Caltabellotta
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Stato: | ![]() |
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Regione: | ![]() |
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Provincia: | ![]() |
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Coordinate: |
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Altitudine: | 949 m s.l.m. | ||
Superficie: | 123,55 km² | ||
Abitanti: |
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Densità: | 34,43 ab./km² | ||
Frazioni: | Sant'Anna | ||
Comuni contigui: | Bisacquino (PA), Burgio, Calamonaci, Chiusa Sclafani (PA), Giuliana (PA), Ribera, Sambuca di Sicilia, Sciacca, Villafranca Sicula | ||
CAP: | 92010 | ||
Pref. tel: | 0925 | ||
Codice ISTAT: | 084007 | ||
Codice catasto: | B427 | ||
Nome abitanti: | caltabellottesi | ||
Santo patrono: | San Pellegrino | ||
Giorno festivo: | 18 agosto | ||
Sito istituzionale | |||
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Caltabellotta (Cataviddotta in lingua siciliana) è un comune di 4.254 abitanti della provincia di Agrigento.
Indice |
[modifica] Amministrazione comunale
Sindaco: Calogero Pumilia dal 14/06/2004
Centralino del comune: 0925 951013
Email del comune: info@comune.caltabellotta.ag.it
[modifica] Evoluzione demografica
Abitanti censiti
[modifica] Storia di Caltabellotta
Dal regno sicano di Cocalo, alla contea della famiglia Peralta (XIII sec. a. C. – XIV sec. d. C.)
Adagiata sul Kratas, un lembo meridionale dei Monti Sicani, sorge una delle più antiche città della Sicilia: Caltabellotta. La sua posizione straordinariamente forte ha fatto di questa cittadina montana un punto strategico rilevante che l’ha resa protagonista, per oltre duemila anni, della storia di tutto il territorio che va dal fiume Belice al fiume Platani. Contesa, dominata, saccheggiata e distrutta dai popoli che hanno occupato la nostra Sicilia, è sempre riuscita a sopravvivere e a rigenerarsi cambiando talvolta la sua ubicazione e perfino la sua onomastica. Due grotte, situate sulla cima del Monte S. Pellegrino, riportano le sue origini ad un’età preistorica. Le quattro necropoli che circondano la città attestano una presenza sicana riconducibile all’età del bronzo antico. Sul vicino monte Gulèa in età protostorica si formò il primo nucleo di un insediamento che, estesosi prima al contiguo terrazzo S. Benedetto e poi ai villaggi vicini, diede vita alla città di Inycon. L’acropoli inizialmente sorse sulla cima del monte Gulèa, ma intorno al XIII sec. a.C. la sede reale venne trasferita sulla vicina rupe denominata Camico, oggi Gogàla, eponimo del suo illustre sovrano, Cocalo. Divenuta leggendaria per aver resistito a cinque anni di assedio, viene oggi annoverata tra le più famose acropoli dell’antichità, insieme alle coeve Micene, Pergamo di Troia e Cadmea di Tebe. La città raggiunse un elevato sviluppo nel VI sec. a.C. ma, a seguito della sua ellenizzazione, dovette cambiare il suo nome sicano Inycon, ricordato per l’ultima volta da Erodoto e da Platone (V sec. a.C.), in quello greco di Triokala, citato per la prima volta da Filisto di Siracusa (V sec. a.C.). Il nuovo toponimo sintetizza tre qualità vantaggiose: abbondanza d’acqua, fertilità del suolo ed un forte sistema difensivo (Diodoro). Nel 258 a.C., nel corso della prima guerra punica, la città venne distrutta dai Romani (R. Panvini). Ma, a differenza di tutti gli altri centri sicani fortificati di cui si è persa la memoria, essa tornò a rivivere perché i suoi abitanti rifondarono Trokalis (la Nuova Triokala) nei pressi della vicina frazione di S. Anna, oggi denominata contrada Troccoli (V. Giustolisi). La Gogàla visse le stesse vicende della vecchia città, ma la sua storia non si fermò al III sec. a.C. perché successivamente venne chiamata a suggellare altri eventi straordinari Nel corso della seconda guerra servile (104-99 a.C.) il capo degli schiavi Salvio Trifone, avendo deciso di evitare la città ritenendola causa di inerzia e di neghittosità (Diodoro), si insediò con i suoi 40.000 uomini sul terrazzo di S.Benedetto e sulla rupe Gogàla riportando in vita la città distrutta dai Romani, ma soltanto per cinque anni perché lo scontro si concluse con la disfatta degli insorti. I mille schiavi superstiti, guidati da Satiro, preferirono togliersi la vita piuttosto che combattere contro le fiere nell’arena, segnando con il loro sacrificio una delle pagine più nobili della storia. Sotto il dominio romano e poi sotto quello bizantino Trokalis dovette sopportare, per oltre dieci secoli, le condizioni di città tributaria. Con il trionfo del Cristianesimo la città divenne sede di una delle più grandi diocesi della Sicilia, i cui confini ancora una volta furono segnati dai fiumi Platani e Belice. Si tramanda che il suo primo vescovo fu S. Pellegrino, venuto da Lucca di Grecia. Nel IX sec. d.C. la popolazione, minacciata dalle incursioni saracene, fu costretta a tornare nuovamente sulle cime del Kratas dove, su un angolo della Gogala, oggi denominato Terravecchia, diede vita ad un nuovo insediamento cui venne attribuito il nome Balateta (R. Pirro). Subentrati gli Arabi (860-1091) il borgo adottò il nome Qal al at Balat, rocca delle querce, da cui l’odierna Caltabellotta. Cacciati nel 1091 dal conte Ruggero, gli Arabi furono costretti trasferirsi nella vicina Sciacca dove si insediarono in quel quartiere che ancora oggi porta il nome di Ràbato. Ad essi si sostituirono i Normanni i quali chiusero la via di accesso di Qal al at Balat con una cinta muraria e due porte (Salvo Porto e S. Salvatore). La loro presenza durò fino al 29 dicembre 1194, quando Guglielmo III, l’ultimo erede al trono normanno, e sua madre, la regina Sibilla, vennero prelevati con l’inganno dal castello di Caltabellotta, dove si erano rifugiati, e, accusati di aver ordito una congiura contro Enrico VI di Svevia, vennero arrestati e condotti prigionieri in Germania. Ad essi subentrò la dinastia sveva. Nel 1270 nello stesso castello venne festeggiato il ritorno di Guido d’Ampierre dalla crociata condotta da S. Luigi IX re di Francia e in quell’occasione parteciparono al sontuoso banchetto molti nobili che vennero rallegrati dal più famoso menestrello dell’epoca, Adam le Roi. Scoppiata la Rivoluzione del Vespro (31 marzo 1282), Caltabellotta seguì l’esempio dei palermitani. La guerra tra Angioini ed Aragonesi si concluse il 29 agosto 1302 con il trattato di pace che venne firmato a Caltabellotta e Federico III d’Aragona, venuto in soccorso dei Siciliani, divenne re di Sicilia col titolo di Federico II. Il dominio spagnolo segnò la decadenza della centralità politica ed amministrativa di Caltabellotta ed il suo territorio venne frazionato in contee. Nel 1338, per volontà del re Pietro II d’Aragona, fu nominato primo conte di Caltabellotta l’ammiraglio del regno, Raimondo Peralta. Nell’estate del 1400, a seguito delle nozze tra Artale de Luna e Margherita Peralta Chiaramonte, figlia di Guglielmo, la contea passò alla famiglia dei Luna che ricevette in dote le terre e i castelli di Bivona, Cristia, Giuliana, Poggio Diana e Sciacca. La presenza spagnola si protrasse fino al 1713 quando la Sicilia venne assegnata al piemontese Amedeo II e, dopo una breve presenza austriaca, nel 1734 venne unita al regno borbone di Napoli. Il resto è storia recente. La frammentazione del suo territorio e la proliferazione di una miriade di feudi favorì la nascita di piccole borgate che nel tempo progredirono in prosperosi centri urbani. La città vide incrementare anno dopo anno la popolazione ed il territorio di Bisacquino, Bivona, Burgio, Giuliana, Prizzi, Sambuca e Sciacca, già piccoli insediamenti arabi, e tra il XIII ed il XVII secolo tutto il comprensorio venne costellato di nuovi centri rurali: S. Stefano Quisquina (XIII secolo); Chiusa Sclafani (1320); Salaparuta (XIV secolo), Contessa Entellina e Palazzo Adriano (1450); Villafranca Sicula (1499); Alessandria della Rocca (1570); S. Margherita Belice e Montevago (1572); Calamonaci (1574); S. Anna e Lucca Sicula (1622); S. Carlo (1628); Ribera (1630); Cianciana (1640); Menfi (XVII sec.). Oggi Caltabellotta non è più titolare di quel potere politico ed amministrativo che un tempo appartenne alla capitale del regno sicano di Cocalo, ma ha conservato il privilegio di poter dominare (virtualmente) dall’alto del suo Castello Luna tutti i centri urbani che nelle serene notti d’estate, con i loro brillanti luccichìi, segnalano l’area e i confini entro i quali un tempo si ergevano i suoi imponenti castelli.
[modifica] Il Castello Luna o della Regina Sibilla
I due nomi del castello di Caltabellotta, che da alcuni è chiamato Conte Luna e da altri della Regina Sibilla (per distinguerlo dall’omologo di Sciacca) derivano: il primo dalla famiglia più importante che, nel corso dei secoli, ne ha detenuto per più tempo la castellania; il secondo da un fatto storico avvenuto all’interno di esso. Pochi segni rimangono di quella che doveva essere un’inespugnabile roccaforte; solamente un muro, un significativo portale e le fondamenta di alcuni vani resistono alle ingiurie del tempo. Anche se dal punto di vista architettonico poco è conservato, tuttavia è sempre entusiasmante salire lungo la ripida scalinata incastonata nella roccia, che permette di raggiungere la vetta a quota 949, comunemente detta il Pizzo, sulle cui pendici sorgevano le possenti mura dell’antico maniero. Carichi di leggenda e di storia, i pochi ruderi rimasti riescono ancor oggi ad infondere nel visitatore il fascino dell’antico Medioevo. Là, in alto, lo sguardo del visitatore può spaziare a 360 gradi ed è possibile ammirare uno splendido paesaggio, dall’entroterra siciliano fin dentro il mare africano, che non fa rimpiangere la limitatezza delle strutture castellane. Ci si rende così conto dell’importanza strategica che ebbe fino a quando, negli ultimi secoli del Medioevo, raggiunse il suo massimo splendore. Da lassù sono facilmente visibili: il castello di Giuliana, per qualche tempo pure dei Peralta; i resti del castello di Cristia, inerpicato su un promontorio sopra l’abitato di S. Carlo (Pa), che nel XIV secolo fu di notevole importanza strategico-militare nelle vicende che insanguinarono la Sicilia di allora; il castello saraceno di Burgio; il castello di Poggiodiana, posto al confine fra il territorio di Caltabellotta e di Ribera, di cui rimangono splendide vestigia e il Castello Luna di Sciacca, appartenuto alla stessa potentissima famiglia. Il castello di Caltabellotta pare sia stata riedificato nel 1090 all’arrivo dei Normanni. Tale riedificazione pertanto è avvenuta contemporaneamente a quella della chiesa della Madonna della Raccomandata, successivamente dedicata a S. Francesco di Paola, e alla chiesa del Salvatore, ubicata alle pendici del monte, la cui porta originaria era rivolta proprio in direzione del castello. Aldilà degli aneddoti popolari tramandati oralmente, è storicamente accertato che il castello di Caltabellotta, comunque lo si voglia chiamare, fu il luogo in cui venne ospitata la regina Sibilla e dove risiedeva, preferibilmente, la famiglia Luna al tempo del “Caso di Sciacca”. Nel 1194, infatti, morto re Tancredi cui successe il figlio Guglielmo III ancora fanciullo, la regina madre Sibilla cercò di organizzare la resistenza nell'isola contro lo svevo Arrigo VI, che avanzava alla conquista del regno di Sicilia e per prima cosa si preoccupò di mettere in salvo il giovane re e le altre tre figlie in questa sicura e inaccessibile rocca. Essendo il Pizzo un punto preminente rispetto ai territori circostanti e Caltabellotta luogo abitato fin dal tempo dei Sicani, certamente nei millenni sarà stato sempre adibito a posto di vedetta, considerando anche che, in giornate particolarmente favorevoli, è possibile potere osservare, a oriente, l’Etna quando è in attività, l’isola di Pantelleria e un notevolissimo numero di centri abitati. Vari avvenimenti saranno sicuramente avvenuti all’interno di questo maniero. Secondo alcuni storici si vuole che nel novembre del 1270 sia stato tenuto al suo interno un famoso banchetto da Guido di Dampierre conte di Fiandra il quale, sbarcato a Trapani di ritorno dalla Crociata fatta con re Luigi IX di Francia, che in quell'impresa trovò morte e santità, volle festeggiare i suoi compagni d'arme assieme a re Carlo d'Angiò. Il nome di questo castello è ricordato anche, in una sua novella, dal Boccaccio (Decamerone giorn. 10.7). In essa si narra che attorno al 1282, la giovane Lisa Puccini invaghitasi perdutamente di re Pietro d'Aragona, quasi a morirne, pregò un valente trovatore di raccontare al re, in versi, la sua pena. Re Pietro commosso da tanto amore si recò da lei, che dalla gioia fu subito guarita, e le diede in sposo il nobile giovane Perdicone e in dote il castello e le terre di Caltabellotta. Verso la fine del XIII secolo divenne proprietà prima dell’Abate Barresi e poi di Federico di Antiochia; in seguito passò a Raimondo Peralta, che ottenne da Pietro II il titolo di Conte di Caltabellotta, e più tardi a suo figlio Nicolò la cui erede, Margherita, andò in sposa ad Artale Luna. Il maniero rimase alla famiglia Luna per più di due secoli fino al 1673 quando ne divenne castellano Ferdinando d’Aragona Moncada; per successive eredità passò ad Antonio Alvares Toledo duca di Bivona (1754) dopo di che il castello decadde.
[modifica] Il Palazzo Bona
Il più importante palazzo nobiliare di Caltabellotta si affaccia, con un fronte di circa 25 metri, sulla discesa Barone Scunda (dal nome del feudo della famiglia che lo ha detenuto per almeno tre secoli) e nella quale è ubicato l'ingresso principale. Esso si sviluppa quasi integralmente su due elevazioni ad eccezione del lato sud, dove a causa dell'orografia dei luoghi è stato ricavato anche un parziale scantinato. La parte basamentale ha un andamento a zigurrat, con cantonali in pietra squadrata di probabile origine tre/quattrocentesca. Nei secoli successivi il palazzo ha avuto una serie di adeguamenti alle varie esigenze dei proprietari e dei tempi che cambiavano. Fu riedificato, sull'impianto originario preesistente nella seconda metà del Settecento e completato nei prospetti nei primi anni dell'Ottocento. Salvo lievi rimaneggiamenti novecenteschi, l'edificio conserva pressoché intatte le caratteristiche architettoniche originarie. Dall'atrio interno è possibile accedere al Piano Nobile che è costituito da 24 stanze molto ampie. Prima di essere smantellato da vandali, il pavimento era rivestito con mattoni di cotto smaltato e le volte delle stanze adibite ad abitazione erano dipinte. Questa breve descrizione l’abbiamo voluto dare per far rendere conto a chi ci legge e a chi non lo ha mai visitato che ci troviamo di fronte ad un complesso architettonico di tutto rispetto. Alcuni documenti ritrovati recentemente dalla studiosa saccense Angioletta Scandaliato (in via di pubblicazione e in aggiunta a quelli già noti) attestano inconfutabilmente che in quel sito esisteva un “palacho comitale” con cortile interno appartenente alla famiglia Luna. Nel 1462 (anno a cui fa riferimento il primo documento) era conte di Caltabellotta Antonio de Luna. Si ha ragione di credere quindi che la parte basamentale del palazzo Bona, unica casa signorile con corte interna di tutto il centro storico, possa essere quella del primo impianto del vero Castello Luna. Se si riuscisse a fare un restauro dell’intero complesso e se si potessero, quindi, fare dei saggi diretti sulle fondazioni, sul materiale lapideo e sulle strutture in modo di poter accertare di fatto quanto già asserito dai documenti ritrovati, si potrebbe avere la certezza assoluta. In ogni caso questi documenti (provenienti dagli archivi dell’Inquisizione) sono una scoperta non da poco per la storia di Caltabellotta. La famiglia Bona, le cui origini risalgono ai primi anni del XV sec., come risulta dagli archivi e dai registri della Regia Cancelleria del protonotariato del regno, è una delle più antiche e nobili di Caltabellotta, dove essa si insediò sin dai primi anni deI ‘600. I suoi possedimenti erano molto vasti e tra essi spiccava il feudo di Scunda, alias Realmaimone, dal quale prese nome il baronato. I membri del casato parteciparono sempre attivamente alla vita pubblica della comunità caltabellottese e alcuni di essi ricoprirono la carica di Sindaco. L'ultimo discendente maschio, invece, il barone Emanuele (morto nel 1967) si dedicò a tutt’altro. Ebbe solo due figlie e con lui si estinse il cognome. Trasferitosi definitivamente a Palermo nel 1954, il palazzo non fu più abitato da membri della famiglia, lasciando il tutto in mano ad amministratori e campieri. Fin d’allora cominciarono ad essere evidenti i segni dell'incuria e dell'abbandono. Classica figura di feudatario ottocentesco, il Barone Bona, non recepì il mutare dei tempi e quindi si lasciò travolgere dal sopraggiungere inesorabile del progresso. Dopo il suo trasferimento quei locali che un tempo pullularono di vita, da mezzo secolo languono in un malinconico degrado. Gli ultimi eredi della famiglia farebbero bene a cederlo gratuitamente al comune, quasi a parziale risarcimento di quanto non fatto per Caltabellotta nell’ultimo mezzo secolo. Si può dire tuttavia che il Palazzo Bona è un complesso architettonico di notevole interesse storico - architettonico, che ha bisogno di grandi cure e di grossi investimenti, ma che merita di essere salvato. Un suo riutilizzo a fini sociali lo farebbe ritornare al centro dell'interesse della comunità caltabellottese
[modifica] La Torre di Vigna di Corte
di Giuseppe Rizzuti
Oltre alle più famose torri d’avvistamento costiere che nel Cinquecento circondarono tutta la Sicilia, esistevano e in molti casi ancora esistono numerosissime torri interne, quasi sempre collegate con le prime, a formare un unico sistema di sicurezza in modo da potere trasmettere anche alle zone non costiere eventuali segnali di pericolo. Ve n’erano ubicate nelle vicinanze di tonnare, di caricatori di grano, di trappeti, in punti preminenti all'interno dei feudi o a ridosso di importanti vie di comunicazione. A differenza della torre costiera, la torre interna era un alto baluardo eretto in difesa della piccola topografia territoriale sia per proteggere dagli attacchi esterni che per proteggere lo stesso feudatario da rivolte interne e come tale era alta e robusta ed aveva il compito di sorvegliare la valle con la gente al lavoro; era, diremmo, l'emblema del controllo dell'autorità costituita sul popolo. Così la torre modifica la sua funzione prevalente per assumere più specificamente il controllo del territorio e facendosi garante del rispetto dei confini che essa stessa istituisce. La Torre di Vigna di Corte appartiene, per certi aspetti, a questo secondo tipo; edificata in pieno medioevo, sorge al limite fra il territorio di Sciacca e quello di Caltabellotta nella contrada omonima, molto vicina all’antica trazzera reggia che unisce i due centri urbani. Dal toponimo, che dà il nome all'intera contrada, si evince chiaramente che in quella località esistevano estesi vigneti di proprietà reggia. La struttura turrita in oggetto è omologabile ad una casa torre interna al feudo adibita ad abitazione stagionale del signore. Tempo fa qualche studioso avanzò l'ipotesi che la torre di Vigna di Corte potesse essere di epoca federiciana, cioè del XIII secolo, cosa difficilmente sostenibile in quanto il sistema costruttivo sembrerebbe successivo. Tenuto conto che la sua ubicazione è a poche centinaia di metri dalla località Scunda luogo in cui, si dice, sia stata firmata la Pace di Caltabellotta del 1302 ci sembra strano che i condottieri di due eserciti contrapposti Federico III di Sicilia e Carlo di Valois con i loro cavalieri al seguito, si siano incontrati per trattare la pace “…in certe capanne di bifolchi…”, come narrano le cronache dell’epoca, se la stessa struttura turrita fosse stata già esistente. La tradizione orale e recenti studi portati avanti da studiosi di quel periodo storico sostengono che la Pace sia stata firmata proprio in quel sito, (ma all'interno di questa struttura ?) Sarebbe stato naturale che i due reali contendenti fossero stati ospitati dal nobile del luogo e proprietario della casa torre, che lo ricordiamo è a tre elevazioni e con diverse stanze per piano, quasi un castello e non una semplice torre di guardia. Sul muro posteriore del monumento, ad un’altezza di cinque o sei metri da terra, è inserita una piccola pietra di qualità diversa da quelle della costruzione, su cui è scolpito lo stemma della famiglia Luna. Questo farebbe presupporre che la stessa sia appartenuta, almeno per un certo periodo, a quella nobile famiglia che compare nelle cronache siciliane verso la fine del XIV secolo, al tempo in cui la Sicilia era governata dai quattro Vicari. Il loro arrivo a Sciacca avvenne a seguito del matrimonio di stato tra Martino, Duca di Montblanc con Maria Lopez Luna celebrato nell’anno 1400; quindi ove i Luna fossero stati gli edificatori della casa torre, questo sarebbe avvenuto cento anni dopo la Pace dei Vespri. Poi come spesso succede anche con le cose più preziose è caduta in declino ed anche il suo utilizzo fu vario. Nel secolo appena trascorso e fino ad una trentina di anni fa, la Torre di Vigna di Corte era stata utilizzata come fienile e a seguito di un incendio sia il tetto che i solai interni erano crollati rovinosamente. Attualmente si trova in totale stato di abbandono, in balia degli agenti atmosferici e dell'incuria degli uomini. A pianta rettangolare ed a tre elevazioni, la torre ha una struttura almeno per la parte che investe i muri perimetrali di base a forma rettangolare, mentre in verticale si sviluppa su tre livelli differenziati. I primi due costituiscono sicuramente l'impianto originario, mentre l'ultima elevazione è chiaramente una sopraelevazione successiva.Il muro di spina che divide in due la casa torre, ha avuto negli anni funzione di contrafforte, e probabilmente ne ha impedito il crollo. Dal vano di accesso si diparte sulla sinistra una scala in pietra, parzialmente crollata, che portava ai piani superiori; una porta centrale nel muro di spina divide il primo dal secondo vano del P.T. La struttura di forma compatta, è sostenuta da quattro cantonali in conci di pietra calcarea ben squadrati e giustapposti. I solai a volta sono completamente crollati. La parete esterna principale, rivolta a sud, è bucata e definita da conci di pietra con architrave ad arco e da tre finestre nei vari piani. A destra del vano d'ingresso, un'ampia finestra di forma rettangolare, anch'essa in conci di pietra squadrata, dà luce al vano; quasi sicuramente sarà stata realizzata in epoca successiva, poiché essendo bassa e di facile accesso dall'esterno non si concilia con il grado di sicurezza, di cui una struttura del genere aveva bisogno. All'altezza della 2° elevazione, si può "leggere" chiaramente una bifora, mancante della colonnina centrale, sormontata da un archetto che scarica il peso del muro soprastante sui rinfianchi. Un'altra bucatura dello stesso tipo e allo stesso livello si trova sulla parete ovest. Anche la terza elevazione è segnata da un'altra finestra ad arco, in asse con la bifora e con la porta d'ingresso.La parete nord è contraddistinta da tre finestre sempre ad arco sulle tre elevazioni; quella del piano terra è di forma rettangolare e disassata rispetto alle altre due, il che lascia presagire che sia stata una manomissione successiva, come quella sul lato opposto. E’ su questa parete che è incastonato lo stemma della famiglia Luna. Sulla parte orientale, quattro finestre ad arco contraddistinguono la parete, mentre a piano terra si possono notare alcune feritoie strombate verso l'esterno, ad uso difensivo, dell'epoca delle armi da fuoco. Alla struttura turrita è accostata alla sola altezza del piano terra, un'altra costruzione parzialmente crollata che doveva servire da ricovero per i cavalli. Anche la parete ovest è contraddistinta dalla presenza di alcune aperture dello stesso tipo delle altre, anche se tompagnate. Dalla lettura complessiva del monumento è emerso chiaramente che doveva trattarsi di una struttura turrita molto elegante, ad uso stagionale del feudatario e della propria famiglia. La Torre di Vigna di Corte, che si può fare risalire fra la fine dell'XIV e l'inizio del XV secolo, è una delle numerose strutture monumentali di cui il territorio di Caltabellotta è molto ricco. La stessa rappresenta uno splendido esempio di antica architettura medioevale meritevole di essere tutelata. Appartiene a quella categoria di edifici che, nonostante le manomissioni subite nel corso dei secoli e le alterazioni delle forme originarie, conserva ancora intatto il fascino dell'antica architettura. Visse i fasti e la decadenza di un’epoca a noi molto lontana in un territorio in cui svariate vicende storiche si sono avvicendate e sovrapposte lasciando ognuna un segno indelebile del proprio passaggio, merita quindi di essere inserita in un percorso turistico di questo territorio.
[modifica] Collegamenti esterni
Sito ufficiale: http://www.comune.caltabellotta.ag.it/
ProLoco di Caltabellotta ://http://www.prolococaltabellotta.it/
Il portale di Caltabellotta :Caltabellotta.com
Album Fotografico di Caltabellotta :Obiettivo su Caltabellotta
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