Questione triestina
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Trieste, dopo essere stata annessa all'Italia al termine della Prima guerra mondiale, rischiò di essere persa a favore della Jugoslavia al termine della Seconda. In particolare, per questione triestina si intendono proprio il contenzioso tra l'Italia e la Jugoslavia sul possesso della città e delle aree limitrofe.
Tutto cominciò all'indomani della firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943 quando il governo provvisorio siglò alcuni accordi con gli alleati che rimandavano la definizione dei confini orientali dello Stato al termine della Guerra.
In risposta all'armistizio ed alla spaccatura della penisola in due, i tedeschi già il 18 settembre occuparono militarmente Trieste fondando la Adriatisches Kustenland (comprendenti i territori delle province di Trieste, di Gorizia e di Lubiana) annessa al Terzo Reich fino al 1945.
La regione fu teatro di violenze sia da parte dei tedeschi che, tra l'altro, nella Risiera di San Sabba fondarono e gestirono un lager dove furono uccise migliaia di persone, sia da parte dei partigiani comunisti di Tito (non solo jugoslavi ma anche italiani) che sequestravano e trucidavano tedeschi e specialmente italiani additati genericamente come fascisti poiché rifiutavano di riconoscere la sovranità jugoslava sulla Venezia Giulia, buttandoli spesso ancora vivi nelle foibe.
I nazi-fascisti tennero Trieste fino al 1° maggio 1945 quando, dopo intensi bombardamenti alleati, i titini del generale Dusan Kveder riuscirono ad occupare la città battendo sul tempo le truppe neozelandesi del generale Bernard Freyberg che, appoggiati dai partigiani della divisione Osoppo, si erano inutilmente impegnati nella famosa the race for Trieste per precederli, ma non avevano ricevuto l'ordine definitivo per procedere alla sua occupazione, e si erano pertanto fermati prima.
A questo punto Dusan Kveder annesse Trieste ed i territori limitrofi alla nascente Federazione Jugoslava quale sua settima repubblica autonoma mentre Tito, appoggiato anche dalle formazioni partigiane comuniste di italiani che vi operavano, poteva affermare di avere il controllo di tutta la Venezia Giulia.
La situazione che si era venuta a creare non soddisfaceva gli anglo-americani ed il generale Harold Rupert Alexander, su indicazione di Winston Churchill, riuscì ad ottenere il 12 giugno la smobilitazione dei titini ed il passaggio della città ad un Governo militare alleato. Il mese di governo titino era però già costato migliaia di infoibati, come scoprirono gli sminatori quando si cominciò l'opera di bonifica delle colline del Carso.
Dopo un anno, il 2 giugno 1946, gli italiani scelsero la Repubblica, ma Tito (che considerava la città già sua o almeno una importante merce di scambio) ottenne che Trieste non partecipasse alla consultazione referendaria suscitando proteste e disordini nella comunità italiana. Per calmare gli animi il Governo militare concesse il passaggio del Giro d'Italia in città e molti ciclisti, fra cui Gino Bartali, furono presi a sassate da bande di filo-sloveni.
Un'altra data importante della questione triestina fu il 3 luglio 1946, quando De Gasperi, in qualità di Primo Ministro, dovette firmare a Parigi un durissimo trattato di pace con cui accettava, tra l'altro, che la città di Trieste e l'Istria fossero divisa nella Zona "A" (Trieste, Sgonico, Monrupino, San Dorligo della Valle, Duino-Aurisina e Muggia) amministrata dagli alleati e nella Zona "B" (la parte nord-occidentale dell'Istria dal paesino di Ancarano fino al fiume Quieto) amministrata dagli jugoslavi.
Un ulteriore passo in avanti si fece nel successivo febbraio 1947: la ratifica del Trattato di Parigi rese Trieste territorio libero, assegnò l'amministrazione della rimanente Zona "A"al Governo Militare Alleato (Allied Military Government - Free Territory of Trieste - British U.S. Zone), e confermò l'amministrazione jugoslava della Zona "B".
Nella regione la situazione si fece subito incandescente e numerosi furono i disordini e le proteste tra gli italiani che culminarono con l'uccisione del generale inglese Robin De Winton, comandante delle truppe britanniche, per mano della professoressa Maria Pasquinelli. Dopo i primi giorni di disorientamento cominciò però un penoso esodo di circa 350 mila persone che, memori delle foibe a cui in molti erano miracolosamente scampati, abbandonarono tutto ciò che avevano per trovare rifugio in Italia ed aver salva la vita.
Negli anni successivi la dipolomazia italiana cercò di ridiscutere gli accordi di Parigi per chiarire le sorti di Trieste, senza successo.
Nel frattempo continuavano scontri e disordini per le vie di Trieste:
- l'8 marzo 1952 una bomba uccise alcuni manifestanti di un corteo di italiani
- nell'agosto-settembre 1953 il governo italiano si vide costretto ad inviare truppe lungo il confine con la Jugoslavia per rispondere alla minaccia di Tito di rioccupare Trieste.
- nel novembre del 1953 in occasione di altri scontri si registrarono ulteriori vittime.
Questi furono gli ultimi martiri dell'unità nazionale:
- Pierino Addobbati
- Erminio Bassa
- Leonardo Manzi
- Saverio Montano
- Francesco Paglia
- Antonio Zavadil
che per questo si meritarono una la Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
Animato da profonda passione e spirito patriottico partecipava ad una manifestazione per il ricongiungimento di Trieste al Territorio nazionale, perdendo la vita in violenti scontri di piazza. Nobile esempio di elette virtù civiche e amor patrio, spinti sino all'estremo sacrificio |
La situazione si chiarì solo il 5 ottobre 1954 quando Tito, che aveva perso il potente appoggio dell'Unione Sovietica di Stalin, accettò suo malgrado il passaggio della Zona "A" all'Italia in cambio del riconoscimento dell'amministrazione jugoslava della Zona "B", ma la sovranità rimase italiana.
Il 4 novembre 1954 il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi poté così recarsi ufficialmente a Trieste per conferirle la Medaglia d'Oro al Valor Civile con la seguente motivazione:
Trieste, sottoposta a durissima occupazione straniera, subiva con fierezza il martirio delle stragi e delle foibe, non rinunziando a manifestare attivamente il suo attaccamento alla Patria |
e poi aggiungeva con il suo discorso:
- "Voi triestini, per giungere alla meta, avete discusso clausola per clusola, parola per parola, per lunghi mesi l'accordo or firmato. Avete difeso metro per metro quel territorio che nella vostra convinzione doveva rimanere unito a Trieste.
- Consentitemi di congratularmi con voi per aver dato prova di coraggio. Operando così, in silenzio, voi vi siete resi benemeriti della patria italiana."
Bisogna però attendere il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975 per la firma di un compromesso definitivo tra Italia e Jugoslavia che sancì la sovranità slava sulla zona B e che, comunque, non risolse il dramma umano di tanti fuoriusciti che ancora attendono gli indennizzi promessi.
[modifica] Il Partito Comunista Italiano e la Questione triestina
Il Partito Comunista Italiano, con il suo attegiamento succube della politica dell'URSS di Stalin e dell'internazionale comunista, invece di appoggiare la causa italiana o almeno perorare il diritto all'autodeterminazione dei popoli contesi, preferì schierarsi, anche in seno al Parlamento italiano, a fianco di Tito ritardando non poco la composizione della Questione triestina.
A tale proposito è sufficiente ricordare quanto fece Palmiro Togliatti, il segretario del partito di quegli anni:
- nel 1945, all'indomani della presa di Trieste da parte di Tito e quando era ancora forte l'alleanza e l'amicizia tra quest'ultimo e Stalin, fu tra i firmatari di un manifesto che affermava "Lavoratori di Trieste, il vostro dovere è di accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con esse nel modo più assoluto";
- tra il 1945 ed il 1948 il PCI esalta Tito, che definisce il nuovo Garibaldi, e solidarizza con lui fino ad appoggiare le sue pretese sulla Venezia Giulia. Il 7 novembre 1946 Palmiro Togliatti va a Belgrado e rilascia a L'Unità la seguente dichiarazione: Desideravo da tempo recarmi dal Maresciallo Tito per esprimergli la nostra schietta e profonda ammirazione...
- tra il 1948 ed il 1956, dopo la condanna del Cominform, il PCI si allinea immediatamente e L'Unità del 29 giugno 1948 pubblica: La direzione del Partito Comunista Italiano, udito il rapporto dei compagni Togliatti e Secchia, esprime all'unanimità la propria approvazione completa e senza riserve delle decisioni del Cominform... In questo periodo non viene risparmiato a Tito nessun insulto e questa improvvisa rottura diplomatica costrinse Tito a chiudere la questione ottenendo però in cambio il riconoscimento dell'amministrazione jugoslava sulla Zona B.