Rivoluzione francese
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Categoria: Storia della Francia |
La rivoluzione francese è un insieme di eventi e di cambiamenti intercorsi tra il 1789 e il 1799 che segna, nella storiografia francese, il limite tra l'età moderna e l'età contemporanea.
Le principali e più immediate conseguenze della rivoluzione francese furono l'abolizione della monarchia assoluta e la proclamazione della repubblica, con l'eliminazione delle basi economiche e sociali dell'Ancien régime. Questa fu la prima delle rivoluzioni a connotazione borghese, ispiratrice di quelle che seguiranno nel XIX secolo.
[modifica] Cause
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Per approfondire, vedi la voce Cause della Rivoluzione francese. |
Molti fattori portarono alla rivoluzione; per certi versi, il vecchio ordine dovette soccombere alla sua stessa rigidità di fronte a un mondo in evoluzione; per altri, cadde sotto l'ambizione di una borghesia rampante, alleata con i contadini ed i salariati, e con individui di tutte le classi che furono influenzati dalle idee dell'illuminismo. Con il procedere della rivoluzione e il passaggio del potere dalla monarchia ai corpi legislativi, gli interessi contrastanti di questi gruppi inizialmente alleati divennero fonte di conflitti e bagni di sangue.
Tra le cause della rivoluzione ci sono le seguenti ragioni:
- Risentimento per l'assolutismo reale.
- Risentimento per il sistema signorile da parte di contadini, salariati e borghesia rampante.
- La piena maturazione degli ideali dell'illuminismo.
- Un debito nazionale ingestibile, causato ed esacerbato dal peso di un sistema di tassazione grossolanamente iniquo.
- La scarsità di cibo negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione.
[modifica] Antecedenti
[modifica] La contestazione della monarchia assoluta
Nel 1788 in Francia il potere era riposto nella monarchia assoluta di diritto divino. La tradizione monarchica si inscriveva nel rispetto dei costumi, cioè delle libertà e dei privilegi accordati ad alcuni individui, alcune città o province. Le basi di questo sistema politico furono contestate ed attaccate nella seconda metà del XVIII secolo.
La filosofia degli Illuministi si era diffusa negli strati superiori della società francese, la borghesia e la nobiltà liberale. Al modello francese della monarchia assoluta fu contrapposto quello inglese di una monarchia limitata da un parlamento (assemblea eletta). All'obbedienza del soggetto furono contrapposti i diritti del cittadino. I filosofi illuministi difesero l'idea che il potere sovrano supremo risiede nella Nazione.
Anche gli ordini privilegiati si rivoltarono contro il potere reale, in quanto l'assolutismo li aveva privati delle loro prerogative tradizionali.
Sotto l'Ancien Régime i Parlamenti erano delle corti di giustizia. Essi approfittarono del diritto, che gli era tradizionalmente accordato, di emettere delle osservazioni al momento della registrazione delle leggi nei registri dei parlamenti, per criticare il potere reale. Benché difendessero soprattutto i loro privilegi, essi arrivarono al punto di essere visti dall'opinione pubblica come i difensori del popolo.
La Nobiltà, privata del potere sotto il re Luigi XIV, desiderava ritornare agli affari dello Stato. A questa rivendicazione politica si doveva una rivendicazione economica. I nobili non avevano il diritto di esercitare un gran numero di attività economiche, sotto la pena di perdere la loro nobiltà. In un secolo in cui la rendita della terra stagnava e in cui i costi per la rappresentanza (costumi, carrozze...) salivano sempre più, il loro potere di acquisto diminuiva. La nobiltà si arroccò sui suoi vecchi privilegi, principalmente i diritti feudali, ed esigeva il pagamento di alcune tasse feudali, ormai desuete. Si arrogò anche lo sfruttamento esclusivo di alcune proprietà comunali, delle terre non coltivate o in cui tradizionalmente i paesani poveri potevano far pascolare qualche bestia. Questa situazione era molto malvista dai paesani che reclamavano l'abolizione dei diritti feudali per sollevare la loro miseria.
Malgrado tutto, la maggioranza dei francesi nel 1789 non immaginava una Rivoluzione violenta e l'abolizione della monarchia. Il re, infatti, nel 1789 era considerato come il padre dei francesi ed era amato e rispettato. Non era sperata nemmeno una riforma profonda dello Stato.
[modifica] Necessità di riforme
Luigi XV e Luigi XVI non rimasero insensibili alla diffusione delle nuove idee ed al blocco delle istituzioni, ma non ebbero l'autorità del loro predecessore Luigi XIV per imporre ai privilegiati i cambiamenti necessari:
- la riforma giudiziaria del cancelliere de Maupeou, decisa alla fine del regno di Luigi XV, fu abbandonata da Luigi XVI che cedette davanti al Parlamento;
- la riforma fiscale: il problema dei re era sempre stato il bilancio che, dopo il XVIII secolo, era fortemente deficitario. La principale imposta diretta, la «taglia», pesava soltanto sui non privilegiati. La preoccupazione dei re fu, quindi, di aumentare le entrate fiscali. Vennero aggiunte alle precedenti delle nuove imposte gravanti su tutti, qualunque fosse il loro ordine: la «capitazione», che dal 1701 venne applicata su tutte le teste e che in proporzione pesava soprattutto sui non privilegiati; il «ventesimo», che assoggettava tutti i redditi (in teoria 1/20 del reddito, ma i nobili ed il clero la compensavano pagandola una volta per tutte ed in seguito furono esentati). Le nuove imposte non furono in grado di contrastare il deficit ed il debito pubblico aumentò per tutto il XVIII secolo.
Nonostante la Francia fosse un paese con un'economia in espansione, aveva una struttura sociale conflittuale ed uno stato monarchico in crisi. Di fatto si può parlare di una crisi dell'Antico Regime in tutta l'Europa Occidentale, ma la forma in cui questa crisi si manifestò nello stato francese e l'esistenza all'interno del Terzo stato di una borghesia che aveva acquisito coscienza del suo potere, spiegano come si poté realizzare in Francia una rivoluzione con conseguenze molto maggiori rispetto a quelle prodotte dagli altri sollevamenti dell'epoca negli altri Paesi.
[modifica] La crisi finanziaria
Esisteva un'opposizione generalizzata contro le regole economiche e sociali che favorivano i gruppi privilegiati. Lo Stato francese si trovava in una grave crisi finanziaria, in parte dovuta all'appoggio economico inviato dal governo alle 13 colonie inglesi d'America durante la guerra d'indipendenza.
Durante i regni di Luigi XV e Luigi XVI, diversi ministri, inclusi Anne Robert Turgot e Jacques Necker, cercarono senza riuscirvi di modificare il sistema impositivo e convertirlo in un sistema più giusto ed uniforme. Tali iniziative incontrarono una forte opposizione da parte della nobiltà, che si considerava garante nella lotta contro il dispotismo. Questi ministri furono così costretti a rinunciare al loro mandato ed il 3 novembre 1783 il re nominò Charles Alexandre de Calonne ministro delle Finanze.
Calonne intraprese una politica di spese consistenti, volta a convincere i potenziali creditori della solidità delle finanze nazionali. Durante il suo ministero non si sentiva parlare che di pensioni e gratificazioni. Nel breve termine sperava che una dimostrazione di supporto da parte dell'assemblea dei notabili avrebbe permesso di ripristinare la fiducia nelle finanze francesi e di ottenere quindi dei prestiti con cui far fronte alle spese.
In seguito, in uno studio dettagliato della situazione finanziaria, Calonne si rese conto che non era sostenibile e indicò che bisognava fare delle importanti riforme. In particolare, prescrisse un codice tributario uniforme per quanto concerneva la proprietà delle terre, con il quale assicurava che si sarebbe ottenuto un risanamento delle finanze. Quando Calonne espose al re la necessità della riforma proposta, l'Assemblea dei Notabili rifiutò di accettare questi rimedi, a causa della reputazione di immoralità che Calonne si era guadagnato negli anni del suo ministero e perché a lui era attribuita una parte del deficit.
Le finanze francesi erano alla bancarotta. Secondo François Mignet, i prestiti ammontavano a «milleseicentoquarantasei milioni... e... c'era un deficit annuale di quarantasei milioni (presumibilmente di livres)». [1]
Si cominciava a pensare che solo un organo rappresentativo di tutta la nazione, come gli Stati Generali, avrebbe potuto votare l’applicazione di nuove tasse, ma Calonne rifiutò l'idea di convocarli.
[modifica] Il fallimento dei tentativi di riforma
Il re vedendo che Calonne non riusciva a gestire al situazione, il 1° maggio 1787 lo sostituì con il suo principale critico, il presidente dell'assemblea dei notabili e leader dell'opposizione, Etienne-Charles de Loménie de Brienne, arcivescovo di Tolosa.
Brienne tentò di far approvare le riforme proposte da Calonne, ma queste incontrarono nuovamente una forte opposizione, soprattutto dal Parlamento di Parigi (un organo giudiziario con funzioni di controllo sulla legittimità degli atti, ma senza funzioni politiche). Brienne tentò di proseguire con la riforma tributaria nonostante i parlamenti, ma questo provocò una massiccia resistenza dei gruppi benestanti che sfociò nel ritiro dei prestiti di breve durata. In quel momento, questi prestiti davano ossigeno e vita all'economia dello stato francese, per cui si creò una situazione di bancarotta nazionale.
[modifica] La convocazione degli Stati Generali
Il 18 dicembre 1787, il re Luigi XVI, promise di convocare gli Stati Generali nel giro di cinque anni.
La monarchia non poté realizzare alcuna riforma fiscale a causa dell'ostruzionismo sistematico del Parlamento. La «Giornata delle tegole di Grenoble», che ebbe luogo nel 1788 mostrò l'alleanza contro natura tra il Parlamento ed il popolo. Le proteste delle famiglie toccate dalla crisi economica si moltiplicarono dopo il mese di maggio e queste agitazioni obbligarono la guarnigione ad intervenire il 7 giugno, ma essa venne accolta dal getto di tegole lanciate dagli abitanti di Grenoble saliti sui tetti. Dopo la giornata delle tegole, un'assemblea dei tre ordini (clero, nobiltà e terzo stato) si riunì al castello di Vizille e decise lo sciopero delle imposte tanto che gli Stati Generali della provincia non furono convocati dal re per votarli. Nel fallimento e incapace di ristabilire l'ordine, Luigi XVI cedette e l’8 agosto 1788 acconsentì a convocare gli Stati generali per il 5 maggio 1789, per la prima volta dal 1614.
Il 25 agosto 1788 Brienne rinunciò all'incarico e alle Finanze francesi fu richiamato Necker, il quale rese pubblico il bilancio del regno. Lo Stato percepiva 503 milioni di livres di entrate contro 620 di spese. Gli interessi sul debito ammontavano da soli a 310 milioni, cioè la metà delle spese. L'opinione pubblica fu scandalizzata nell'apprendere che la corte spendeva 36 milioni in feste e pensioni per i cortigiani.
[modifica] La fine della monarchia assoluta
[modifica] La campagna elettorale per l’elezione dei deputati agli Stati Generali
La prospettiva degli Stati generali evidenziò il conflitto di interessi tra il Secondo stato (la nobiltà) e il Terzo stato (che raggruppava tutti i francesi non nobili né ecclesiastici, dalla grande borghesia ai braccianti rurali).
La società era cambiata rispetto al 1614: il Primo Stato (il clero) assieme al Secondo Stato (la nobiltà) rappresentavano solo il 2 per cento della popolazione francese; il Terzo Stato, teoricamente rappresentante del restante 98% e in pratica rappresentante di una fetta crescente del benessere nazionale, poteva ancora essere messo in minoranza dagli altri due, che storicamente avevano spesso votato assieme. Molti nella classe emergente videro la convocazione degli Stati Generali come una possibilità di guadagnare potere.
La convocazione degli Stati Generali suscitò molte speranze tra la popolazione francese. I contadini speravano in un miglioramento delle loro condizioni di vita con l’abbandono dei diritti feudali. La borghesia, formata alle idee Illuministe sperava nell’instaurazione dell’uguaglianza dei diritti e di una monarchia parlamentare secondo il modello inglese. Essa poté contare sul sostegno di una piccola parte della nobiltà acquisita alle nuove idee e del basso clero che viveva vicino al popolo ed era sensibile alle sue difficoltà. Tutto ciò causò l’animazione del dibattito politico durante l’elezione dei deputati agli Stati Generali.
Durante la campagna elettorale, nei cahiers de doléances ("quaderni delle rimostranze") venne stilato un elenco dei soprusi a cui era sottoposto ancora il Terzo stato.
I dibattiti riguardarono anche l’organizzazione degli Stati Generali: infatti era tradizione che ogni ordine eleggesse circa lo stesso numero di deputati e che gli eletti di ciascun ordine si riunissero, discutessero e votassero separatamente. Il risultato del voto di ciascun ordine valeva un voto. Questo era il principio del voto per ordine. In questo modo, bastava che i due ordini privilegiati votassero nello stesso modo, cioè per il mantenimento dei privilegi, che il Terzo Stato si sarebbe sempre trovato in minoranza.
Il Terzo Stato chiese il raddoppio del numero dei deputati che lo rappresentavano (che già aveva nelle assemblee provinciali), affinché il numero dei loro eletti corrispondesse di più al loro peso nella società. Questo divenne un soggetto per gli opuscolisti; l'opuscolo più notevole fu quello dell'abate Emmanuel Joseph Sieyès: "Cos'è il Terzo Stato?". Necker, sperando di evitare il conflitto, riunì una seconda assemblea di notabili il 6 novembre 1788, ma, con suo grande imbarazzo, questi rigettarono il concetto di rappresentanza doppia. Convocando l'assemblea, Necker aveva meramente sottolineato l'opposizione dei nobili all'inevitabile politica.
Un decreto reale del 27 novembre 1788 annunciò che agli Stati generali avrebbero partecipato almeno un migliaio di deputati e garantì la rappresentanza doppia per il Terzo Stato. I semplici sacerdoti (curés) potevano essere deputati per il Primo Stato, e i protestanti per il Terzo Stato. Secondo Mignet, dopo delle elezioni ragionevolmente oneste, "I deputati della nobiltà erano composti da 242 gentiluomini e 28 membri del parlamento; quelli del clero, da 48 vescovi e arcivescovi, 35 abati e decani, e 208 curati; e quelli del Terzo Stato, da due ecclesiastici, 12 nobili, 18 magistrati cittadini, 200 membri delle contee, 212 avvocati, 16 medici e 216 mercanti e agricoltori". Altre fonti danno cifre leggermente differenti, vedi Stati Generali.
Il Terzo Stato chiese anche il principio del voto per testa, cioè la convocazione di un’unica assemblea in cui ogni eletto disponeva di un voto. Luigi XVI, che aveva accordato il raddoppio dei deputati del Terzo Stato, mantenne il silenzio sulla questione del voto per ordine o per testa e rinviò la decisione agli Stati Generali stessi. Se si continuava a votare per stato, come in passato, il fatto che il numero dei rappresentanti del Terzo Stato fosse stato raddoppiato non cambiava molto le cose.
[modifica] 5 maggio 1789 - 17 giugno 1789: dagli Stati Generali all'Assemblea Nazionale
Quando gli Stati Generali convennero a Versailles il 5 maggio 1789, tra l'acclamazione generale, molti nel Terzo Stato videro la rappresentanza doppia come una rivoluzione già pacificamente conseguita. Comunque, con l'etichetta del 1614 strettamente rinforzata, il clero e la nobiltà in pompa magna, l'ubicazione fisica dei deputati dei tre Stati dettata dal protocollo di un'era precedente, fu immediatamente evidente che in realtà era stato ottenuto molto meno.
Già a partire dai discorsi fatti dal re e da Necker nel corso dell’apertura degli Stati generali, i deputati del Terzo stato non sentirono affatto parlare delle riforme politiche tanto attese, ma soltanto di questioni finanziarie. Il potere non prese posizione sul voto per ordine o per testa. Quando Luigi XVI e Barentin (il guardasigilli) si rivolsero ai deputati il 6 maggio, il Terzo stato scoprì che il decreto reale che garantiva la rappresentanza doppia celava un trucco. Avevano sì più rappresentanti degli altri due Stati combinati, ma il voto si sarebbe svolto "per ordini": i 578 rappresentanti del Terzo Stato, dopo aver deliberato, avrebbero avuto il loro voto collettivo pesato esattamente come quello di uno degli altri Stati. L'intento apparente del re e di Barentin era quello che tutti andassero direttamente al problema delle tasse. La maggior rappresentanza del Terzo stato doveva essere solo simbolica, senza dargli nessun potere extra. Necker aveva più simpatia per il Terzo stato, ma in quell'occasione parlò solo della situazione fiscale, lasciando a Barentin il compito di parlare su come gli Stati Generali avrebbero operato.
Cercando di evitare il problema della rappresentanza e di focalizzarsi unicamente sulle tasse, il re e i suoi ministri avevano gravemente malgiudicato la situazione. Il Terzo stato voleva che gli stati si incontrassero come un unico corpo e votassero per deputato. Gli altri due stati, pur avendo le loro doglianze contro l'assolutismo reale, credevano, correttamente, come la storia avrebbe dimostrato, che avrebbero perso più potere verso il Terzo stato di quello che avrebbero guadagnato dal re. Il ministro del re, Necker, simpatizzò con il Terzo stato, ma l'astuto finanziere era un politico non altrettanto astuto. Decise di far continuare l'impasse fino al punto di stallo prima di entrare nella mischia. Il risultato fu che quando il re cedette alle domande del Terzo stato, sembrò a tutti una concessione estorta alla monarchia, piuttosto che un dono magnanimo che avrebbe convinto la popolazione della buona volontà del re.
L'impasse fu immediata. Il primo argomento di trattativa degli Stati Generali fu la verifica dei poteri. Mirabeau, nobile eletto per rappresentare il Terzo stato, cercò senza riuscirci di tenere tutti e tre gli ordini in un'unica sala per la discussione. Invece di discutere le tasse del re, i tre Stati iniziarono a discutere sull'organizzazione della legislatura. La spola diplomatica andò avanti senza successo fino al 27 maggio 1789, quando i nobili votarono per prendere una posizione ferma sulla verifica separata. Il giorno seguente, l'abate Sieyès (un membro del clero ma, come Mirabeau, eletto a rappresentare il Terzo stato) mosse affinché il Terzo stato, che ora si riuniva come i Communes ("Comuni"), procedesse con la verifica e invitasse gli altri Stati a prendere parte, invece di aspettare gli altri due Stati.
Il 13 giugno tre curati risposero all’appello; il 16 furono dieci.
Il 17 giugno 1789, con il fallimento degli sforzi per riconciliare i tre Stati, i Communes completarono il loro processo di verifica, diventando l'unico stato i cui poteri fossero stati appropriatamente legalizzati. I Communes quasi immediatamente votarono una misura molto più radicale: essi si dichiararono Assemblea Nazionale, un'assemblea non degli Stati, ma del popolo. Essi invitarono gli altri ordini ad unirsi, ma resero chiaro che intendevano fare gli interessi della nazione con o senza di loro.
[modifica] 14 luglio 1789: l'Assemblea Costituente e la Presa della Bastiglia
Questa Assemblea costituita di recente si collegò immediatamente ai capitalisti (la fonte del credito necessario per finanziare il debito pubblico) e alla gente comune. Essi consolidarono il debito pubblico e dichiararono che tutte le tasse esistenti erano state precedentemente imposte illegalmente, ma votarono le stesse provvisoriamente, solo fintanto che l'Assemblea continuava a riunirsi. Questo ridiede fiducia al capitale e gli diede un forte interesse nel tenere l'assemblea in sessione. Per quanto riguarda la gente comune, un comitato di sussistenza venne stabilito per affrontare la carenza di cibo.
Il precedente piano di conciliazione di Necker - uno schema complesso di concessioni ai comuni su alcuni punti e di forte resistenza su altri - era stato superato dagli eventi. Non più interessato ai consigli di Necker, Luigi XVI, sotto l'influenza dei cortigiani del suo consiglio privato, si risolse a rivolgersi all'Assemblea, annullare il suo decreto, comandare la separazione degli ordini, e dettare che le riforme fossero effettuate dagli Stati Generali restaurati.
È (a malapena) immaginabile che se Luigi avesse semplicemente marciato nella Salle des États, dove l'Assemblea Nazionale si incontrava, il suo piano avrebbe potuto riuscire. Invece, se ne restò a Marly e ordinò la chiusura della sala, aspettandosi di impedire all'assemblea di riunirsi per diversi giorni, mentre lui si preparava. L'Assemblea spostò semplicemente le proprie deliberazioni nel campo da pallacorda del Re, dove procedette al Giuramento della Sala della Pallacorda (20 giugno 1789), con il quale si accordò per non sciogliersi finché non fosse stata data una costituzione alla Francia.
Due giorni dopo, privata anche dell'uso della Sala della Pallacorda, l'Assemblea Nazionale si riunì nella chiesa di Saint-Louis, dove venne raggiunta dalla maggioranza dei rappresentanti del clero: gli sforzi per ripristinare il vecchio ordine erano serviti solo per accelerare gli eventi. Quando, il 23 giugno 1789, in accordo con il suo piano, il re si rivolse finalmente ai rappresentanti dei tre Stati, si trovò di fronte a un silenzio di pietra. Il re dichiarò che si conservasse la distinzione degli ordini, che venisse annullata la costituzione dei Communes in Assemblea Nazionale, aggiunse che se l’assemblea l’avesse abbandonato, egli avrebbe fatto il bene del popolo senza di essa e concluse ordinando a tutti di disperdersi, ma venne obbedito solo dai nobili e dal clero. I deputati della gente comune rimasero seduti in un silenzio che venne finalmente rotto da Mirabeau, il cui breve discorso così culminò, «Una forza militare circonda l'Assemblea! Dove sono i nemici della nazione? C'è Catilina alle nostre porte? Io richiedo, investite voi stessi con la vostra dignità, con il vostro potere legislativo, accludete a voi la religione del vostro giuramento. Questo non vi permette di sciogliervi finché non avrete formato una costituzione». [2] I deputati resistettero.
Necker, unico ministro che non assistette a quella seduta, si trovò in disgrazia con Luigi XVI ma nuovamente nelle grazie dell'Assemblea Nazionale.
Quelli del clero, che si erano uniti all'Assemblea nella chiesa di Saint-Louis, rimasero; 47 membri della nobiltà, incluso il duca d'Orléans, si unirono a loro.
Il re scrisse ai presidenti della nobiltà e del clero, per invitarli a riunirsi all’assemblea degli stati generali, al fine di occuparsi delle sue dichiarazioni del 23 giugno. Il clero obbedì senza riserve, ma la nobiltà si indignò di una proposta che le faceva perdere tutti i frutti della sua resistenza, quando il suo presidente lesse una lettera del conte di Artois che faceva intendere che occorreva riunirsi perché la vita del re era in pericolo.
Così il 27 giugno gli ordini si riunirono nella sala comune ed il partito reale aveva ceduto apertamente, anche se la probabilità di un contraccolpo militare rimase nell'aria. I militari francesi incominciarono ad accorrere in grande numero attorno a Parigi e Versailles.
Messaggi di supporto inondarono l'Assemblea da Parigi e da altre città della Francia. Il 9 luglio 1789 l'Assemblea si ricostituì come Assemblea Nazionale Costituente, rivolgendosi al re in termini educati ma fermi, richiedendo la rimozione delle truppe (che ora includevano reggimenti stranieri, più obbedienti al re rispetto alle truppe francesi), ma Luigi dichiarò che lui solo poteva giudicare il bisogno delle truppe, e li rassicurò che queste erano una misura strettamente precauzionale. Luigi "offrì" di spostare l'Assemblea a Noyon o Soissons: il che vale a dire, di porla in mezzo a due eserciti e privarla del supporto dei parigini.
Parigi fu unanime nel supportare l'Assemblea, vicina all'insurrezione e, nelle parole di Mignet, «intossicata di libertà ed entusiasmo». [3] La stampa pubblicò i dibattiti dell'Assemblea; la discussione politica si estese oltre ad essa e arrivò nelle piazze e nei salotti della capitale. Il Palais Royal e l'area circostante divennero il luogo di continui incontri. La folla, con l'autorità degli incontri al Palais Royal, aprì le prigioni dell'Abbazia per rilasciare alcuni granatieri delle Guardie Francesi che erano stati imprigionati per essersi rifiutati di aprire il fuoco sulla gente. L'Assemblea li raccomandò alla clemenza del Re, questi tornarono in prigione e ricevettero il perdono. Il loro reggimento ora era favorevole alla causa popolare.
Il 12 luglio il re destituì Necker e gli ordinò di lasciare la Francia entro 48 ore. L’indomani fu convocato il consiglio del re. Quel giorno l’Assemblea non doveva riunirsi ed il popolo di Parigi fu spaventato da quegli eventi e fece una grande manifestazione popolare portando i busti di Necker e del duca d’Orleans. Dei soldati tedeschi ricevettero l’ordine di caricare sulla folla e distrussero le statue che trasportavano. Ci furono molti feriti ed il popolo di Parigi si sollevò. L’indomani i cittadini si organizzarono e 60.000 uomini furono armati, arruolati e distribuiti in compagnie.
Intanto l’Assemblea nazionale avvertì il re del pericolo che correva la Francia se le truppe non fossero state allontanate dalla capitale. Il re rispose che non avrebbe cambiato le sue disposizioni.
Il rifiuto del re portò la disperazione a Parigi, e girarono delle voci che dicevano che non ci sarebbero stati né pace né libertà finché fosse esistita la Bastiglia. Così il 14 luglio 1789 i Parigini, in un’atmosfera rivoluzionaria, presero le armi all’arsenale dell’Hôtel des Invalides, dove non trovarono la polvere da sparo, e si ammassarono presso la prigione reale della Bastiglia per cercare la polvere. Il governatore della prigione Bernard de Launay voleva resistere, ma alla domanda dei mediatori venuti dall’Hôtel de Ville dove sedeva un comitato permanente, organo dell’insurrezione borghese, lasciò che la folla penetrasse nella prima corte. Poi si ravvide e fece uccidere questa folla: ci furono un centinaio di morti. Allora dei soldati ammutinati portarono dei cannoni ed il governatore cedette e abbassò il ponte levatoio. Poi fu ucciso dalla folla.
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Per approfondire, vedi la voce Presa della Bastiglia di Parigi. |
[modifica] Dopo la vittoria popolare
Inizialmente il re non riusciva a credere a questi eventi, poi riconobbe il fatto compiuto e la demolizione della Bastiglia iniziò.
Il 15 luglio 1789 il re si recò all’Assemblea nazionale senza pompa e senza corteo e disse che da quel momento avrebbe lavorato con la nazione, che si fidava dei suoi rappresentanti e che avrebbe ordinato alle truppe di allontanarsi da Versailles e da Parigi. Questi annunci furono accolti da acclamazioni generali.
Su richiesta dell’Assemblea il re richiamò Necker al governo ed annunciò una visita a Parigi.
All’Hôtel de Ville di Parigi, tutti i membri della precedente amministrazione erano fuggiti e Jean Sylvain Bailly, presidente dell'Assemblea nazionale, fu nominato per acclamazione «Sindaco di Parigi». La Fayette fu nominato Comandante Generale della Guardia Nazionale. Venne messa in piedi una nuova organizzazione municipale. Luigi XVI la riconobbe quando il 17 luglio si recò a Parigi. In quest'occasione Bailly gli diede la coccarda blu e rossa, i colori della città di Parigi, che Luigi XVI fissò al suo cappello associando anche il colore bianco della monarchia. Questo gesto voleva simboleggiare la riconciliazione di Parigi con il suo re. Ma di fatto il re accettò che la sua autorità fosse tenuta in ostaggio da una sommossa parigina. I deputati accettarono che il loro potere dipendesse dalla violenza popolare.
Durante questo tempo, la fama dei vincitori della Bastiglia si diffuse per tutta la Francia, facendo vedere che la forza della cittadinanza era venuta in soccorso ai riformatori. Molto presto fu elaborata una simbologia della presa della Bastiglia: la Bastiglia rappresentava il potere arbitrario del re.
[modifica] La Grande Paura nelle campagne francesi e la notte del 4 agosto 1789
In provincia, dal 20 luglio 1789 al 6 agosto 1789, le campagne circolarono dei rumori confusi chiamati « Grande Paura ». I contadini credevano che i raccolti sarebbero stati razziati da dei briganti. All'annuncio dell'arrivo dei briganti suonava l'allarme nei villaggi. I contadini si armarono di forche, di falci e di altri utensili. Quando si accertavano che non vi era alcun pericolo, invece di tornare ad occuparsi del loro lavoro, si dirigevano verso il castello del signore. Essi esigevano i titoli signorili che stabilivano la dominazione economica e sociale dei loro proprietari e li bruciavano. Se il signore o i suoi uomini resistevano, essi venivano molestati. Ci furono diversi casi in cui dei signori vennero assassinati e dei castelli furono saccheggiati o bruciati. Di fronte a queste violenze, l'Assemblea reagì abolendo i privilegi, i diritti feudali, la venalità degli uffici e le disuguaglianze fiscali nella notte del 4 agosto 1789. Fu la fine della società dell'Ancien Régime.
Tuttavia i deputati, quasi tutti proprietari fondiari, sia che fossero nobili o borghesi, cambiarono in parte idea durante la redazione dei decreti dal 5 all'11 agosto 1789. I diritti personali (corvé, servitù ...) e il monopolio della cassa per il signore vennero semplicemente soppressi, mentre i diritti reali basati sulla rendita della terra dovevano essere riscattati. Poterono così liberarsi totalmente soltanto i contadini più ricchi. I proprietari ricevevano d'ufficio un'indennità che essi investirono in parte nell'acquisto di beni nazionali. Così i possidenti poterono salvaguardare i loro interessi economici e mettere fine alle rivolte dei contadini.
Il 26 agosto 1789 l'Assemblea costituente votò la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, ispirata ai principi degli Illuministi: essa era una condanna senza appello alla monarchia assoluta ed alla società degli ordini. Essa era anche il riflesso delle aspirazioni della borghesia dell'epoca: la garanzia delle libertà individuali, la sacralità della proprietà, la spartizione del potere con il re e tutti gli impieghi pubblici.
[modifica] Parigi di nuovo capitale
Le difficoltà di approvvigionamento del pane ed il rifiuto di Luigi XVI di promulgare la dichiarazione ed i decreti del 4 e del 26 agosto, furono all'origine del malcontento del popolo di Parigi durante i giorni del 5 e del 6 ottobre. Una marcia di donne riportò la famiglia reale a Parigi, facendole lasciare Versailles, simbolo dell'assolutismo. Due guardie del corpo del re furono uccise e le loro teste attaccate alla punta di una picca. Da quel momento il re e l'Assemblea risiedettero a Parigi, sorvegliati dalla popolazione e minacciati dalla sommossa.
Il potere reale ne uscì estremamente indebolito. La Francia restò una monarchia ma il potere legislativo passò nelle mani dell'Assemblea costituente. Delle commissioni specializzate derivate dall'Assemblea ebbero l'incarico di mettere mano sull'insieme dell'amministrazione che si preoccupava sempre meno del potere reale.
I ministri non furono altro che degli esecutori tecnici sorvegliati dall'Assemblea. Tuttavia, il re conservò il potere esecutivo. I decreti promulgati dall'Assemblea non erano validi se il re non li sanzionava. Peraltro, gli intendenti e gli altri agenti dell'amministrazione dell'Ancien Régime restarono al loro posto fino alla formazione di una nuova amministrazione. Fino all'estate 1790, gli intendenti che non si dimisero continuarono le loro funzioni sebbene esse fossero state considerevolmente ridotte.
[modifica] Il rinnovamento delle istituzioni francesi
L'Assembea costituente, in maggioranza formata da borghesi e nobili, intraprese una vasta opera di riforme, applicando le idee dei filosofi e degli economisti del XVIII secolo.
[modifica] La riorganizzazione amministrativa
I primi lavori dell'Assemblea furono dedicati alla riforma amministrativa. Le circoscrizioni amministrative dell'Ancien Régime erano troppo complesse. Le generalità, i governi, i parlamenti e le diocesi si sovrapponevano senza avere gli stessi confini. I deputati cercarono di semplificarli. Essi si dedicarono innanzitutto alla riforma municipale, resa urgente dai disordini suscitati nei corpi municipali dagli scompigli dell'estate.
A partire dal gennaio 1790, ogni comune della Francia organizzò l'elezione dei propri eletti. Queste furono le prime elezioni della Rivoluzione. Con la legge del 22 dicembre 1789, l'Assemblea creò i dipartimenti: essi erano delle circoscrizioni ai fini amministrativi, giudiziari, fiscali e religiosi. Nel numero di 83, i dipartimenti portavano dei nomi legati alla loro geografia fisica (corsi d'acqua, montagne, mari) e furono suddivisi in distretti, cantoni e comuni. I loro dirigenti furono eletti dal popolo.
Nella primavera 1790, una commissione fu incaricata dall'Assemblea della suddivisione della Francia e di rispondere alle liti causate tra le città candidate a diventare capoluoghi.
Le nuove amministrazioni elette democraticamente furono messe in funzione a partire dall'estate 1790.
[modifica] Le libertà economiche
Sotto l'Ancien régime le attività economiche erano state strettamente inquadrate dallo Stato o da delle regolamentazioni che limitavano il numero di produttori. Tutte gli ostacoli alla libertà di produzione, che fossero agricole, artigianali o industriali, furono soppressi. In un clima di sfida faccia a faccia dei raggruppamenti professionali, la legge Le Chapelier fu votata il 14 giugno 1791. Questa legge, rimasta famosa nella storia del mondo operaio, vietava tutte le associazioni padronali e operaie, dette anche sindacati. Venne vietato anche lo sciopero.
La Rivoluzione, nella sua diffidenza verso i gruppi, nella sua esaltazione delle libertà individuali, mise gli operai nell'incapacità di organizzarsi per la difesa dei loro diritti per quasi un secolo.
[modifica] La questione religiosa
A partire dall'11 agosto 1789, le decime vennero soppresse senza compensazioni, privando così il clero di una parte delel sue risorse. Il 2 novembre dello stesso anno, su proposta di Talleyrand, vescovo di Autun, i beni del clero furono messi a disposizione della Nazione per l'estinzione del debito pubblico. Essi divennero dei beni nazionali che sarebbero stati venduti in lotti per ricoprire il deficit dello Stato. Lo stesso anno vennero introdotti gli assegnati, una forma di carta moneta.
[modifica] La caduta della monarchia e l'inizio della Repubblica (1791-1792)
[modifica] La marcia alla guerra
Gli emigrati, in gran parte raggruppati a Coblenza attorno al Conte di Artois, mantennero un'agitazione permanente alle frontiere e fecero pressione sui sovrani stranieri, affinché intervenissero, tra questi ricordiamo sopratutto i realisti che volevano il ritorno del re, e i foglianti. Per contenerli il re di Prussia e l'imperatore d'Austria fecero una dichiarazione comune, la dichiarazione di Pillnitz dell'agosto 1791, in cui manifestarono le loro inquietudini. Questa dichiarazione venne percepita dall'opinione rivoluzionaria come una minaccia.
L'Assemblea legislativa alla fine del 1791 votò diversi decreti che contribuirono a peggiorare la situazione. Il 9 novembre 1791 ordinò che gli emigrati ritornassero in Francia entro due mesi, altrimenti le loro proprietà sarebbero state confiscate. Poi impose il giuramento civile ai preti refrattari sotto la pena della privazione della pensione o anche della deportazione in caso di turbamenti all'ordine pubblico. Un altro decreto ingiunse ai principi stranieri di cacciare gli emigrati dai loro Stati. Il re accettò di firmare l'ultimo decreto perché rendeva possibile la guerra.
La situazione internazionale era avvelenata dall'annessione alla Francia, su richiesta degli abitanti, della contea Venaissin e dei possedimenti pontifici, e per l'affare dei principi possessori dell'Alsazia, dei principi tedeschi che si consideravano lesi dall'abolizione dei diritti feudali nei loro feudi alsaziani. I Foglianti e il re, coscienti della disorganizzazione dell'armata, speravano in una sconfitta rapida per cacciare i rivoluzionari senza il concorso degli emigrati. I Giacobini invece speravano di esportare la Rivoluzione in tutta l'Europa con la guerra. Robespierre era uno dei pochi che si opponevano ad un conflitto.
[modifica] La guerra modifica i rapporti di forza
Su proposta di Luigi XVI, il 20 aprile 1792 la Francia dichiarò la guerra al re di Ungheria e di Boemia, cioè all'imperatore d'Austria. I Girondini parlarono allora di una guerra dei popoli contro i re, di una crociata per la libertà. La Prussia si affiancò agli Austriaci qualche settimana più tardi. L'armata francese, totalmente disorganizzata a causa dell'emigrazione di una parte degli ufficiali nobili, non aveva la capacità di resistere alle pericolose armate prussiane. Le frontiere furono rapidamente minacciate. Tra i patrioti si sviluppò l'idea di un complotto della nobiltà, della corte e dei preti refrattari per abbattere la Rivoluzione. L'Assemblea votò allora tre decreti che permettevano la deportazione dei preti refrattari, lo scioglimento della guardia personale del re e la costituzione di un campo di guardie nazionali federate per difendere Parigi. Luigi XVI oppose il suo veto ai decreti sui refrattari e sui federali. Questa situazione provocò una nuova fiamma rivoluzionaria, che vide il popolo attaccare il Palazzo delle Tuileries il 20 giugno. Ma per una volta il re riuscì a resistere. Accettò l'umiliazione di portare il berretto frigio davanti ai sanculotti ma rifiutò di cedere. L'Assemblea legislativa aggirò il veto reale proclamando la patria in pericolo l'11 luglio 1792 e chiedendo a tutti i volontari di affluire verso Parigi.
[modifica] Il rovesciamento della monarchia
Il 25 luglio, il comandante dell'armata prussiana, il duca di Brunswick, fece sapere al governo ed al popolo, con un proclama fatto affiggere sui muri di Parigi, che la città avrebbe patito serie conseguenze se la vita del re fosse stata nuovamente minacciata.[2] Quando il proclama di Brunswick venne conosciuto dai rivoluzionari parigini, questi investirono l'Assemblea e chiesero la destituzione di Luigi XVI, ma l'Assemblea rifiutò.
Nella notte tra il 9 ed il 10 agosto 1792 si formò una municipalità insurrezionale, condotta da Pétion e Danton. Al primo giorno, gli insorti si presentarono davanti le Tuileries e finirono per investire e prendere il palazzo, difeso dalla guardia svizzera, che si fece uccidere sulla piazza. Furono uccisi anche numerosi assedianti. Il re si rifugiò nella cinta dell'Assemblea legislativa, ma questa si volse contro di lui, sospendendolo dalle sue funzioni. Poiché di fatto la costituzione del 1791 era ormai superata, si procedette anche all'elezione di una Convenzione Nazionale, a suffragio universale a due gradi, per decidere delle nuove istituzioni del paese.
La sera del 10 agosto, durante una seduta di 9 ore, l'Assemblea legislativa designò per acclamazione un Consiglio esecutivo provvisorio, composto da sei membri, comprendente Danton, ministro della Giustizia, e Gaspard Monge, ministro della Marina.
Le truppe nemiche marciarono su Parigi inesorabilmente, facendo cadere una dopo l'altra tutte le fortezze. In questo contesto Danton dichiarò il 2 settembre 1792 : « Audacia, audacia, sempre audacia e la Patria sarà salvata ».
A causa del panico e del rancore, il popolo ritenne responsabili della situazione i nemici interni. Tra il 2 ed il 6 settembre 1792 massacrò i preti refrattari, i sospetti di attività controrivoluzionarie ed i detenuti di diritto comune incarcerati nelle prigioni di Parigi. I massacri durarono diversi giorni senza che le autorità amministrative osassero intervenire ed i deputati non li condannarono per diversi mesi. Questi massacri di settembre, che colpirono l'opinione, segnarono una fase essenziale nella Rivoluzione.
[modifica] Le forze in presenza della Convenzione
Le elezioni della Convenzione si svolsero nel mezzo dei massacri di settembre. Su 7 milioni di elettori, si stima che il 90% si siano astenuti. La scelta dei deputati venne fatta da una minoranza decisa. Come nel 1789, lo scrutinio a due turni ebbe per effetto l'eliminazione della classe popolare dalla rappresentanza nazionale. Gli eletti furono quasi tutti della borghesia. Un terzo venne dagli operatori nel settore della giustizia. Malgrado questa relativa omogeneità sociale, si opposero due campi antagonisti.
I Brissotini o Girondini non si fidarono del popolo parigino. I loro appoggi furono in provincia e tra la ricca borghesia dei negozi e delle manifatture. Essi furono molto attaccati alle libertà individuali ed economiche del 1789 e ripugnavano di prendere delle misure eccezionali per salvare la giovane repubblica alla quale essi furono tuttavia attaccati. Furono diretti da Brissot, Vergniaud, Pétion e Rolland.
I Montagnardi sedevano sui banchi più alti, da ciò il loro nome. Essi erano più sensibili alle difficoltà del popolo. Furono pronti ad allearsi al popolo, ai sanculotti del comune di Parigi e a prendere delle misure eccezionali per salvare la repubblica. I loro capi furono, tra gli altri, Robespierre, Danton, Marat, Saint-Just.
Al centro sedeva una maggioranza di deputati, soprannominata la Pianura o la Palude che sosteneva a turno i due estremi.
Il 20 settembre l'armata francese riportò una vittoria insperata sui Prussiani alla battaglia di Valmy. I Prussiani e gli Austriaci si ritirarono dalla Francia, più preoccupati dagli affari polacchi. Il 6 novembre 1792 il generale Dumouriez riportò un'importante vittoria nella battaglia di Jemmapes. Le truppe francesi occuparono i Paesi Bassi austriaci. Ad Est, le armate del generale Custine occuparono la riva sinistra del Reno. Venne occupata anche il Savoia, possesso della Casa Savoia. Ovunque i Francesi propagarono i loro ideali rivoluzionari ma nello stesso tempo enunciarono l'idea che il Reno era la frontiera naturale del Nord e dell'Est della Francia.
L'ultimo atto dell'Assemblea Legislativa fu laicizzare lo stato civile. Il 20 settembre 1792 decise che i registri delle nascite e dei decessi da quel momento dovevano essere tenuti dai comuni. L'indomani la Convenzione si riunì per la prima volta. Essa dispose provvisoriamente dei poteri legislativo ed esecutivo. Decise di abolire la monarchia: il 22 settembre 1792 venne proclamata la Repubblica. Per la Rivoluzione fu l'inizio di una nuova era.
[modifica] Il processo al re e le sue conseguenze
La Convenzione era inizialmente dominata dai Girondini. Essi sedettero al consiglio esecutivo e provarono ad evitare il processo del re temendo che questo potesse rianimare la controrivoluzione e rinforzare l'ostilità delle monarchie europee. Ma la scoperta dell'"armadio di ferro" alle Tuileries il 30 novembre 1792 rese il processo inevitabile. I documenti trovati in questa cassa segreta provavano senza possibili contestazioni il tradimento di Luigi XVI. Il processo iniziò il 10 dicembre. Alla fine dei dibattiti, il re fu riconosciuto colpevole con la schiacciante maggioranza di 693 voti contro 28. Fu condannato a morte con una maggioranza più ridotta, 366 voti contro 334. Il rinvio e l'appello al popolo, richiesti dai Girondini, venne rifiutato. Il re Luigi XVI venne ghigliottinato il 21 gennaio 1793 nella piazza della Rivoluzione.
La sua esecuzione provocò delle reazioni mitigate nella popolazione francese. I sovrani europei reagirono formando la prima coalizione nel febbraio 1793. Allora il 24 febbraio i Girondini decisero la leva di 300.000 uomini. Questa leva doveva essere fatta tirando a sorte e ciò ricordava spiacevolmente l'Ancien Régime.
L'annuncio di questa leva provocò dei sollevamenti rurali in Alsazia, in Bretagna e nel Massiccio Centrale, sollevamenti subito repressi con la forza. Inoltre la Convenzione votò una legge che realizzò una vera logica di terrore: tutti quelli che rifiutavano di prendere le armi venivano giustiziati in 24 ore senza processo.
A sud della Loira, la leva dei 300.000 permise un'alleanza dei contadini che disapprovavano la Rivoluzione, del clero refrattario e dei nobili. Nel marzo 1793 cominciò un'insurrezione in Vandea, chiamata dalla Convenzione "guerra della Vandea", che i Montagnardi ed i Sanculotti utilizzavano per stigmatizzare la debolezza dei Girondini e reclamare delle misure eccezionali, che questi ultimi rifiutavano. I Girondini furono obbligati ad accettare la creazione del Comitato di Salute Pubblica e del Tribunale Rivoluzionario e tra il 31 maggio e in mese di giugno 1793 i Sanculotti parigini li cacciarono dal potere. Per raggiungere il potere, i Montagnardi si allearono con le fazioni più estremiste del popolo parigino. In provincia, invece, si produsse il movimento inverso: a Marsiglia e Lione i sostenitori dei Girondini cacciarono i sindaci Montagnardi dal potere.
[modifica] Il governo rivoluzionario (1793-1795)
[modifica] Un governo straordinario: il Comitato di Salute Pubblica
Quando i Montagnardi arrivarono al potere, la Repubblica conobbe dei pericoli estremi. L'insurrezione della Vandea, divenuta cattolica e realista dopo essere stata ripresa in mano dai nobili, si estese nell'ovest. Saumur e Anger vennero prese nel 1793, ma Nantes resistette. Delle rivolte realiste si svilupparono in Lozère e nella valle del Rodano. I deputati girondini che poterono scappare alla repressione parigina, chiamarono alla rivolta contro Parigi nei dipartimenti sostenuti dalle autorità dipartimentali. Il 13 luglio, Jean-Paul Marat venne assassinato dal federalista Charlotte Corday. Le frontiere furono invase dagli Spagnoli a sud-ovest, dai Piemontesi a sud-est, dai Prussiani, dagli Austriaci e dagli Inglesi a nord ed all'est. Per scongiurare questi pericoli e sotto la pressione dei sanculotti, i Montagnardi presero delle misure radicali.
Nel luglio 1793 la Convenzione votò una costituzione molto democratica e decentralizzata, ratificata con un referendum. La Costituzione dell'anno I cercò di stabilire una vera sovranità popolare grazie a delle frequenti elezioni a suffragio universale, al mandato imperativo ed alla possibilità per i cittadini di intervenire durante il percorso legislativo. Ma questa Costituzione non entrò mai in vigore: infatti, il 10 agosto 1793 la Convenzione decretò che l'applicazione della Costituzione era sospesa fino alla pace. Saint-Just disse che:"Nelle circostanze in cui si trova la Repubblica, la costituzione non può essere stabilita, si sacrifica da se stessa. Essa diverrà la garanzia degli attentati contro la libertà, perché mancherà della volontà necessaria per reprimerli".
Intanto, la Convenzione dovette fronteggiare i Sanculotti parigini più radicali, capeggiati dal giornalista Jacques-René Hébert, fondatore del giornale dei rivoluzionari radicali "le père Duchesne", e dall'anziano sacerdote Jacques Roux, capo degli "arrabbiati". Il 4 ed il 5 settembre 1793, essi invasero la Convenzione ed ottennero la leva di un'armata rivoluzionaria incaricata di reprimere la controrivoluzione.
Venne costituito un governo d'eccezione, dominato dai Montagnardi ed emanato dalla Convenzione. Il decreto del 10 dicembre 1793 decise che: "il governo sarà rivoluzionario fino alla pace". La convenzione nazionale assunse in principio tutti i poteri. Secondo la legge del 4 dicembre 1793, la Convenzione era l'"unico centro d'impulso del Governo".
Il principale organo del Governo era il Comitato di salute pubblica. Esso venne creato nell'aprile 1793 e fu dominato da Danton fino alla sua eliminazione, avvenuta il 10 luglio, poi da Robespierre. Il Comitato era composto da 12 membri rieletti tutti i mesi dalla Convenzione ed ognuno specializzato in un settore particolare, aveva l'iniziativa delle leggi, il potere esecutivo e quello di nominare i funzionari. Centralizzava il potere in un periodo particolarmente critico.
I membri del Comitato di Sicurezza Generale erano anche membri della Convenzione. Questo comitato era incaricato della polizia e della tenuta della lista dei sospetti. Una rivalità di competenze l'oppose al Comitato di salute pubblica. Per applicare le misure adottate, la Convenzione inviò nei dipartimenti e all'esercito alcuni dei suoi membri: i rappresentanti in missione. Essi avevano dei poteri molto estesi per contrastare i controrivoluzionari.
Dinanzi al pericolo, la Convenzione votò tutte le leggi che le venivano presentate dal Comitato di salute pubblica. La legge del 23 agosto 1793 sulla leva di massa permise di inviare sotto gli stendardi tutti i giovani celibi. Gli altri francesi dovevano partecipare agli sforzi della guerra fornendo l'equipaggiamento militare, grattando i muri delle cantine per raccogliere il salnitro indispensabile alla fabbricazione della polvere da sparo. Tutta l'economia francese fu riconvertita per la guerra. In breve tempo venne costituita un'armata di un milione di combattenti. Il numero e l'ardore al combattimento rimpiazzò l'esperienza di un'armata di mestiere.
[modifica] Il Terrore
[modifica] Le principali misure
Fino al 1794 la Francia venne governata in modo dittatoriale dal comitato di salute pubblica di Robespierre che giustiziava senza processo gli oppositori di Robespierre. Robespierre aveva infatti fatto approvare la legge dei sospetti in base a cui la gente sospettata di tradimento veniva ghigliottinata senza processo. Nel periodo della dittatura di Robespierre vennero giustiziate migliaia di persone (17000 solo a Parigi) a causa di questa legge e per questo venne chiamato periodo del terrore.
Durante questo periodo vennero giustiziati gli indulgenti e gli arrabbiati di Danton e Marat e la regina Maria Antonietta.
Molti si opposero a Robespierre e scoppiarono molte rivolte in alcune zone della Francia tra cui la Vandea (regione molto religiosa i cui abitanti non avevano gradito la politica antireligiosa di Parigi). Queste rivolte vennero poi sedate. L'esercito francese riuscì a vincere alcune battaglie contro la coalizione di stati europei che si era venuta a creare per impedire che le idee rivoluzionarie si diffondessero e per far tornare la Francia una monarchia assoluta e a riconquistare il Belgio.
Nella Convenzione si facevano sempre più tesi i contrasti tra Montagnardi e Girondini. Il 2 giugno 1793 i Girondini vennero sterminati dai Montagnardi di Robespierre.
Per sconfiggere i nemici della Rivoluzione e per evitare il ritorno del furore popolare, la Convenzione organizzò il Terrore. Nel settembre 1793 votarono la legge dei sospetti. La lista dei sospetti era molto estesa: vi rientravano nobili, gli emigrati, i preti refrattari, i federalisti, gli speculatori e le loro famiglie. Essi dovevano essere imprigionati fino alla pace. Le società popolari, controllate dai sanculotti, ricevettero dei poteri di sorveglianza e di polizia.
Delle misure di scristianizzazione, spontanee o organizzate dai rappresentanti in missione, si estendevano a tutta la Repubblica. I preti refrattari furono uccisi. Anche quelli che avevano giurato la fedeltà furono costretti a lasciare lo stato ecclesiastico e a sposarsi, le chiese furono chiuse e furono abbattute numerose statue in nome dell'uguaglianza. Il 5 ottobre 1793 la Convenzione adottò il nuovo [[Calendario rivoluzionario francese|calendario rivoluzionario], il cui anno I iniziava il 22 settembre 1792, giorno della proclamazione della Repubblica. I mesi erano di 30 giorni ciascuno, divisi in tre decadi. I sanculotti e gli hebertisti svilupparono il culto dei martiri della Rivoluzione. Robespierre fu molto ostile e questa politica di scristianizzazione: condannò l'ateismo e fece votare una legge che riconosceva l'immortalità dell'anima.
Per calmare il malcontento della popolazione cittadina toccata dalle difficoltà di approvvigionamento, dall'aumento dei prezzi delle derrate alimentari e dalla svalutazione degli assegnati (la carta moneta emessa durante la Rivoluzione), il Comitato di salute pubblica mise in piedi il Terrore economico: a partire dal 27 luglio la Convenzione votò la pena di morte contro gli accaparratori, cioè contro coloro che immagazzinavano le derrate alimentari anziché venderle; in settembre la legge sul massimo dei prezzi bloccò i prezzi al livello di quelli del 1790 aumentati del 30%; infine, venne instaurato il corso forzato dell'assegnato. Queste misure non permisero di porre fine alle difficoltà di rifornimento dei viveri alle città ed all'erosione del potere di acquisto dei salariati, pagati in assegnati.
[modifica] I risultati
La politica volontarista impressa dal Comitato di salute pubblica permise di salvare la Repubblica. A partire dalla fine del mese di settembre 1793, le prime vittorie permisero di rinviare i membri della prima coalizione fuori delle frontiere. La rivolta federalista venne presto ridotta all'inesistenza, salvo che a Tolone, dove i realisti presero il controllo della città e la consegnarono agli Inglesi.
In Vandea, le truppe repubblicane inflissero una severa sconfitta all'armata cattolica e reale nella battaglia di Cholet. Una parte dell'armata della Vandea risalì verso il nord per tentare di prendere il porto di Granville, nel Cotentino. Questa spedizione, conosciuta come "passeggiata di Galerne", si concluse con un fallimento, ma testimoniò la forza e la determinazione dei rivoltosi. Delle bande armate rurali, chiamate "chouans", continuarono a percorrere l'occidente della Francia.
La repressione contro la Vendea fu terribile. Tra dicembre 1793 e febbraio 1794, il rappresentante in missione Jean-Baptiste Carrier fece giustiziare diverse migliaia di persone a Nantes. A Angers furono giustiziate circa 2.000 donne. Nelle campagne della Vandea, le colonne infernali comandate dal generale Louis Marie Turreau bruciarono i villaggi e massacrarono la popolazione senza fare differenze tra la popolazione civile ed i rivoltosi.
All'inizio dell'estate 1794 gli sforzi della guerra consentiti dalla nazione portarono i loro frutti: la vittoria di Fleurus del 26 giugno 1794 permise alle truppe francesi di riprendere il Belgio e nelle regioni occupate si iniziarono a requisire dei viveri che venivano inviati in Francia.
[modifica] La caduta di Robespierre e la fine del Terrore
A Parigi il Comitato di Salute Pubblica cercava di limitare l'influenza dei Sanculotti sulla Convenzione. Alla fine del mese di marzo 1794, riuscì ad eliminare la sinistra dei Montagnardi e fece giustiziare i principali capi "arrabbiati": Hébert, Jacques Roux e Varlier. Da aprile si incominciò ad eliminare l'ala destra dei Montagnardi, diretta da Georges Jacques Danton.Gli indulgenti, nome dato al gruppo di Danton, furono ghigliottinati dopo un processo irregolare in cui Danton fu privato del diritto di difendersi personalmente. Fabre d'Eglantine, il creatore del calendario rivoluzionario e Camille Desmoulins, amico di Robespierre, furono anch'essi ghigliottinati.
Quando il Terrore ebbe termine nella provincia, si accentuò a Parigi dopo il voto delle leggi di Pratile. Il Tribunale rivoluzionario poté giudicare solo crimini politici. La definizione di nemico della rivoluzione fu data a tutti "quelli che cercano di annientare la libertà con la forza o con l'astuzia". Non ci furono più né testimoni, né avvocati. Due sentenze furono possibili: la libertà o la morte per i colpevoli. La legge di Pratile fece nascere il Grande Terrore. Nelle settimane seguenti più di 1.400 persone furono ghigliottinate a Parigi.
Robespierre, lottando contro le fazioni, si era fatto molti nemici, anche se era diventato l'uomo politico più influente. Quando il 10 giugno 1794 presiedette la Festa dell'Essere supremo, i suoi avversari mormorarono che egli volesse accaparrarsi il potere. Il suo temporaneo ritiro dalla scena politica permise la costituzione di un gruppo di oppositori intorno al Comitato di Sicurezza Generale ed agli anziani rappresentanti in missione come Tallien o Fouché.
Quando si decise infine a riapparire alla Convenzione, minacciò una nuova epurazione, anche contro certi deputati che maldestramente non nominò. Il complotto si intrecciò con il sostegno di Marais. Il 27 luglio 1794 (9 termidoro anno II) venne accusato dall'Assemblea ed arrestato. Un'azione del comune di Parigi lo liberò contro la sua volontà e lo condusse all'Hôtel de Ville. Ma i Sanculotti, demoralizzati dopo l'eliminazione degli Hebertisti e scontenti della stretta applicazione del massimo dei salari, non si unirono agli amici di Robespierre. La Convenzione, che lo mise immediatamente fuorilegge, inviò delle truppe che presero d'assalto l'edificio. Robespierre venne ghigliottinato l'indomani, il 28 luglio 1794, con i suoi principali sostenitori. I membri della Convenzione termidoriana ricordarono i deputati girondini e posero fine al Terrore.
Il colpo di stato che pose fine al periodo del Terrore, che culminò con il ghigliottinamento di Robespierre il 28 luglio 1794, è noto anche come "Termidoro".
La nuova Costituzione dell'anno III fu votata dalla Convenzione il 17 agosto 1795 e ratificata per plebiscito a settembre. Essa fu effettiva a partire al 26 settembre dello stesso anno e fondò il nuovo regime del Direttorio.
[modifica] Il Direttorio (26 ottobre 1795 - 9 novembre 1799)
Il Direttorio fu il secondo tentativo di creare un regime stabile in quanto costituzionale. La pacificazione dell'ovest e la fine della prima coalizione permisero di stabilire una nuova costituzione. Per la prima volta in Francia il potere legislativo fu affidato ad un Parlamento bicamerale, composto da:
- Consiglio dei Cinquecento (500 membri),
- Consiglio degli Anziani (250 membri).
Il potere esecutivo venne affidato ad un Direttorio di 5 persone nominate dal Consiglio degli Anziani su una lista fornita dal Consiglio dei Cinquecento.
I Termidoriani imposero che i due terzi degli eletti provenissero dalla Convenzione. Le regioni dell'Ovest, della valle del Rodano e l'Est del Massiccio Centrale elessero dei deputati realisti. Durante tutta la durata del Direttorio, l'instabilità politica fu incessante. Le "reti di corrispondenza" realiste mischiavano i comunicati, la propaganda e l'azione politica. Essi quadrettavano il paese col sostegno dei fratelli di Luigi XVI e delle potenze nemiche. I favorevoli al ritorno della monarchia vinsero le elezioni del marzo 1797. I Repubblicani moderati organizzarono nel settembre 1797 un colpo di stato che cacciò due dei cinque direttori e destituì o invalidò l'elezione di 177 deputati. Nel 1798 le elezioni sembrarono dare il favore ai Giacobini. I consigli si concessero allora il diritto di designare i deputati nella metà delle circoscrizioni. I Termidoriani si mantennero al potere, ma furono totalmente screditati.
La situazione economica contribuì anche a distogliere i francesi dal regime. Le imposte non bastavano più. L'assegnato, che aveva perso tutto il suo valore, fu sostituito da un'altra carta moneta, il mandato territoriale, che subì in un anno la stessa sorte dell'assegnato. A partire dal 1797, lo Stato chiese ai contribuenti di pagare le imposte in denaro contante, ma con la crisi finanziaria la moneta metallica si era rarefatta. Dopo gli anni dell'inflazione legata all'assegnato, la Francia conobbe un periodo di abbassamento dei prezzi che toccò soprattutto il mondo rurale. Incapace a far fronte all'enorme debito accumulato dalla monarchia assoluta e in otto anni di rivoluzione, le assemblee si rassegnarono alla bancarotta dei "due terzi": la Francia rinunciò a pagare i due terzi del suo debito pubblico ma consolidò l'ultimo terzo iscrivendolo nel gran libro del debito. Per sembrare credibile agli occhi dei creditori, nel 1798 venne creata una nuova imposta sulle porte e sulle finestre. I gendarmi furono precettati per coprire l'imposta.
Grazie agli sforzi del governo di salute pubblica, le armate francesi erano passate all'offensiva. Nella primavera 1796 una grande offensiva attraversò la Germania per costringere l'Austria alla pace. Ma fu l'armata d'Italia, comandata dal giovane generale Napoleone Bonaparte, che creò la sorpresa aggiungendo sempre nuove vittorie e forzando l'Austria a firmare la pace col Trattato di Campo Formio del 17 aprile 1797. Tra il 1797 ed il 1799 quasi tutta la penisola italiana fu trasformata in repubbliche sorelle con dei regimi e delle istituzioni ricalcate su quelle francesi. Se le vittorie alleviavano le finanze del Direttorio, esse resero il potere sempre più dipendente dall'armata e così Bonaparte divenne l'arbitro del dissenso politico interno.
La spedizione in Egitto aveva l'obiettivo di colpire la via delle Indie al Regno Unito, ma i direttori furono contenti di togliere il loro sostegno a Napoleone, che non nascondeva il suo appetito di potere.
La moltiplicazione delle repubbliche sorelle inquietò le grandi potenze, Russia e Regno Unito in testa. Esse temevano il contagio rivoluzionario e una troppo forte dominazione della Francia sull'Europa. Questi due Stati furono all'origine della seconda coalizione del 1798. Le offensive inglesi, russe ed austriache furono respinte dalle armate francesi dirette da Brune e Masséna.
Il Direttorio finì con il colpo di stato del 9 novembre 1799 di Napoleone Bonaparte che dichiarò: «Cittadini, la rivoluzione è fissata ai principi che l'hanno cominciata, essa è finita». Fu messo in piedi il Consolato: un regime autoritario diretto da tre consoli, di cui solo il primo deteneva realmente il potere. La Francia cominciò un nuovo periodo della sua storia apprestandosi a consegnare il proprio destino ad un imperatore.
[modifica] Vedere anche
[modifica] Note
- ↑ [1]
- ↑ Ecco che cosa recitava il proclama, pubblicato a Parigi il 1 agosto:
[modifica] Voci correlate
- Calendario rivoluzionario francese
- La rivoluzione francese e il problema della schiavitù e della discriminazione razziale
[modifica] Bibliografia
Data l'enorme molte di studi dedicati al tema, ci si limita a riportare solo alcuni dei principali testi contemporanei di chiara fama rintracciabili con facilità sul mercato italiano.
- Albert Mathiez e Georges Lefebvre, La rivoluzione francese, Einaudi, 1970.
- Michel Vovelle, La mentalità rivoluzionaria. Società e mentalità durante la Rivoluzione francese, Laterza, 1999.
- François Furet, Denis Richet, La rivoluzione francese, Laterza, 2003.
- Albert Soboul, Storia della rivoluzione francese, Rizzoli, 2001.
- Pierre Gaxotte, La rivoluzione francese, Mondadori, 1997.
Tra i testi classici di grande impatto narrativo vanno citate due opere monumentali:
- Adolphe Thiers, Storia della Rivoluzione francese, 1823-1827, in 10 volumi.
- Jules Michelet, Storia della Rivoluzione francese, 1847-1853, in 7 volumi.
Sempre tra i classici si annoverano due opere fondamentali ma antitetiche della storiografia sulla Rivoluzione:
- Edmund Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione francese, 1790.
- Alexis de Tocqueville, L'antico regime e la Rivoluzione, 1856.
[modifica] Collegamenti esterni
- Cronologia della Rivoluzione Francese e approfondimenti da Cronologia.it
- Materiali revisionisti sulla Rivoluzione Francese a cura dell'Istituto per la Dottrina e l'Informazione Sociale.
- Studi d'autore sulla Rivoluzione francese a cura dell'Università di Milano e del Centro di Cultura francese di Milano.
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