosta la notizia e chiesero ai loro appaltatori austriaci di poter lavorare anche di notte per accelerare i tempi dello scavo. I quali, naturalmente, assentirono. Ciò consentì ai muratori, in gran segreto, di trasportare le salme in un cimitero cittadino. I funerali cristiani vennero, finalmente, celebrati, alcuni mesi dopo, appena la città, al termine della guerra, assieme al Veneto, si riunì al Regno d'Italia.

D’altronde Tazzoli continuò ad essere onorato dalla diocesi, sempre retta da Monsignor Corti, la quale autorizzò la pubblicazione delle prediche da lui composte in carcere. Egli aveva reso un granservigio alla Chiesa quando, Interrogato dagli austriaci aveva scritto loro che il clero mantovano era segnato dalla insurrezione poiché fedele alla tradizione cattolica, “con spirito aderente al sociale e al concreto dei valori educativi e formativi dell'uomo … e per attuarne le esigenze occorreva essere liberi”. Infine, la notte prima del patibolo, scrisse un biglietto nel quale chiedeva perdono “a chiunque poté in queste faccende o in altro danneggiarmi. Così Dio mi perdoni”.

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