Albaro (quartiere di Genova)
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Albaro | |
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Quartiere di: | Genova |
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«Sorge, nella parte orientale di Genova, colle piacevolissimo che imitando l'Alba col nome, vien'à superarla in vaghezze»
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(Anton Giulio Brignole Sale, "Le instabilità dell'ingegno", pubblicato per Giacomo Monti e Carlo Zenzero, 1630)
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Albaro (Arbâ in dialetto genovese) è un elegante quartiere residenziale di Genova che comprende gran parte del territorio dell'antico comune di San Francesco d'Albaro, unito alla città nel 1873.
Fino all'Ottocento era il classico luogo di villeggiatura dei genovesi più abbienti, che qui avevano casa e che d'estate erano usi appunto a recarsi in villa per trascorrervi la stagione calda.
Assimilata alla città, ha subito notevoli trasformazioni con il passare dei decenni per diventare, a partire dall'epoca del fascismo e con la creazione della Grande Genova, uno dei quartieri residenziali più rinomati della città.
Fa parte della circoscrizione comunale VIII Medio Levante.
(Nell'immagine a lato: prospetto di Villa Saluzzo Carrega Parodi.)
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La collinetta su cui sorge è tutt'oggi uno dei luoghi più ridenti della Liguria.
L'aristocrazia genovese vi fece costruire superbi palazzi, ville bellissime, parchi, giardini, cappelle private e chiese.
Si dice che nel 1500, mentre la non distante Nervi, su trecentosettantuno case ne contava appena quattro di contadini, Albaro ne avesse centoquarantaquattro delle quali quarantasei di contadini e il rimanente di cittadini, padroni di fruttifere e lussuose ville.
[modifica] Le ville di Albaro
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Per approfondire, vedi la voce Ville di Genova. |
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Albaro, fino a cent'anni fa era diverso, come diversi erano appunto i privilegiati che vi nascevano. Di quel tempo questo quartiere conserva le ville. Alcune dall'aspetto scenografico, altre raccolte e sommesse.
Tra le principali si possono citare:
- Villa Brignole Sale;
- Villa Cambiaso, che fu costruita da Galeazzo Alessi per Luca Giustiniani intorno al 1548;
- Villa Bagnarello - chiamata anche la Prigione rossa di Charles Dickens, che vi dimorò fra il 1843 e il 1844 - dove si può leggere su una lapide: "In questa villa / nel prisco rosso delle sue mura / ebbe gradita dimora / Carlo Dickens / geniale e profondo rivelatore / del sentimento moderno";
- Villa Saluzzo Bombrini;
- Villa Saluzzo (oggi Mongiardino), costruita per la famiglia Saluzzo e in seguito diventata proprietà dei Brian, che riporta una lapide a ricordo del soggiorno di lord Byron, che qui risiedette fra il 1822 e il 1823 prima di recarsi a Missolungi per combattere per l'indipendenza della Grecia ("Riposando la vita fortunosa / qui dimorò e scrisse / Giorgio Gordon lord Byron / finché l'intenso grido / della greca libertà risorta / nol traeva magnanimo a lacrimata fine / in Misselungi".
Scriveva Andreolo Giustiniani intorno al XVI secolo:
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«Sono queste ville dotate di domestico, di salvatico, di acque, di luoghi per uccellare. La struttura è superba. I cittadini le abitano con grandissima comodità.»
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Alessandro Magnasco nel suo dipinto dall'atmosfera sottile e ricercata Trattenimento in un giardino d'Albaro descrive un ambiente con un suo carattere, definito e ben ritagliato in un ambito staccato, quasi come se fosse visto sotto un altro aspetto.
Visto dalla collina di Carignano, nell'incisione dell'Abate Antonio Giolfi eseguita nel Settecento, Albaro è rappresentata con un gruppo di case staccate con qualche campanile qua e là e tanti bersò (ombreggiati porticati la cui copertura è costituita dalla naturale vegetazione).
Tra le ville si può immaginare la creuza di San Nazaro, che scende alla spiaggia costeggiata dall'attuale corso Italia, con il Lido d'Albaro e i suoi piccoli bar e gelaterie, centro del piccolo mondo albarese.
[modifica] Villa Saluzzo Mongiardino e Byron
Villa Saluzzo (oggi Mongiardino) ospitò il poeta Byron agitato dai recenti dolori familiari e dalla scomparsa dell'amico Shelley, annegato qualche tempo prima durante una traversata da Livorno a San Terenzo. Il poeta, giungendo a Genova scriveva:
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«C'è qui un sospiro per quelli che mi amano / Un sorriso per quelli che mi odiano, / E, sotto qualunque cielo io vada, / C'è qui un cuore pronto ad ogni destino.»
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Arrivato a Genova, Byron aveva trovato la città sottomessa alla Santa Allenza e piena di spie sabaude ed austriache.
A Genova, dopo il fallimento dei moti carbonari del 1821, erano stati condannati alla forca dal re Carlo Felice alcuni giovani che avevano inneggiato "Viva la Costituzione". L'Università di Genova era stata chiusa e la "Depurazione moderatrice degli studi" aveva operato severe restrizioni all'organizzazione dell'ateneo genovese.
Il soggiorno genovese di Byron legò per sempre a Villa Saluzzo il suo messaggio di libertà e tutta la collina d'Albaro andò mutandosi in un asilo per cospiratori e patrioti. Non a caso Carlo Pisacane scelse di ritirarsi qui dopo la sfortunata impresa di Sarpi e Giuseppe Cesare Abba, nel suo libretto "Noterelle", scrisse:
[modifica] Villa Brignole Sale
Dove oggi sorge il numero civico 20 di San Nazaro vi era la villa Brignole Sale, famosa per aver ospitato Gabriello Chiabrera, dove il nobile savonese trascorreva le sue tranquille giornate di villeggiatura.
La villa del civico numero 20 è una monumentale costruzione secentesca purtroppo danneggiata in maniera notevole dalla guerra cosicché oggi si presenta con il tetto rifatto e la cappella ricostruita ad un diverso livello da quello che era l'originale pur mantenendo ancora vivi i suoi caratteri originari di imponenza e lusso.
All'interno vi è un imponente atrio e dietro ad un fondale di colonne si sviluppa un'ampia scala ad un'unica rampa.
I danni della guerra hanno distrutto gli affreschi del Boni e la decorazione a stucco; per il resto, la villa conserva ancora il suo carattere piacevolmente degradante verso il giardino, fitto di viali e pergolati. Attualmente parte della villa è sede dell'Istututo Culturale Marcelline Genova e una visita virtuale fotografica della Villa è a disposizione sul sito www.marcellinegenova.it [1]
[modifica] Villa Bagnarello
La villa Bagnarello, che si trova alcune curve più sotto della villa Brignole Sale, è detta la Prigione rossa e, come si è già detto, aveva ospitato Carlo Dickens che aveva segnato nel suo taccuino le impressioni ricevute sia dalla città di Genova sia di Albaro.
Di Genova scrive:
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«Genova è tutta un contrasto; è la città più sporca e più pittoresca, più volgare e magnifica, repulsiva e più deliziosa che esista.»
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Ma, più tardi, nelle sue memorie di viaggio aggiungerà, con tono melanconico:
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«Quando ritornerò in Inghilterra, lascerò Genova con una stretta al cuore.»
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Nella villa d'Albaro rossa di gerani, egli scriverà le Note americane e abbozzerà i Racconti di Natale e I carillons.
L'impressione che ebbe all'arrivo ad Albaro non è molto convincente per Dickens che dopo una lunghissima descrizione del suo arrivo nel sobborgo di Genova e alla villa Bagnarello conclude scrivendo:
Certo è che la permanenza in quel luogo lo fece ricredere fino a rimpiangere Genova al momento della sua partenza.
La costruzione della villa, che oggi è abitata dai discendenti della famiglia Bagnarello, risale, nel suo nucleo centrale, al XVI secolo e ha subito numerosi rimaneggiamenti nel corso del tempo.
Dalla crueza di San Nazaro si arriva, attraversando una porta carraia, ad un cortile delineato dalle antiche scuderie e dal corpo centrale della villa. Si apre quindi un grande ingresso dal quale parte una magnifica scala cinquecentesca che conduce ad un ampio ballatoio che si stende per la sua stessa lunghezza.
[modifica] Chiese
[modifica] Chiesa dei santi Nazario e Celso
Di una via San Nazaro si ha notizia già da un manoscritto del 1345 ad opera di un certo Argiroffo in cui si parla dell'acquisto di un terreno poco distante.
La crosa di San Nazaro scendeva, come ancor oggi avviene, dall'attuale via San Francesco d'Albaro e arrivava fino al mare nei pressi della scomparsa chiesa dei Santi Nazario e Celso.
Antica chiesa |
L'antica chiesa intitolata ai santi Nazario e Celso, oggi non più esistente, era ad una sola navata e della struttura originaria aveva solamente il nome. Di dimensioni ridotte rispetto alla precedente, era dotata di due cappelle ai lati ed un coro in pianta quadrata. Per essere meglio protetta dalle mareggiate, era stata costruita a ridosso dell'antica torre, detta dell'Amore, che non avendo più la funzione di guardia a protezione dagli attacchi dei predoni saraceni, funzionava da campanile per la nuova chiesa. |
La stradina oggi ha termine nella via Fratelli Carlo e Nello Rosselli ma, prima che fosse aperto il corso Italia, proseguiva tra orti e ville fino alla zona oggi attraversata dalla via Quarnaro.
In fondo alla via vi era appunto la chiesa dei santi Nazario e Celso la cui storia, a causa della sua ubicazione in prossimità estrema del mare (era posta infatti su di una scogliera) fu quanto mai tormentata.
Precocemente distrutta a causa della violenza dei marosi, venne ricostruita nel 1543 ma un secolo esatto dopo, nel 1643, a seguito di un nuovo tremendo fortunale venne gravemente danneggiata. In seguito a questi eventi venne a formarsi una commissione composta dai cittadini Gaspare Donati, Gian Carlo Brignole, Agostino Airoli, con il compito di interessare il governo della Repubblica di Genova perché contribuisse ai lavori per il restauro della chiesa.
Le discussioni si protrassero per quattordici anni fintanto che, nel 1675, un'altra e ancor più terribile mareggiata erose definitivamente i fianchi della struttura fino a farla definitivamente crollare. La tragedia servì tuttavia a smuovere i reggitori della Repubblica e i Padri del Comune che finalmente portarono la loro attenzione su quella pratica che giaceva da tanto tempo negli uffici del Palazzo Ducale.
Nel frattempo anche i dissapori tra i membri della commissioni si erano appianati e due di essi erano morti di peste. Così Gian Carlo Brignole, tra coloro che erano sopravvissuti, iniziò i lavori di ricostruzione con tale alacrità che un anno dopo la chiesa era stata ricostruita e aperta al culto.
[modifica] La Chiesa di Santa Maria del Prato
Della Chiesa di Santa Maria del Prato (chiesa romanica XI secolo) si dice che venne fondata dal console Sigismondo Muscola o dai nobili Camilla o dai due casati insieme e venne affidata all'ordine dei mortuariensi.
La chiesa, che conobbe periodi di grande decadenza, venne chiusa al culto nel 1800 e trasformata in scuderia, ma dopo alterne vicende ha ritrovato, grazie a un radicale restauro, il suo splendore.
Lo sfondo di Santa Maria del Prato non toglie alla piazza il suo fascino ottocentesco.
[modifica] Chiesa di San Francesco d'Albaro
La Chiesa di San Francesco d'Albaro iniziata nel 1334 venne compiuta nel 1387 e sembra sia nata per volere testamentario di Lanfranco Cebà. Essa venne affidata nel 1544 ai minori conventuali che tuttora la officiano.
[modifica] L'Abbazia di San Giuliano
Proseguendo oltre, dove una volta era la "Marinetta", vi è l'Abbazia di San Giuliano che all'inizio del Novecento, quando ancora non era stato aperto il corso Italia, appariva in una posizione dominante sugli scogli e si raggiungeva, partendo da Albaro, costeggiando le ville.
L'Abbazia è antichissima e la sua fondazione risale al X secolo, anche se il primo documento ufficiale in cui la chiesa viene menzionata - un atto di vendita - porta la data del 17 giugno 1282.
Come molte altre chiese San Giuliano ebbe una vita movimentata con vari passaggi di proprietari fino alla seconda guerra mondiale quando subì gravi danni. La chiesa, che per molto tempo si presentò in stato di crescente decadenza, venne in seguito restaurata.
[modifica] Via Parini
Gozzano e la "Marinetta" | ||
La "Marinetta" era un famoso ristorante-albergo situato in fondo all'attuale via Quarnaro dove Guido Gozzano (nell'immagine sopra al centro) si ritrovava con gli amici genovesi. Scrive Edoardo Firpo:
Il futuro poeta era stato una prima volta da bambino a Cornigliano e si era innamorato della città; da adulto iniziò a recarsi a Genova soprattutto nei mesi invernali per godere del beneficio dell'aria marina e trovare sollievo alla malattia che lo affliggeva. Alla "Marinetta", ormai conosciuta come l'Osteria dei poeti, Gozzano fece molte amicizie e in quell'ambiente nacquero diverse sue poesie pubblicate sulla "Rivista Ligure" di Mario Novaro e sulla "Rassegna Latina" diretta da Martini. A Genova Gozzano ritornerà poi per l'ultima volta nel 1916, l'anno della sua morte, mentre i suoi amici sono ancora al fronte. |
Un'altra delle grandi crueze d'Albaro è via Parini che al tempo delle ville portava fino al mare passando nei pressi del forte di San Giuliano ed era un centro di vita mondana.
[modifica] Teatri di Albaro: il Teatro da San Francesco
All'inizio della via vi era un teatro, nel quale si tenne la prima genovese de L'italiana in Algeri di Gioacchino Rossini. Il teatro che apparteneva al marchese Ridolfo Pallavicini e questo non era l'unico teatro in Albaro perché si ricorda anche quello locato nella villa La Delizia del Conte Leopoldo Doria in San Luca d'Albaro che nel 1783 ospitò la rappresentazione di una farsa in due atti: La nuova riconciliazione.
Un altro luogo di ricreazione per i villeggianti d'Albaro sorse nei primi anni del XVIII secolo nei pressi dell'oratorio della Madonna Assunta locato di fronte alla chiesa parrocchiale di San Francesco che divenne, nel 1751, trasformato da teatro ad oratorio ed ospitò la confraternita detta del Gonfalone.
Dalle memorie del Paganetti, scritte nel 1882, si sa che all'interno dell'oratorio c'era una scultura del Maragliano della Madonna del Carmine: {{quote|... oggidì ha tra altari di cotto; il maggiore con balaustra di marmo ed un'ancona rappresentante l'"Assunta"; quello della "Deposizione della Croce", come viene indicato dalla sua ancona; e quello di "N.S. della Speranza", dipintavi in un quadro a raggi: Vi è anche pulpito ed orchestra, con organo.♀5}
Del Teatro da San Francesco d'Albaro si trova traccia nei trafiletti degli Avvisi (diventato poi la Gazzetta Nazionale della Liguria) dal 1778 al 1797. In essi si viene a sapere che in questo luogo si tenevano le opere comiche in musica tenute da artisti che venivano a continuare le recite che avevano dovuto interrompere per le calure al Teatro Sant'Agostino.
Si sa inoltre che venivano tenute feste da Ballo, frequentate da numeroso pubblico convenuto da San Francesco e da persone provenienti dalla Capitale e che il biglietto d'ingresso costava 30 soldi e l'abbonamento a tutta la stagione 32 lire.
Il Teatro da San Francesco venne distrutto da un incendio causato, come taluni studiosi sostengono, dai patrioti della Guardia Nazionale o da truppe del generale francese Duphot al quale era stata affidata la difesa di Genova in seguito alla sommossa che i contadini d'Albaro e della valle del Bisagno tentarono il 4 settembre 1797 contro la Repubblica Democratica Ligure che si era instaurata nell'agosto precedente seguendo il modello francese.
Dopo varie vicissitudini si giunge alla vera definizione del teatro d'Albaro, quello di proprietà del marchese Ridolfo Pallavicini che venne aperto l' 8 settembre 1810, come appare dalla Gazzetta di Genova:
L'abbonamento al Teatro da San Francesco costava 8 lire, l'ingresso serale alla platea lire 1 e "al libione" soldi 10.
Nel frattempo si fa luce la figura di Bonaparte e lo spettatore, da quel momento, deve pagare anche una piccola tassa sullo spettacolo che veniva considerato un contributo da versarsi al Burò di Bienfaisance d'Albaro nato in quel periodo "sous la Préfecture" e che stabiliva " que le Thèatre ètabli à S. François donne lieu par suite des disposition bienfaisantes du decret Imperial du 9 novembre 1809 à la perception d'un droit dont le produit doit etre employé en profit des pauvres...".
Alla morte del Pallavicini il palazzo e teatro fu lasciato in eredità e verso la fine del secolo XIX venne demolito tutto e il palazzo lasciò spazio a nuove case. Questa è ancora la zona di San Francesco d'Albaro e la strada si chiama via Parini: un tempo univa Piazza Leopardi al mare.
[modifica] Piazza Leopardi
Piazza Leopardi era il prato dietro la chiesa di San Francesco e una lapide posta sull'abside della chiesa accanto ai caduti d'Albaro nella prima guerra mondiale così dice: "Prato comunale/ è vietato a chiunque/ di danneggiare/gli alberi ivi esistenti/siccome è proibito/qualunque giuoco/che potesse recarvi danno/e di pascolarvi bestiame/sotto le pene correzionali/prescritte dalle vigenti/leggi".
Fino allo scorcio del XIX secolo il prato era una specie di campo apposito dove si svolgevano partite di pallone fino a quando, nel 1797, venne innalzato sul "prato uno dei primi Alberi della Libertà che aveva sacrificato le aiuole e i roseti curatissimi. Chi abitava nelle ville intorno pensava che fosse arrivata la fine, ma la fine non arrivò perché rimase, a testimonianza della immobilità dal 1172, la chiesa di Santa Maria, della appunto del Prato.
La Torre dell'Amore |
La Torre dell'Amore è una delle architetture più suggestive di Albaro. A causa della sua posizione, celata dalla folta vegetazione e nascosta com'è all'interno del nugolo di ville che si affacciano sul Lido d'Albaro (l'elegante stabilimento balneare fulcro della mondanità del corso Italia), è anche fra le meno conosciute. Situata nell'omonima via, è sconosciuta anche a molti abitanti del quartiere, tanto che la sua esistenza - peraltro tracciata sulle guide turistiche - ha avuto a lungo il sapore di una leggenda metropolitana. Ma la Torre esiste e in tempi recenti, adibita ad uso privato, è stata restaurata e restituita al primitivo splendore. La sua storia, in realtà, è davvero sconosciuta: alcuni storici l'attribuiscono di proprietà della famiglia Finamore (da cui il nome), che abitò a Genova fino alla prima metà del XVII secolo (ma lo stemma che appare sulla torre smentirebbe questa versione); altri sostengono che vi si celebrassero in passato matrimoni di rito civile (e anche questo fatto suffragherebbe il tenore del nome). Per ammirarla da vicino occorre in ogni caso sapersi districare nell'intrico degli ombrosi caruggi e creuze che costituiscono la trama delle creuze d'Albaro. |
[modifica] Le Osterie d'Albaro
Piazza Tommaseo e i grattacieli di Corte Lambruschini
Un tempo, salendo le rampe di via Francesco Pozzo che si chiamava nel primo pezzo partendo da Albaro via Olimpo e nell'ultimo via Minerva, ci si perdeva tra gli orti che erano dove oggi si trova Piazza Tommaseo e dalla collina si scendeva al mare dove vi erano tante piccole osterie.
La "Passaggia" era una tra le più famose e più avanti c'era la "Marinetta" che il poeta Firpo così cantava:
Proseguendo vi era l'osteria del "Parroco" dove si mangiavano i pesci salati con l'olio, l'origano e l'aglio accompagnati dal buon vino d'Albaro fatto di un miscuglio di uve.
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[modifica] Bibliografia
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