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Mahatma Gandhi - Wikipedia

Mahatma Gandhi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Simbolo della pace Esponente del pacifismo
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«Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformate in azioni»
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«Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo»

Mohandas Karamchand Gandhi (2 ottobre 1869 - 30 gennaio 1948), in devanagari मोहनदास करमचन्द गांधी, meglio noto come il Mahatma Gandhi (venne chiamato mahatma, in sanscrito "grande anima", dal poeta Rabindranath Tagore) è stato uno dei padri fondatori del moderno stato dell'India ed un fervente sostenitore della satyagraha (protesta non-violenta) come mezzo di rivoluzione.

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«Mr. Gandhi, cosa ne pensa della civiltà occidentale?
- Credo che sarebbe un'ottima idea! - »
(da un'intervista)

Il suo impegno ha aiutato in maniera determinante lo stato indiano ad intraprendere il processo di indipendenza dalla Gran Bretagna, ispirando poi altri paesi colonizzati ad unirsi per la propria libertà ed indipendenza, ponendo fine all'impero britannico e rimpiazzandolo con il Commonwealth. Il principio della satyagraha ('"vera forza") di Gandhi ha ispirato generazioni di attivisti democratici e contro il razzismo, inclusi Martin Luther King e Nelson Mandela. Gandhi era solito ripetere che i suoi valori erano semplici, tratti dall'induismo tradizionale: verità (satya) e non-violenza (ahimsa).

Indice

[modifica] Anni giovanili

Gandhi in Sud Africa, 1906.
Gandhi in Sud Africa, 1906.

Mohandas Karamchand Gandhi nacque in una famiglia giainista il 2 ottobre 1869, a Porbandar, Gujarat, India. Figlio di Karamchand Gandhi, il dewan (primo ministro) di Porbandar, e Putlibai, quarta moglie di Karamchand. Discendenti di commercianti (la parola "Gandhi" significa negoziante). All'età di 13 anni Gandhi sposò Kasturbai, sua coetanea. Ebbero 4 figli, tutti maschi: Harilal Gandhi, nato nel 1888; Manilal Gandhi, nato nel 1892; Ramdas Gandhi, nato nel 1897; e Devdas Gandhi, nato nel 1900.

All'età di 19 anni Gandhi iniziò a studiare legge presso la University of London per diventare avvocato. Formatosi sui testi religiosi e storici della tradizione induista ma anche su una cultura occidentalizzata, in Gran Bretagna Gandhi entrò in contatto con il socialismo libertario di William Morris, con l’anarchismo cristiano e pacifista di Leo Tolstoj e con la teoria della non-violenza e della disobbedienza civile dello scrittore americano Henry David Thoreau. Ritornò in India dopo essere stato ammesso all'ordine degli avvocati britannico. In India provò a praticare la professione di avvocato in Mumbai (città precedentemente conosciuta col nome di Bombay), ottenendo però un successo limitato. Due anni dopo una ditta indiana mandò Gandhi in Sudafrica. Gandhi fu costernato vedendo il prevalente diniego delle libertà civili e dei diritti politici verso gli immigrati indiani ed incominciò a protestare e fare pressioni contro la discriminazione legale e razziale subita dagli indiani in Sudafrica. Uno dei più citati incidenti dei suoi primi giorni in Sud Africa fu quello in cui fu fisicamente buttato fuori da un treno in Pietermaritzburg, avendo rifiutato il trasferimento nella carrozza di terza classe dato che viaggiava con un biglietto di prima classe. Gandhi fu arrestato il 6 novembre 1913 mentre conduceva una marcia di minatori indiani in Sudafrica.

Gandhi prese ispirazione dal Bhagavad Gita e, come detto, dagli scritti di Lev Tolstoj. Nel decennio 1880-1890 si parlò dunque di una sua conversione ad un personale anarchismo cristiano. Gandhi tradusse "Lettera ad un Indù" di Tolstoj [1] scritta nel 1908 in risposta ad un aggressivo nazionalista indiano, ed i due corrisposero fino alla morte di Tolstoj nel 1910. La lettera di Tolstoj utilizza filosofia indù presa dai Veda e massime del Dio indù Krishna per presentare la sua visione della situazione di crescente nazionalismo indiano. In aggiunta, Gandhi fu ispirato dal famoso saggio sulla “Disobbedienza civile" dello scrittore americano Henry David Thoreau.

Nel 1914 Gandhi tornò in India, dove prese parte ad alcuni movimenti di lotta di contadini e operai tessili. Durante la Prima guerra mondiale condusse una campagna rivolta agli indiani per incitarli ad entrare nell'esercito britannico indiano come personale di ambulanza.

[modifica] L'azione non violenta

L'azione non violenta secondo Gandhi consiste nel lottare senza l'uso della forza ma solo attraverso la parola. Lui pensava che l'uso della violenza fosse per le persone deboli, mentre la vera forza stesse nell'esprimere i propri ideali e subirne le conseguenze senza versare una goccia di sangue altrui. "Quando volete ottenere qualcosa di molto importante non dovete solo soddisfare la ragione, ma toccare i cuori. [...] e i cuori si raggiungono solo attraverso la sofferenza. La sofferenza, non la spada è il simbolo della razza umana."(M.K. Gandhi: Teoria e pratica della non-violenza; Parte I, Capitolo 1, Paragrafo 2)

[modifica] Movimento per l'indipendenza indiana

Gandhi durante la marcia del sale, marzo 1930.
Gandhi durante la marcia del sale, marzo 1930.
Gandhi a Roma con alcuni balilla, 1931.
Gandhi a Roma con alcuni balilla, 1931.

La sua posizione pro-indipendenza fu rafforzata dopo il massacro di Amritsar nel 1919.

Dopo la guerra venne coinvolto nel Congresso Nazionale Indiano e nel movimento per l'indipendenza. Nel 1919 entrò nel partito del Congresso Nazionale Indiano, l’organizzazione dell’élite politica moderata indiana, e cominciò a battersi strenuamente per l'indipendenza del suo paese, diventando ben presto il leader riconosciuto del movimento anticoloniale (il cui tortuoso percorso ebbe alti e bassi). Gandhi sostenne la necessità di porre limiti alla lotta, e sostanzialmente emarginò le correnti radicali, alcune delle quali avevano proposto il ricorso ad azioni terroristiche.Guadagnò fama mondiale attraverso la sua linea di condotta di disobbedienza civile e l'uso del digiuno come forma di protesta, e fu ripetutamente imprigionato dalle autorità britanniche (per esempio il 18 marzo del 1922 fu condannato a sei anni di prigione per disobbedienza civile ma ne scontò solo 2).

Altre strategie di successo usate da Gandhi per il movimento a favore dell'indipendenza includevano una linea di condotta swadeshi (il boicottaggio di merci prodotte all'estero, specialmente quelle inglesi). Legato a questo era il sostegno che tutti gli indiani dovessero vestire khadi (vestito fatto in casa), invece che confidare su tessuti prodotti in Inghilterra. Gandhi sosteneva che le donne indiane, ricche o povere, dovessero spendere il loro tempo ogni giorno filando khadi come forma di supporto del movimento indipendentista. Questa era una strategia per includere le donne nel movimento in un momento in cui molti pensavano che queste attività fossero non decorose per le donne.

Una delle sue più impressionanti azioni fu la marcia del sale, da Ahmedabad a Dandi, conosciuta anche come marcia Dandi, che iniziò il 12 marzo del 1930 e terminò il 5 aprile, quando condusse migliaia di persone fino al mare per raccogliere loro stessi il sale piuttosto che pagare la tassa su di esso, commettendo la simbolica violazione della legge estraendo sale dall’acqua marina per protestare contro il monopolio britannico dell’estrazione del sale.

Nel 1931, visitò l'Inghilterra e l'Europa, includendo anche un viaggio a Birmingham. A Londra incontrò Charlie Chaplin, il quale dichiarò che Gandhi era l'unica persona che aveva voluto incontrarlo, ma che non aveva mai visto un suo film. Visitò anche Roma, dato che l'Italia di Mussolini appoggiava pienamente la causa indiana contro l'Inghilterra.

L'8 marzo del 1933 Gandhi incominciò un digiuno che durò 21 giorni per protestare contro l'oppressione inglese in India. In Mumbai il 3 marzo del 1939 Gandhi digiunò ancora come protesta verso il dispotico dominio in India.

Mohandas Gandhi aiutò Jawaharlal Nehru a diventare Primo Ministro sopra al travolgente sostegno che Sardar Patel ordinò per ottenere la carica. Sardar Vallabhbhai Patel vinse nove dei quindici consigli provinciali che votarono per Sardar Patel perché diventasse il primo Primo Ministro dell'India. Comunque, su richiesta di Gandhi, Sardar Patel rinunciò alla carica per placare le aspirazioni di Nehru.

[modifica] Seconda guerra mondiale

Gandhi nel 1942.
Gandhi nel 1942.

La seconda guerra mondiale scoppiò nel 1939 quando la Germania invase la Polonia. Sebbene Gandhi fosse solidale con le vittime dell'aggressione nazista, dopo le grandi deliberazioni con i colleghi all'interno del Congresso, dichiarò che l'India non avrebbe potuto prendere parte ad una guerra apparentemente combattuta per la libertà democratica mentre quella libertà era ancora negata nell'India stessa. Egli dichiarò che sarebbe stato con gli inglesi se essi gli avessero dimostrato come la democrazia e la libertà potessero essere introdotte in India dopo la fine della guerra. La risposta del governo britannico fu totalmente negativa. Essi cercarono anche di creare una spaccatura tra gli induisti ed i musulmani all'interno del paese.

Gandhi divenne più insistente nella richiesta di indipendenza durante la seconda guerra mondiale, avanzando una risoluzione che invitava gli inglesi a lasciare l'India (quit India), che presto scatenò il più grande movimento per l'indipendenza indiana di sempre, con arresti di massa ed una violenza senza precedenti. Gandhi ed i suoi sostenitori fecero presente che non avrebbero sopportato lo sforzo bellico a meno che all'India non venisse garantita un'immediata indipendenza. Durante questo periodo, comunque accennò a porre fine al suo altrimenti deciso supporto alla non violenza, dicendo che l' 'anarchia ordinata' intorno a lui era 'peggiore di quella reale'. Fu arrestato a Mumbai dalle forze britanniche il 9 agosto del 1942 e fu imprigionato per 2 anni.

[modifica] La divisione dell'India e l'assassinio

Nel 1947 la Gran Bretagna, cedendo alle pressioni del movimento anticoloniale, concesse la piena indipendenza. Ma, contrariamente a quanto richiesto da Gandhi (costituire una confederazione di repubbliche autonome, incentrando il potere sui consigli di villaggio), i britannici divisero l’India in due diversi stati nazionali indipendenti, entrambi associati al Commonwealth britannico: l’Unione indiana, a maggioranza induista (683 milioni di abitanti), guidata dal leader del partito del Congresso (J. Nerhu), e la Repubblica del Pakistan (occidentale e orientale) a maggioranza islamica (83 milioni di abitanti). Tra l’altro i musulmani indiani desideravano proprio una divisione tra le due principali comunità religiose, rifiutando un India laica e non confessionale.

Inoltre, i musulmani temevano di essere schiacciati dagli induisti, che rappresentavano la maggioranza della popolazione. Il giorno del trasferimento dei poteri, che provocò esodi di massa (circa 17 milioni di persone) incrociati da uno stato all’altro e violentissimi scontri tra musulmani e induisti, Gandhi non celebrò l'indipendenza, ma si addolorò in solitudine presso la città di Calcutta.

Gandhi era da sempre fermamente contrario ad ogni piano che prevedeva la divisione dell'India in due diversi paesi.

Fu assassinato nella casa Birla presso Nuova Delhi il 30 gennaio del 1948 per mano di Nathuram Godse, un induista radicale che riteneva Gandhi responsabile dell'indebolimento del nuovo governo per via della sua insistenza in merito ad un pagamento a favore del Pakistan. Prima di sparare a Gandhi, Godse si inchinò di fronte a lui tre volte. Godse fu poi processato, condannato ed ucciso.

È indicativa della lunga battaglia di Gandhi e della sua ricerca di Dio l'ultima frase pronunciata che fu un mantra popolare di due parole sulla concezione induista di Dio come Rama: "Hei Ram!". Questo è visto come un interessante segnale di spiritualità così come il suo idealismo riguardante la possibilità di una pace unificatrice. Mentre ci sono alcuni scettici in merito a questo fatto, la grande maggioranza delle evidenze e delle prove, così come l'opinione popolare, sostiene queste estreme parole come veramente pronunciate.

[modifica] Principi

[modifica] Il comportamento ed il modo di vivere

Le filosofie di Gandhi e le sue idee di satya e ahimsa furono influenzate dal Bhagavad Gita e dal credo induista così come dalla pratica della religione giainista. Il concetto di non-violenza (ahimsa) era un ideale antico nel pensiero e nella visione religiosa indiana molto riutilizzato da induisti, buddhisti e giainisti. Gandhi spiega la sua filosofia e il suo stile di vita nella sua autobiografia La storia dei miei esperimenti con la verità.

Gandhi fu un severo vegetariano e scrisse libri sull'argomento mentre studiava legge a Londra (dove incontrò l'attivista vegetariano Henry Salt all'incontro della Società Vegetariana). L'idea di vegetarianismo era profondamente radicata nella società induista e giainista in India, e nella sua terra nativa (il Gujarat) molti induisti erano vegetariani. Sperimentò differenti diete, reputando che una dieta poteva essere sufficiente per soddisfare il minimo fabbisogno alimentare del suo corpo. Gandhi godeva di ottima salute (aveva trovato un perfetto equilibrio alimentare). Si astenne anche dall'assumere cibo per non brevi periodi di tempo, ed usò questa forma di digiuno come arma politica, anche se questa pratica la utilizzava soprattutto per i suoi fini spirituali. Infatti, egli credeva che il digiuno, ma più in generale il controllo nell'assunzione di cibo, portasse ad aumentare il controllo dei sensi indispensabile per un'ascesi spirituale.

Gandhi rinunciò ai rapporti sessuali all'età di 36 anni e divenne totalmente casto sebbene fosse ancora sposato, un modo di fare profondamente influenzato dall'idea indù di brahmacharya, o purezza spirituale e pratica, largamente associata con la castità.

Gandhi spese un giorno della settimana in silenzio, credendo che parlare avrebbe rotto la sua pace interiore. Questi erano estratti di qualche concezione induista del potere di mouna e shanti. In questi giorni comunicò con gli altri scrivendo su carta. Per tre anni e mezzo, dall'età di 37 anni, Gandhi rifiutò di leggere ogni quotidiano, affermando che il tumultuoso stato degli affari mondiali causava in lui più confusione rispetto alla sua già presente irrequietezza interiore.

Dopo essere ritornato in India da una carriera d'avvocato piena di successo in Sudafrica, rinunciò ai suoi abiti che rappresentavano ricchezza e successo. La sua idea era di adottare un tipo di vestiario per mezzo del quale potesse venire accettato anche tra le persone più povere dell'India. Sosteneva l'uso dell'abito fatto in casa (khadi). Gandhi e i suoi sostenitori seguivano la pratica di tessere i propri vestiti usando un filatoio a mano e vestendo un abito fatto con esso. Sosteneva anche gli altri all'uso dei filatoi a mano per comporre i propri abiti: questo avrebbe lasciato l'industria britannica paralizzata. Il filatoio a mano fu successivamente incorporato all'interno della bandiera del Congresso Nazionale Indiano.

Gandhi fu contro l'educazione convenzionale così come veniva insegnata nelle scuole e credeva che i bambini avrebbero imparato meglio dai genitori e dalla società. In Sudafrica Gandhi, insieme ad altri anziani, formò un gruppo di insegnanti che impartivano direttamente educazione ai bambini.

[modifica] Gandhi e la tradizione del pensiero politico rivoluzionario

Il programma politico di Gandhi era, sostanzialmente di orientamento nazionalistico (rivolto, cioè, all’indipendenza nazionale dell’India), democratico e socialista. Questi elementi non erano innovativi, poiché derivavano tutti dalla tradizione del pensiero politico europeo (nazionalismo democratico di Mazzini, socialismo libertario di Morris ecc.). La vera e fondamentale innovazione introdotta da Gandhi riguardò la teoria della rivoluzione. Nell’Europa moderna è nata una teoria “classica” della rivoluzione, che si è formata con il contributo di quasi tutte le correnti del pensiero politico: quella liberale (Locke, Jefferson e i padri della Rivoluzione americana, Syeyes e i teorici liberali della Rivoluzione francese), quella democratica (Rousseau, Robespierre, Saint-Just e altri teorici giacobini; Mazzini) e quella socialista, anarchica e comunista (Babeuf, Bakunin, Marx, Lenin, ecc.).

Per quanto divergenti nei loro obiettivi politici, le teorie classiche della rivoluzione hanno in comune due componenti fondamentali:

  • la teoria del “diritto alla resistenza” (Locke), secondo cui è legittimo – se non doveroso – che le masse popolari si ribellino contro le autorità sociali e politiche, quando subiscono una evidente e intollerabile situazione di ingiustizia (“Ribellarsi è giusto”, diceva Mao Tse Tung);
  • la teoria della “guerra giusta”, secondo cui il popolo ha diritto di ricorrere alla violenza rivoluzionaria, quando questa serve a correggere torti e ingiustizie molto gravi (questa teoria, dalle origini medievali, giustificava la violenza e le guerre).

Gandhi condivise il primo di questi due principi, ma si staccò radicalmente dalle teorie classiche della rivoluzione per quanto riguarda il secondo, innovando in modo imponente questa teoria, ponendo una cesura epocale tra questa e le altre idee di rivoluzione. Anche per lui ribellarsi all’ingiustizia era un diritto-dovere dei popoli, ma la sua idea era che l’unica forma di lotta rivoluzionaria giusta e legittima fosse la rivoluzione (lotta, resistenza, ribellione) non-violenta, da lui battezzata, con termine derivante dal sanscrito, “satyagraha” (“forza della verità”).

[modifica] Il concetto di satyagraha

Il satyagraha per Grandhi era una forma attiva e radicale di lotta rivoluzionaria, da non confondersi con la “resistenza passiva”. Per lui i “satyagrahi”, cioè i militanti della rivoluzione non-violenta, dovevano essere dediti anima e corpo alla causa rivoluzionaria. Gandhi non predicava la non-violenza come forma di passività e rassegnazione all’ingiustizia, perché assoggettarsi vigliaccamente all’oppressione significa annientare la propria umanità: «Nel caso in cui l’unica scelta possibile fosse quella tra la codardia e la violenza, io consiglierei la violenza». E ancora: «Nessun uomo può essere attivamente non-violento, e non ribellarsi contro l’ingiustizia, dovunque si verifichi». Gandhi inoltre insisteva spesso sulla distinzione tra la non-violenza del debole, che consiste nel subire passivamente e vigliaccamente l’oppressione o nell’opporsi a essa con la semplice “resistenza passiva”, e la non-violenza del forte. Quest’ultima è il satyagraha, l’attiva e coraggiosa ribellione all’ingiustizia, che una volta Gandhi definì come «l’equivalente morale della guerra».

[modifica] Le tecniche del satyagraha

Nella sua lunga storia di leader rivoluzionario (prima in Sud Africa, poi in India) Gandhi ha teorizzato e sperimentato un’ampia varietà di tecniche di lotta rivoluzionaria non-violenta. Innanzitutto il boicottaggio non-violento; ad esempio: non acquistare liquori e tessuti stranieri, non iscrivere i figli alle scuole inglesi, non investire i propri risparmi in titoli di stato britannici, non accettare incarichi militari e civili o titoli onorifici dall’amministrazione coloniale britannica. Un'altra forma era il picchettaggio non violento. che consiste nel formare gruppi di militanti non-violenti davanti all’ingresso dei luoghi di lavoro o di quelli in cui si svolgono attività boicottate, per invitare le persone che si apprestano a entrarvi ad astenersi dal lavoro o a praticare il boicottaggio. Tra le altre forme ricordiamo lo sciopero non-violento, le marce i digiuni, cioè scioperi della fame o della sete (anche “fino alla morte"), ed infine, importantissima, la disobbedienza civile.

[modifica] La disobbedienza civile

Consiste nel violare in modo pubblico leggi o comandi amministrativi ritenuti evidentemente e sommamente ingiusti, accettando però le punizioni previste dalla legislazione vigente per le violazioni commesse (il rifiuto della sanzione prevista non veniva considerato un atteggiamento non-violento). Esempi: non pagare le tasse, praticare l’obiezione di coscienza al servizio militare, violare con pubblicazioni, manifestazioni, scioperi e picchetti vietati le norme legislative o gli atti amministrativi che limitano illegittimamente la libertà di stampa, la libertà di manifestazione, la libertà di sciopero e la libertà di riunione (picchetti). A volte gli atti di disobbedienza civile possono essere puramente simbolici (come fu per l’estrazione del sale alla fine della Marcia del 1930). Per Gandhi la disobbedienza civile rappresentava, insieme al digiuno, la forma culminante di resistenza non-violenta; egli la definì “un diritto inalienabile di ogni cittadino”, e affermò che “rinunciare a questo diritto significa cessare di essere uomini”.

A proposito di questo bisogna ricordare come Gandhi trascorse, a causa degli arresti dovuti alle sue lotte politiche, utilizzando il principio della disobbedienza civile, un totale di 2338 giorni di detenzione tra Sudafrica e India.

[modifica] La filosofia della ahimsa (non-violenza)

Le strategie della resistenza non-violenta o satyagraha erano giustificate da Gandhi sulla base di una concezione etico-religiosa in cui era centrale il concetto di ahimsa. “Ahimsa” è una parola del sanscrito tradotta nelle lingue europee moderne con il termine “non-violenza” (“a” = “non”; “himsa” = “violenza”, “ingiuria”, “male”). Ahimsa vuol dire non usare violenza, ma anche non far del male, amare, quindi essere giusti nei confronti degli altri. Per Gandhi la ahimsa è l’atteggiamento etico che deriva dalle fede nella Verità (Satya), quella Verità che le religioni chiamano Dio. La fede nella Verità è il fondamento più solido della ricerca della ahimsa, cioè di una vita sociale improntata alla non-violenza, all’amore, alla giustizia. Il compito del satyagrahi, cioè del rivoluzionario non-violento, è proprio quello di combattere la himsa – la violenza, il male, l’ingiustizia – nella vita sociale e politica, per realizzare la Verità («Il solo mezzo che abbiamo per realizzare la Verità nei rapporti umani è la pratica dell’ahimsa»). Per questa ragione, il sottotitolo che Gandhi scelse per la sua autobiografia fu “The story of my experiments with Truth” (“La storia dei miei esperimenti con la verità”.)

[modifica] La concezione gandhiana del progresso

Gandhi ha posto il concetto di ahimsa anche al centro della sua concezione del progresso umano. L’essere umano è sia animale sia spirito. Come animale l’essere umano basa il suo rapporto col mondo sulla trasformazione materiale dei corpi e dunque sull’uso della forza, sulla himsa; come spirito l’essere umano fonda le sue relazioni col mondo sulla comunicazione verbale e sulla persuasione razionale, dunque sulla ahimsa. Il progresso è umanizzazione dell’uomo, dunque graduale affermazione della sua identità specifica, del suo essere spirito. Il progresso è di conseguenza la graduale riduzione del tasso di violenza (himsa) presente nei rapporti umani, e graduale affermazione della verità e della ahimsa, cioè della non-violenza, del bene, della giustizia, nella vita sociale e politica.

[modifica] La critica della violenza rivoluzionaria e i metodi della rivoluzione non violenta

Se la giustizia è riduzione del tasso di violenza presente nella società, la lotta per la giustizia non può essere attuata con una resistenza violenta, che inevitabilmente porta ad un aumento – sia pure in via transitoria –del tasso di violenza insito nei rapporti umani. Il mezzo deve essere coerente con il fine; non si può adottare un mezzo che porta alla negazione del fine. Se il fine della lotta per la giustizia è la ahimsa, cioè la negazione della violenza nei rapporti umani, non lo si può realizzare facendo ricorso alla violenza. A questo proposito, in polemica con i bolscevichi, Gandhi scrisse: «Io non credo nelle vittorie ottenute in fretta, con la violenza. Gli amici bolscevichi che guardano con interesse al mio insegnamento devono comprendere che per quanto possa condividere e ammirare le aspirazioni e i sentimenti nobili, io sono inflessibilmente contrario ai metodi violenti, anche quando vengono posti al servizio della causa più nobile. … L’esperienza infatti mi insegna che dalla falsità e dalla violenza non possono scaturire risultati positivi duraturi.

"Ma qual è il mezzo con il quale l’uomo giusto può proporsi di affermare la Verità e dunque la ahimsa nei rapporti umani? L’unico mezzo possibile, secondo Gandhi, è la persuasione razionale di coloro che con i loro comportamenti violenti causano ingiustizia: «Bisogna convertire l’avversario ad aprire le sue orecchie alla voce della ragione». Persuadere, ma non costringere; convertire, ma non obbligare.

I mezzi della persuasione, per Gandhi, sono essenzialmente due: la discussione e la lotta non violenta. La discussione è il battersi contro un’ingiustizia sociale e politica, facendo per prima cosa appello alle autorità ingiuste e all’opinione pubblica, per tentare di aprire una discussione e convincere con argomenti razionali i responsabili ad abbandonare i loro comportamenti ingiusti. Invece la lotta non-violenta (satyagraha) è la dimostrazione pratica della Verità; essa dimostra la superiorità morale del ribelle, il suo essere dalla parte della verità. La prova di questa superiorità morale sta nella sua disposizione a soffrire e ad affrontare la morte in nome della Verità: «La dottrina della violenza riguarda solo l’offesa arrecata da una persona ai danni di un’altra. Soffrire l’offesa nella propria persona, al contrario, fa parte dell’essenza della non-violenza e costituisce l’alternativa alla violenza contro il prossimo».

L’ingiusto afferma i suoi interessi egoistici con la violenza, cioè procurando sofferenza ai suoi avversari e, nello stesso tempo, provvedendosi dei mezzi (le armi) per difendersi dalle sofferenze che i suoi avversari possono causargli. Il giusto, invece, dimostra, con la sua sfida non-violenta, che la verità è qualcosa che sta molto al di sopra del suo interesse individuale, qualcosa di talmente grande e importante da spingerlo a mettere da parte l’istintiva paura della sofferenza e della morte. Il combattente non-violento sfida l’ingiusto a mani nude, senza armi, e si espone alle sue rappresaglie, opponendo solo la forza della Verità (da cui l’espressione satyagraha). È la capacità di soffrire, senza offendere, senza imporre con la forza la propria volontà, senza infliggere sofferenza, senza distruggere o uccidere, e senza nemmeno difendersi, che rappresenta, secondo Gandhi, la più potente dimostrazione pratica della validità della causa del ribelle non-violento, il suo essere dalla parte della Verità: «La sofferenza è la legge dell’umanità, così come la guerra è la legge della giungla. Ma la sofferenza è enormemente più potente della legge della giungla, ed è in grado di convertire l’avversario ed aprire le sue orecchie alla voce della ragione. … Quando volete ottenere qualcosa di veramente importante non dovete solo soddisfare la ragione, ma toccare i cuori. L’appello della ragione è rivolto al cervello, ma il cuore si raggiunge solo attraverso la sofferenza. Essa dischiude la comprensione interiore dell’uomo. La sofferenza, e non la spada, è il simbolo della specie umana».

La differenza tra questi due metodi di affermazione della verità sta nel fatto che la discussione fa appello esclusivamente alla ragione dell’avversario attraverso la dimostrazione teorica della sua ingiustizia, mentre la lotta non-violenta fa appello anche al cuore dell’ingiusto, perché contiene una portentosa dimostrazione pratica della sua ingiustizia.

[modifica] Le virtù del satyagrahi

Da quanto detto derivano anche le virtù che Gandhi ascrive all’autentico satyagrahi, il combattente per la causa della Verità. Egli non deve essere mosso dall’ira e dall’odio per l’avversario, cioè per l’ingiusto: deve combattere l’ingiustizia, ma non l’ingiusto (“l’errore e non l’errante”, come diceva Papa Giovanni XXIII), e deve avere sempre fede nella possibilità che anche l’uomo più ingiusto si possa convertire alla causa della giustizia. Mitezza e amore sono dunque le due prime caratteristiche fondamentali dell’atteggiamento del satyagrahi. L’essenza del satyagraha, inoltre, è la disposizione a combattere a mani nude, ad affrontare volontariamente le sofferenze che possono derivare dalla lotta per la Verità. Il satyagrahi deve dunque essere coraggioso, molto più coraggioso dei guerrieri che affrontano il pericolo della battaglia senza rinunciare alla protezione delle loro armi. E non deve essere dominato dall’avidità di ricchezza o dalla passione per i piaceri corporei; l’eccessivo attaccamento ai beni materiali può infatti distoglierlo dalla sua battaglia per la giustizia. Coraggio, povertà e castità devono dunque essere tra le virtù del satyagrahi.

[modifica] Prove storiche e profezie

Nei suoi scritti Gandhi dovette spesso difendersi dal cinismo e dal malinteso “realismo” di coloro che irridevano e ridicolizzavano le sue teorie, considerandole una manifestazione di imbelle “buonismo”. Egli si appellò ad alcuni esempi di battaglie non violente coronate da successo - oggi possiamo ricordare le conquiste dei movimenti sindacali, quelle del movimento delle donne o quelle del movimento per i diritti civili dei neri degli USA (guidato dal “gandhiano” Martin Luther King); ma anche la vittoria della causa indipendentista in India (che non ha avuto il terribile costo umano delle guerre di liberazione anticoloniali in Vietnam, Algeria e altri paesi) o il successo delle pacifiche trattative danesi e bulgare, durante la Seconda guerra mondiale, per salvare gli ebrei di quei paesi dai piani di sterminio nazisti. Gandhi richiamava alla memoria anche gli innumerevoli casi di fallimento delle strategie violente, e il terribile costo umano, oltre che l’esito profondamente ingiusto, delle rivoluzioni che avevano tentato di affermare i diritti dei popoli attraverso il metodo della violenza.

Oggi siamo in grado di confermare pienamente le osservazioni di Gandhi, tenuto contro delle prove che ha fatto di sé il metodo della violenza nel corso del XX secolo: due apocalittiche guerre mondiali, una serie interminabile di spaventosi genocidi ed eccidi di massa (congolesi, herero, armeni, kulaki e vittime dei Gulag sovietici e cinesi, ebrei, cambogiani, tutsi del Ruanda, palestinesi, iracheni, ecc.), rivoluzioni sociali e politiche che hanno avuto esiti fallimentari e pesantissimi costi umani, “guerre per la libertà” o “guerre umanitarie” che hanno tentato di abbattere le ingiustizie con mezzi disumani e ingiusti, provocando scie interminabili di lutti e sofferenze. Per non parlare di un’umanità che ancora oggi vive l’incubo di un ombrello atomico che potrebbe aprirsi da un momento all’altro, distruggendo per sempre, in poche frazioni di secondo, ogni possibilità di vita sull’intero pianeta.

Oggi siamo in grado di apprezzare il terribile significato profetico delle parole scritte da Gandhi nel 1925 (quattordici anni prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale!), nel corso di una discussione sulle reazioni politiche alla Prima guerra mondiale: «L’ultima guerra è stata una guerra espansionistica, per entrambe le parti. È stata una guerra per spartirsi il bottino dello sfruttamento delle razze più deboli – chiamato eufemisticamente mercato mondiale. (…) Prima che cominci in Europa un disarmo generale - che prima o poi dovrà essere realizzato, se l’Europa non vuole andare incontro al suicidio – qualche nazione deve avere il coraggio di procedere autonomamente al proprio disarmo, accettando i gravi rischi che ciò comporta». In nome della “razionalità” politica, nessuna nazione europea prese in considerazione la proposta di Gandhi; la Germania, anzi, con Hitler rivendicò il diritto di armarsi fino al collo, per poter scagliare le sue armate contro il resto del continente. I risultati sono universalmente noti.

[modifica] Il titolo onorifico di mahatma

L'appellativo di "mahatma", datogli dal poeta Rabindranath Tagore, fu spesso confuso come nome di Gandhi, mentre è un termine sanscrito di venerazione il cui significato letterale è "grande anima". Shri Aurobindo Ghosh fu influente nell'applicazione di questo termine per Gandhi.

La vasta accettazione del suo uso, al di fuori dall'India, in parte riflette le complessità, durante la sua vita, delle relazioni tra India e Gran Bretagna. In ogni caso, ciò è completamente coerente con l'assai diffusa percezione di Gandhi come persona profondamente coinvolta nella non violenza e nella sua fede religiosa.

[modifica] Rappresentazioni artistiche

La più famosa rappresentazione artistica della sua vita è il film Gandhi, diretto da Richard Attenborough ed interpretato da Ben Kingsley (curiosamente, lui stesso per metà abitante del Gujarat) nel ruolo principale. Un altro film che parla dei 21 anni di vita di Gandhi in Sudafrica è The Making of the Mahatma diretto da Shyam Benegal ed interpretato da Rajat Kapur.

Negli Stati Uniti, ci sono statue di Gandhi all'esterno del Ferry Building a San Francisco, in Union Square Park a New York City, e vicino all'ambasciata indiana nel distretto di Dupont Circle a Washington.

Nel Regno Unito, ci sono molte statue importanti di Gandhi, in particolare nei giardini Tavistock a Londra e vicino all'University College of London dove studiò legge.

[modifica] Candidatura al premio Nobel per la pace

Gandhi non ricevette mai il Premio Nobel per la Pace, sebbene fosse stato nominato cinque volte tra il 1937 ed il 1948. Decenni dopo comunque, l'omissione fu pubblicamente rimpianta dal comitato del premio Nobel. Quando il Dalai Lama fu premiato nel 1989, il presidente del comitato disse che questo premio era "in parte un tributo alla memoria del Mahatma Gandhi".

Il sito ufficiale del museo dell'associazione Nobel contiene un articolo su questo argomento. [2] (EN)

In tutta la sua vita, le attività di Gandhi attrassero un'ampia gamma di commenti ed opinioni. Per esempio, come materia dell'impero Turco, Winston Churchill una volta si riferì a Gandhi come "disgustoso" e un "fachiro mezzo spoglio". Al contrario, Albert Einstein disse di Gandhi: "Le generazioni a venire, forse, crederanno a fatica che un individuo come questo, in carne ed ossa, camminò su questa terra."

[modifica] Bibliografia

  • Gandhi, Peter Rühe, 2002. ISBN 0714892793
  • Gandhi - autobiografia, a cura di C.F. Andrews e prefazione di Giovanni Gentile, 1931, Garzanti
  • Teoria e pratica della non-violenza, M.K. Gandhi, a cura di Giuliano Pontara, 1996, Einaudi
  • Una forza che dà vita. Ricominciare con Gandhi in un'età di terrorismi, di Fulvio Cesare Manara, Unicopli, Milano 2006.
  • Gandhi. Il seme della non violenza di Pierercole Musini, Editrice La Scuola

[modifica] Voci correlate

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[modifica] Collegamenti esterni




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