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Meduna di Livenza - Wikipedia

Meduna di Livenza

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Wikipedia:WikiProject/Progetto geografia/Antropica/Comuni Meduna di Livenza
Stato: Italia
Regione: Veneto
Provincia: Treviso
Coordinate:
Latitudine: 45° 48′ 0′′ N
Longitudine: 12° 37′ 0′′ E
Mappa
Altitudine: 8,00 mt m s.l.m.
Superficie: 15 km²
Abitanti:
2.739 2003
Densità: 180 ab./km²
Frazioni: Mure, Brische 
Comuni contigui: Annone Veneto (VE), Gorgo al Monticano, Motta di Livenza, Pasiano di Pordenone (PN), Pravisdomini (PN)
CAP: 31040
Pref. tel: 0422
Codice ISTAT: 026041
Codice catasto: F088 
Nome abitanti: medunesi 
Santo patrono: San Giovanni Battista 
Giorno festivo:  
Comune
Posizione del comune nell'Italia
Sito istituzionale
Portale:Portali Visita il Portale Italia

Meduna di Livenza è un comune di 2739 abitanti della provincia di Treviso. storia



Indice

[modifica] Storia locale

[modifica] Introduzione

. Le notizie storiche di seguito riportate sono estratte da conversazioni ed appunti di Mons. Lino Garavina, parroco di Meduna di Livenza negli anni che vanno dal (1968) al (1996), da successive rielaborazioni e correzioni di testi scritti ma non pubblicati, da testimonianze di persone del luogo e corrispondenze con studiosi della storia veneta e friulana, da accurate documentazioni presso gli archivi della Curia di Pordenone ed Udine e dall’Archivio di Stato in Venezia, che lo stesso ha raccolto durante gli anni della sua permanenza a Meduna e che tuttora custodisce con somma cura nella sua abitazione presso la Curia di Pordenone. Le fonti da cui si è attinto e si continuerà ad attingere per l’aggiornamento e la correzione delle informazioni qui riportate sono citate in appendice al paragrafo bibliografia.

Il corpo del testo di seguito è tratto integralmente, con qualche leggera modifica, da quaderni di appunti intitolati “Conoscere ed amare Meduna di Livenza (conversazioni sulla storia locale)” di cui, per correttezza e riconoscenza dell’impegno profuso, riportiamo la nota introduttiva dell’autore:

Meduna di Livenza, 5 febbraio 1983

 a cura di Mons. Lino Garavina

(ex Parroco)


[modifica] I Veneti.

E’ imbarazzante raccontare la storia di Meduna cominciando da un’epoca in cui il territorio forse neppure era abitato. Non è possibile essere precisi e documentati; qualche volta saremo costretti a ricorrere a ipotesi più o meno convincenti.

La narrazione parte dai tempi della fondazione di Roma (753 avanti C.). I veneti occupavano il territorio delle Tre Venezie; Oderzo già esisteva. Ma nel 400 a. C. piombarono in Italia i Galli, popolo di origine celtica . I Galli costrinsero i Veneti ad abbandonare parte dei loro territori e a ritirarsi ai margini dell’Adriatico. Dopo di allora i Veneti vissero in pace soltanto nella pianura compresa fra l’Adige, il Livenza, le Prealpi e il mare. Però la presenza dei Veneti è segnalata anche altrove. Il più importante centro abitato dai Veneti era la città di Este. I Veneti erano abili navigatori anche in mare aperto; allevavano pecore e una razza pregiata di cavalli; coltivavano la terra e conoscevano l’uso dell’aratro; avevano lingua ed alfabeto propri; erano religiosi. Dopo l’invasione gallica, i Veneti ad oriente si trovarono a vivere a fianco a fianco con i Galli–Carni e ad occidente con i Galli–Cenomani. I Veneti furono alleati fedeli dei Romani nelle guerre contro i Galli e contro i Cartaginesi. Nello scontro fra Cesare e Pompeo, i Veneti parteggiarono per Cesare; dopo l’assassinio di Cesare, si schierarono contro i congiurati.

La mutara. In territorio medunese fino ad oggi nessuno ha mai trovato e saputo identificare oggetti attribuibili alla civiltà degli antichi Veneti. Però in territorio di Barco (comune di Pravisdomini), che confina con Mure, fino al 1980 c’era un luogo chiamato “la mùtara” oppure “mutarata”. La mùtara si elevava sul territorio circostante per circa 5 metri, come una collinetta, ed occupava uno spazio di circa 300 metri quadrati; era formata da argilla molto pallida e da “carant” (ossia argilla pietrificata). Durante lo spianamento non è emerso nulla che potesse attirare curiosità; però non era presente alcun esperto . A circa un chilometro dalla mùtara, in territorio di Mure, c’è il “bujeron” che è una sorgente d’acqua oleosa e gas di palude. E’ noto che gli antichi Veneti celebravano riti religiosi in luoghi caratteristici come la mùtara e presso fonti termali . Credo si possa fare l’ipotesi che gli antichi Veneti celebrassero riti religiosi tra Mure e Barco.

La romanizzazione del nostro territorio Dal tempo delle lotte contro i Galli, la penetrazione romana nel territorio dei Veneti si fece sempre più consistente. Gradualmente i Veneti assimilarono la cultura romana e perdettero la propria. Attorno all’anno 200 a.C., senza drammi, i Veneti da alleati divennero sudditi dei Romani. Gli abitanti del nostro territorio acquisirono la cittadinanza romana, con relativi diritti e doveri, soltanto dopo il 50 a. C. Contribuirono in modo determinante alla romanizzazione del nostro territorio i seguenti fatti. La fondazione di Aquileia A oriente del territorio dei veneti si erano stanziati i Galli–Carni che preferivano abitare tra i monti e nel folto dei boschi. Lo storico Tito Livio narra che l’anno 186 a.C. i Galli–Carni si insediarono anche nel territorio aquileiese. I Romani se ne preoccuparono perché quell’insediamento costituiva un ostacolo alla loro espansione verso il nord. Dapprima trattarono e poi occuparono con la forza il territorio. Nel 183 il Senato Romano decretò la fondazione della colonia di Aquileia e due anni dopo i legionari edificarono la città.

Via Postumia e via Annia Chi osserva la carta geografica dell’Italia settentrionale nota subito il maestoso anfiteatro delle Alpi. Quei monti e quelle valli erano abitati dai Galli–Celti tradizionalmente ostili verso i Romani. Per assoggettarli, i Romani nel 148 a.C. costruirono una strada che, partendo da Genova, attraversava tutta la pianura padana e, dopo aver toccato Piacenza, Cremona, Verona, Treviso, e Oderzo, arrivava fino ad Aquileia . La Postumia incrociava antichi viottoli già percorsi dai Veneti e, in seguito incrocerà strade romane. L’anno 132 a.C. fu costruita via Annia che, diramandosi da via Emilia, passava per Altino e raggiungeva Aquileia. Via Postumia e via Annia erano collegate fra loro dal Livenza.

Le regioni Dopo la vittoria di Filippi (42 a.C.), i triunviri Antonio, Ottaviano e Lepido divisero l’Italia in undici regioni. Il nostro territorio fece parte della decima regione denominata “Venetia et Histria” (le Venezie e l’Istria) . Ottaviano (che nel 27 a.C. diventerà imperatore e assumerà il titolo di Augusto) resse personalmente la regione “Venetia et Histria”.

Colonia Concordia Julia Le regioni, a loro volta, furono suddivise in territori omogenei detti Colonie che facevano capo ad un centro urbano. Il territorio medunese fece parte della colonia Concordia Julia. La città Concordia Julia, fondata intorno al 42 a.C., si trova a metà strada fra Altino e Aquileia, vicino al punto dove le vie Postumia e Annia si congiungevano. Il territorio della colonia Concordia Julia, cioè l’agro concordiese, si estendeva dalle Prealpi all’Adriatico e tra i fiumi Livenza e Tagliamento. Sono all’incirca gli stessi confini della diocesi di Concordia-Pordenone.

La centuriazione dell’agro concordiese Dopo la fondazione di Concordia Julia, i Romani procedettero alla “centuriazione” dell’agro concordiese. Dopo i Romani, in Italia, in duemila anni, nessuno governo realizzò progetti altrettanto funzionali e grandiosi. Immaginate un gruppo di geometri (gromatici) impiegati nella ricerca del centro geografico del territorio da centuriare. Dopo averlo individuato, tracciano una linea retta da nord a sud (kardo maximus - cardo maggiore) un’altra da est a ovest (decumanus maximus – decumano maggiore). Ne risulta una grande croce. Parallelamente al decumano, ogni 3550 metri tracciano strade minori dette saltus oppure decumani minori. Il territorio compreso tra le strade viene bonificato e diviso in perfetti quadrati detti centurie (20 x 20 actus, cioè m. 710 x 710 che corrispondono a circa 50 ettari). Ogni centuria viene suddivisa in 4 o 5 poderi (praedia) di 12 ettari e mezzo oppure di 10 ettari. Attorno alle centurie si snodano viottoli e fossati. I viottoli e, soprattutto, le strade che dividono i gruppi di centurie costituiscono la viabilità minore della Colonia. Evidentemente il piano descritto veniva attuato tenendo conto delle strade esistenti e dei fiumi. L’agro concordiese era orientato 40° nord-est. I poderi dell’ agro concordiese, molto probabilmente, furono assegnati ai veterani della battaglia di Filippi. Il prof. L. Bosio, noto studioso delle centuriazioni dell’ agro concordiese, esprime il parere che la strada Traffe-Pasiano ecc. (che segna un tratto di confine del comune di Meduna con Pasiano) corrisponda all’antico decumano maggiore dell’ agro concordiese.


[modifica] Meduna in epoca romana

Per scoprire in qual modo e misura la civiltà romana ha plasmato il territorio medunese, ci serviremo delle poche testimonianze che fino ad oggi siamo riusciti a raccogliere.

Reperti archeologici Sono stati trovati vari frammenti di materiale fittile di origine romana in via Roma, Corteabbà e Mure. Su alcuni laterizi si può ancora leggere il marchio di fabbrica. Uno reca il marchio “C. CO. VE.S.” (le lettere sarebbero l’abbreviazione di Cai Coeli Verna Serus); altro reca il marchio “T.ATI. PAETI.CONCO.” (Titi ATI PAETI CONCOrdiensis); altro laterizio reca la scritta VARISTI. Sono i nomi dei proprietari delle fornaci. Un ritratto di uomo maturo, ritrovato in territorio medunese, benché corroso e mancante del naso rivela caratteri anatomico-stilistici abbastanza leggibili. E’ conservato nel museo di Oderzo. Una colonna ritrovata a Mure, di granito proveniente da cava piemontese, alta m. 1,72, diametro maggiore m. 0,45, diametro minore m. 0,44. A Brische (frazione di Meduna) è stata trovata una moneta dell’imperatore Marco Aurelio. In luogo imprecisato due monete dell’imperatore Giustiniano.

I toponimi (nomi di luoghi) “Alla fine del secolo scorso nel territorio di Meduna esisteva ancora un tratto di strada denominata Postioma, oltre ad un ponte dello stesso nome. Il Comune è attraverso ancor oggi dal canale Postumia che scorre tra Mure e il centro della borgata e riceve nella parte superiore le acque del Sile e del Fiume; nel corso inferiore invece perde il suo nome per assumere quello di canale Malgher” (A. C. Pizzin – Meduna di Liv. e la sua storia pag. 29). Anche oggi la strada che dal capoluogo porta a Mure si chiama via Postumia; come pure la statale n. 53, cioè la Oderzo-Portogruaro, si chiama via Postumia. Siamo circondati da toponimi di origine romana, come ad esempio: Lorenzaga, cioè podere di Laurentius; Pasiano, cioè podere di Pacilius; Annone, cioè “ad nonum” (= al nono cippo miliario). Il toponimo che fa più riflettere è il nome di Mure (in latino classico murae; in latino medioevale mures). Non si dà un nome simile ad un prato, bensì ad un luogo in cui ci sono muri, anche se sono muri cadenti.

Una foto E’ stata pubblicata una foto scattata dal satellite Skylab fornito di dispositivi per “radiografare” il terreno. La foto ha rilevato segni incancellabili della centuriazione romana anche in territorio medunese.

Una mappa E’ conservata presso l’archivio di stato di Vienna una mappa denominata “Carta Peutingeriana” . Fu ricopiata nel Medioevo da un documento cartografico antico. Non è in scala e contiene evidenti imprecisioni. Disegna la viabilità e i centri urbani principali del tardo impero. In detta mappa è segnata una strada che da Oderzo porta a Concordia senza inoltrarsi tra le colline della pedemontana. Il punto in cui la strada attraversa il Livenza sembra trovarsi nel nostro territorio.

Ipotesi possibili e probabili sul percorso della Postumia E’ accertato che il territorio di Meduna era compreso nel grande piano di centuriazione dell’agro concordiese e che il territorio medunese era attraversato da una strada romana. Di quale strada si tratta? Poteva essere la Postumia, oppure una strada di collegamento Oderzo-Concordia, oppure un decumano minore (saltus). Quanti hanno scritto su Meduna (L. Rocco, P. Paschini, E. Degani, A. C. Pizzin, M. Peressin, A. C. Giacinto, E. Bellis) concordemente riconoscono che la Postumia attraversava il territorio dell’attuale comune di Meduna. Però c’è anche chi afferma che la Postumia da Oderzo arrivasse a Settimo di Portobuffolè e, proseguendo ai margini dei Camolli, si inoltrasse nella zona pedemontana (P. L. Faccaro, P. L. Zovastto, A. Moret). E’ ipotizzabile che la Postumia – costruita quale strada di collegamento rapido tra Genova e Aquileia – non seguisse a rigor di logica un percorso tanto tortuoso. E’ più probabile che la strada Oderzo-Settimo-pedemontana fosse una diramazione della Postumia. Alla luce di quanto sopra premesso non si commette errore affermando che la Postumia, dopo aver superato il Livenza tra San Giovanni di Motta e il “sacconet” di Meduna, attraversava seguendo un rettilineo, Corteabbà, Mure, Azzanello fino a raggiungere il vecchio centro di Annone. La distanza tra Oderzo ed Annone, seguendo il percorso descritto, è di 9 miglia romane (= Km. 13,320). Come già detto, il nome Annone deriva da “ad nonum”, cioè al non cippo miliario…da Oderzo. Lungo il percorso descritto sono stati trovati: - sulla facciata della chiesa di S. Giovanni di Motta, una “aedicula funeraria” romana; - sotto il pavimento del presbiterio, un possente muro di epoca romana; - in territorio medunese, nella proprietà Zamuner (via Molini), numerosi frammenti di laterizi, fra cui alcuni con il marchio di fabbrica ; - presso le ex scuole elementari di Mure e nell’attigua casa Vello (via Pascoli) vari frammenti di laterizi e vasi di creta; - a Mure, in via S. Domenico, la colonna di marmo; - ad Azzanello numerosi reperti di cui fu data notizia fin dal 1878.

Sulla colonna di Mure La colonna di mure ha suggerito all’ing. F. Pescarolo, esperto di archeologia una suggestiva ipotesi. La colonna non è l’intera colonna. L’intera colonna era alta 8/10 volte il suo diametro (cioè metri 3,50/4,00) era sormontata dal capitello; è di stile dorico. L’ing. Pescarolo ritiene che la colonna appartenesse al pronao di un tempietto pagano; che detto pronao fosse formato da 4 colonne le quali sorreggevano il timpano. Dietro il pronao c’era l’aula che alloggiava la statua del dio o della dea. Il tutto come appare dal seguente disegno. La località in cui si trovava la colonna si chiama Mure. Mure… di che cosa? Murae templi, ossia muri di un tempio ormai distrutto. Si sa che le leggi emanate dai successori di Costantino contro il culto pagano furono varie e sempre più severe. Le più recenti prescrivevano persino di demolire i tempi pagani e di bruciare gli idoli. Quel nome Mure e la colonna nascondono un dramma che si consumò nel IV secolo d.C.: il dramma di un tempio pagano distrutto.

Fine delle centuriazioni romane Le centuriazioni si deteriorarono nel tardo impero per cause naturali e per cause politiche.

Cause naturali L’alveo dei fiumi gradualmente si sollevò; sempre più frequenti furono le alluvioni e nelle basse pianure si estese sempre di più la palude. Nel 589 (secondo altri nel 596) una spaventosa alluvione, che i contemporanei paragonarono al diluvio, fece straripare tutti i fiumi del Veneto che seppellirono sotto il fango quanto ancora restava delle centuriazioni romane. In quell’occasione molti fiumi cambiarono corso. Contribuì al degrado del territorio la mancanza di agricoltori dovuta al forte calo demografico. Dal tempo delle prime invasioni barbariche fino alla seconda metà del secolo decimo, le aree coltivate si ridussero sempre di più, i boschi e le paludi si estesero. Alla fine delle invasioni degli Ungari il nostro territorio aveva l’aspetto selvaggio pre-romano.

Cause politiche Le orde barbariche scese in Italia, quasi tutte attraverso il Friuli e il Veneto Orientale, portarono distruzione e morte. Nel 410 scesero i Visigoti guidati da Alarico (misero a sacco Roma). Nel 452 gli Unni, guidati da Attila, percorsero via Postumia e distrussero Aquileia, Concordia, Oderzo, ecc.. Nel 476 gli Eruli, guidati da Odoacre, deposero l'ultimo imperatore romano e così ebbe fine l’Impero Romano d’Occidente. Nel 488 scesero gli Ostrogoti, guidati da Teodorico. Nel 553 i territori lungo la costa adriatica furono occupati, per conto dell’imperatore romano d’oriente, dai Bizantini. Anche Oderzo fu soggetta ai Bizantini. Nel 568 scesero in Italia i Longobardi, guidati da Alboino. Evitarono Oderzo perché saldamente presidiata dai Bizantini. Ma nel 640 Rotari riuscì a impossessarsi di Oderzo e la saccheggiò. Nel 667 re Grimoaldo la rase al suolo. I Longobardi dominarono l’Italia per quasi 200 anni. Divisero i territori occupati in Ducati. Il territorio friulano che si estendeva fino al Livenza fece parte del Ducato Foroiuliese con capitale Cividale. La divisone territoriale attuata dai Longobardi non fu più modificata fino alla caduta della Repubblica Veneta (1797). Per i medunesi è importante ricordare che, tra il 741 e il 749, tre nobili longobardi fondarono l’abbazia di Santa Maria in silvis (Sesto al Reghena) i cui possedimenti si estesero fino al Malgher, Mure e Corteabbà. L’anno 774 Carlo Magno, re dei Franchi, sconfisse Desiderio, ultimo re dei Longobardi. I Franchi, subentrati ai Longobardi, crearono la Marca del Friuli. Ai re franchi subentrarono gli imperatori germanici. Dopo un secolo di relativa calma, nel 889, scesero dal nord gli Ungari barbari e feroci. Le loro periodiche invasioni si protrassero per circa mezzo secolo. La devastazione del nostro territorio non si può descrivere. Salomone di Costanza, che nel 904 visitò l’Italia, lasciò scritto: “Ci stanno dinanzi le città italiane prive di cittadini e i campi desolati perché privi di coltivatori. Le pianure biancheggiano delle secche ossa degli uccisi: non credo che i vivi eguaglino il numero dei morti in guerra”.

Origine del castello di Meduna. Cessate finalmente le invasioni degli Ungari, le nostre popolazioni si diedero con rinnovato fervore a riparare i danni subiti. A difesa contro altre possibili invasioni “sorsero da per tutto rocche e castella in tanto numero che sembravano una selva” (L.A. C. Muratori in “Annuali d’Italia”). “Perciò è da credere che nel territorio della diocesi nostra (Concordia) sorgessero intorno a quell’epoca i castelli di Maniago, di Castelnuovo, di Aviano, di Montereale, di Torre, di Pinzano, di S. Stino e della Meduna” .

Il palazzo del governo de “La Meduna”. Sulla riva sinistra della Livenza, lungo la strada che da Motta conduce a Pordenone, si trova Meduna di Livenza. Il centro urbano mostra segni di un’antica nobiltà; case e strade fanno da contorno al grande palazzo che dal 1984 è diventato sede comunale e centro di attività socila e culturali. Si tratta di un felice ritorno perché quel palazzo per secoli fu la sede del governo di un feudo che si estendeva su un territorio assai più esteso dell’attuale Comune. L’imponente edificio è costituito dalla fusione di quanto resta dell’antico castello con il palazzo dei Patrizi Veneti Michiel della Meduna. I resti del castello medioevale si trovano nel lato sud-est. Si distinguono dalla cornice a dente di sega sotto il tetto e da una serie di finestre con arco romanico che sono certamente del sec. XIII . A quei muri è legata la parte più importante della storia di Meduna.


[modifica] Meduna nel medioevo.

Il castello di Meduna sorse attorno all’anno Mille per iniziativa dei patriarchi di Aquileja, probabilmente sulle fondamenta di una rocca di parecchi secoli più antica . Si tenga presente che, all’epoca della costruzione del castello, un ramo della Meduna, dopo aver raccolto le acque del Fiume e del Sile, correva dentro il letto del Sambellino. In tal modo il castello di Meduna veniva trovarsi tra due grossi corsi d’acqua: la Meduna e la Livenza. Durante il medioevo, fino al 1420, il Patriarcato di Aquileja non era soltanto un’istituzione ecclesiastica, ma uno Stato che si estendeva all’incirca quanto l’attuale regione Friuli-Venezia Giulia. Il confine ovest dello Stato Patriarcale, per gran parte, era segnato dalla Livenza. A difesa di questo confine si ergevano i castelli di S. Stino, Meduna, Sacile, Caneva ed altri. Il primo documento che esplicitamente nomina il castello di Meduna è del 1223 . In altri documenti dello stesso anno sono ricordate la casa del Patriarca in Meduna e la chiesa . Attorno al castello sorgevano le modeste abitazioni di quanti avevano l’obbligo di prestazioni nel castello e verso il Patriarca. Queste abitazioni costituivano il borgo. È significativo notare che in un documento del 1702 si ricorda ancora che quella parte di Meduna si nominava anticamente “li Borghi” . La prima famiglia insediata nel castello, secondo il costume del tempo, prese il nome dal castello stesso: si chiamò “Di Meduna” . Il castello non era un edificio privato, ma la sede del governo feudale, l’abitazione del feudatario e, in caso di pericolo, luogo di rifugio per la popolazione. Meduna apparteneva al genere dei feudi d’abitanza e, pertanto, il castellano aveva l’obbligo di risiedervi; era una gastaldia, dipendeva direttamente dal Patriarca ed era amministrata da un funzionario patriarcale detto gastaldo . Durante l’epoca patriarcale la gastaldia di Meduna estese gradualmente la sua giurisdizione sui seguenti luoghi: Methuna la villa, Pasian di Sotto, Azzanello, Brischi, Squarzareto, More, Masi, Cordohabat, Quartarezza, Danon, Cydrugno, Pra Maior, Pra di Pozzo, Zoppina, Oltrefossa, Spadacenta, Sotto la Motta . Meduna mandava suoi rappresentanti al Parlamento dello Stato Patriarcale ed aveva l’obbligo, in caso di guerra, di fornire un determinato numero di gente armata . Nel governo del feudo e nell’amministrazione della giustizia, il gastaldo era assistito dagli astanti, carica ereditaria detenuta da alcune famiglie (non più di tredici). Nei pressi del castello c’erano la “beccarla”, l’osteria e il forno; entro la cinta muraria, dal 1363, annualmente si svolgevano due fiere franche . I servi della gleba allevavano bestiame, andavano a legna nei boschi e aravano i migliori appezzamenti di terra, ma non conoscevano il grano turco, le patate e tante varietà di frutta. I servi di masnada erano addetti ai vari servizi nel castello. Poiché il castello e il territorio del feudo di Meduna si trovavano ai confini dello Stato Patriarcale, furono fatalmente coinvolti in fatti di guerra. Nel 1305 Rizzardo da Camino occupò Caneva, Sacile e altri territori dello Stato Patriarcale. Andati a vuoto i tentativi per comporre pacificamente la vertenza, il Patriarca Ottobono mosse guerra a Rizzardo. Fece gettare un ponte sulla Livenza nei pressi del castello di Meduna con l’intenzione di invadere il territorio del nemico, ma incontrò fiera resistenza. Il ponte non fu portato a termine e molti furono i morti e i prigionieri dall’una e l’altra parte. I combattimenti cessarono per l’avanzare della stagione fredda. I Da Camino, che già possedevano Motta, ebbero sempre mire su Meduna. Negli anni 1326 e 1327 per avere Meduna ordirono una congiura corrompendo i castellani di Meduna e quelli di Panigai. La congiura fu scoperta e i congiurati, perché rei di fellonia, furono banditi dal territorio. I Da Camino finalmente ottennero dal Patriarca Pagano della torre la gastaldia di Meduna, ma l’ebbero par poco tempo perché il nuovo Patriarca Bertrando, nel 1336, li costrinse a restituirla. Dal 1381 al 1388 lo Stato Patriarcale fu dilaniato da discordie interne tra fautori e avversari del Patriarca Filippo d’Alençon. Gli avversari del Patriarca si unirono in una lega denominata Felice Unione appoggiata da Veneziani e dagli Scaligeri signori di Verona; i fautori del Patriarca erano appoggiati dagli Ungheresi e dai signori di Padova, i Da Carrara. La gastaldia di Meduna si schierò dalla parte del Patriarca, ma nel 1385 e 1386, per cause che non si conoscono, passò dalla parte della Felice Unione. Per questo fatto fu duramente punita. Nel novembre 1386 le truppe di Facino Cane, condottiero al soldo dei fautori del patriarca, dopo aver occupato Sacile e aver risparmiato il castello di Prata dietro compenso di denaro, “si gettarono su Meduna e la presero d’assalto, mettendola a ferro e fuoco, commettendo in quell’infelice terra grandi iniquità e scelleratezze” (F. di Manzano – Annali del Friuli). “Il 17 gennaio seguente la compagnia di Facino Cane era ancora di stanza a Meduna; quei di Prata, profittando del momento che il condottiero stava nei pressi di Udine, assalirono la borgata e, non essendovi presidio sufficiente a difenderla la misero a sacco e a fuoco, bruciando anche la rocca con le poche case rimaste che spianarono completamente… Così il paese fu due volte distrutto a causa le rivalità dei maggiori contendenti” . Meduna non si era ancora ripresa dalle ferite, quando lo Stato Patriarcale fu scosso da altre gravi discordie interne. Nel 1409 papa Gregorio XII, il veneziano Angelo Correr, depose il Patriarca d’Aquileja Antonio Pancera suscitando un vero pandemonio. I castellani di Polcenigo, Porcia, Brugnera, Prata e S. Vito appoggiarono la decisione papale, mentre Meduna (retta da un gastaldo, cioè un funzionario patriarcale) si schierò dalla parte del deposto Patriarca. Nel maggio dello stesso anno il Papa per raggiungere Cividale sceglie il seguente itinerario; giungere per via fluviale a Torre di Mosto, proseguire per terra passando per Corbolone, Lorenzaga, Muggia, Meduna e Rivarotta e prendere alloggio nel ben munito castello di Prata. Per scongiurare il pericolo che i Medunesi ostacolino il viaggio del Papa, qualche giorno prima dell’arrivo del pontefice, i conti di Prata occupano con la forza il castello di Meduna. Dopo il Passaggio del Papa il castello resta nelle mani dei conti di Prata. Nel giugno dell’anno seguente Natale Pancera, fratello del Patriarca deposto, assieme a Bartolomeo di Maniaco, “di notte, con i loro seguaci, si portarono da Portogruaro a Meduna per terra e per acqua. Tagliati i legami del ponte, al suono delle trombe, penetrarono in paese, si portarono sotto le mura del castello e lo attaccarono vigorosamente, costringendo i difensori alla resa. Durante il combattimento vi furono due morti ed alcuni feriti; venticinque uomini furono fatti prigionieri e condotti in carcere a Portogruaro. La terra fu saccheggiata; circa duecento case vennero predate ed incendiate. Solo la chiesa fu risparmiata” . Il fatto suscitò profonda indignazione in tutto il Friuli. Lo Stato Patriarcale ormai era all’agonia. Venezia, desiderosa di espandersi in terra ferma, vedendo che i tempi erano maturi assoldò nel 1418 il capitano di ventura conte Filippo Arcelli e lo mandò contro il Friuli. In breve ad uno ad uno tutti i castelli capitolarono o fecero atto di sottomissione a Venezia. Meduna passò all’ombra del gonfalone di S. Marco il 29 maggio 1420.


[modifica] Sotto la Repubblica di Venezia (1420-1797).

Ora Meduna non è più terra di confine; il castellano non é più un funzionario patriarcale; purtroppo dopo tante sciagure, il centro urbano è ridotto a un cumulo di macerie.

La gastaldia di Meduna viene incamerata dal fisco della Repubblica che lo assegna, dietro pagamento, ad un fedele suddito col titolo di capitano.

Saggiamente Venezia concede autonomia amministrativa a quello che fu dello Stato Patriarcale e che, d’ora in poi, verrà chiamato Patria del Friuli; conserva il Parlamento friulano che non sarà più presieduto dal Patriarca bensì dal Luogotenente del Patriarca del Friuli. Meduna conserva il diritto di mandare suoi rappresentanti al Parlamento friulano. Il capitano di Meduna, nel governo del feudo e nell’amministrazione della giustizia, è assistito, come prima, dagli astanti della comunità.

Il 22 maggio 1455 vengono investiti del feudo di Meduna i Patrizi Veneti Michiel, i quali, da allora saranno chiamati Michiel della Meduna. A differenza dei gastaldi patriarcali, i Michiel potarnno trasmettere il feudo ai figli[1].

Il tempo in cui i Michiel governarono il feudo di Meduna fu certamente un tempo di progresso. Il centro urbano, devastato durante le ultime tragiche vicende dello Stato Patriarcale, fu interamente rifatto; dell’antico centro medioevale restarono soltanto una parte del castello e il campanile; anche il suolo per potersi meglio difendere dalle alluvioni, fu elevato di circa un metro.

Si hanno motivi per credere che la prima abitazione dei Michiel in Meduna sia stata danneggiata e poi distrutta a causa della feroce e fulminea incursione dei turchi avvenuta nel 1477.

Il palazzo ora sede comunale fu fatto costruire dai Michiel nella prima metà del 1500 e fu rimaneggiato più volte in tempi successivi. Sulla facciata, fino a poco tempo fa, capeggiava uno stupendo stemma dei Michiel; sulla fontana che adorna il cortile c’era un altro stemma formato dall’unione dell’arma dei Michiel con quella dei Querini. Ambedue gli stemmi sono conservati all’interno del palazzo. Di fronte al palazzo comunale c’è il palazzo Saccomani, anch’esso, un tempo, proprietà dei Michiel[2].

Il governo del feudo aveva sede a palazzo Michiel. Faceva parte del palazzo la loggia (distrutta dopo il 1843) dove si tenevano le riunioni delle comunità e si trattavano le cause civili e penali; cera la cancelleria con gli armadi contenenti le “scritture”; c’era una scuola pubblica[3]; c’era l’alloggio per i commilitoni (cioè i soldati).

I villici da tutti i villaggi del feudo venivano qui per le loro questioni. Nei pressi del palazzo, come in antico, si svolgevano annualmente due fiere franche e fiorivano i commerci.

Di fronte al palazzo, sulla sponda sinistra della Livenza, c’era lo scalo dove sostavano per il carico e lo scarico i burchi.

Sotto la Repubblica di Venezia la giurisdizione del feudo si estese sempre di più. Nel 1567 il conte Girolamo di Porcia descrisse con ricchezza di particolari il feudo di Meduna: nominò il bel palazzo dei Michiel e fece l’elencho dei villaggi soggetti a Meduna[4].

Fermiamo un istante la nostra attenzione. Nell’elenco di epoca patriarcale (secolo XIV) i villaggi soggetti a Meduna erano 18; nell’elenco di Girolamo di Porcia (1567) i villaggi sono 24; in un elenco riportato in un libro stampato nel 1775, cioè poco prima della fine della Serenissima, i villaggi soggetti a Meduna sono 37[5]. confrontando i tre elenchi redatti in tempi successivi si nota che la giudisgizione di Meduna si estende a poco a poco verso oriente e verso mezzogiorno.

I Michiel operarono con grande impegno anche nella seconda metà del 1600. Lo stemma murato sulla facciata del cadente Canevon (Via Verdi 7) reca incise le lettere MM (cioè Marco Michiel) e l’anno MDCLXVII. A quell’epoca i Michiel realizzarono un’opera destinata a modificare l’drografia di Meduna. Prima d’allora le acque del Fiume e del Sile, all’altezza di Brische, entravano nel letto del del Sambellino e confluivano nella Livenza nei pressi del centro urbano di Meduna. Accadeva spesso che le piogge ingrossassero contemporaneamente la Livenza, il Fiume e il Sile e, poiché a quell’epoca nessuno dei tre fiumi era arginato, Meduna veniva allagata.

Marco Michiel fece scavare il canale “Postioma” per allontanare le acque dal centro urbano e le utilizzò per azionare un molino dove si macinò fino al 1870 circa. Per quei tempi fu un’opera colossale. Purtroppo però i proprietari dei terreni lungo il Fiume e il Sile, ritenendosi danneggiati, fecero causa al Michiel e non si sa come sia andata a finire[6]. Di certo sappiamo che nei primi anni del 1700 i Michiel lasciarono Meduna.

Per qualche tempo nel feudo regnò il disordine. Venezia per por fine a quella situazione, nel 1699 affidò la questione a tre Inquisitori di Terraferma e poi fece pubblicare a stampa nuovi “Ordini e Capitoli per il governo della giurisdizione della Meduna”[7].

Nel 1749 era capitano di Meduna il nobile Francesco Duodo[8]; il feudo poi passò, non si sa quando, ai nobili Loredan.

Il Trattato di Campoformido (1797) segnò tanto la fine dalla Repubblica Veneta come quella delle giurisdizioni originarie degli antichi ordinamenti feudali.

Meduna perdette il ruolo di centro direzionale ed il palazzo già dei Michiel, dei Duodo, dei Loredan fu declassato a rango di privata abitazione.


[Richiami]

[1] Al centro della navata della parrocchia di Meduna, prima dell’attuale pavimentazione, c’era una imponente pietra tombale (ora conservata nel sagrato) sulla quale erano scolpiti lo stemma dei Michiel e le seguenti parole: INTEGMO VIRO PATRITIO V./IOAN. FRANC./IACOBI F. PATRIS/AC MATRIS SUAE CINERIBUS/HUC TRASLATIS EX/TESTAMENTO DICARUN/F.P./OBIIT MDLXXXX/PRIDIE CALENDAS IANUARII.

Significano: all’integerrimo patrizio veneto Giovanni Francesco figlio di Giacomo e alle ceneri del padre e della madre sua qui traslate per disposizione testamentaria i figli ed i posteri dedicarono. Morì in trentun dicembre 1589.

[2] Archivio di Stato VE – “Provv. sopra Feudi 350” – Processo 2 – “Ego Jho: Taurus archipresbiter ac plebanus Eccl. S. Jo. Baptistae terre Methune dioc. Ill.me ac Rev.me Patriarcatus Aquil. Is qualiter nella terra della Meduna non si ritrovano presentemente che 24 anime da Comunione, essendo eretti li palazzi delli NN. HH. Michieli dove anticamente era il castello; anzi una parte di detta terra ritiene il nome del Castelletto, et hoc stipsi de manu propria, et dixi verbo veritatis… Datum in aedibus nostris praesbiteralibus die XVIII aprilis 1702”. Li palazzi, al plurale. Quindi anche il palazzo ora dei Saccomani.

[3] Archivio parrocchiale di S. Giovanni Battista in Meduna – Libro de Battesimo sotto l’administrazione del reverendo M. Pre Galeazzo Bella Piovano della Meduna.

Angelo de Nigris “professore di umanità” il 12 luglio 1592 porta al battesimo la figlia Elisabetta – Lucia.

[4] Girolamo di Porcia, Descrizione della Patria del Friuli fatta nel secolo XVI, Tpografia del Patriarcato, Udine 1897 pp. 78 – 79. Meduna Castello non molto abitato, e Communità posta di là del Tagliamento sopra la Meduna fiume verso Ponente, lontana da Udine miglia 30, nel qual luogo li Magnifici Michieli Nobili Veneziani hanno giurisdizione, ed un bel Palazzo, mettono un Capitanio, il quale è presente a render ragione insieme cogl’Astanti di quella Comunità, i quali Astanti fanno loro le sentenze, ed il capitano le pubblica senza metter voce, e così in civile, come in criminale: le appellazioni vanno al Carissimo sig. Luogotenente: detta Comunità ha voce in Parlamento, ma non ha Signoria: paga L. 18:12 per ogni impostazione: ha sotto di sé Azzanello, Meduna la Villa, Belveder, Bosco S. Biagio, Brischis, Casale, Cidrugno, Cinto, Corte dell’Abà, Danon, Giai di Spadacenta, Lison, Malgher, Mazzolada, Melon, Mura di Meduna, Oltrafossa, Paseglian di Sotto, Pra di Pozzo, Pra Maior, Quartarezza, Spadacenta, Squarcereda, Villatta. Ne quali luoghi del 1548 erano uomini da fatti N. 669, inutili 3192. Nel 1557 erano uomini da fatti N. 868, inutili N. 3511.

[5] Statuti della Patria del Friuli, Udine, 1775, pag. 425 “Meduna, Andreis, Azzanello de’ Mercati, Bando Michieli, Belveder di Meduna, Bissiola, Boscato e Baracet, Bosco del Forestier, Bosco di S. Biagio, Brische, Casal di Tau, Casali, Cedrugno, Cinto, Corte dell’Abbà, Danon, Fratuzza, Gaio di Spadacenta, Lison, Loncon, Loverè, Margher, Mazolada, Melon, Molin di Mezoz, Oltrafossa, Pasian di Sotto, Prà di Pozzo, Prà Maggior, Quartarezza, Ronche, Spadacenta, Squarzaredo, Villotta di sopra”.

[6] Abbiamo fotocopie delle mappe prodotte dalle parti in causa.

[7] Il testo integrale di Ordini e Capitoli stabiliti dagli Inquisitori di Terraferma per il Governo della Giurisdizione della Meduna sono pubblicati in “Amedeo Pizzin – Meduna di Livenza e la sua storia” – 1964 a pag. 73-80.

[8] Dalla relazione della Visita Pastorale – Archivio della Curia arcivescovile di Udine.

Il comune porta il nome di due importanti corsi d’acqua: il Meduna e il Livenza. Dal 1868 si chiama “Meduna di Livenza”, mentre prima si chiamava più semplicemente ”Meduna” ed anche “La Meduna”. Il comune di Meduna di Livenza si estende su una superficie di 1533 ettari; è posto sulla sinistra del Livenza; confina con i comuni di Motta e Gorgo in provincia di Treviso, con Pasiano e Pravisdomini in provincia di Pordenone e, per breve tratto, anche con Annone Veneto in provincia di Venezia. I confini del Comune per gran parte sono segnati dai corsi del Livenza, del Fiume e del Sile.

Terreno alluvionale. Prima di affrontare la storia di Meduna, prendiamo confidenza con il territorio sul quale la storia si è svolta e, innanzi tutto, sui corsi d’acqua. Impariamo a riconoscere l’idrografia di Meduna di Livenza. Idrografia vuol dire “descrizione delle acque”. Il terreno su cui sono costruite le nostre case e i campi che coltiviamo è di origine alluvionale: è terreno trasportato qui dalle acque nel corso di millenni. In epoca preistorica le acque scendevano dai monti e, dopo aver vagato per valli e pianure, coprivano questi luoghi e vi depositavano fango, sabbia e argille. In epoca posteriore le acque si scavarono un letto o alveo e così si formarono i fiumi; questi, degradando verso il mare, aggrediscono le rive, modificano continuamente il percorso e lo rendono sempre più tortuoso. In molte occasioni gli alvei dei fiumi si dimostrano incapaci di contenere le gran quantità di acque che scendono dai monti e piovono dal cielo; le acque allora allagano il territorio circostante per poi rientrare lentamente dentro gli alvei. In epoche remote sui terreni resi umidi e fertili dalle frequenti alluvioni crescevano alberi e arbusti, si formavano boschi dove vivevano animali e uccelli di tutte le specie conosciute nei climi temperati.

Le nostre acque. Lambiscono o attraversano il territorio di Meduna i fiumi Livenza, Fiume e Sile, il canale Postumia-Malgher, gli scoli San Bellino, Correntiva-Corella, Borrida e Buridon. Consideriamo nostro, anche se non entra in territorio medunese, il fiume Meduna. Vedremo perché. I fiumi che passano per Meduna hanno origine da sorgenti e risorgive poste a monte della statale n. 13 detta “Pontebbana”. Tali sorgenti e risorgive emergono dal sottosuolo ai piedi delle Prealpi Friulane, lungo una linea relativamente breve. A Polcenigo si trovano le sorgenti del Livenza, a Cordenons vi sono le risorgive del Meduna e del suo affluente il Cellina, poco prima di Casarsa nascono il Fiume e il Sile. Da Polcenigo a Casarsa corrono, in linea d’aria, 28 Km. Arrivano a Meduna, oltre alle acque dei nostri fiumi e dei relativi affluenti, anche le acque piovane di un vastissimo bacino. Il bacino idrografico (acque dei fiumi e acque piovane) del Livenza misura Kmq 2450 . Oltre due terzi delle acque di tale bacino transitano per Meduna. Quanta acqua passa sotto i ponti di Meduna (ossia sotto il ponte sul Livenza e il ponte sul canale Postumia-Malgher)? Il Livenza, in periodo di magra, all’idrometro di Motta segna 60-70 mc/s; durante l’alluvione del 1966 segnò fino a 1200 mc/s. Il canale Postumia-Malgher si calcola che contenga un quarto dell’acqua del Livenza.

Il Livenza. Il Livenza nasce in comune di Polcenigo. Ha varie sorgenti: alcune nei pressi del santuario della Santissima Trinità, comunemente detto “La Santissima”, mentre la sorgente più abbondante sgorga da un antro sotto il monte Piai in località Gorgazzo. Appena le acque delle varie sorgenti si sono riunite formano un fiume di tutto rispetto. Il Livenza nella parte superiore corre in provincia di Pordenone; dopo Sacile segna, all’incirca, il confine tra le province di Pordenone e Treviso; da S. Stino corre in provincia di Venezia. Il Livenza si getta nell’Adriatico, in parte direttamente attraverso il porto di Santa Margherita ed in parte indirettamente, per un canale interno, attraverso il porto di Falconera, dopo aver percorso 112 Km, degradando da metri 40 fino al livello del mare. Il Livenza passa per Sacile, Brugnera, Portobuffolè, Meduna, Motta, S. Stino, Torre di Mosto e S. Giorgio . Quattro di questi comuni portano, insieme al nome primitivo, anche la specificazione “di Livenza”. Il Livenza segna con un percorso molto tortuoso il confine occidentale di Meduna per Km 12,250 circa. La stessa distanza in linea d’aria è di circa Km 5. Prima di arrivare a Meduna, il Livenza riceve vari affluenti: a Sacile riceve la Paisa e il Meschio, a Portobuffolè il Resteggia e a Tremeacque (comune di Prata) il Meduna. Fino al 1940 il Livenza era navigabile, per lungo tratto, anche con grosse barche chiamate “buffole”, “burchi” o più semplicemente “barconi” . In tutti i paesi attraversati dal basso Livenza c’era uno scalo. Ce n’era uno anche a Meduna. Gli scali di Motta, Portobuffolè e Sacile erano veri piccoli porti. Dal Livenza risalendo il Meduna e il Noncello, si arriva fino a Pordenone . Col diffondersi dell’uso dei trasporti su strada con automezzi, la navigazione fluviale dovunque entrò in crisi. A poco a poco scomparve la categoria dei barcaioli e dei “Marineri” e cessarono l’attività gli squeri (cantieri dove si costruivano le piccole imbarcazioni). Nelle mappe si vede ancor oggi, tra l’argine e il fiume, un sentiero denominato “via alzaia”. Quel sentiero consentiva al cavallo di trainare il barcone dalla riva.

Il Meduna.

Il Meduna nasce nelle Prealpi Clautane. Dopo aver formato il pittoresco lago di Tramonti, scende a Meduno, attraversa il territorio dei mandamenti di Maniago e Spilimbergo e, giunto in comune di S. Giorgio della Richinvelda, sprofonda in uno strato di detriti ghiaiosi. Ritorna alla luce qualche chilometro più a valle dando vita alle risorgive di Cordenons. Da lì prosegue per Zoppola, piega verso Pordenone, dove riceve il Cellina e il Noncello, passa per i comuni di Fiume Veneto, Azzano Decimo, Prata, Pasiano e si getta nel Livenza in località Tremeacque, a qualche chilometro dall’abitato di Meduna. Il fiume Meduna non entra nel territorio del comune di Meduna, però noi Medunesi lo consideriamo “cittadino onorario” perché ha dato il nome al nostro paese. Come ha fatto il fiume Meduna a dare il nome al castello e al paese di Meduna se non passa da queste parti? È questo un “giallo” che si tenterà di risolvere. In un Diploma dell’imperatore Ottone III, datato 11 settembre 996, si legge: “…concediamo a Bennone vescovo della santa Chiesa di Concordia e ai suoi successori il territorio boscoso che da dove nasce l’acqua chiamata Lemene e lungo il suo corso fino al mare; da dove nasce l’acqua chiamata Fiume e lungo il suo corso fin dove si getta nel Meduna e lungo il corso del Meduna fin dove si getta nel Livenza e lungo il corso del Livenza fino al mare…” . Qui si afferma chiaramente che il Fiume si getta nel Meduna. Altrettanto chiaramente in un documento del 1190 si parla dei molini di Pasiano mossi dalle acque del Fiume e di alcune proprietà che si trovano in territorio di Pasiano tra il Fiume e il Meduna. Dunque già nel 1190 il Fiume non si getta più nel Meduna. L’enigma sembra davvero insolubile. Altri hanno posto la loro soluzione ; anche noi proponiamo la nostra. Riteniamo che in origine il Meduna si dividesse in due rami, uno dei quali si immetteva nel Livenza a Tremeacque, mentre l’altro si univa al Fiume. Dopo la congiunzione, il corso d’acqua prendeva il nome del più importante fra i due, cioè del Meduna. Il ramo del Meduna arricchito dalle acqua del Fiume proseguiva fino a Brische dove raccoglieva anche le acque del Sile e, nell’alveo dell’attuale San Bellino, correva verso il Livenza, lasciando a ponente l’abitato di Meduna a cui aveva dato il nome. Tra il 996 e il 1190, per cause che non conosciamo, il Meduna non si congiunse più con il Fiume e riversò tutte le sue acque nel ramo che va a Tremeacque. Dopo di allora il Fiume estese il proprio nome fino alla foce che si trova a ponente dell’abitato di Meduna, nei pressi di via Vittorio Emanuele. Anche la mappa del 1808 detta “napoleonica”, sopra l’alveo dell’attuale San Bellino, scrive “canale detto Fiume”.

Il Fiume e il Sile. Il Fiume e il Sile nascono a breve distanza l’uno dall’altro. Il Fiume nasce a Orcenico Superiore in comune di Zoppola (Pordenone); il Sile nasce presso la borgatella Sile in comune di Casarsa (Pordenone). I due corsi d’acqua procedono quasi paralleli portando benessere alle campagne che attraversano; però quando piove anche un po’ più del solito allagano terreni e strade basse. Il Fiume ed il Sile si congiungono tra Belvedere e Brische; pochi metri dopo la loro congiunzione danno vita al canale Postumia-Malgher. Il Fiume bagna i comuni di Zoppola, Fiume Veneto, Azzano Decimo, Pasiano e Meduna. Il Sile bagna i comuni di Zoppola, Fiume Veneto, Azzano Decimo, Chions, Pravisdomini, Pasiano e Meduna. Il confine tra i comuni di Meduna e Pravisdomini è segnato per un tratto dal Sile “morto”. Si tratta dell’alveo primitivo del Sile che in quel luogo disegna un’ansa molto ampia. Per far defluire più rapidamente le acque, l’alveo del Sile, probabilmente nel 1930, fu raddrizzato ed il vecchio letto si ridusse ad uno scolo per la raccolta delle acque di campagna.

Rio Corella. Rio Corella vien chiamato dalla mappa del 1808 quello scolo che noi chiamiamo Correntiva-Corella. Fino agli inizi di questo secolo lo scolo Correntiva, dopo aver vagato in comune di Pasiano, si gettava nel Livenza a Traffe. Nel 1920-21, al fine di evitare i rigurgiti del Livenza, il Correntiva fu congiunto al Corella (la Corea). Ora lo scolo Correntiva-Corella, mai privo d’acque, dopo aver attraversato da ovest ad est il territorio di Brische, si getta nel Fiume in località Fossamulano . È probabile che la cogiunzione degli scoli Correntiva-Corella sia la vera causa dei frequenti allagamenti a cui vanno soggetti i terreni bassi delle Comugne di Brische.

Borrida e Buridon. Il Borrida (la Burida) è formato da due scoli che raccolgono le acque di campagna della parte centrale del territorio medunese. Dopo essersi riuniti ed aver formato un unico e capace scolo, il Borrida prosegue per più di un chilometro e si getta nel Livenza nei pressi del Monumento ai Caduti di Meduna. Oltre lo scolo Borrida c’è anche lo scolo Buridon che porta le acque da via Argentina nel San Bellino. Ci sono pure altri scoli o fossi ai quali i contadini hanno dato un nome che faremmo bene a non dimenticare.

Opere idrauliche che hanno dato vita al canale Postumia-Malgher facendo morire il San Bellino

A questo punto dovemmo dire della “fossa morta San Bellino” e del canale Postumia-Malgher, ma per render più facile la comprensione, premettiamo la storia di alcune notevoli opere idrauliche. Prima del 1681 Marco Michiel, patrizio veneto e signore de La Meduna, aveva realizzato varie opere. Il “canevon” in via Verdi porta ben leggibile lo stemma della famiglia Michiel con l’aggiunta “M M – MDCLXVII”, ossia”Marco Michiel 1667”. Identico stemma con la doppia M, però senza data, si poteva vedere fino a qualche anno fa sulla facciata di una casa di Brische. L’opera più impegnativa realizzata dall’intraprendente M. Michiel è senza dubbio lo scavo di un canale per convogliare buona parte delle acque del Fiume e del Sile in un punto del Livenza distante circa due chilometri dall’abitato di Meduna.

Perché fece eseguire un’opera tanto imponente?

Occorre ricordare che prima d’allora il Fiume, subito dopo aver ricevuto le acque del Sile, si dirigeva verso il centro abitato di Meduna correndo nell’alveo del S. Bellino che, evidentemente, aveva capienza ben superiore a quella attuale. Spesso quando pioveva il Fiume allagava Meduna. Accadeva anche che, contemporaneamente, il Livenza uscisse dal suo alveo. È facile immaginare il disagio degli abitanti di Meduna. M. Michiel, deviando le acque del Fiume impedì le inondazioni dell’abitato di Meduna da parte del Fiume e, nello stesso tempo, poté dar vita ad un efficiente molino. Anzitutto, per regolare il deflusso delle acque verso il borgo di Meduna, fece costruire un “sostegno o grande bova”, ossia una saracinesca regolabile. Avete fatto caso che la strada che passa nelle immediate vicinanze dell’antica bova si chiama via Bova? Poi, tra Brische e Mure, fece scavare un canale (che i veneziani chiamavano Gebo o Ghebo) il quale arrivava fino a Quartarezza dove, all’altezza di villa Girardi (ora villa Wiel), con ampia curva si gettava nel Livenza. Prima che le acque finissero nel Livenza azionavano un molino “con 6 rode e 8 bove”. Quel luogo, ancor oggi vien chiamato “campo dei molini” e si vedono, tra i cespugli, due grossi blocchi di pietra viva. Nelle immediate vicinanze c’è casa Pitton, detti Pitonet. Da Meduna si arrivava ai molini per l’attuale Via Molini che non finiva subito dopo casa Fregonese, ma proseguiva fino ai molini costeggiando il Livenza. L’imponente opera suscitò le reazioni dei proprietari che si ritenevano danneggiati dai frequenti allagamenti del Fiume e del Sile. Intentarono causa. Quanto durò? Non lo sappiamo. Ci restano le mappe che disegnano le posizioni dei litiganti e ci consentono di ricostruire una pagina della nostra storia. Chi vinse la causa? Non lo sappiamo con certezza. Sappiamo però che negli ultimi anni del 1600 i Michiel lasciarono Meduna. I molini del Malgher continuarono a macinare fino a circa il 1870 . Negli anni 1930-35 per alleggerire il carico d’acque del Livenza, l’antico canale fu ripulito e fatto prosegfuire fino a scaricare le sue acque nel fiume Loncon prendendo il nome di “canale Postumia-Malgher”. In tutta questa vicenda ne scapitò l’ultimo tratto del Fiume, ossia quel tratto che dalla “bova” arriva fino a Meduna: fu privato delle sue acque. A poco a poco si ridusse ad una fossa morta che fatalmente si interra sempre di più. Ha perduto perfino il nome perché ora non si chiama più Fiume, bensì San Bellino.

Altre opere idrauliche. I molini del Malgher sollecitano a dire di altri molini che, nel corso dei secoli funzionarono a Meduna. In “Annali del Friuli” di Francesco di Manzano si legge che, in data 1 agosto 1327, coloro i quali, durante una sommossa, avevano danneggiato Meduna promisero “di riparare il molino della Meduna cosicché sia posto nello stato che era prima del trambusto”. Il molino apparteneva a Francesco di Stagimberg. Lo stesso libro riporta: “Anno 1367… il patriarca Marquardo… nel giorno del 25 del mese stesso (marzo) diede investitura a Giovanni Costa notaio di Meduna d’un sedime di molino sito nelle pertinenze di Meduna vicino alla chiesa di S. Maria di Brischis, sull’acqua del fiume, nel luogo che chiamasi la roja…” E’ stato riferito che un tempo c’era un molino lungo le rive del San Bellino, dove attualmente sorge casa Barro. Fino ad oggi non ci è pervenute documentazione utile per sostenere l’esistenza di quel molino. È giusto ricordare anche un’opera eseguita con tanta fatica da quei proletari, ultimi fra gli ultimi, che furono i “cariolanti” la costruzione a più riprese, degli argini lungo il Livenza. In origine le acque avevano libero sfogo nelle paludi e nei terreni bassi. Quando pioveva con maggiore insistenza del solito, anche i centri abitati sorti su terreni bassi finivano con l’essere sommersi. Meduna era da sempre sommersa ad allagamenti. L’acqua arrivava lentamente e non superava livelli ben noti. Quando nei primi anni del 1900, a cura del Magistrato alle acque di Venezia, furono costruiti i primi argini del Livenza, tutti esultarono perché era stato posto un freno alle inondazioni; pochi intuirono che, quando l’acqua rompe o supera gli argini, aggredisce case e campi con inaudita violenza. Tratti dei primi argini si vedono ancora nei pressi del Monumento ai Caduti di Meduna e lungo Via Roma (Riva Alta) che vengono utilizzati come sede stradale. Gli argini del Livenza furono sopraelevati (e in parte corretti) verso l’anno 1924 e dopo l’alluvione del 1966. Dopo la costruzione degli argini, Meduna subì due alluvioni che causarono gravi danni: nel 1916 e nel 1966. Anche il canale Postumia-Malgher è arginato. Lungo l’argine sinistro, all’incirca dove un tempo c’erano i molini, fino al 1934 c’era lo “sfioratore Borrida”. Lo sfioratore consisteva in un tratto d’argine più basso con la sommità protetta da una soglia in muratura attraverso la quale l’acqua sovrabbondante si riversava nelle campagne circostanti. Quando il canale Postumia fu prolungato e diventò il Postumia-Malgher, lo sfioratore fu eliminato. I responsabili del consorzio Meduna-Cellina ventilarono l’ipotesi di costruire in montagna un grande serbatoio per trattenere le acque che alimentano le risorgive dei nostri fiumi, ma poi non se ne fece nulla . Il problema della sicurezza contro le alluvioni non è stato ancora definitivamente risolto. Al fine di scongiurare il pericolo di inondazioni, Meduna mette a disposizione due capaci invasi di emergenza: il Saccon e il Sacconet.

Il palù. Interessa l’idrografia il fenomeno delle paludi. Il territorio di Meduna si trova ai margini di una zona paludosa: il “palù de Barc”. Il piano urbanistico della regione Friuli ha posto sotto vincolo di tutela ambientale l’area del “palù de Barc”. L’area comprende una superficie di 138 ettari e interessa i comuni di Pravisdomini, Azzano Decimo e Pasiano. Il comune di Meduna si trova ai margini del territorio posto sotto tutela e risente della vicinanza dei luoghi paludosi. A Mure, che confina con Barco di Pravisdomini, esiste una sorgente d’acqua che gorgoglia, è oleosa e sprigiona gas in piccola quantità. È un fenomeno tipico delle paludi. Gli abitanti di Mure la chiamano “el Bujeròn”. Non è inutile ricordare che l’attuale Via S. Domenico che conduce al Bujeròn, fino al 1970, si chiamava Via Paludei.


[modifica] Un'apologia.

Memoriale rinvenuto negli archivi del Comune e riedito a cura del Comune di Meduna di Livenza nel dicembre 1999. Meduna di Livenza nella storia e nelle fervide sue opere.

Memoriale presentato a S. E. l’Ill.mo Prefetto della Provincia di Treviso, affinché sia conservato il Comune autonomo.

L'antica storia. Amore sviscerato alla grande Patria, nel culto alle illustri memorie della piccola patria, ragioni storiche di preclara importanza, ragioni speciali topografiche, ed infine economiche, inducono quale unanime manifestazione del popolo di Meduna, fiero di un fulgido passato, a presentare con devoto ossequio, il presente memoriale, affinché resti il Comune come vita essenziale del paese. Il Comune di Meduna di Livenza, di esistenza che ha origine dai Più remoti ricordi, vanta motivi imprescindibili per essere conservato, sicuro di sé stesso, seguendo gli immancabili destini d’Italia al più splendido avvenire. Il paese, posto sulla sinistra del Livenza, ha attinto nel suo passato meriti tali verso la Patria, per ritenere sacro il suo diritto: “Fiero della propria autonomia” sono queste parole dell’eminente storico Senatore Pompeo Momenti “Meduna nel 1881 si rifiutò solennemente di aggregarsi al Comune di Motta”. Il recente ricordo di tale rifiuto viene festeggiato il 12 ottobre di ogni anno, quale sagra patriottica. I motivi dell’accenato pronunciamento sono quelli che vengono presentati all E.V. nella più viva speranza che di questi si tenga il dovuto conto; dacché sotto l’egida del Governo Nazionale, ogni manifestazione altamente patriottica, giusta ed onesta trova corrispondente esaudimento. Meduna fu a suo tempo, feudo e Comune libero, mai fece parte d’altro. La storia del paese, attraversato dalla via Postumia e con questa allacciato a Portobuffolè, mentre l’antica romana arteria ad Oderzo si univa con le vie Emilia ed Annia, ha particolare menzione di rilievo, da quando nel 1000, fu feudo dei Patriarchi di Aquileia. Da questi fu poi dato in investitura ai signori di Meduna, riservandosi i Patriarchi una casa, quale rifugio in caso di pericolo. Fu in parte luogo murato, per cui ne derivò il nome della frazione di Mure e le favorevoli condizioni del sito, dove ben cinque corsi d’acqua lo bagnarono, resero il luogo fortemente difeso dalla stessa natura. Sono questi: oltre il Livenza che ne segna il confine col Comune di Motta: il Sile Udinese, il Fiume, il Malgher ed il Sabino. In due secoli dal 1200 al 1400, Meduna ebbe signori del luogo: i di Panigai, i Della Torre, i Da Camino, i della Fratina, i di Sbroiavacca, i di Prata, i di Valvasone e i di Maniago. Terra sempre considerata friulana, ebbe feudatarie potenti famiglie friulane. Nella frazione di Quartarezza, trovansi i palazzi dei nobili Wiel, Girardi e della Frattina, la cui ultima stirpe deriva direttamente da “Marzutus” che ebbe dal Patriarca Popone le terre e la giurisdizione del castello della Frattina nel 1025. Meduna ha la sua gloria maggiore attraverso l’illustre retaggio storico, di essere stato nel 1410 saccheggiato ed incendiato dal fratello del Patriarca di Aquileia. Perché si ribellò al vicario imperiale Federico conte di Ortemburgo. Nel 1420 passò sotto la Repubblica veneta e fu visitato nel 1483 dal diarista veneziano Marin Sanudo, in viaggio di Sindychà (ispezione) nella Marca Trivigiana; del luogo egli così scrisse: “Sopra la Livenza, do mia lontan è la Meduna, dove lì hè Capitano Francesco Michiel, et za gran tempo ‘anno dominato dita Meduna, et fo razon lui, et l’ ‘ano in feudo da la Signoria a mero et misto imperio. Ha un fosso da una banda, da l’altra la Livenza, et za a longo la vidi”. Per le speciali condizioni topografiche del Comune, con le attuali tre frazioni: Mure, Brische, Quartarezza, essendo sulla sinistra del Livenza, fu considerata terra appartenente al Friuli e nessuno storico trivigiano, dal Bonifacio agli altri anteriormente al secolo XIX, accenna a Meduna, essendo ritenuto il luogo fuori i confini della Marca trivigiana. In una pubblicazione edita a Venezia nel 1818 per Francesco Andreola tipografo privilegiato dello Imperiale Governo austro-ungarico, “Il Compartimento territoriale delle Provincie Venete, approvato definitivamente da sua maestà imperiale, apostolica etc. etc.” si legge: “Meduna Comune con le frazioni allegate: Malgher, Mure di Meduna, Quartarezza e Frattine, Brische, Rovere, Corte dell’Abba.” L’essere stato posto il Comune sotto il Distretto Oderzo-Motta, è ricordo quindi di ben recente data, in confronto il lungo volgere dei secoli.

Le fulgide memorie patriottiche. Altamente Meduna si onora dei forti suoi sentimenti di patriottismo, ricordata la ribellione contro il tedesco Cesare nel 1410, il Comune, ribelle sempre alla straniera dominazione, ebbe i primi Eroi del patrio risorgimento. Al memorabile assedio di Venezia nel 1848-1849 e nelle guerre del 1859-1860: Pietro Canevese detto Muti, Ippolito Antonio, Roio Sante, Pegolo Antonio. Durante la grande guerra dal 1918 furono 68 i Caduti per coronare la patria della più fulgida vittoria dei popoli. Durante l’invasione austriaca del 1917-18 Meduna ebbe pure sette gloriosi Morti nella popolazione civile, fra i quali il Benemerito Cav. Francesco Prosdocimo, già Sindaco del paese, che fu colpito da scheggia di granata. Meduna, sempre primo nelle attestazioni solenni di amor patrio, faceva murare nel 1884 nella facciata del palazzo Municipale, due lapidi a dovuta riconoscenza verso il Re Galantuomo e l’Eroe dei Due Mondi. Fu il primo Comune d’Italia, che nel XX Ottobre del 1900 onorasse con una lapide fregiata da medaglione, Re Umberto I vittima a Monza di infame assassinio anarchico. Meduna fu liberato dall’ultima invasione il 2 Novembre 1918, qualche giorno in ritardo rispetto ad altri paesi, avendo quivi gli austriaci, favoriti dai numerosi corsi d’acqua, fatta maggiore resistenza; con una lapide murata pure presso il palazzo municipale, inaugurata il 3 Marzo 1923 fu ricordata con esultanza la liberazione. Gli Eroi Caduti per la Patria oltreché col commovente omaggio del Parco di Rimembranza, ebbero eternati i loro nomi in un ben degno monumento obelisco. Nel medesimo tempo il 24 Marzo 1924 veniva inaugurata una lapide a ricordo dei sette Caduti fra la popolazione. Internamente al palazzo Municipale, altra lapide con medaglione, onora l’eletto cittadino Cav. Francesco Prosdocimo. Con sentimenti di profonda fede fascista, per lo scampato pericolo di S. E. Mussolini dell’otto aprile 1926, a monito ed a esultanza di popolo, veniva innalzato un pilone stendardo, col quale si volle ripetere la bella veneta tradizione, affinché come un dì sventolava il vittorioso Leone di S. Marco, splenda al sole il fulgido tricolore d’Italia, santificato dalla grande Vittoria sul Piave.

Le felici ragioni economiche. Per le ragioni economiche, Meduna ha soprattutto il diritto di rimanere Comune, essendo assicurata la propria autonomia dalla relativa potenzialità finanziaria. Il Comune ha una popolazione di 3500 abitanti con una superfici di ettari 1450; per la floridità delle campagne coltivate a vite, gelso, cereali e medicai; con rotazione agraria perfetta, con razionalità ed intensità di colture, è all’avanguardia della Provincia, con le terre più ubertose del Mandamento di Oderzo – Motta. E’ centro zootecnico di straordinaria importanza per i due fiorenti mercati annuali, già istituiti con speciale privilegio e disposizioni dai Patriarchi di Aquileia nel 1300. Si tiene annualmente col concorso della Provincia e del Comune, una importante mostra dei migliori prodotti della razza bigia nostrana dei bovini. Il capitale zootecnico si calcola su oltre 1600 capi di bovini con 600 equini. Una fiorentissima latteria sociale riceve ogni giorno 15 ettolitri di latte tra i 260 suoi soci. Esiste altresì in Comune, una benemerita Società di allevatori di bestiame. La produzione di bozzoli porta il rilevante annuo beneficio di Lire 600.000. Meduna assunse da alcuni anni, particolare importanza in Provincia, per i rilevanti ammassi di bozzoli della prospera Cooperativa quivi sorta e che nel centro abitato del capoluogo ha il magazzino generale con un deposito che si aggira sui 150.000 chilogrammi di bozzoli essiccati. Il bilancio comunale, pure attraverso i tempi difficili del dopoguerra e le esigenze dei riattivati servizi pubblici, nel più assillante periodo ricostruttivo, venne disciplinato da saggia amministrazione. “I debiti del Comune a fine 1928, stante le suddette ragioni, raggiungono le Lire 110.000 con la Cassa Depositi e Prestiti, pagabili a rate annuali a tutto il 1960. Furono applicate tasse Comunali, i dazi e le sovrimposte, in misura corrispondente ai bisogni, senza notevoli pressioni fiscali per i contribuenti. La sovrimposta fondiaria del 1928 è diminuita di oltre Lire 5000 con la possibilità di essere ridotta nel 1929 di oltre 7000 lire, con altri sgravi ancora probabili negli anni successivi. L’avanzo di amministrazione del 1927 è di oltre Lire 18.000 il cui importo sarà introdotto nel bilancio del 1928. Quasi annualmente si sono verificati avanzi di tale approssimativa entità. Il Comune è creditore dal Ministero dei Lavori Pubblici di Lire 50.000 quale suo concorso per la costruzione del grandioso ponte in ferro sul Livenza che il Comune ha totalmente pagato”.

I servizi pubblici. Meduna ha servizi pubblici in perfetta efficienza: Palazzo Comunale con decorosi Uffici, ospitando altresì la sede del Fascio. Fabbricati scolastici completi in muratura, rispondenti ai criteri educativi e a quelli sanitari, tanto nel capoluogo che nelle frazioni, ed in queste vi è decorosa abitazione per i maestri. Il Comune ha anche riattivato il Lazzaretto distrutto per fatti di guerra. L’illuminazione pubblica, da parecchio tempo esistente nel capoluogo, sta estendendosi nelle frazioni, essendo già a disposizione i fondi relativi. Oltre il riattivato Ufficio postale – telegrafico, si sta attivando il telefono, pure con fondi già disponibili. Il Cimitero costruito con razionalità di criteri e con decoro architettonico, oltre le tombe dispone di 100 Colombari. Fu mascherata da appropriate linee dell’architettura medioevale, la cabina per la trasformazione elettrica, dando esempio agli altri capoluoghi di maggiore importanza, che anche le cose più utili e necessarie, con lieve spesa, possono ancora riuscire gradite all’estetica. Il servizio medico, della levatrice e quello veterinario, sono curati egregiamente per valore di professionisti e per vigilanza del Comune. Le condizioni sanitarie sono ottime. Il Comune presenta uno sviluppo stradale di ventidue chilometri in perfetta manutenzione, con innaffiamento curato nel capoluogo a parità dei centri più importanti. Per i parecchi corsi d’acqua che bagnano le ubertose terre, e particolarmente per essere il capoluogo presso gli argini del Livenza, sono di particolare importanza i manufatti e le varie opere idrauliche di presa. Il ponte sul Livenza, del costo di Lire 300.000, venne ricostruito per opera del Commissariato per Riparazione ai Danni di Guerra per la maggior parte coi mezzi del Comune. Il Ponte antecedente era stato costruito nel 1917 stante le tenaci e vive richieste della popolazione, con l’autorevole appoggio di S. E. Luigi Luzzatti, poco tempo prima che per le dolorose conseguenze di Caporetto, fosse fatto saltare in aria dall’Esercito nostro in ritirata sul Piave. Il Capoluogo del Comune, è protetto da altri argini con coronamento di muraglioni in difesa di tutto il centro abitato; vari altri manufatti uniscono le strade comunali attraversate da fiumi e canali, regolando il corso delle acque. L’approvvigionamento idrico è completamente sistemato, con un pozzo artesiano nel capoluogo, il quale alimenta una fontana pubblica. Meduna è capolinea del servizio di autocorriera per Motta – Oderzo – Treviso, con due corse giornaliere avendo quivi la S.I.A.M.I.C. un garage.

L'alto sentimento cooperativistico e patriottico. Il cooperativismo fortemente sentito nella laboriosa popolazione, per mezzo: della Latteria Sociale Cooperativa, della Cooperativa Bozzoli, della Società Allevatori di bestiame ed altri sodalizi, ha vecchie tradizioni nella fiorente Società Operaia, costituita nel 1884 avendo avuto per Presidente Onorario l’illustre S. E. Luigi Luzzatti. Le Istituzioni Fasciste sono numerose e fiorenti per tesserati: in Balilla, Avanguardisti e piccole Italiane; il giovanile Esercito delle balde speranze dell’avvenire, si computa su 500 iscritti. La Sezione Combattenti è pure disciplinata e completa. Secondo le direttive del Governo Nazionale, funziona un Asilo infantile, che ospita novanta bambini, con annessa scuola di lavoro e di formazione morale della giovane. Meduna è all’avanguardia nella fiera campagna contro la bestemmia e l’immoralità della moda femminile che con altro triste miasma corruttivo ci giunge d’oltre alpe. A pari amore alla Patria, è radicato il sentimento religioso della popolazione. La Chiesa parrocchiale, pure attraverso rifacimenti, manifesta esternamente ai muri perimetrali, le impronte della nobiltà del puro stile romanico, che accorda le severe linee col campanile di proporzionata e poderosa mole. Nella Chiesa della frazione di Brische, della tracce romane fanno rievocare a distanza di lungo volgere dei secoli, le glorie immortali di Roma. Per gagliardi sentimenti patriottici, per la forte Fede che disciplina meglio di ogni forza, passioni ed intenti, la popolazione di Meduna ha sempre avuto di mira costante: il rispetto alle Istituzioni, all’ordine, concorde nelle alacri opere del progresso, contraria ad ogni nefasta propaganda sovversiva. Se un premio spetta al popolo esemplare di Meduna, è quello di dare a questo: l’assicurazione che il Comune sia conservato, fiero di quella autonomia che fu sempre in ogni tempo, incitamento nobilissimo per assurgere ad opere feconde. E’ appunto con tale fede, che il paese attende dal Governo Nazionale il riconoscimento di quelle fulgide benemerenze e ad un tempo l’incitamento a procedere sicuro e tranquillo, nel cammino della maggiore prosperità, ai beni più altamente auspicati della Patria imperiale.

Meduna di Livenza, 22 Agosto 1928 – VI

Il Podesta’

Augusto Pitton

Il Direttorio Del Fascio Renato Saccomani Dott. Alberto Nieri Conte Luciano Frattina Antonio Bidoia Augusto Pitton

Il Parroco Don Carlo Della Mea

Il Presidente Della Sezione Dei Combattenti Luigi Piva Fu Liberale

Presidente Della Societa’ Operaia Di M.S. Giorgio Prosdocimo


















[modifica] Evoluzione demografica

Abitanti censiti


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