Principato Vescovile di Trento
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Il Principato Vescovile di Trento era un antico stato ecclesiastico esistito per circa otto secoli (dal 1027 al 1802) nel territorio dell'attuale Trentino-Alto Adige. All'inizio del XIX secolo venne secolarizzato e inglobato nel Tirolo, contea dell'Impero d'Austria, di cui già faceva parte come entità autonoma.
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[modifica] Storia
[modifica] Età Medievale
Il Principato venne creato nel 1027 dall'imperatore del Sacro Romano Impero Corrado II, assieme al vicino Principato di Bressanone. Corrado II decise di investire dei poteri temporali i vescovi per stabilizzare la regione, spesso teatro di scontri fra i diversi principi laici dell'Impero e per favorire il passaggio dell'esercito imperiale nel nord dell'Italia, lungo due antiche strade romane della zona, la Via Claudia Augusta e la Claudia Augustia Altinate. La maggior parte delle aree comprese nei due nuovi stati era precedentemente inclusa nella Marca di Verona.
I due principi vescovi erano autentici principi del Sacro Romano Impero, soggetti solo all'autorità dell'imperatore e membri della dieta imperiale. Il vescovo di Trento cercò di stabilire un solido legame con l'imperatore, allo scopo di limitare la crescente influenza sulla regione dei vicini Conti del Tirolo. Essi infatti già controllavano il Tirolo settentrionale, ma volevano ampliare i loro domini verso sud, in particolare verso Bolzano, la Bassa Atesina e la Val Venosta, territori della Diocesi di Trento. Le crescenti ambizioni della nobiltà del Tirolo minacciavano fortemente l'autorità del capo della Chiesa tridentina nei territori settentrionali.
Il vescovo Adelpreto (1156-1172), della famiglia dei Hohenstaufen (la stessa di Federico Barbarossa), che aveva tentato di imporre il proprio potere temporale su tutto il territorio della Diocesi, venne assassinato ad Arco il 30 settembre 1172 su mandato dei conti di Appiano. L'autorità del principe vescovo venne però ripristinata dall'imperatore Federico Barbarossa e dal figlio Enrico VII: il vescovo venne infatti autorizzato a battere moneta propria e istituire nuove tasse.
Il Principato venne riorganizzato da Federico Wanga (1205-1218), uno delle figure storicamente più importanti della Chiesa trentina, parente dell'imperatore Ottone IV. Alleatosi con il vescovo di Bressanone e sostenuto dall'ordine religioso-militare dei Cavalieri Teutonici, a cui donò grandi patrimoni, riuscì a limitare l'influenza e la forza dei nobili laici e riconquistò gran parte dei territori perso in passato. Allo scopo di definire definitivamente l'autorità del vescovo sul territorio della regione, egli riunì tutti i documenti storici che certificavano i poteri episcopali nella raccolta chiamata Codex Wangianus, nota in origine con il titolo di Libro di San Vigilio. Inoltre Federico sostenne il commercio lungo le vie delle Alpi e investì notevoli capitali nelle miniere d'argento (a questo periodo risale l'insediamento delle comunità germanofone trentine della Valle dei Mocheni, originariamente lavoratori nelle miniere). Lo statuto minerario emanato da Federico Wanga il 19 giugno 1209 è considerato il più antico documento ufficiale sull'estrazione mineraria alpina. In questo periodo la città venne inoltre fortificata con la costruzione di una nuova cinta muraria, mentre iniziarono i lavori per la costruzione della cattedrale.
La morte di Wanga in Terra Santa durante una crociata fermò le riforme. Nel 1236 l'imperatore Federico II depose i vescovi della regione e si insignì dell'autorità su una vasta area militare attorno a Trento, annessa alla marca di Treviso: l'amministrazione sul nuovo feudo fu affidata al fedele compagno Ezzelino da Romano da Verona. Nel XIII secolo il conte del Tirolo approfittò della situazione confusa per aumentare i suoi domini e la sua autorità, a scapito delle diocesi di Coria, Salisburgo, Bressanone e Trento. Mainardo II di Tirolo-Gorizia assoggettò i vescovi di Trento e Bressanone, legandoli alla sua tutela.
Il potere temporale del vescovo venne ripristinato nel 1310, quando papa Clemente V nominò a capo della Chiesa tridentina l'abate cistercense Enrico da Metz, cancelliere del re di Germania Enrico VII di Lussemburgo. Questo segnò l'inizio di un solido legame tra Trento e la dinastia dei Lussemburgo: nel 1338 assume la cattedra episcopale un altro cancelliere, il boemo Nicolò da Bruna, strettamente legato alla dinastia reale. Nicolò limitò il potere dei nobili e cercò di ristabilire l'unità del Principato, riorganizzando il piccolo esercito vescovile, riunito sotto un nuovo stemma unitario, l'aquila di San Venceslao.
Nel corso della seconda metà XIV secolo, durante lo scontro tra gli imperatori rivali Carlo IV e Luigi IV, il Principato fu oggetto di diverse devastazioni e venne temporaneamente annesso ai territori della Baviera.
In questo periodo, il vescovo Alberto di Ortenburg fu costretto a stringere un'alleanza esclusiva e perpetua con i nuovi potenti conti del Tirolo, gli Asburgo, attraverso la stipulazione di due patti noti come le compattate (1363 e 1365). Essi prevedevano la costruzione di una sorta di confederazione tra Tirolo e Trentino e la fine di una politica estera e militare autonoma per quest'ultimo.
[modifica] XV e XVI secolo
All'inizio del XVI secolo il vescovo trentino Giorgio I di Liechtenstein (1390-1419) tentò di smarcarsi dalla subordinazione della Diocesi nei confronti del Tirolo, non riconoscendo l'alleanza e ponendosi direttamente sotto l'autorità dell'imperatore. Tuttavia in questo perido vi fu ma una decisa perdita di potere del vescovo nei confronti della città e della campagna. Il carico fiscale imposto dal vescovo e le ingerenze tirolesi provocarono una rivolta generale a Trento, nelle campagne e nelle valli (1407). Sperando di ottenere l'appoggio militare della Repubblica di Venezia, i rivoltosi costrinsero il principe vescovo all'esilio, mentre elessero Rodolfo Belenzani capitano del popolo. Privi però di appoggio esterno vennero sconfitti il 5 luglio 1409 dalle truppe austriache.
Alla morte di Giorgio I di Liechtenstein la cattedra episcopale venne affidata al nipote del re di Polonia, Alessandro di Masovia (1423-1444). Sostenitore di una coraggiosa politica di allontanamento dal Tirolo, cercò di far avvicinare Trento a Venezia e Milano. L'atteggiamento dispotico del vescovo polacco provocò però un'altra rivolta sanguinosa con l'intervento delle truppe austro-tirolesi (1435). Alla morte di Alessandro, divenuto in precedenza cardinale, il Principato sprofondò nell'anarchia con uno scisma interno: il capitolo della cattedrale e l'Impero nominarono un vescovo che operava nel nord della Diocesi, mentre papa Eugenio IV e Venezia sostennero un ex abate che governava il sud dell'Episcopato.
Nel giugno del 1511 Trento e Bressanone firmarono un accordo con cui i due Principati divennero "confederati perpetuamente" con la Contea del Tirolo. Durante la guerra con Venezia, nel 1519, il territorio trentino venne invaso dai Lanzichenecchi, di ritorno da una spedizione fallita contro Vicenza. In città e nelle campagne ci furono inoltre episodi di pestilenze (1510 e 1512), carestie (1512, 1519-1520) e un terremoto nel 1521: questi episodi tragici segnarono l'inizio di una forma di resistenza al potere degli Asburgo. Una vera rivolta armata venne organizzata nel 1525 ed è nota come Bauernkrieg, rivoluzione contadina. I ribelli erano guidati dal tirolese Michael Gaysmair (1490-1532), che aveva stabilito un complesso piano di liberazione di tutti i territori di Trento e Bressanone e l'istituzione di una repubblica contadina, la nazionalizzazione delle terre e delle miniere, l'abolizione della nobiltà e del ruolo stesso della Chiesa cattolica, a favore di una fede basata su una relazione diretta con Dio.
I rivoltosi mancavano comunque di organizzazione e vennero facilmente uccisi nelle battaglie della Valle Isarco e di Vipiteno dalle truppe mercenarie austriache, con l'appoggio del vescovo Bernardo Clesio. Lo stesso Gaysmair venne ucciso da un sicario dell'arciduca Ferdinando a Padova nel 1532. Un migliaio di ribelli tirolesi si rifugiarono in Moravia, vicino Auspitz, dove organizzarono le "fraterne fattorie" (Bruderhöfe).
Il cardinale Bernardo Clesio è considerato l'autentico rifondatore (Neubegründer) dell'autorità dei principi di Trento. Consigliere dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo e amico di Erasmo da Rotterdam, egli giocò un ruolo importante nell'elezione di Carlo V a Francoforte nel 1519 e in quella di Ferdinando I in qualità di re di Boemia. La sua personalità permise di superare la subordinazione trentina nei confronti del Tirolo e garantì la sovranità su Castelbarco e Rovereto. Con l'episcopato di Clesio il capoluogo del Principato venne fortemente rinnovato: venne predisposto infatti un nuovo assetto urbanistico e una nuova grande chiesa, Santa Maria Maggiore, anche in vista del grande Concilio che venne ospitato (1545-1563). Lo statuto che il cardinale promulgò per Trento nel 1528 rimase in vigore fino al 1807.
Le grandi riforme avviate da Clesio vennero completate dal suo successore, il cardinale Cristoforo Madruzzo. Grazie al Concilio e alla politica di questo periodo il Trentino godette di una forte crescita economica nell'ambito delle miniere, delle manifatture e del commercio. La presenza, dovuta al Concilio, di uomini di cultura e di studiosi prevalentemente di lingua italiana, contribuì alla diffusione degli ideali rinascimentali e della cultura italiana. In seguito, l'introduzione della Controriforma determinò una decisa inversione di tendenza rispetto al passato, con la definitiva diffusione della lingua italiana a scapito di quella tedesca, molto diffusa in precedenza fra i chierici della curia ma anche sul territorio.
[modifica] Età moderna
Nel XVII secolo il Principato soffrì le conseguenze economiche della Guerra dei Trent'Anni e la decadenza dei commerci con il Veneto. Nella prima metà del secolo, l'Episcopato venne retto dai membri della dinastia Madruzzo, che si passarono la carica di principe vescovo da zio a nipote: Ludovico, Carlo Gaudenzio (creati cardinali dal papa) e Carlo Emanuele governarono il Trentino per un secolo, controllando indirettamente anche il principato di Bressanone, sino alla morte di Carlo Emanuele nel 1658.
In quest'anno l'imperatore d'Austria Leopoldo I assegnò il Principato all'arciduca Sigismondo Francesco d'Austria, fratello del conte del Tirolo. Il Trentino ritornava dunque nell'orbita tirolese, sebbene nel 1662 venisse siglato un accordo tra gli Asburgo e il capitolo di Trento sulla giurisdizione ecclesiastica a favore di Trento. Tre anni dopo Sigismondo Francesco morì e, estintasi la dinastia dei conti del Tirolo, il Principato (assieme a tutto il Tirolo) venne inglobato nei domini diretti della dinastia degli Asburgo.
Questo non significò tuttavia la perdita dello status di semi-indipendenza per il Principato, che non aveva più gli "scomodi" conti tirolesi accanto e ottenne invece alcuni vantaggi: il pareggio di bilancio nel 1683, il completamento del Castello del Buonconsiglio di Trento, la bonifica di zone paludose nella valle dell'Adige, dove venne introdotta la coltivazione del riso.
La situazione peggiorò all'inizio del XVIII secolo, quando il Trentino e il Tirolo vennero invasi dalle truppe francesi e bavaresi, e la stessa città di Trento venne assediata per una settimana (settembre 1703). La minaccia più pericolosa per l'autonomia del Principato fu la richiesta dell'imperatore Carlo VI di riunire direttamente sotto la corona asburgico tutti i territori che appartenevano alla sua dinastia. I vescovi trentini, e in particolare Leopoldo Spaur, continuarono la loro battaglia per l'indipendenza contro l'autorità imperiale austriaca, fino all'invasione napoleonica del 1796.
Il Trattato di Parigi (28 febbraio 1802) stabilì la secolarizzazione degli stati ecclesiastici. Nel 1810 Napoleone decise l'annessione, rivelatasi molto breve, di Trento e Bolzano al Regno d'Italia (dipartimento dell'Alto Adige). La Restaurazione del 1815 segnò la fine definitiva del Principato, inglobato nell' Impero Asburgico d'Austria quale parte della Contea principesca del Tirolo.