Armistizio di Cassibile
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Campagna d'Italia (1943-45) |
---|
Husky – Baytown – 8 settembre – Avalanche – Achse – Occupazione di Roma – Repubblica Sociale – Regno del Sud – Volturno – Montelungo – Shingle – Montecassino – Liberazione di Roma – Linea gotica – Insurrezione di Aprile – Liberazione |
L'armistizio di Cassibile, siglato nel settembre del 1943, è l'atto con il quale l'Italia cessò le ostilità contro le forze inglesi e statunitensi (alleati) nell'ambito della seconda guerra mondiale.
È spesso popolarmente chiamato anche, dalla data il cui fu pubblicamente proclamato, "8 settembre".
Indice |
[modifica] Antefatti
Nella primavera del 1943, in una situazione generale di grave preoccupazione per le sorti della guerra, Benito Mussolini, capo del fascismo, aveva operato una serie di cambiamenti fra le alte cariche dello stato, rimuovendone quei personaggi che reputava più fedeli al Re che non al regime. Secondo molti studiosi, fu a seguito di quest'atto d'imperio, abbastanza apertamente ostile al Quirinale (che aveva assunto una posizione sempre meno velatamente critica nei confronti del governo), che Vittorio Emanuele avrebbe rotto gli indugi ed iniziato a progettare esecutivamente la già da tempo abbozzata destituzione del Duce.
Per questo fu avvicinato Dino Grandi, uno dei gerarchi più intelligenti e prestigiosi dell'élite di comando, che in gioventù si era evidenziato come il solo vero potenziale antagonista di Mussolini all'interno del PNF, e del quale si aveva motivo di sospettare che avesse di molto rivisto le sue idee sul regime. A Grandi, attraverso garbati e fidati mediatori fra i quali il Conte d'Acquarone, ministro della Real Casa, e lo stesso Pietro Badoglio, si prospettò l'opportunità di avvicendare il dittatore e si convenne che la stagione del fascismo originale, quello dell'"idea pura" dei fasci di Combattimento, era finita ed il regime si era irrimediabilmente annacquato in un qualunque sistema di gestione del potere, avendo perso ogni speranza di sopravvivere a sé stesso.
Grandi riuscì a coinvolgere nella fronda sia Giuseppe Bottai, altro importantissimo gerarca che sosteneva l'idea originaria e "sociale" del fascismo operando sui campi della cultura, sia Galeazzo Ciano, che oltre che ministro ed altissimo gerarca anch'egli, era pure genero del Duce. Con essi diede vita all'Ordine del Giorno che avrebbe presentato alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943 e che conteneva l'invito rivolto al re a riprendere le redini della situazione politica. Mussolini fu arrestato e sostituito da Badoglio, anziché, come era stato sempe detto a Grandi, da un altro generale (Caviglia) di più note qualità personali e professionali.
La nomina di Badoglio, che aveva aperto la strada ad un istintivo entusiasmo popolare durato poche ore, non significava la fine della guerra, che continuava "a fianco dell'alleato germanico", sebbene fosse un tassello della manovra sabauda per giungere alla pace. Attraverso canali dei più disparati, si cercò un produttivo contatto con le potenze alleate, cercando di ricostruire quei passaggi delle trattative (sempre indicate come spontanee ed indipendenti) già intessute da Maria José, consorte di Umberto II di Savoia, che potevano stavolta meritare l'avallo del re.
[modifica] Verso la firma
Fu a Lisbona che si decise di agire e fu qui che venne inviato il generale Giuseppe Castellano, per prendere contatti con le armate avversarie. Vennero inviati in Portogallo (o vi si presentarono per loro conto), separatamente fra loro, anche altri due generali, ufficialmente latori delle stesse aperture; gli alleati, sconcertati, faticarono a comprendere quale dovesse essere il loro interlocutore e misero a confronto i tre generali, i quali si abbandonarono ad una singolare lunga contesa circa le rispettivamente pretese superiorità di grado. Identificato nel Castellano il "vero" inviato, l'ambasciatore inglese Ronald Campbell ed i due generali inviati nella capitale portoghese dal generale Dwight David Eisenhower, l'americano Walter Bedell Smith e l'inglese Kenneth Strong, ascoltarono (senza ovviamente sbilanciarsi) della disponibilità di Roma alla resa.
La proposta di resa, in realtà non era considerata con grande euforia da parte alleata, in quanto le sorti della guerra erano già avviate verso una probabilmente prossima sconfitta (di cui anche Roma era da tempo convinta) delle armate italiane, e dunque la resa avrebbe sì significato un'accelerazione del decorso bellico, ma avrebbe anche limitato i vantaggi che le forze alleate avrebbero potuto ricavarne, primo fra tutti la conquista.
Da autorevoli commenti successivi, ed anche dalla vasta memorialistica prodotta nel dopo-guerra dai soggetti coinvolti (uno fra i quali era per l'appunto Eisenhower), si è dedotto che comunque fu l'incertezza nei rapporti fra le potenze alleate, e l'intento di evitare, a guerra ancora aperta, pericolose frizioni di interesse fra loro, che spinse gli alleati ad accettare di parlarne con concreta attenzione. Se l'Italia fosse stata conquistata, ad esempio, dagli americani (già in posizione di supremazia militare nell'alleanza), Inghilterra e Russia avrebbero ovviamente distinto le loro posizioni per garantirsi equilibri che ne pareggiassero la strategica acquisizione, ed avrebbero combattuto per loro conto, forse - eventualmente - anche contro gli stessi statunitensi. In più, in una eventuale spartizione, era assolutamente da evitare (secondo gli altri) che l'Italia cadesse in mano inglese, giacché Londra avrebbe potuto monopolizzare il traffico commerciale, coloniale e soprattutto petrolifero del Mediterraneo. Se ancora Yalta non era alla vista, se ne cominciava ad apprezzare la fragranza.
Accettare la resa (rinunciando a conquistare l'Italia) divenne dunque un male minore, per il quale spendere molte energie diplomatiche, anche contro la talvolta indisponente parata dei rappresentanti italiani; e tanto si fece, da parte americana e degli altri alleati.
Il 30 agosto Badoglio convocò Castellano, rientrato il 27 da Lisbona con qualche prospettiva; il generale comunicò la richiesta di un incontro in Sicilia, avanzata dagli Alleati per il tramite dell'ambasciatore inglese in Vaticano, D'Arcy Osborne. Si è congetturato che la scelta proprio di quel diplomatico non fosse stata casuale, a significare che il Vaticano, già attraverso monsignor Montini ben immerso in trattative diplomatiche per il futuro post-bellico, e sospettato dal Quirinale di aver osteggiato la pace in trattative precedenti, stavolta avallasse, o almeno non intendesse ostacolare, il perseguimento di un simile obiettivo.
[modifica] Scelta delle condizioni
Badoglio, ritenendo per suo conto che vi fossero anche gli spazi per una trattativa nella quale contrattare e "vendere" la resa a buon prezzo, quantunque si trattasse in realtà di una supplice richiesta di cessazione delle ostilità, chiese a Castellano di farsi portavoce di alcune proposte presso gli Alleati: in particolare Castellano avrebbe dovuto insistere sul fatto che l'Italia avrebbe accettato l'armistizio solo a condizione che prima si effettuasse un massiccio sbarco alleato nella penisola. Badoglio si spinse anche a chiedere agli alleati di conoscere quali fossero i loro programmi militari, forse dimenticando, o magari sperando che non vi avessero fatto caso gli altri, che sino all'eventuale firma di un armistizio, che ancora non era stato firmato, la guerra era ancora aperta e che normalmente nessuno rivela in anticipo i propri piani agli avversari.
Tra le tante altre condizioni che furono richieste agli alleati, talune poste solo per il dovere di porne, solo quella di inviare 2.000 unità paracadutate su Roma per la difesa della Capitale fu accolta, anche perché in parte già prevista dai piani alleati (ma sarebbe stata poi snobbata dagli stessi comandi italiani).
Il 31 agosto il generale Castellano arrivò in aereo a Termini Imerese e fu quindi trasferito a Cassibile, nei pressi di Siracusa. Nello staff locale di Castellano si insinuò in qualche modo, e senza apparente ragione, né successiva spiegazione, anche un avvocato siciliano, tal Vito Guarrasi, il cui nome sarebbe poi emerso in qualche correlazione con molti altri eventi regionali successivi, senza che però se ne provasse mai alcun coinvolgimento in alcunché.
I colloqui comunque videro le parti relativamente distanti: Castellano chiese garanzie agli Alleati rispetto alla inevitabile reazione tedesca contro l'Italia alla notizia della firma dell'armistizio e, in particolare, uno sbarco alleato a nord di Roma precedente all'annuncio dell'armistizio; da parte alleata si ribatté che uno sbarco in forze e l'azione di una divisione di paracadutisti sulla capitale (un'altra richiesta su cui Castellano insistette) sarebbero stati in ogni caso contemporanei e non precedenti alla proclamazione dell'armistizio. In serata Castellano rientrò a Roma per riferire.
Il giorno successivo, con buon riguardo degli orari della burocrazia, Castellano fu in effetti comodamente ricevuto da Badoglio; all'incontro parteciparono il ministro Raffaele Guariglia e i generali Ambrosio e Carboni. Emersero posizioni non coincidenti: Guariglia e Ambrosio ritenevano che le condizioni alleate non potessero a quel punto che essere accettate; Carboni dichiarò invece che il Corpo d'armata da lui dipendente, schierato a difesa di Roma, non avrebbe potuto difendere la città dai tedeschi per mancanza di munizioni e carburante. Badoglio, che nella riunione non si pronunciò, fu ricevuto nel pomeriggio dal re Vittorio Emanuele III, che decise di accettare le condizioni dell'armistizio.
[modifica] Modestia e ritrosia
Un telegramma di conferma fu inviato agli Alleati; in esso si preannunciava anche l'imminente invio del generale Castellano. Il telegramma fu intercettato dalle forze tedesche in Italia che, già in sospetto di una simile possibile soluzione, presero a tampinare, attraverso il comandante della piazza di Roma, Badoglio: questi enfaticamente spese molte volte il giuramento e la parola d'onore del generale più medagliato d'Italia per smentire qualsiasi rapporto con gli americani, ma in Germania cominciarono ad organizzare delle contromisure.
Il 2 settembre Castellano ripartì per Cassibile, per dichiarare l'accettazione da parte italiana del testo dell'armistizio; non aveva tuttavia con sé alcuna autorizzazione scritta a firmare. Badoglio, che non gradiva affatto che il suo nome fosse in qualche modo legato alla sconfitta, cercava di apparire il meno possibile e non gli aveva fornito deleghe per la firma, auspicando evidentemente che gli Alleati non pretendessero altri impegni scritti oltre al telegramma spedito il giorno precedente.
Castellano sottoscrisse il testo di un telegramma da inviare a Roma, redatto dal generale Bedell Smith, in cui si richiedevano le credenziali del generale, cioè l'autorizzazione a firmare l'armistizio per conto di Badoglio, che non avrebbe più potuto evitare il coinvolgimento del suo nome; si precisò che, senza tale firma, si sarebbe prodotta l'immediata rottura delle trattative. Ciò, naturalmente, perché in assenza di un accredito ufficiale, la firma di Castellano avrebbe impegnato solo lo stesso generale, certo non il governo italiano. Nessuna risposta pervenne tuttavia da Roma: gli emissari italiani furono costretti ad attendere fino al pomeriggio del giorno successivo un telegramma di Badoglio che finalmente concesse a Castellano l'autorizzazione a firmare.
Nella prima mattinata del 3 settembre Castellano inviò un secondo telegramma a Badoglio, il quale questa volta rispose quasi subito con un radiogramma in cui chiarì che il testo del telegramma del 1° settembre era già una implicita accettazione delle condizioni di armistizio poste dagli Alleati.
Continuava comunque a mancare una delega a firmare: si dovette attendere un ulteriore telegramma di Badoglio, pervenuto solo alle 16,30, che finalmente conteneva una esplicita autorizzazione a firmare il testo dell'armistizio per conto di Badoglio e che informava che la dichiarazione di autorizzazione era stata depositata presso l'ambasciatore inglese in Vaticano D'Arcy Osborne.
A quel punto si procedette alla firma del testo dell'armistizio 'breve'.
[modifica] Le firme
L'operazione ebbe inizio intorno alle 17: apposero la loro firma Castellano, a nome di Badoglio, e Bedell Smith, a nome di Eisenhower. Alle 17,30 il testo risultava firmato. Fu allora bloccata in extremis dal generale Eisenhower la partenza di cinquecento aerei già in procinto di decollare per una missione di bombardamento su Roma, minaccia che aveva corroborato lo sveltimento delle ritrosie di Badoglio e che senza molto dubbio sarebbe stata attuata se la firma fosse saltata.
Harold Macmillan, il ministro inglese distaccato presso il quartier generale di Eisenhower, informò subito Churchill che l'armistizio era stato firmato "[...] senza emendamenti di alcun genere".
A Castellano furono solo allora sottoposte le clausole contenute nel testo dell'armistizio 'lungo', già presentate invece a suo tempo dall'ambasciatore Campbell al generale Zanussi, anch'egli presente a Cassibile già dal 31 agosto, che tuttavia, per ragioni non chiare, aveva omesso di informarne il collega. Bedell Smith sottolineò che le clausole aggiuntive contenute nel testo dell'armistizio "lungo" avevano tuttavia un valore dipendente dalla effettiva collaborazione italiana alla guerra contro i tedeschi.
Nel pomeriggio dello stesso 3 settembre Badoglio si riunì con i ministri della Marina, De Courten, dell'Aeronautica, Sandalli, della Guerra, Sorice, presenti il generale Ambrosio e il ministro della Real Casa Acquarone: non fece cenno alla firma dell'armistizio, riferendosi semplicemente a trattative in corso.
Fornì invece indicazioni sulle operazioni previste dagli Alleati; in particolare, nel corso di tale riunione, avrebbe fatto cenno allo sbarco in Calabria, ad uno sbarco di ben maggiore rilievo atteso nei pressi di Napoli ed all'azione di una divisione di paracadutisti alleati a Roma, che sarebbe stata supportata dalle divisioni italiane in città perché ormai l'Italia avrebbe agevolato gli alleati.
Nelle prime ore del mattino, dopo un bombardamento aeronavale alleato delle coste calabresi, ebbe inizio fra Villa San Giovanni e Reggio Calabria lo sbarco di soldati della 1ª Divisione canadese e di reparti inglesi; si trattò di un imponente diversivo per concentrare l'attenzione dei tedeschi molto a sud di Salerno, dove avrebbe avuto invece luogo lo sbarco principale.
L'armistizio fu reso pubblico alle 19:45 dell'8 settembre dai microfoni dell'EIAR che interruppero le trasmissioni per trasmettere l' annuncio (precedentemente registrato) della voce di Badoglio che annunciava l'armistizio alla nazione.
[modifica] conseguenze dell'armistizio di Cassibile
L'annuncio dell' armisitizio colse del tutto impreparate e quasi prive di direttive (o comunque generiche) le forze armate italiane che si trovavano su tutti i fronti.
All'annuncio di Badoglio la confusione regnava totale nell'esercito italiano: in molti reggimenti la notizia dell'armistizio fu una sorpresa, in altri non si sapeva che fare, in altri ci si preparava a combattere. Contemporanemente il governo, il re, la corte e gli alti comandi fuggivano la stessa sera da Roma, imbarcandosi sulla corvetta Baionetta ad Ortona, pronti a fuggire a Brindisi, oltre le linee degli Alleati, mettendosi sotto la loro protezione.
Così, mentre avveniva il totale sbandamento dell'esercito, le armate tedesche della Wehrmacht e delle SS presenti in tutta la penisola poterono far scattare l'Operazione Achse (secondo i piani già predisposti sin dal 25 luglio dopo la destituzione di Mussolini) occupando tutti i centri nevralgici del territorio nell'Italia settentrionale e centrale, fino a Roma, sbaragliando l'esercito italiano: gran parte delle truppe fu fatta prigioniera e internata in Germania, mentre il resto si sbandava e si disperdeva nel tentativo di rientrare alle proprie case.
Nonostante alcuni straordinari episodi di valore anche su fronti esteri (uno dei più celebri è quello che si consluse con l'eccidio di Cefalonia) e il tentativo di improvvisare una resistenza popolare (improvvisato soprattutto dai comunisti), quasi tutta la penisola cadde sotto la pronta occupazione tedesca e l'esercito venne disarmato, mentre l'intera impalcatura dello stato cadde in sfacelo.