Alboino
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Alboino (526? - Verona, giugno 572) fu re dei Longobardi tra il 560 circa e il 572 e re d'Italia dal 568 al 572. Nel 568 guidò il suo popolo alla conquista dell'Italia.
Indice |
[modifica] Biografia
[modifica] I primi anni
Figlio di Audoino e di Rodelinda (forse nipote di Teodorico il Grande, re degli Ostrogoti) e appartenente alla stirpe dei Gausi, nacque probabilmente nel 526 in Pannonia, dove all'epoca i Longobardi erano stanziati. Guerriero, si segnalò nella battaglia del 551 contro i Gepidi uccidendo Torrismondo, figlio del re Torisindo.
Salì al trono alla morte del padre, nel 560 o poco dopo, e dovette subito affrontare nuovi scontri con i Gepidi, ora guidati da un altro figlio di Torisindo, Cunimondo. Nel 565 i Gepidi, sostenuti dai bizantini (preoccupati per il potere che i Longobardi stavano conquistando), inflissero una sconfitta ad Alboino, che l'anno successivo cercò a sua volta un'alleanza. Strinse così un patto con gli Avari, stanziati a est dei Gepidi. I termini dell'accordo prevedevano che, in caso di vittoria, i Longobardi avrebbero lasciato agli Avari le terre occupate dai Gepidi in Pannonia. Nel 567 Longobardi e Avari attaccarono contemporaneamente, da nordovest e da nordest, i Gepidi. La vittoria andò ad Alboino, che uccise lo stesso re Cunimondo.
Alboino ebbe due mogli. Nel 555 suo padre Audoino l'aveva sposato a Clodosvinta, figlia del re dei Franchi Clotario I; dopo la sconfitta dei Gepidi, probabilmente per aggregare ai Longobardi i guerrieri superstiti di quel popolo, sposò Rosmunda, figlia di Cunimondo. Dalla prima moglie ebbe una figlia, Alpsuinda, morta a Costantinopoli in data ignota.
[modifica] La conquista dell'Italia
La vittoria sui Gepidi rafforzò il prestigio e il potere di Alboino, ma al tempo stesso gli creò non poche difficoltà: la voglia di bottino dei suoi guerrieri, esaltati dalle vittorie; l'accresciuta consistenza numerica del suo popolo, che ormai includeva una vasta schiera di alleati e tributari (Avari e Gepidi, ma anche Sarmati, Turingi, Rugi, Sassoni, Alani, Eruli, Unni); la pressione degli stessi alleati Avari. Il re uscì dalla stretta progettando una nuova migrazione-conquista: questa volta verso l'Italia appena tornata sotto controllo bizantino che, seppure impoverita dalla lunga Guerra gotica, prometteva ricchezze e preda. Per garantirsi le spalle, strinse un nuovo accordo con gli Avari offrendo loro le terre fin lì occupate in Pannonia dai Longobardi, ostacolando di conseguenza il possibile afflusso di rinforzi bizantini attraverso i Balcani.
Stretta l'alleanza, Alboino convocò per il giorno di Pasqua del 568 l'assemblea del popolo in armi, che deliberò l'attacco all'Italia. Nel maggio dello stesso anno l'orda si mosse, composta da centomila-centocinquantamila persone (le stime sono molto incerte); i guerrieri erano una minoranza, perché il grosso era costituito dalle loro famiglie. Più che strettamente militare, l'esodo aveva quindi caratteristiche migratorie, con masserizie e mandrie di bestiame al seguito.
Il percorso seguito dall'orda è incerto, ma probabilmente sfruttò le strade romane che della Pannonia la portò a varcare l'Isonzo. Una leggenda narra che, prima di entrare in Italia, Alboino salì su un monte, il Matajur, che da lui avrebbe preso il nome ("Monte Re"). Il monte si trova sulla valle del fiume Natisone, tuttavia è più probabile che i Longobardi abbiano percorso la comoda strada romana che da Emona (l'odierna Lubiana) scendeva ad Aquileia, lungo la valle del fiume Vipacco.
I Bizantini offrirono poca resistenza, concentrata nelle loro città fortificate. La prima città di rilievo a cadere nelle mani di Alboino fu Forum Iulii (Cividale del Friuli), che il re assegnò al nipote Gisulfo, che divenne così il primo duca di Cividale con il compito di difendere l'avanzata longobarda da eventuali attacchi da est e di garantire una via di fuga.
La conquista delle principali città dell'Italia nordorientale procedette con rapidità nell'estate-autunno 568; caddero Aquileia, Vicenza e Verona, dove Alboino stabilì il suo primo quartier generale. Alla ripresa delle operazioni belliche dopo l'inverno, nel 569, si spinse verso l'attuale Lombardia; Milano cadde in settembre, mentre più tenace fu la resistenza di Pavia. L'assedio della città sul Ticino si protrasse per tre anni, durante i quali Alboino si spinse a sud, valicando gli Appennini e assogettando ampi territori dell'odierna Toscana, istituendo nel 570 il Ducato di Tuscia con sede a Lucca. Pavia cadde infine nel 572 e divenne la capitale del regno longobardo.
[modifica] La morte
Narra Paolo Diacono, nel secondo libro della sua Historia Langobardorum, che Alboino fu ucciso in seguito ad una congiura organizzata dalla moglie Rosmunda e da un nobile del suo seguito, Elmichi. Secondo la leggenda, dopo una notte di gozzovigli a Verona, nella reggia che era stata di Teodorico, Alboino bevve vino in una coppa ottenuta dal cranio del padre di Rosmunda, Cunimondo, e costrinse perfino la moglie a imitarlo. Per vendicarsi, legò al suo fodero la spada del marito, che all'arrivo dei congiurati guidati da Elmichi poté difendersi solo con uno scranno. Fu seppellito sotto la scala del palazzo a Verona.
Più prosaicamente, dietro alla leggenda Jörg Jarnut legge l'episodio come un tentativo di usurpazione da parte di Elmichi, appoggiato dalla regina, da alcuni guerrieri longobardi e gepidi aggregati all'esercito e appoggiato da Bisanzio. Il tentativo fallì per la resistenza della maggior parte del popolo longobardo; Rosmunda fuggì con Elmichi e la figlia di Alboino, Alpsuinda, a Ravenna e i Longobardi elessero re Clefi.
[modifica] Alboino nelle arti
Alboino e Rosmunda furono usati come personaggi più volte nella letteratura italiana: in una tragedia di Vittorio Alfieri (Rosmunda, 1783), in una commedia di Sem Benelli del 1911 (anch'essa dal titolo Rosmunda) e in una parodia giovanile di Achille Campanile, che fece entrare nel linguaggio corrente la frase: Bevi Rosmunda dal teschio di tuo padre!, ripresa più volte da canzoni e parodie.
Percorso contrario ebbero gli scritti su Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di Giulio Cesare Croce, che nel XVI secolo ambientò le sue narrazioni alla corte di re Alboino a Verona, riprendendo scritti e canzoni popolari che ambientavano la vicenda tanto a Pavia quanto a Verona.
L'episodio della congiura ispirò anche almeno un film, diretto nel 1961 da Carlo Campogalliani: Rosmunda e Alboino.
Precedessore: | Re dei Longobardi | Successore: | ![]() |
Audoino | 560 circa - 572 | Clefi |
Predecessore: | Re d'Italia | Successore: | ![]() |
Teia (fino al 553) | 568 - 572 | Clefi |
[modifica] Collegamenti esterni
La scheda di Rosmunda e Alboino su mymovies.it
[modifica] Fonti
- Paolo Diacono, Historia Langobardorum (Storia dei Longobardi, Lorenzo Valla/Mondadori, Milano 1992)
- Origo gentis Langobardorum, ed. G. Waitz in MGH SS rer. Lang.