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Pianta carnivora - Wikipedia

Pianta carnivora

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Indice

la venus acchiappamosche (Dionaea muscipula) con le sue trappole a "scatto"
la venus acchiappamosche (Dionaea muscipula) con le sue trappole a "scatto"

Le piante carnivore (dette talvolta piante insettivore) sono delle particolari piante che intrappolano e consumano protozoi ed animali, specialmente insetti ed altri artropodi, al fine di ottenere i nutrienti essenziali per il loro sviluppo.
Questa singolare caratteristica è il risultato di un adattamento a quegli ambienti, come paludi, torbiere o rocce affioranti, in cui il suolo per la forte acidità è povero o privo di nutrienti e in particolar modo d'azoto, che viene così integrato dalla pianta attraverso le digestione delle proteine animali.
Ne esistono circa 600 specie diffuse in tutto il mondo (vedi l'elenco completo).

[modifica] Meccanismi di intrappolamento

Le piante carnivore hanno evoluto cinque diversi meccanismi per la cattura degli organismi. Questi sono:

  • Trappole ad ascidio: le prede vengono intrappolate all'interno di una foglia arrotolata a forma di caraffa, contenente un pool di enzimi digestivi e/o batteri;
  • Trappole adesive: la cattura avviene tramite una mucillagine collosa secreta dalle foglie;
  • Trappole a scatto o a tagliola: un rapido movimento delle foglie immobilizza l'animale al loro interno;
  • Trappole ad aspirazione: la preda viene risucchiata da una vescicola al cui interno si genera un vuoto di pressione;
  • Trappole a nassa: presentano dei peli che dirigono forzatamente la preda all'interno dell'organo digestivo.

Queste trappole possono essere classificate anche come attive o passive, a seconda della partecipazione della pianta alla cattura. Ad esempio, le piante di Triphyophyllum mostrano una trappola adesiva passiva, che secerne mucillagine ma non è accompagnata da un movimento o sviluppo delle foglie in risposta alla cattura della preda. Ciò accade invece con le piante del genere Drosera, le cui trappole adesive sono considerate attive per la presenza di foglie che, con una rapida crescita, avvolgono la preda favorendone la digestione.

[modifica] Trappola ad ascidio

Heliamphora nutans : da notare i suoi piccolissimi opercoli
Heliamphora nutans : da notare i suoi piccolissimi opercoli

Questi tipi di trappole si sono evolute in modo indipendente almeno in quattro occasioni. Le più semplici sono probabilmente quelle del genere Heliamphora: in queste piante le trappole sono chiaramente il risultato di una modificazione delle foglie che hanno subito un arrotolamento con saldatura fra i margini. Queste piante sono originarie delle aree sudamericane ad intensa precipitazione e, di conseguenza, devono assicurarsi che l'ascidio non venga riempito eccessivamente dall'acqua piovana. Per risolvere il problema, la selezione naturale ha favorito l'evoluzione di uno scarico, simile a quello di un lavandino: un piccolo varco tra i margini fogliari incernierati che permette all'acqua in eccesso di fluire all'esterno dell'ascidio.

Heliamphora è un membro delle Sarraceniaceae, una famiglia del Nuovo Mondo a cui appartengono altri due generi di piante carnivore: Sarracenia, endemica della Florida, e Darlingtonia, originaria della California. La Sarracenia purpurea ha una distribuzione più cosmopolita.

Darlingtonia californica : da notare la piccola entrata nella regione inferiore dell'opercolo, le cui areole, per l'assenza di colore, confondono la preda intrappolata all'interno
Darlingtonia californica : da notare la piccola entrata nella regione inferiore dell'opercolo, le cui areole, per l'assenza di colore, confondono la preda intrappolata all'interno

Nel genere Sarracenia, il problema del riempimento dell'ascidio viene risolto da un opercolo: un'espansione della foglia che copre l'apertura del tubo, proteggendolo dalla pioggia. Possibilmente a causa di questo migliore riparo, le specie di Sarracenia riescono a secernere degli enzimi, come proteasi e fosfatasi, nel fluido digestivo del fondo dell'ascidio, mentre le Heliamphora si affidano soltanto ad una digestione batterica. Questi enzimi digeriscono le proteine e gli acidi nucleici della preda, rilasciando amminoacidi e ioni fosfato, che vengono assorbiti dalla pianta.

La pianta cobra (Darlingtonia californica) possiede un adattamento presente anche nella Sarracenia psittacina e che si può estendere anche alla Sarracenia minor : l'opercolo è un rigonfiamento che chiude in parte l'apertura del tubo. La sua cavità è punterellata da areole che, prive di clorofilla, permettono alla luce di penetrare all'interno del tubo. Attraversando l'apertura posta nella regione inferiore dell'opercolo, gli insetti (in particolare le formiche), una volta dentro, tentano di scappare utilizzando questa falsa uscita, fino a quando non cadono all'interno del tubo digestivo. Anche le giovani pianticelle di Sarracenia possiedono un lungo e sporgente opercolo; si crede quindi che nella Darlingtonia rappresenti un caso di neotenia.

Il secondo maggior gruppo di piante ad ascidio è rappresentato dal genere Nepenthes, le cui circa 100 specie possiedono degli ascidi sostenuti dalla parte finale di un viticcio che si sviluppa come un'estensione della nervatura principale della foglia. Molte specie cacciano insetti, sebbene le più grandi, ed in particolare la Nepenthes rajah, catturino occasionalmente piccoli mammiferi e rettili. Questi contenitori rappresentano infatti un'attraente fonte di cibo per piccoli insettivori. Per evitare incidenti la Nepenthes bicalcarata possiede due spine acuminate che proietta dalla base dell'opercolo verso l'entrata dell'ascidio e con le quali cerca di proteggersi dalle incursioni di questi mammiferi.

Brocchinia reducta
Brocchinia reducta

Le trappole ad ascidio si sono evolute almeno in altri due gruppi. La Cephalotus follicularis è una piccola pianta carnivora dell'Australia occidentale con ascidio a forma di mocassino. In questa specie il peristoma, l'orlo che borda l'apertura dell'ascidio, è particolarmente pronunciato, secerne del nettare ed è provvisto di sporgenze spinose nell'apertura che impediscono agli insetti intrappolati di fuoriuscire. La parete di molte piante con ascidi è coperta da uno strato ceroso che fornisce una indubbia fonte di cibo per le prede. Gli insetti vengono spesso attratti dal nettare secreto dal peristoma e dalla brillante struttura antocianina simile ad un fiore. Nella Sarracenia flava, il nettare è corretto con la coniina, un alcaloide tossico trovato anche nella cicuta, che probabilmente incrementa l'efficienza della trappola intossicando la preda stessa.

L'ultima carnivora con trappola ad ascidio è la Brocchinia reducta. Questa bromeliacea possiede, come l'ananas, un urna formata da foglie cerose strettamente riunite alla base. In molte bromeliacee, l'acqua penetra nell'urna che diventa habitat per rane, insetti e batteri diazotrofici. Nella Brocchinia, l'urna si è specializzata come trappola per insetti, contenente una popolazione di batteri digestivi ed un rivestimento ceroso interno.

[modifica] Trappola a colla

Pinguicula grandiflora: le foglie e lo stelo del fiore sono coperti da ghiandole produttrici di mucillagine.
Pinguicula grandiflora: le foglie e lo stelo del fiore sono coperti da ghiandole produttrici di mucillagine.

Le trappole adesive sono quelle in cui il meccanismo di intrappolamento si basa sulle proprietà collose di una sostanza secreta da apposite ghiandole presenti nelle foglie. Queste ghiandole possono essere sia piccole e praticamente invisibili a occhio nudo (come quelle del genere Pinguicola) che lunghe e, in alcuni casi, mobili (come nel genere Drosera). Le trappole adesive si sono evolute indipendentemente almeno cinque volte nelle varie piante che le posseggono.

Nel genere Pinguicola, le ghiandole sono brevi e sessili. Le foglie lucenti non fanno apparire queste piante particolarmente carnivore, ma in realtà sono di fatto delle trappole per piccoli insetti volanti (come i moscerini dei funghi), rispondendo alla cattura con una crescita relativamente rapida. Questo sviluppo tigmotrofico può produrre un arrotolamento della lamina fogliare (per evitare che la pioggia faccia scivolare via la preda dalla superficie della foglia) od un infossamento della superficie sotto la preda (per formare un pozzo digestivo poco profondo).

visione ingrandita dei tentacoli adesivi di Drosera intermedia
visione ingrandita dei tentacoli adesivi di Drosera intermedia

Il genere Drosera comprende oltre 100 specie con trappole adesive attive, le cui ghiandole sono poste all'estremità di lunghi tentacoli che si muovono abbastanza rapidamente in risposta alla avvenuta cattura della preda. I tentacoli della Drosera burmanii sono capaci di curvarsi di 180° in quasi solo un minuto. Le Drosera sono estremamente cosmopolite e sono state rinvenute in tutti i continenti, ad eccezione dell'Antartide. La loro maggiore diversità si ha in Australia, la patria del grande sottogruppo delle Drosera pigmee, come la Drosera pygmaea, e di specie tuberose come la Drosera peltata, che forma dei tuberi per sopravvivere ai caldi e secchi mesi estivi. Queste specie dipendono molto dalla fonte di azoto rappresentata dagli insetti e generalmente sono privi di quegli enzimi (nitrato reduttasi) richiesti dalle piante per trasformare l'azoto del suolo in una forma organica assimilabile.

fiore di Byblis liniflora
fiore di Byblis liniflora

Affine a Drosera è il genere Drosophyllum, che differisce per la modalità passiva di cattura: le foglie sono incapaci di rapidi movimenti o di crescere in risposta all'intrappolamento. Simili per comportamento, ma non imparentate con la Drosophyllum, sono le piante del genere Byblis. La Drosophyllum può essere considerata un'eccezione tra le piante carnivore in quanto cresce in condizioni quasi desertiche, mentre tutte le altre sono tipiche delle paludi o delle aree tropicali.

Recenti dati molecolari, basati in particolare sulla produzione di plumbagina, indicano che la Triphyophyllum peltatum, un ultima carnivora con trappola adesiva della famiglia delle Dioncophyllaceae, è strettamente affine alla Drosophyllum, con cui forma parte di un ampio clade di piante carnivore e non, a cui appartengono Droseraceae, Nepenthaceae, Ancistrocladaceae e Plumbaginaceae. Questa pianta è considerata usualmente una liana, ma nella sua fase giovanile ha abitudini carnivore dovute, si pensa, ad una specifica richiesta di nutrienti essenziali per la sua fioritura.

[modifica] Trappola a scatto

una foglia di D.muscipula sta avviluppando la sua preda
una foglia di D.muscipula sta avviluppando la sua preda

Esistono due tipologie di trappole a scatto, che si credono derivino da un antenato comune, presenti ciascuna in un'unica specie: la venus acchiappamosche (Dionaea muscipula) e l'aldrovanda (Aldrovanda vesiculosa). L'Aldrovanda è una pianta acquatica specializzata nella cattura di piccoli invertebrati; Dionaea è invece terrestre e caccia soprattutto le mosche ed altri insetti volanti.
Le trappole sono molto simili: presentano delle foglie la cui regione terminale è divisa in due lobi, incernierati lungo la nervatura centrale. Al loro interno si trovano dei peli innescanti sensibili al tatto (tre su ogni lobo nel caso della Dionaea; molti di più nel caso dell'Aldrovanda). Quando i peli vengono piegati provocano l'apertura dei canali ionici nelle membrane delle cellule alla loro base, generando un potenziale d'azione che si propaga alle cellule della nervatura mediana. Queste cellule rispondono pompando nell'ambiente extra-cellulare ioni potassio. L'acqua, che ne fuoriesce per osmosi, provoca il collasso delle cellule della nervatura, consentendo ai lobi, che sono mantenuti sotto pressione, di chiudersi a scatto. Questo processo dura più di un secondo.

Aldrovanda vesiculosa
Aldrovanda vesiculosa

Nella venus acchiappamosche, le chiusure futili (in risposta a gocce di pioggia od alla caduta di detriti) sono prevenute da una semplice memoria posseduta dalle foglie: per chiudersi sono infatti richiesti due stimoli distanti tra 0.5 e i 30 secondi. È inoltre necessario che la stimolazione continui anche dopo la chiusura della foglia perché la digestione abbia inizio, in caso contrario la foglia si riapre dopo poche ore (una giornata circa).

Lo scatto delle foglie è un tipico caso di tigmonastia, un movimento indiretto provocato dalla variazione di turgore delle cellule in risposta ad uno stimolo tattile. L'ulteriore stimolazione delle superfici interne dei lobi, generate dal dibattersi dell'insetto, induce questi ad espandersi assieme per avvolgere la preda (tigmotrofismo). Saldandosi ermeticamente, i lobi formano uno stomaco nel quale avviene la digestione, che dura una o due settimane. Le foglie possono essere riutilizzate tre o quattro volte prima che diventino insensibili alla stimolazione.

Poiché una volta terminata la digestione all'interno della trappola possono rimanere antiestetici rimasugli della preda, alcuni coltivatori spruzzano dell'acqua distillata vaporizzata sulla stessa inibendo il meccanismo di chiusura, per avere così la possibilità di rimuovere i resti con una pinzetta.

[modifica] Trappola ad aspirazione

illustrazione di Utricularia vulgaris: le numerose vescicole sono presenti nelle ramificazioni terminali del fusto
illustrazione di Utricularia vulgaris: le numerose vescicole sono presenti nelle ramificazioni terminali del fusto

Le trappole ad aspirazione sono esclusive del genere Utricularia. Queste piante posseggono delle vescicole, foglie modificate a sacco, che, pompando ioni verso l'esterno, provocano una fuoriuscita d'acqua per osmosi e la conseguente creazione di un vuoto parziale al loro interno. La vescicola possiede una piccola apertura sigillata ermeticamente da una porta. Nelle specie acquatiche, la porta è dotata di un paio di lunghi peli innescanti. Gli invertebrati acquatici (come le pulci d'acqua) che toccano questi peli provocano l'apertura della porta verso l'interno. Il rilascio del vuoto genera un risucchio che aspira l'acqua e la preda all'interno della vescicola, dove poi avviene la digestione.
Molte specie di Utricularia - come l' U. sandersonii - sono terrestri perché si accrescono sui suoli fradici; i loro meccanismi di intrappolamento vengono attivati in maniera leggermente diversa. Le Utricolarie sono prive di radici, sebbene le specie terrestri posseggano steli d'ancoraggio che le ricordano. Le specie viventi nelle acque temperate producono delle gemme che, durante i freddi mesi invernali, si staccano dalla pianta con la sua morte e rimangono in quiescenza fino all'arrivo della primavera. L' U. macrorhiza crescendo regola il suo numero di vescicole che reca in risposta alla disposizione di nutrienti contenuti nel suo habitat.

[modifica] Trappola a nassa

Genlisea: le piante carnivore necessitano di attrarre gli insetti anche per l'impollinazione dei loro fiori. Poche specie predano deliberatamente le api
Genlisea: le piante carnivore necessitano di attrarre gli insetti anche per l'impollinazione dei loro fiori. Poche specie predano deliberatamente le api

Le trappole a nassa sono tipiche della Sarracenia psittacina e, più elegantemente, della Genlisea, la pianta cavaturaccioli. In queste piante, che appaiono specializzate in protozoi acquatici, una foglia modificata a forma di "Y" consente l'entrata alla preda, ma non l'uscita.
Ciò avviene grazie a dei peli indirizzati verso l'interno che forzano la preda a muoversi in una particolare direzione. Entrando nell'apertura a spirale che serpeggia attorno le due braccia superiori della Y, le prede sono costrette a raggiungere inesorabilmente lo stomaco, l'apparato digestivo posto nel braccio inferiore della Y. Il movimento della preda si pensa sia incoraggiato anche dal movimento dell'acqua che attraversa la trappola, producendo un risucchio simile a quello generato dalle vescicole delle Utricolarie. Probabilmente questi due tipi di trappole sono relazionate dal punto di vista evolutivo.

[modifica] Piante semi-carnivore

Per essere considerata una carnivora completa, una pianta deve attirare, uccidere e digerire le prede, traendo beneficio dall'assorbimento dei prodotti della digestione (in particolare amminoacidi e azoto). Esistono alcuni tipi di piante che falliscono in alcune di queste fasi: se queste contino come carnivore è una questione di definizione, ardua per molti orticoltori, oppure di preferenza. Quindi si ha uno spettro di carnivorosità: da piante 'non-carnivore' (come il cavolo), a semi-carnivore, fino ad arrivare alle carnivore vere e proprie, includendo sia quelle con trappole semplici e non specializzate, come in Heliamphora, fino a quelle con meccanismi complessi ed evoluti, riscontrabili ad esempio nella venus acchiappamosche.

Roridula: è una pianta semi-carnivora che assorbe il nutrimento dalla "preda" attraverso gli escrementi di un insetto predatore
Roridula: è una pianta semi-carnivora che assorbe il nutrimento dalla "preda" attraverso gli escrementi di un insetto predatore

Piante semi-carnivore di particolare interesse sono le Roridula e la Catopsis berteroniana (quest'ultima è una bromeliacea come la Brocchinia). Le Roridula mostrano un'intricata relazione con le loro prede. Analogamente alle Drosera, le piante di questo genere presentano delle foglie adesive con ghiandole secernenti mucillagine, ma non beneficiano direttamente dell'insetto catturato. Infatti, grazie ad una simbiosi mutualistica con i reduvi assassini (Pameridea), che si nutrono degli insetti intrappolati, la pianta assorbe i nutrienti derivati dai loro escrementi.

Alcune specie di Martyniaceae (già Pedaliaceae), come l' Ibicella lutea, possiedono foglie adesive che intrappolano insetti ma non mostrano quella conclusività necessaria per essere considerate carnivore. Similmente, i semi della "borsa del pastore" (Capsella bursa-pastoris), le urne della Paepalanthus bromelioides e le brattee della Passiflora foetida appaiono catturare ed uccidere le prede, ma la loro classificazione come carnivore è tuttora discussa.

La produzione di specifici enzimi digestivi (proteasi, fosfatasi, ribonucleasi, ecc.) viene usata certe volte come criterio diagnostico per la carnivorosità. Tuttavia, questo metodo escluderebbe alcuni generi come Byblis, Heliamphora e Darlingtonia, generalmente accettati come carnivori, che in realtà presentano una simbiosi con dei batteri muniti di enzimi utili per la digestione delle prede. Il dibattito sulla definizione basata sull'attività enzimatica apre una questione riguardante la Roridula: non vi sono chiare ragioni per cui una pianta con batteri simbionti che, in seguito alla cattura, trae beneficio da essi può essere considerata carnivora, mentre il possesso di insetti simbionti ne esclude questa possibilità.

[modifica] Sistematica

La classificazione scientifica delle piante carnivore, ed in generale di tutte le piante a fiore, è in continuo mutamento:

Nel sistema Cronquist, le famiglie Droseraceae e Nepenthaceae sono incluse nell'ordine Nepenthales, in base alla simmetria radiale dei loro fiori e del tipo di trappola per la cattura degli insetti. Anche la famiglia delle Sarraceniaceae viene posta in quest'ordine.
Le Byblidaceae, Cephalotaceae e Roridulaceae appartengono all'ordine Saxifragales mentre le Lentibulariaceae alle Scrophulariales.

Con le moderne classificazioni, come quella dell'Angiosperm Phylogeny Group, le famiglie a cui appartengono le piante carnivore sono rimaste le medesime ma hanno subito una ridistribuzione all'interno dei vari ordini. il genere Drosophyllum viene considerato appartenere ad una famiglia monotipica, le Drosophyllaceae, che si discosta dalle Droseraceae e che probabilmente è più strettamente affine alle Dioncophyllaceae.
Di seguito è riportata una classificazione aggiornata dei generi che includono sia le piante carnivore che le semi-carnivore (per conoscere l'elenco completo delle specie, vedi qui):

Divisione Classe Ordine Famiglia Genere Tipo di trappola
Magnoliophyta Magnoliopsida Caryophyllales Dioncophyllaceae Triphyophyllum adesiva
Drosophyllaceae Drosophyllum adesiva
Droseracaeae

Aldrovanda
Dionaea
Drosera

a scatto
a scatto
adesiva

Nepenthaceae Nepenthes ascidio
Ericales
Roridulaceae Roridula adesiva
Sarraceniaceae

Sarracenia
Darlingtonia
Heliamphora

ascidio
ascidio
ascidio
Lamiales
Byblidaceae Byblis adesiva
Lentibulariaceae

Pinguicula
Genlisea
Utricularia

adesiva
a nassa
aspirante
Martyniaceae Ibicella adesiva
Oxydales
Cephalotaceae Cephalotus ascidio
Liliopsida
Poales
Bromeliaceae

Brocchinia
Catopsis

urna
urna
Eriocaulaceae Paepalanthus urna


[modifica] Evoluzione

La ricostruzione della evoluzione delle piante carnivore è difficoltosa a causa della esiguità dei ritrovamenti fossili. Sono stati trovati davvero pochi reperti, e tutto ciò che esiste sono semi o pollini.
Comunque alcune indicazioni si possono trarre per deduzione dalla struttura delle trappole attuali. Le trappole ad ascidio sono abbastanza chiaramente derivate da foglie arrotolate. I tessuti vascolari della Sarracenia lo dimostrano abbastanza chiaramente: la "chiglia" che corre lungo il fronte della trappola è formata da una serie di fasci vascolari, rivolti verso destra e verso sinitra, come predetto dalla fusione del margine fogliare. Anche le trappole adesive mostrano un semplice gradiente evolutivo da foglie collose, non-carnivore, attraverso lo stadio di adesive passive sino alle forme attive. Dati molecolari mostrano che il clade Dionaea/Aldrovanda è strettamente correlato a Drosera, ma le trappole sono abbastanza dissimili il che fa supporre che le trappole a scatto derivino da trappole adesive dotate di veloce motilità e quindi non più dipendenti dal meccanismo della adesività.

Esistono oltre 250mila specie di Angiosperme, ma di queste solo circa 600 sono conosciute come carnivore. Le vere carnivore si sono probabilmente evolute in modo indipendente almeno in dieci occasioni; tuttavia, alcuni di questi gruppi indipendenti sembrano discendere da un recente progenitore comune con predisposizione alla carnivorosità. Alcuni gruppi (Ericales e Caryophyllales) appaiono come un terreno particolarmente fertile per lo sviluppo di adattamenti carnivori, sebbene nel primo caso questo potrebbe essere dovuto all'ecologia del gruppo piuttosto che alla sua morfologia, dal momento che la maggior parte delle specie di Ericali crescono in habitat a basso contenuto di nutrienti, come le brughiere e le paludi.

Si presume che tutte le varie tipologie di trappole siano modificazioni di una simile struttura di base: le foglie pelose. Queste (o meglio le ghiandole pilifere) sono idonee alla cattura ed al trattenimento delle gocce di pioggia nelle quali posso proliferare dei batteri. Gli insetti che atterrano sulla foglia possono impantanarsi a causa della tensione superficiale dell'acqua, e così soffocare. I batteri, iniziando un processo di decomposizione, rilasciano i nutrienti derivati dal cadavere, che la pianta riesce ad assorbire tramite le sue foglie. Questa nutrizione fogliare può essere osservata in molte piante non-carnivore. Le piante che mostrano una migliore capacità di intrappolamento di insetti o d'acqua, possiedono un vantaggio selettivo poiché hanno accesso a più nutrienti rispetto a piante con minore efficienza. L'acqua piovana può essere raccolta nelle concavità delle foglie, precursori delle trappole ad ascidio. In alternativa, gli insetti possono essere catturati da foglie adesive producenti mucillagine, che portarono alla formazione delle trappole a "carta moschicida".

È possibile che le trappole ad ascidio si siano evolute semplicemente attraverso una pressione selettiva che ha causato un aumento della depressione nelle foglie concave, seguita dalla saldatura dei margini e dalla conseguente perdita dei peli ad eccezione del fondo, dove favoriscono l'intrattenimento della preda.

Le trappole a nassa della Genlisea possono essere interpretate come ascidi, costituiti da una foglia a forma di Y, che successivamente si sono specializzati ad impedire l'uscita della preda dalla struttura; o come trappole ad aspirazione in cui le protusioni che guidano la preda formano qualcosa di più sostanziale delle reti ad "imbuto" ritrovate in molte Utricolarie acquatiche. L'intrecciamento è un adattamento che porta sia ad un aumento della superficie di intrappolamento, sia alla possibilità di cattura in tutte le direzioni sepolte nel muschio. In questo caso, i peli si sono mantenuti fino a quando la trappola non si sviluppò più verticalmente, per permettere una maggiore estensione e non dipendere dalla gravità per la cattura delle prede al suo interno.

Le trappole ad aspirazione sono molto più difficili da spiegare, ma potrebbero derivare da ascidi che, venendo sommersi, si sono specializzati per la cattura di prede acquatiche, come fa attualmente la Sarracenia psittacina. Negli ascidi subaerei le prede possono scappare dalla trappola volando o arrampicandosi ma ciò viene spesso impedito dalla presenza di cera e dai tubi più stretti. Una trappola acquatica potrebbe aver portato, come in Utricularia, allo sviluppo di un coperchio formante la porta di una proto-vescicola. In seguito, questa divenne attiva con l'evoluzione di un vuoto parziale al suo interno, che si libera grazie al contatto della preda con i peli innescanti posti sulla porta della vescicola.

A livello evolutivo, le trappole adesive includono anche le trappole a scatto dell'Aldrovanda e della Dionaea. La produzione di mucillagine collosa è presente in molti generi non-carnivori, cosicché non è difficile capire come si siano evolute le trappole passive in Byblis e Drosophyllum. Le trappole attive richiedono una maggiore spiegazione. I rapidi movimenti delle foglie possono essere causati da una rapida crescita o da un cambiamento di turgore nelle cellule, che ne causa l'espansione o la contrazione per la veloce alterazione del loro contenuto d'acqua. Le trappole a lento movimento, come Pinguicula, sfruttano la crescita, ma la dionea usa un cambiamento più repentino. In questa pianta il movimento è così rapido che la sostanza adesiva è divenuta superflua e non viene più prodotta. Una volta createsi, le ghiandole (così evidenti in Drosera) si sono tramutate nei denti e nei peli innescanti della trappola a "tagliola"; un esempio di come la selezione naturale trasformi le strutture preesistenti per adibirle a nuove funzioni.

Recenti analisi tassonomiche delle relazioni tra le Caryophyllales indicano che le Droseraceae, Triphyophyllum, Nepenthaceae e Drosophyllum, taxa strettamente imparentati, sono parte di un ampio clade che include gruppi non-carnivori quali Tamarix, Ancistrocladaceae, Polygonaceae e Plumbaginaceae. È interessante notare che le foglie del Tamarix possiedono ghiandole specializzate nella secrezione di sali, così come parecchie Plumbaginaceae (p.es. Limonium), che possono essere state cooptate per la secrezione di altre sostanze quali proteasi e mucillagini. Alcune delle Plumbaginaceae (p.es. Ceratostigma) presentano sullo stelo anche delle ghiandole vascolarizzate che secernono mucillagine sul calice e sono d'aiuto per la disseminazione e per la protezione dei fiori dall'attacco di insetti parassiti. Queste strutture sembrano omologhe ai tentacoli di molti generi carnivori ed è più probabile che la carnivorosità si sia evoluta più da una funzione protettiva che direttamente da quella nutrizionale. Le Balsaminaceae (come il genere Impatiens) sono molto affini alle Sarraceniaceae ed alle Roridula e presentano sullo stelo delle ghiandole simili.

Le uniche trappole che si discostano dalla discendenza da foglie pelose o strutture affini, sono quelle delle bromeliacee carnivore (Brocchinia e Catopsis). Queste piante hanno utilizzato le loro urne, parti fondamentali della struttura di una bromeliacea, per un nuovo proposito, affidandosi alla produzione di cera e di altre armi tipiche delle carnivore.

[modifica] Ecologia e modello di carnivorosità

Le piante carnivore per quanto molto diffuse sono abbastanza rare: rappresentano circa 600 delle oltre 250.000 specie di piante a fiore. Si trovano quasi esclusivamente in habitat quali pantani e torbiere, dove i nutrienti nel suolo sono estremamente limitati mentre luce solare e acqua sono facilmente disponibili. Solo in tali estreme condizioni lo sviluppo di attitudini carnivore risulta favorito al punto da renderne ovvio l'adattamento.

La carnivora archetipica, la venus acchiappamosche, cresce in estreme condizioni ambientali. Il suolo nel quale si sviluppa contiene un livello di azoto e calcio molto basso rispetto al normale. Ciò costituisce un problema perché l'azoto è essenziale per la sintesi proteica ed il calcio per irrigidire la parete cellulare. Risultano bassi anche i livelli di fosfato, per la sintesi degli acidi nucleici, e di ferro, per la produzione della clorofilla. Il suolo inoltre si trova spesso sommerso, venendo così favorita la produzione di ioni tossici, come l'ammonio (NH4+), e rendendo il suo pH abbastanza acido, da 4 a 5. Lo ione ammonio può essere utilizzato dalla pianta come fonte di azoto, ma la sua alta tossicità ne causa dei danni.
L'habitat è caldo, soleggiato e constantemente umido; in esso la pianta trova una relativa piccola competizione con la bassa copertura prodotta dal muschio del genere Sphagum.
Questo tipo di habitat è tipico di molte piante carnivore, tant'è che queste hanno la popolare reputazione di piante di palude. Tuttavia esistono alcune carnivore che vivono in ambienti atipici, come la Drosophyllum lusitanicum, presente nelle aree marginali attorno al deserto, e la Pinguicula valisneriifolia, comune nei dirupi calcarei.

Qualsiasi modello che tenti di spiegare la carnivorosità deve rispondere al perché le carnivore siano così spesso ristrette ai siti fradici e soleggiati e chiedersi come possano sopravvivere lontano da essi.
In tutti i casi studiati, la carnivorosità mostra che le piante si accrescono e si riproducono utilizzando gli animali come fonte di azoto, fosforo e (possibilmente) potassio, quando le fonti usuali presenti nel suolo sono scarse o assenti. Esiste comunque uno spettro di dipendenza dalla preda animale. Le Drosere pigmee non sono capaci di usare i nitrati del suolo perché sono privi degli enzimi necessari (in particolare la nitrato reduttasi) e così dipendono quasi interamente dalla cattura della preda. La Pinguicula vulgaris può sfruttare le fonti inorganiche d'azoto meglio di quelle organiche, ma una miscela di entrambe porta ad una migliore crescita di quella che potrebbe avvenire adoperandone una sola. Le Utricolarie europee sembrano in grado di utilizzare in uguale misura entrambe le fonti. Le prede animali suppliscono alla carenza di nutrienti nel suolo, ma in misura differente nelle differenti piante.

In generale, le piante usano le loro foglie per intercettare la luce solare. L'energia luminosa serve per ridurre l'anidride carbonica dell'aria con gli elettroni dei legami chimici dell'acqua, producendo zuccheri (ed altra fitomassa) e liberando ossigeno durante il processo di fotosintesi. Nelle foglie avviene anche la respirazione cellulare, necessaria per la produzione di energia chimica, derivata dalla degradazione della fitomassa. Questa energia, accumulata temporaneamente sotto forma di ATP, è indispensabile per far avvenire quelle reazioni metaboliche che sono alla base della vita delle cellule di tutti gli esseri viventi. La respirazione cellulare ha come prodotto finale la CO2, che viene immessa nell'atmosfera.

Affinché possa crescere, una pianta deve fotosintetizzare più di ciò che consuma con la respirazione. Infatti, se avvenisse il contrario, la pianta degraderebbe gradualmente la sua biomassa fino a morire. Il potenziale di crescita di una pianta è quindi dato dal valore netto della fotosintesi, uguale alla biomassa totale acquisita con la fotosintesi meno la biomassa consunta dai processi respiratori. Un'attenta analisi del rapporto costo-beneficio è importante per capire e spiegare la carnivorosità delle piante.

Nelle piante carnivore, le foglie non sono usate solo per la fotosintesi, ma anche come trappole. Sfortunatamente, cambiando la forma della foglia per ottenere una trappola migliore, viene diminuita in tal modo l'efficienza fotosintetica (per esempio, gli ascidi tendono ad essere eretti verticalmente e solo l'opercolo può intercettare direttamente la luce). La pianta deve spendere energia extra anche per strutture non-fotosintetiche come ghiandole, peli, sostanze adesive ed enzimi digestivi. La fonte di energia adoperata è sempre l'ATP e ciò implica un aumento della respirazione cellulare rispetto alla sua biomassa. Quindi, una pianta carnivora dovrà diminuire la fotosintesi ed incrementare la respirazione, ottenendo un potenziale di bassa crescita a causa degli alti costi richiesti dalla carnivorosità.

Il vantaggio della carnivorosità è costituito dall'azoto e dal fosforo delle prede. Essere carnivora consente alla pianta di crescere meglio sui terreni poveri di queste sostanze. In particolare un apporto supplementare di azoto e fosforo rendono la fotosintesi più efficiente, in quanto la fotosintesi dipende dalla capacità della pianta di sintetizzare grandi quantità dell'enzima rubisco (ribulosio-1,5-difosfato carbossilasi/ossigenasi), che è la proteina più abbondante sulla terra. La ricaduta della carnivorosità è quindi una fotosintesi più efficiente.

A questo punto, occorre fare delle comparazioni. È intuitivamente chiaro che la Dionea è più carnivora rispetto alla Triphyophyllum peltatum: la prima è una trappola a scatto attiva a tempo pieno, la seconda è una trappola adesiva passiva part-time. Ma la Dionea è più carnivora di una pianta ad ascidio? L'energia spesa per la costruzione ed il funzionamento della propria trappola è una misura idonea per calcolare la carnivorosità della pianta.

Figura 1. Modelli di pianta carnivora: fotosintesi lorda, respirazione e fotosintesi netta come funzione dell'investimento della pianta nell'adattamento  alla carnivorosità. Un optimum diverso da zero si verifica negli habitat ricchi di luce ma con presenza di nutrienti nel suolo molto limitante.
Figura 1. Modelli di pianta carnivora: fotosintesi lorda, respirazione e fotosintesi netta come funzione dell'investimento della pianta nell'adattamento alla carnivorosità. Un optimum diverso da zero si verifica negli habitat ricchi di luce ma con presenza di nutrienti nel suolo molto limitante.

Usando questa misura dell'investimento in carnivorosità si può ipotizzare un modello. Nella figura 1 è mostrato il grafico dell'assorbimento di anidride carbonica (potenziale di crescita) rapportato alla respirazione della trappola (investimento in carnivorosità) per una foglia in un terreno soleggiato e che non contiene alcun elemento nutritivo.

La respirazione si presenta come una linea retta che scende al di sotto dell'asse orizzontale (produzione di anidride carbonica). La fotosintesi lorda è una linea curva al di sopra dell'asse orizzontale: all'aumentare dell'investimento aumenta la fotosintesi della trappola, dal momento che la foglia riceve un maggior apporto di azoto e fosforo.

Comunque questo vantaggio non dura per sempre. In realtà altri fattori (come la intensità della luce o la concentrazione di anidride carbonica) possono risultare più limitanti per la fotosintesi di quanto non lo sia l'apporto di azoto e fosforo. Ne consegue che l'ulteriore incremento dell'investimento non si tradurrà in una migliore crescita della pianta. Perché la pianta sopravviva l'assorbimento netto della anidride carbonica, e quindi il potenziale di crescita della pianta, deve essere positivo. C'è un ampio margine di investimento in cui ciò avviene, con un optimum diverso da zero. Le piante che investono più o meno di questo optimum assumeranno una quota di anidride carbonica maggiore o minore di quello della ipotetica pianta ottimale, e quindi cresceranno meno bene. Queste piante andranno incontro ad uno svantaggio selettivo. Con un investimento nullo in carnivorosità anche la crescita sarà nulla, poiché una pianta non-carnivora non potrà sopravvivere in un habitat dove il suolo è assolutamente privo di nutrienti. Nessun habitat reale è così stressante, così anche le non-carnivore possono vivere in alcuni habitat come le carnivore. In particolare, lo Sfagno o torba bionda, è in grado di assorbire in maniera molto efficiente le piccole quantità di nitrati e fosfati presenti nella pioggia, e stabilisce inoltre rapporti simbiotici con i cianobatteri diazotrofici.

Figura 2. Modelli di pianta carnivora: fotosintesi lorda, respirazione e fotosintesi netta come funzione dell'investimento della pianta nell'adattamento  alla carnivorosità. Un optimum con investimento nullo si ha in habitat con poca luce e suolo ricco di nutrienti.
Figura 2. Modelli di pianta carnivora: fotosintesi lorda, respirazione e fotosintesi netta come funzione dell'investimento della pianta nell'adattamento alla carnivorosità. Un optimum con investimento nullo si ha in habitat con poca luce e suolo ricco di nutrienti.

In un habitat con abbondanti nutrienti ma poca luce (figura 2), la curva della fotosintesi lorda sarà più bassa e più piatta, perché la luce sarà maggiormente limitante dei nutrienti. Una pianta può crescere ad investimento zero in carnivorosità; inoltre, questo è anche l' optimum d'investimento per la pianta perché ogni impiego d'energia per la formazione di trappole riduce il valore di fotosintesi netta e, quindi, la crescita della pianta, la quale ottiene i suoi nutrienti soltanto dal suolo.

Le piante carnivore si collocano tra questi due estremi: meno limitanti sono la luce e l'acqua, più limitanti risultano i nutrienti del suolo, più alto sarà l' optimum di investimento in carnivorosità, e quindi più ovvio l'adattamento apparirà all'osservatore casuale.

La maggiore evidenza per questo modello è data dal fatto che le piante carnivore tendono a svilupparsi in habitat dove acqua e luce sono abbondanti e dove la competizione è relativamente bassa: la normale zona paludosa. Quelle che crescono in altri habitat richiedono maggiori garanzie per sopravvivere: il Drosolium lusitanicum cresce in condizioni di scarsità d'acqua, ma esige molta più luce e meno competizione della maggior parte delle altre piante carnivore. La Pinguicula valisneriifolia cresce su terreni con alti livelli di calcio, ma richiede una forte illuminazione e minore competizione di molte altre del suo genere.

In generale, le piante carnivore sono scarsamente competitive, perché investono troppo pesantemente in strutture che non risultano vantaggiose in habitat ricchi di nutrienti. Esse sopravvivono perché possono sottoporsi a stress nutrizionali molto più alti rispetto alle non-carnivore: hanno successo perché altre piante falliscono. Infatti, le carnivore stanno ai nutrienti come i cactus stanno all'acqua. La carnivorosità risulta vantaggiosa solo quando lo stress nutritivo è molto alto e la luce è abbondante. Quando queste condizioni non si verficano, alcune piante sono in grado di fare temporaneamente a meno della carnivorosità. È il caso di alcune specie di Sarracenia che in inverno producono foglie piatte, non carnivore. In questa stagione infatti i livelli di luce sono più bassi che in estate e quindi la luce risulta più limitante dei nutrienti, il che rende la carnivorosità meno vantaggiosa. La mancanza di insetti per le basse temperature accentua inoltre il problema. Qualsiasi danno alle foglie con gli ascidi può impedirgli di formare ascidi funzionanti, favorendo invece la produzione di fillodii da parte della pianta: la produzione di una trappola difettosa e inefficiente non vale l'energia impiegata per costruirla.

Molte altre carnivore vanno in dormienza in alcune stagioni: le Drosere tuberose si tramutano in tubero durante la stagione secca; le Utricolarie producono delle gemme invernali e foglie non-carnivore vengono generate da molte Pinguicole e dalla Cephalotus nella stagione meno favorevole. La carnivorosità part-time nella Triphyophyllum peltatum porta ad un alto fabbisogno di potassio in un determinato momento del ciclo vitale, prima della fioritura.

Più una pianta è carnivora, più è probabile che il suo habitat sia convenzionale. La Venus acchiappamosche vive in un habitat molto stereotipico e specializzato, laddove piante meno carnivore (Byblis, Pinguicula) si trovano in habitat più inusuali (cioè quelli tipici per le non-carnivore). Byblis e Drosophyllum provengono entrambe da regioni relativamente aride e sono entrambe delle moschicide passive, risultando essere palesemente le forme di trappola a più basso mantenimento. La Dionea filtra le proprie prede usando i dentelli sul bordo della trappola, per non sprecare più energia nel digerire di quella restituita dal contenuto calorico delle prede. In ogni situazione evolutiva essere il più pigri possibile paga, perché l'energia può essere investita nella riproduzione, e per quanto concerne l'evoluzione della specie, ai benefici a breve termine nella riproduzione sopravanzeranno sempre benefici a lungo termine in qualsiasi altro campo.

La carnivorosità paga molto raramente: perfino le stesse piante carnivore la evitano quando la luce è poco intensa o quando vi sono facili fonti di nutrienti, usando così quelle caratteristiche carnivore che sono richieste essenzialmente per per un determinato periodo o per la cattura di una preda. In natura si hanno pochissimi habitat così stressanti da indurre l'assimilazione della biomassa tramite la creazione di peli ghiandolari e specifici enzimi. Molte piante beneficiano occasionalmente delle proteine animali in decomposizione sulle foglie, ma è raro che tale comportamento carnivoro sia notato da un osservatore casuale.

La sorprendente carenza di bromeliacee carnivore può esserci istruttiva: queste piante mostrano molto bene dei pre-adattementi alla carnivorosità; comunque, solo una o due specie possono venire classificate come vere carnivore. La maggior parte delle bromeliadi sono epifite, e la maggior parte delle epifite cresce parzialmente all'ombra sui rami degli alberi. È da notare che la Brocchinia reducta si accresce invece sul terreno. Per la loro forma ad urna, le bromeliacee trarrebbero un gran beneficio dai nutrienti derivati dall'ingresso delle prede al loro interno. In questo senso, molte bromeliacee sono delle probabili carnivore, ma i loro habitat sono troppo bui affiché si possano evolvere i riconoscibili caratteri carnivori.

[modifica] Coltivazione

Sebbene le differenti specie di piante carnivore abbiano differenti richieste in termini di esposizione, umidità, terreno, etc., esse hanno alcune caratteristiche comuni.

La maggior parte delle carnivore richiede acqua piovana, o acqua che sia stata distillata o deionizzata per osmosi inversa.

Le acque comuni posseggono infatti minerali (in particolare sali di calcio) che possono rapidamente uccidere la pianta. Ciò è dovuto al fatto che la maggior parte delle specie carnivore si sono evolute in suoli acidi e poveri di nutrienti e di conseguenza sono estremamente calcifughe. Sono quindi molto sensibili ad un eccesso di nutrienti nel terreno. Dal momento che la maggior parte di queste piante hanno il loro habitat nei pantani, quasi tutte sono molto intolleranti al secco. Ci sono delle eccezioni quali drosere tuberose che richiedono un periodo di riposo estivo secco, e la Drosophyllum che richiede condizioni più secche della maggior parte delle altre carnivore.

Le piante carnivore coltivate in esterno generalmente catturano insetti più che a sufficienza per far fronte alle proprie necessità di nutrienti. In caso di carenza si possono somministrare manualmente insetti per integrare la dieta della pianta; la somministrazione di altro tipo di nutrienti (es. pezzi di carne!) è assolutamente sconsigliata in quanto possono portare alla morte della trappola e dell'intera pianta.

Una pianta carnivora che non cattura insetti morirà raramente, ma la sua crescita sarà ridotta. In generale è meglio lasciare che sia la pianta stessa ad adottare i propri accorgimenti: dopo l'innaffiatura con acqua di rubinetto, la più comune causa di morte per la Dionea è rappresentata dalla stimolazione artificiale delle trappole per vederle chiudere, alimentandole con formaggi o altri oggetti inappropriati.

Molte piante carnivore richiedono un ambiente soleggiato, che renderà il loro aspetto migliore poiché le incoraggia a sintetizzare pigmenti antocianini rossi e violacei. Molte specie, ad eccezione delle specie di Nepenthes e Pinguicula, amano la luce solare diretta.

Le carnivore vivono frequentemente nelle paludi o comunque in habitat tropicali e quindi necessitano di una elevata umidità. Su piccola scala, questa condizione può essere ottenuta posizionando la pianta in un ampio sottovaso, contenente dei ciottoli mantenuti costantemente bagnati. Le piccole specie di Nepenthes crescono bene in larghi terrari.

Molte carnivore dei climi temperati, sebbene non sopportino il forte gelo, possono essere poste all'esterno per la maggior parte dell'anno. Le Nepenthes sp., essendo tropicali, richiedono invece una temperatura dai 20 ai 30°C per sopravvivere.

Le carnivore necessitano di un appropriato suolo povero di nutrienti. Molte di esse apprezzano una mistura di torba di Sphagnum e sabbia orticola in rapporto 3:1. La fibra coir, ricavata dalle noci di cocco, è un accettabile sostituto della torba, essendo inoltre più ecologica. Le Nepenthes cresceranno meglio in un compost per orchidee od in substrato di Sphagnum puro.

Ironicamente, le piante carnivore sono esse stesse suscettibili alle infestazioni da parte di insetti parassiti, quali gli afidi o le cocciniglie. Anche se le piccole infestazioni possono essere rimosse direttamente con le mani, le più grandi richiedono l'intervento di insetticidi. L'alcol isopropilico è efficiente come gli attuali insetticidi; il diazinone, oltre ad essere eccellente, viene ben tollerato da molte carnivore, così come il malathion e l'acephate.

Sebbene gli insetti possano causare dei problemi, il pericolo maggiore per l'esistenza delle carnivore è rappresentato dalla botrite, o muffa grigia, una malattia causata dal fungo parassita Botrytis cinerea. Questi prospera in condizioni caldo-umide e può essere un problema durante l'inverno. In una certa misura, le piante carnivore temperate si possono proteggere da questo patogeno, ponendole in un ambiente fresco e ben ventilato d'inverno e rimuovendo prontamente ogni foglia morta. Se questi accorgimenti risultassero inutili, si può intervenire con l'uso di un funghicida.

Per i neofiti, le più facili carnivore da coltivare sono sicuramente quelle provenienti dalle zone freddo-temperate. Queste piante cresceranno meglio in un fresco ambiente da serra (minimo 5°C in inverno, massimo 25°C d'estate) se poste in un ampio vaso con acqua acidificata o piovana durante l'estate e mantenute umide d'inverno. Fra le specie più comuni ricordiamo:

  • Drosera capensis: drosera dalle attraenti foglie a nastro, fiori rosa, molto tollerante ai maltrattamenti.
  • Drosera binata: grandi dimensioni e foglie a forma di Y.
  • Sarracenia flava: attraenti foglie venose e fiori gialli in primavera.
  • Pingicula grandiflora: bellissimi fiori lillà in primavera, va in ibernazione chiudendosi in un bocciolo (hibernaculum) in inverno. Capacissima di adattarsi ad ambienti sfavorevoli.
  • Pingicula moranensis: fiori rosa, foglie non-carnivore in inverno.
  • Darlingtonia californica, la pianta cobra: ha foglie dall'aspetto vistoso, con fiori viola e fiori verde limetta, ha bisogno di essere copiosamente annaffiata con acqua fredda durante i mesi estivi.

Anche la Dionea crescerà bene in queste condizioni ma avrà bisogno di maggiori attenzioni: anche se ben trattata, spesso soccombe d'inverno se la muffa grigia non sarà ben ventilata. Alcune Nepenthes di pianura sono molto facili da coltivare finché si provvederà a fornir loro delle condizioni caldo-umide costanti.

[modifica] Le piante carnivore nell'immaginario collettivo

Fin dai tempi della loro scoperta, le piante carnivore hanno suscitato un grande interesse da parte degli autori di romanzi d'avventura, dell'orrore e opere simili, specialmente con ambientazioni esotiche. Non raramente le piante carnivore appaiono di proporzioni tali da essere pericolose per l'essere umano, nonché dotate di tentacoli capaci di avviluppare una preda di passaggio. Queste storie potrebbero avere origine da presunti fatti di cronaca (mai verificati e altamemente improbabili), come quello riportato il 26 settembre del 1920 da The American Weekly, secondo cui una pianta carnivora avrebbe divorato una ragazza in Madagascar nel 1878 (la stessa rivista riportò un fatto analogo che sarebbe avvenuto nel 1925 nelle Filippine).

Fra gli esempi più recenti di piante carnivore in letteratura si può citare la pianta carnivora dall'appetito insaziabile del film horror comico La piccola bottega degli orrori di Frank Oz (1986); ma anche alcuni personaggi dei Pokémon evidentemente ispirati a piante dei generi Sarracenia e Nepenthes. Queste piante appaiono anche in una scena all'interno della serra di Minority Report

Dal mito della pianta carnivora derivano probabilmente anche altre celebri "piante assassine"; in particolare si possono citare i trifidi del romanzo di fantascienza Il giorno dei trifidi di John Wyndham, dal quale è stato tratto il film L'invasione dei mostri verdi. I trifidi della storia sono piante capaci di sradicarsi e spostarsi da sole, uccidendo le vittime con una coda come quella dello scorpione che porta un pungiglione velenoso. Il libro lascia nel mistero se i trifidi siano intelligenti o no. Da ricordare la misteriosa "ambrosia gigante" del brano Il ritorno dell'ambrosia gigante (The return of the Giant Hogweed) dei Genesis (dall'album Nursery Cryme). In La vita di Pi di Yann Martel, Pi arriva su un'isola di alghe che poi scoprirà essere carnivore.

I video giochi di Super Mario Bros della Nintendo ne hanno uno con una pianta piranha, nemico simile a una dionea. Queste piante hanno quasi sempre l'aspetto di uno stelo ricoperto di fogliame e che termina in cima con un globo verde o rosso a macchie bianche, tagliato da una fessura dall'aspetto molto simile a quello di una bocca dai denti bianchi. Alcune piante in Edanna Age nel videogioco Myst III: Exile possono intrappolare gli animali. Uno dei problemi da risolvere per vincere consiste nel liberare una creatura dalla forma di uccello da una pianta simile a quelle del genere Nephentes. Una pianta simile alle Nephentes, una creatura insettivora dotata di ascidi, appare in The Elder scrolls IV: Oblivion. A differenza delle piante del suo genere, non produce però sostanze nutritive per le vittime. Il motivo di ciò, insieme alla presenza di altre piante piante che non assolvono ad alcuna funzione nel gioco, non è del tutto chiara.

Nell'espansione del videogioco: Age of Mythology: The Titans, si può richiamare un'entità che si può mettere in funzione chiamata Carnivora, una pianta carnivora che assomiglia a una dionea gigante che attacca con viticci simili a tentacoli e può attrarre a sé e divorare prede della grandezza di un cavallo. È possibile richiamare anche una versione acquatica della stessa .In MMORPG World of Warcraft ci sono nemici sotto forma di piante carnivore chiamate lashers, ("frustanti") dotate di un bulbo floreale sulla cima e in cui un groviglio di viticci e radici hanno la funzione di vere e proprie zampe. Attaccano servendosi di due viticci, vere e proprie fruste che crescono sullo stelo principale e hanno quasi l'aspetto di braccia. Si trovano di solito nell'area-tema della giungla preistorica, lo Un'Goro Crater ("Il cratere Un'Goro"), anche se si possono trovare in altre zone, quali la Maraudon (che suona più o meno in italiano come "zona dell'abbandono") e nelle Wailing Caverns ("Grotte del Pianto" o "Grotte Piangenti"). Molte altre piante carnivore appaioni in altri MMORPGs.

Nel libro della serie Deltora Quest ("Alla ricerca di Deltora") di Emily Rodda vi sono piante carnivore chiamate grippers (gripper = chi stringe, afferra). Assomigliano a bocche dentate che crescono nella terra, coperte da foglie simili a quelle dei cavoli e che si aprono per farvi cadere la vittima che ci mette i piedi sopra, considerate pericolose per le persone.

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