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Mino Martinazzoli - Wikipedia

Mino Martinazzoli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Fermo Mino Martinazzoli (Orzinuovi, 30 novembre 1931), uomo politico italiano, è stato più volte Ministro della Repubblica nelle file della Democrazia Cristiana.

È stato senatore dal 1972 al 1983 e deputato dal 1983 al 1992.

Indice

[modifica] Da Brescia a Roma nella DC

Martinazzoli inizia la sua attività politica nel suo paese natale, Orzinuovi nella bassa bresciana, come assessore alla Cultura. Laureato in giurisprudenza, esercita inoltre la professione di avvocato. A partire dagli anni Sessanta-Settanta si afferma nelle file della Democrazia Cristiana di Brescia. Entra a far parte del consiglio provinciale e diviene presidente dell'amministrazione provinciale dal 1970 al 1972.

Viene eletto senatore e contemporaneamente è consigliere comunale e capogruppo dello Scudo Crociato al comune di Brescia. Dopo vari anni al Senato il salto di qualità avviene nel 1983 quando diventa ministro della Giustizia, incarico che ricopre per 3 anni fino al 1986. Dal 1986 al 1989 si conferma uno tra i più importanti dirigenti democristiani essendo eletto presidente dei deputati DC. Nel 1989-1990 torna a fare il ministro, stavolta alla Difesa, ma si dimette (insieme ad altri ministri democristiani: Sergio Mattarella, Riccardo Misasi, Calogero Mannino, Carlo Fracanzani) in seguito all'approvazione della legge Mammì che regolamentava il sistema televisivo italiano e che riteneva inadeguata.

Nel 1991-1992 è invece ministro delle Riforme Istituzionali e degli Affari Regionali nel settimo governo Andreotti.

[modifica] 1992: segretario della DC in crisi

Uomo stimato per la sua onestà riconosciuta da tutti, il 12 ottobre 1992, con la Democrazia Cristiana travolta da Tangentopoli, viene eletto dal Consiglio Nazionale della Dc per acclamazione segretario del partito, con il compito non facile di salvare il partito dalla disaffezione degli elettori e condurlo fuori da una crisi di fiducia grave. Martinazzoli viene scelto col consenso di tutti per la sua reputazione di uomo onesto e anche in quanto "uomo del nord", proveniente da una terra (il bresciano) in cui avanzava poderosamente il fenomeno delle "leghe" e la protesta contro i partiti di potere.

Con inevitabili difficoltà ha dovuto fare i conti con il terremoto politico degli anni 1992-1994: la crisi profonda del Pentapartito, i problemi gravi del risanamento finanziario del paese, l'avanzata delle "leghe", l'approvazione per referendum del nuovo sistema elettorale maggioritario, l'avanzata delle sinistre alle elezioni amministrative del 1993 (con la conquista di città come Roma, Napoli, Trieste, Venezia, Genova), la discesa in campo in Silvio Berlusconi e lo "sdoganamento" della destra missina.

[modifica] Lo scioglimento della DC e il nuovo PPI

Alle prese con un partito in crisi e sempre più diviso sulle scelte da compiere, Martinazzoli ha scelto la via dello scioglimento della Democrazia Cristiana, considerando esaurita, dopo gli scandali di Tangentopoli, la forza trainante del partito nato da Alcide De Gasperi. Nel 1993 ha così assunto i pieni poteri, ha lanciato la proposta di costituire sulle ceneri della DC e in continuità ideale con essa, ma in discontinuità di classe dirigente, il nuovo Partito Popolare Italiano, riprendendo il nome del partito che fu di Luigi Sturzo.

Nel nuovo sistema maggioritario Martinazzoli ha collocato il nuovo PPI in una posizione rigorosamente di centro, alternativo alla sinistra dei Progressisti, ma in netta distinzione dalla destra missina e dalla Lega Nord. Dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel gennaio del 1994 Martinazzoli ha manifestato distanza e freddezza nei confronti del Cavaliere, rifiutandosi di stringervi alleanze (aveva invece proposto a Berlusconi di candidarsi al Senato nelle file del PPI, prospettiva poi rifiutata dall'interessato ormai lanciato verso la leadership di un suo partito). Questa linea di centro, assolutamente equidistante dai Progressisti come dall'alleanza di centrodestra che andava profilandosi tra Berlusconi, Fini e Bossi, lo ha portato a scontrarsi nel partito con anime più favorevoli ad un'alleanza di centrodestra.

Nel gennaio 1994, all'atto di nascita del nuovo Partito Popolare Italiano, non aderivano così alcuni esponenti della vecchia DC guidati da Pierferdinando Casini, Clemente Mastella, Francesco D'Onofrio, Ombretta Fumagalli Carulli che fondavano un movimento politico autonomo che prendeva il nome di Centro Cristiano Democratico e sceglievano l'alleanza con il Polo delle Libertà.

[modifica] Le elezioni del 1994

Alle elezioni politiche del 1994 si impegna nella costruzione di un polo autonomo di centro con le culture riformiste, liberali, repubblicane. Trova un alleato in Mario Segni con il quale fonda la coalizione del Patto per l'Italia che si presenta in tutti i collegi di Camera e Senato in modo autonomo contro i candidati della sinistra (Progressisti) e della destra (Polo delle libertà e Polo del Buon Governo). Aderiscono all'elleanza di centro anche i repubblicani di Giorgio La Malfa, i liberali di Valerio Zanone ed un gruppo di ex socialisti e socialdemocratici guidati da Giuliano Amato. Martinazzoli non si candida alle elezioni e chiede a molti notabili democristiani di fare lo stesso per favorire il rinnovamento della cultura democratico-cristiana nel nuovo Partito Popolare.

I risultati delle elezioni sono tuttavia deludenti: il "Patto per l'Italia" ottiene pochissimi collegi maggioritari (solo 4 alla Camera: 3 nell'avellinese con Gianfranco Rotondi, Antonio Valiante e Mario Pepe e uno in Sardegna con Giampiero Scanu) e le liste del PPI nella parte proporzionale raccolgono un modesto 11%, un terzo dei voti della vecchia DC. I seggi ottenuti non consentono nemmeno di essere ago della bilancia in Parlamento, dove si afferma l'alleanza di centrodestra guidata da Berlusconi. Dopo le elezioni si dimette da segretario e annuncia l'intenzione di abbandonare la politica attiva.

A distanza di anni Martinazzoli in un'intervista a "Sette" del Corriere della Sera giudicava in questo modo la sua azione politica nella fase controversa in cui ha guidato la Dc allo scioglimento e alla nascita del nuovo PPI:

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« "Non fummo tempestivi nel considerare che la fine del comunismo in Europa chiudeva, in Italia, una fase storica, quella della Dc condannata a governare. Molti, apprendendo che non si trattava di una condanna all’ergastolo, diventarono malinconici e pretesero di replicare, artificialmente, un passato che non c’era più. Per me, io pensavo che se ci avessero assistito generosità e coraggio, avremmo potuto essere, nella nuova stagione politica, di più noi stessi, meno il nostro potere e di più il nostro progetto. Anche la scelta di evocare la sigla del Partito popolare di Sturzo, all’inizio del ‘94, si ispirava a quel proposito. Ma era ormai troppo tardi. Non fummo capaci, in un contesto sempre più reattivo, di convincere gli italiani che le nostre ragioni erano di più dei nostri torti". »

[modifica] Il ritorno: sindaco di Brescia per il centrosinistra

Nell'autunno successivo, 1994, tuttavia, pressato dalle richieste di molti e preoccupato dalla nuova alleanza di centrodestra al potere, accetta di candidarsi a sindaco di Brescia in una coalizione di centrosinistra (con il sostegno forte del PPI e del PDS) prefigurando quell'alleanza che, con il nome di Ulivo, qualche mese dopo Romano Prodi estenderà a tutta Italia.

Vince al ballottaggio la sfida a sindaco contro Vito Gnutti e diventa primo cittadino di Brescia. Guida la città per l'intera legislatura fino al novembre del 1998 quando decide di non ricandidarsi. Nella querelle che vede nel 1995 il PPI diviso tra un'ala favorevole alla coalizione di centrosinistra (guidata da Gerardo Bianco), e un'ala favorevole all'alleanza con Silvio Berlusconi (guidata da Rocco Buttiglione), Martinazzoli si schiera con Bianco.

[modifica] La candidatura in Lombardia

Nel 2000 accetta di candidarsi alla presidenza della regione Lombardia in una sfida difficile contro il presidente uscente Roberto Formigoni, sostenuto anche dalla Lega Nord. Il suo risultato è però deludente: sostenuto da tutto il centrosinistra (inclusa Rifondazione Comunista, ma non i Comunisti Italiani) ottiene solo il 32% dei consensi. Si impegna comunque come consigliere regionale fino alla scadenza del mandato (2005) nel gruppo "Centro-Sinistra, PPI, La Margherita".

[modifica] Per la difesa della cultura del popolarismo

In occasione delle elezioni politiche del 2001 dà il suo sostegno alle liste della Margherita ma nel 2002 non condivide lo scioglimento del Partito Popolare Italiano nella lista rutelliana.

Nel 2004 si schiera al fianco di Clemente Mastella e viene nominato presidente di "Alleanza Popolare - UDEUR" sempre con l'obiettivo di mantenere viva una presenza autonoma del cristianesimo sociale e democratico nella politica italiana. Successivamente si dimette dall'incarico, preferendo una posizione più lontana dai riflettori.

Nel 2006 si impegna attivamente nel comitato per il NO al referedum costituzionale, manifestando forti critiche verso la riforma costituzionale approvata dal centrodestra.

[modifica] Cariche ricoperte

  • Assessore alla Cultura del Comune di Orzinuovi
  • Presidente dell'Amministrazione provinciale di Brescia (1970-1972)
  • Consigliere comunale e capogruppo DC al Comune di Brescia (1975-1980)
  • Presidente della Commissione inquirente per i procedimenti d'accusa (1976-1979)
  • Ministro della Giustizia (1983-1986)
  • Ministro della Difesa (1989-1990)
  • Ministro della Riforme istituzionali e Affari regionali (1991-1992)
  • Presidente dei deputati democristiani (1986-1989)
  • Segretario della Democrazia Cristiana (1992-1994)
  • Fondatore e primo segretario del Partito Popolare Italiano (1994)
  • Sindaco di Brescia (1994-1998)
  • Consigliere della Regione Lombardia (2000-2005)
  • Componente della Commissione consiliare Affari Istituzionali e della Commissione Speciale per lo Statuto
  • Presidente di Alleanza Popolare-UDEUR (2004-2005)
Predecessore: Ministro della Difesa della Repubblica Italiana Successore: Bandiera italiana
Valerio Zanone 1989 - 1990 Virginio Rognoni I
Altre lingue

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