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Don Chisciotte della Mancia - Wikipedia

Don Chisciotte della Mancia

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Don Chisciotte e Ronzinante  Dipinto di Honoré Daumier
Don Chisciotte e Ronzinante
Dipinto di Honoré Daumier

Don Chisciotte della Mancia (titolo originale in lingua spagnola: El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha) è il titolo di un famoso romanzo picaresco scritto da Miguel de Cervantes.

Indice

[modifica] Caratteri del Don Chisciotte

Il libro si struttura in due parti, ad una prima scritta nel 1605 ne segue un'altra sviluppata dieci anni dopo.

Il protagonista, un hidalgo spagnolo di nome Alonso Quijano, morbosamente appassionato di romanzi cavallereschi tanto da discuterne con il parroco e con il barbiere Nicolas, decide di diventare a sua volta cavaliere errante e si mette in viaggio, come in uso medievale, a difendere i deboli e raddrizzare i torti, con l'intento di riportare gli ideali di quei cavalieri nel proprio tempo.

Per fare ciò l'hidalgo cambia in don Chisciotte della Mancia il proprio nome e inizia a girare per la Spagna convinto di essere un cavaliere. Nella sua follia, Don Chisciotte trascinerà anche un uomo incontrato per strada, Sancho Panza, cui promette una parte del regno che avrebbe conquistato se gli avesse fatto da scudiero.

Per amore poi di Aldonza Lorenzo, una bella contadina sua vicina da lui creduta principessa, e ribattezzata Dulcinea di Toboso, inizierà a combattere e a compiere azioni eroiche. Purtroppo per il cavaliere, tuttavia, la Spagna è cambiata dal tempo dei romanzi cavallereschi e per l'unico eroe rimasto le avventure sono scarsissime e le folle esaltanti non esistono.

Ma la sua visionaria convinzione lo spinge a vedere la realtà con altri occhi, inizierà a confondere mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti, burattini come creature malefiche, greggi di pecore quali eserciti nemici, li combatterà e in tutte le battaglie rimedierà sempre sonore sconfitte e il disprezzo della gente che lo etichetterà come un folle.

Sancho Panza, dal canto suo, non farà niente per evitare gli scontri al padrone, in parte perché spinto dal suo spirito materialistico - che gli fa considerare solo se stesso - ma soprattutto perché il suo padrone era così convinto delle proprie idee che non si sarebbe comunque potuto fargli vedere la realtà.

Copertina della IV edizione (1605)
Copertina della IV edizione (1605)

[modifica] Trama

La prima parte del romanzo è preceduta da un prologo tra l'arguto e il serio nel quale l'autore si scusa per lo stile semplice e per la narrazione esile e priva di citazioni. Segue il primo capitolo che tratta delle condizioni, dell'indole e delle abitudini del nobiluomo Don Alonso Quijana, di un borgo della Mancia, di cui non vale la pena ricordare l'esatta denominazione: "Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un hidalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane da caccia". Il protagonista ("Toccava i cinquant'anni; forte di corporatura, asciutto di corpo, e di viso; si alzava di buon mattino, ed era amico della caccia" ma con il passare del tempo "negli intervalli di tempo nei quali era in ozio (ch'eran la maggior parte dell'anno), si applicava alla lettura dei libri di cavalleria con predilizione così spiegata e così grande compiacenza, che obliò quasi interamente l'esercizio della caccia ed anche l'amministrazione delle cose domestiche") aveva come passione quella della lettura dei racconti cavallereschi e non parlava d'altro che di queste storie. Con lui vivevano una governante sulla quarantina, una nipote di venti anni e un domestico. Fisso nella sua mania ad un certo momento gli sfugge completamente il senno e gli viene in mente di farsi cavaliere errante e di andarsene armato a cavallo in giro per il mondo, facendo piazza pulita di tutte le ingiustizie, le prepotenze e i soprusi. Immagina già di essere incoronato Imperatore di Trebisonda e così inizia a mettere in atto il suo progetto. Come prima cosa ripulisce e rimette in sesto alcune armi che erano appartenute ai suoi avi, poi si reca dal suo ronzino che gli sembra, anche se malconcio, superiore a Bucefalo di Alessandro Magno. Al ronzino mancava il nome, così Don Alonso decide di chiamarlo Ronzinante, che voleva dire "primo fra tutti i ronzini del mondo", e in seguito pensa di nobilitare in qualche modo anche il suo nome. Decide così di chiamarsi Don Chisciotte della Mancia, in modo da porre in evidenza il proprio lignaggio e onorare la terra natale. E così "Lucidate le armi, fatta del morione una celata, dato il nome al ronzino e confermato il proprio, si persuase che non gli mancava altro se non una dama di cui dichiararsi innamorato. Un cavaliere errante senza amore è come un albero spoglio di fronde e privo di frutti, è come un corpo senz'anima, andava dicendo a sé stesso". La donna dei sogni viene così identificata in una certa Aldonza Lorenzo, giovane contadina di un piccolo paese vicino che viene subito ribattezzata Dulcinea del Toboso. Fatti tutti questi preparativi e preoccupato per i danni che poteva procurare al mondo con il suo ritardo, un bel mattino parte. Cammin facendo si chiede come fare a battersi per nobili cause se nessuno lo aveva armato cavaliere. Giunge, al termine di una lunga giornata ad una osteria, che egli definisce un nobile castello, ed espone la questione all'oste, ritenendolo un nobile castellano. L'oste, resosi conto della pazzia del suo cliente, finge di essere un vero castellano e con l'aiuto di due donzelle lo arma cavaliere e all'alba Don Chisciotte lascia l'osteria felice e contento. Nel bosco libera un ragazzo che era stato legato e picchiato da un contadino e riprende la strada alla ventura, quando incontra un gruppo di Toledo che si reca a comprare seta a Murcia e Don Chisciotte, certo che siano cavalieri erranti, grida loro di fermarsi e di dire che in tutto il mondo nessuno era più bella dell'Imperatrice della Castiglia-La Mancia, Dulcinea del Toboso. I mercanti si rendono conto che egli non ha il senno in regola e uno di loro, intendendo scherzare, chiede se è possibile vedere una tale bellezza. Le frasi che usa non piacciono però a Don Chisciotte che parte all'attacco, ma Ronzinante inciampa e lo trascina nella caduta. Egli cerca di rialzarsi ma non riuscendoci incomincia a dire molte insolenze tanto che uno degli stallieri gli si avvicina e, con un troncone della lancia, gli dà tante bastonate da lasciarlo a terra ferito.
Un contadino del suo paese, di ritorno dal mulino con il carro, lo trova e lo riporta a casa dove la nipote e la governante erano in pensiero per la sua assenza. Il curato del paese e il barbiere fattagli una visita si rendono conto del suo stato e decidono di bruciargli tutti i libri di cavalleria nella speranza che guarisca. Ma don Chisciotte non guarisce e dopo quindici giorni convince un contadino del paese, di buon carattere ma non troppo "sveglio", di andare con lui e di fargli da scudiero promettendogli di farlo governatore se avessero conquistato un'isola. Il contadino, che si chiama Sancho Panza, accetta e, salito sul suo asinello, parte con don Chisciotte in sella al suo ronzino per le vie del mondo. "Viaggiava Sancho Panza sopra il suo asino come un patriarca, colle bisacce in groppa e la boraccia all'arcione, e con un gran desiderio di diventare governatore dell'isola che il padrone gli aveva promesso". Sono da poco in cammino quando si vedono all'orizzonte trenta o quaranta mulini a vento che don Chisciotte scambia per smisurati giganti con i quali vuole subito battagliare per ucciderli tutti. Malgrado gli ammonimenti di Sancho egli si slancia a galoppo contro il primo mulino a vento, cadendo a terra e rimanendo piuttosto malconcio. I due riprendono la strada e incontrano una comitiva costituita da due frati dell'ordine di San Benedetto, un cocchio con dentro una dama biscaglina diretta a Siviglia, quattro persone a cavallo di scorta e due mulattieri a piedi. Don Chisciotte scambia i due frati per degli incantatori e la dama per una principessa rapita e ordina loro di liberarla. Seguono altre zuffe. Ripreso il cammino i due arrivano ad una osteria di campagna, che don Chisciotte scambia per un castello, mentre le sguattere che vi servono gli appaiono come delle principesse e qui, come sottotitola l'autore nel XVII capitolo: "Seguono gl'innumerevoli travagli che il bravo don Chisciotte, col suo buon scudiere Sancho Panza sofferse nell'osteria, da lui, con suo danno, creduta un castello". Nei capitoli seguenti continuano le avventure di Don Chisciotte. Visto un polverone che si solleva lontano, egli crede che sia quello sollevato da un grande esercito e non valgono le parole del buon Sancho a convincerlo che il polverone è sollevato da pecore e montoni, egli sprona il Ronzinante e con la lancia in resta si precipita come un fulmine lungo il pendio e in mezzo alle pecore comincia a colpire mentre i pastori che dapprima gli gridano di fermarsi "cominciarono a salutargli l'udito con pietre grosse come il pugno" e per poco non lo ammazzano. Un'altra volta capita a Don Chisciotte e a Sancho di assistere ad un funerale notturno e il cavaliere, credendo che il catafalco sia una barella sulla quale vi è un cavaliere ferito o morto, deciso a fare giustizia, tenta di fermare la comitiva e assale uno dei vestiti a lutto, buttandolo a terra. Gli altri, che erano disarmati, si spaventano e scappano. Questa volta Sancho ammira veramente il valore del suo padrone e quando il caduto si rialza egli dice: "Se mai quei signori volessero sapere chi è stato il valoroso che li ha ridotti a quel modo, vossignoria dirà che è il famoso don Chisciotte della Mancia, il quale con altro nome si chiama il Cavaliere dalla Triste Figura". Continuano così le avventure dei due amici con l'assalto ad un barbiere che si recava a prestare i suoi servizi e al quale don Chisciotte toglie la catinella di rame che scambia per l'elmo di Mambrino; libera alcuni galeotti attaccando le guardie accompagnatrici e infine, assalito dalle nostalgie d'amore, decide di ritirarsi a vita in penitenza tra i boschi della Sierra Morena in omaggio alla sua Dulcinea, e rimanda Sancho al paese perché riferisca alla donzella le sue sofferenze d'amore. Quando il curato e il barbiere vengono a sapere da Sancho le ultime novità, riescono con un espediente a ricondurre a casa il penitente. La prima parte del romanzo termina con quattro sonetti in memoria del valoroso don Chisciotte, di Dulcinea, di Ronzinante e di Sancho e due epitaffi a dimostrazione che Cervantes non pensava allora di pubblicare la seconda parte del don Chisciotte.

Nella seconda parte inizia con un "Prologo" al lettore nel quale Cervantes allude al secondo Don Chisciotte, apocrifo, pubblicato nel 1614 e alle discussioni che ne erano seguite e promette di esaurire, con questa seconda parte tutte le avventure dell'hidalgo fino alla morte e alla sepoltura. Don Chisciotte è curato dalla sua vecchia governante e dalla nipote ma non guarisce e un giorno, all'insaputa di tutti, insieme al suo fido Sancho riprende le vie per il mondo. Prendono subito la via per il Toboso perché don Chisciotte desidera, prima di partire per altre avventure, avere la benedizione della sua Dulcinea. Ma è molto difficile scovare questa luminosa bellezza, simbolo di tutte le perfezioni perché il paese è tutto vicoli e casette e non si vede nemmeno un castello o una torre. Sancho, che ha ormai capito quali sono i capovolgimenti operati dalla fantasia nel cervello di don Chisciotte, consiglia il padrone di ritirarsi nel bosco per evitare guai con gli abitanti e si offre per trovare la bellissima e si reca in paese. Al ritorno dice al padrone che tra non molto vedrà avanzare la principessa vestita in gran pompa seguita da due damigelle. "...Già intanto erano uscite dalla selva ed ecco scorsero lì vicine tre campagnole. Don Chisciotte sospinse lo sguardo per tutta la strada, ma non vedendo che tre contadine, si rannuvolò tutto e domandò a Sancho se mai le avesse lasciate fuori della città" . Sancho risponde con grande stupore: "Stia zitto, signore, non dica così, ma si stropicci cotesti occhi e venga a riverire la signora dei suoi pensieri, che è già qui presso. E così dicendo si avanzò a ricevere le tre contadine; quindi smontando dal somaro, prese per la cavezza la bestia d'una delle tre; poi, piegando a terra tutte e due le ginocchia, disse:-Regina e principessa e duchessa della bellezza, la vostra altierezza e grandezza si compiaccia di ricevere in sua grazia e buon talento il cavaliere vostro schiavo...". Don Chisciotte, con gli occhi stralunati si mette accanto a Sancho e rimane senza parlare mentre nel suo animo si era già dato una spiegazione per quello che credeva un incantesimo. Quando le tre contadine se ne vanno egli esprime il suo pensiero a Sancho: " Che ne dici Sancho? vedi quanto male mi vogliono gli incantatori? vedi fin dove arriva la loro cattiveria e l'astio che mi portano, poiché hanno voluto privarmi della gioia che avrebbe potuto darmi il veder nella sua vera forma la mia signora..."- Il povero don Chisciotte si trova in questo stato d'animo quando si imbatte in una compagnia di comici con i quali non riesce a mettersi d'accordo e viene messo in fuga da un fitto lancio di sassi. Più avanti egli incontra il Cavaliere degli Specchi che lo sfida a duello con la condizione che chi avesse perso il duello sarebbe stato alle condizioni del vincitore, per un imprevisto don Chisciotte vince il duello. Questo cavaliere non è altro che uno studente di Salamanca, un certo Sansone Carrasco amico di don Chisciotte, che ricorre a quel trucco nella speranza di vincere il duello per ricondurlo al villaggio, ma non ci riesce. Don Chisciotte e Sancho proseguono il cammino e incontrano un carro dentro al quale vi sono due leoni in gabbia. Don Chisciotte vuole misurarsi con uno dei leoni e apre la gabbia creando grande spavento tra i guardiani. Ma i leoni annoiati non escono dalle gabbie e gli voltano le spalle. A don Chisciotte rimarrà il nome di Cavaliere dei Leoni secondo l'usanza dei cavalieri erranti che potevano cambiare il nome quando volevano. Testimone di questa ultima impresa è don Diego de Miranda, Cavaliere dal Verde Gabbano, che è felice di ospitare il suo scudiero. Mentre sono ospiti di Don Diego si celebra il matrimonio della bella Chilteria e del povero Basilio e dopo le nozze, don Chisciotte si fa calare, legato ad una fune, nella grotta di Montesinos che si trova nel mezzo della Mancia e quando ne esce racconta le cose più strane e fantastiche. I due continuano la strada e le avventure. Un giorno incontrano un duca e una duchessa che, avendo letto la prima parte delle avventure del Fantastico Nobiluomo don Chisciotte della Mancia, desiderano conoscere il cavaliere e ospitarlo, con Sancho, nel loro castello. I due accettano e il duca e la duchessa si divertano a prenderli in giro inscenando in un bosco una mascherata con maghi, demoni, donzelle ed altri personaggi. In seguito imbastiscono il dramma della contessa Trifaldi e delle sue dodici pulzelle che hanno il volto barboso per un incantesimo del mago Malabruno. Don Chisciotte dovrà affrontare il mago nel suo paese cavalcando Clavilegno, un cavallo alato che in realtà è fatto di legno ed è carico di mortaretti, cosicché quando don Chisciotte e Sancho lo cavalcano bendati, il duca da fuoco alle polveri e i due, dopo aver fatto un gran salto in aria, cadono sull'erba. L'incantesimo è rotto. Più tardi il duca nomina Sancho governatore dell'isola di Barattaria, ma la vita è troppo complicata per il semplice scudiero che se ne ritorna dal suo padrone. I due lasciano il castello alla volta di Barcellona e lungo la strada incontrano ancora tantissime avventure finché l'ultima pone fine alla vita del cavaliere errante ed è la sfida che gli viene da Sansone Carrasco, lo studente di Salamanca, travestito da Cavaliere della Bianca Luna. Lungo la strada don Chisciotte incontra il Cavaliere della Bianca Luna che lo sfida a confessare che la sua dama è più bella di Dulcinea. Il Cavaliere dei leoni rimase allibito da tanta arroganza e accettò la sfida con il patto che chi avesse perso si sarebbe consegnato nelle mani del vincitore. Così avvenne che don Chisciotte, vinto da Carasco, che aveva usato ancora una volta un trucco, si consegna nelle sue mani e viene finalmente ricondotto a casa. Una volta al villaggio, forse per l'abbattimento di essere stato vinto o per destino, viene colto da una improvvisa febbre che lo tiene a letto per sei giorni. Malgrado la visita degli amici il cavaliere si sente molto triste e al termine di un sonno di sei ore, egli si sveglia gridando che stava per morire e ringraziando Dio per aver acquistato il senno. Don Chisciotte vuole confessarsi e in seguito fare testamento e dopo qualche giorno, tra i pianti degli amici e soprattutto di Sancho, egli muore. Per la sua sepoltura furono composti molti epitaffi tra i quali quello di Sansone Carrasco:

Giace qui l'hidalgo forte
che i più forti superò,
e che pure nella morte
la sua vita trionfò.
Fu del mondo, ad ogni tratto,
lo spavento e la paura;
fu per lui la gran ventura
morir savio e viver matto.

[modifica] Significato e importanza del Don Chisciotte

Una delle interpretazioni critiche del libro è l'inadeguatezza dell'intellettuale ai nuovi tempi che correvano in Spagna all'epoca in cui il romanzo fu pubblicato, un'epoca caratterizzata infatti più dal materialismo imperante che da ideali e contraddistinta da quella crisi che seguirà al secolo d'oro appena concluso. Il primo fine del romanzo, dichiarato esplicitamente nel Prologo dallo stesso Cervantes, è quello di ridicolizzare i libri di cavalleria e di satireggiare il mondo medievale, tramite il "folle" personaggio di Don Chisciotte; infatti in Spagna la letteratura cavalleresca, importata dalla Francia, aveva avuto nel Cinquecento grande successo, dando luogo al fenomeno dei "lettori impazziti".

Inoltrandosi nella lettura, subito dopo le prime avventure, Don Chisciotte perde gradualmente la connotazione di personaggio "comico" e acquista uno spessore più complesso. Lo stesso romanzo diventa ben presto molto più che una parodia o un romanzo eroicomico. Il "folle" cavaliere ci mostra il problema di fondo dell'esistenza, cioè la delusione che l'uomo subisce di fronte alla realtà, la quale annulla l'immaginazione, la fantasia, le proprie aspettative, la realizzazione di un progetto di esistenza con cui l'uomo si identifica.

Nel Don Chisciotte ogni cosa può essere soggetta a diversi punti di vista (ad esempio i mulini a vento diventano dei giganti), il che fa perdere chiaramente l'esatta concezione della realtà. Nell'opera di Cervantes è presente una dimensione tragica che dipende dall'inesistente corrispondenza fra cose e parole: le vicende cavalleresche ormai sono parole vuote, ma Don Chisciotte a causa della sua locura non se ne accorge e cerca di ristabilire i rapporti fra realtà e libri. La pazzia è il modo di vedere il mondo con occhi diversi, non offuscati dalle idee e dai condizionamenti sociali.

L'accumularsi di situazioni in cui lo stesso oggetto da origine a interpretazioni dei due personaggi diametralmente opposte senza che nessuno dei due prevalga sull'altro,che trasformano la realtà a seconda della prospettiva cui la si guarda incutono nel lettore quella sensazione di inquietudine, di incertezza irrisolvibile, tipica del Manierismo che viene risolta nella seconda parte grazie all'apertura di una nuova dimensione, squisitamente barocca, della narrazione con la storia di nuovi eventi e la rifondazione dei vecchi su nuove basi in cui l'interpretazione e la narrazione vengono ad intrecciarsi in una rete di corrispondenze a specchio tra azione e riflessione, passato e presente, illusione e realtà che è dinamica. All'interno di questa rete ognuno è costretto a reinterpretare la realtà come meglio crede poiché, il narratore onniscente scompare e il significato è affidato a due manoscritti diversi, spesso in contrapposizione fra di loro, con cui l'autore si prende gioco disseminando qua e la incongruenze e lacune per mettere in dubbio la verità dei due manoscritti.

Il Don Chisciotte è stato considerato il progenitore del romanzo moderno da importanti critici, tra cui György Lukács. Gli si contrappone, specie in ambito anglosassone, l'opera dello scrittore inglese del primo Settecento Daniel Defoe.

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