Mercenari svizzeri
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I Mercenari svizzeri erano dei corpi di fanteria elvetici che militavano per compenso a favore di potentati stranieri, in maniera organizzata a partire dal XV secolo.
Si misero in luce per il valore militare e la determinatezza che esprimevano sui campi di battaglia ma anche per la coesione e la fedeltà verso i propri capi.
Furono gli stessi che sconfissero nel 1477, il superbo ma caparbio Carlo di Borgogna, causandone la morte e la distruzione del suo splendido Ducato in quella battaglia di Nancy che vissero come l'ultimo baluardo della propria libertà.
Da una parte la libertà di gente che aveva cercato fino all'ultimo di evitare lo scontro, dall'altra l'affermazione di un potere che non voleva limiti.
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«La folle caparbietà che porta alla rovina l'ambizioso Carlo il Temerario non è forse l'epopea dell'orgoglio eroico?»
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(Johan Huizinga., L'Autunno del Medievo, GTE Newton, 1997)
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Erano rozzi montanari gelosi custodi nelle proprie valli delle libertà e tradizioni che avevano strappato al potere feudale, ma pronti ad accorrere, negli altri Stati, in aiuto degli eredi di quel sistema politico che avevano combattuto nei propri territori, contribuendo, a volte in maniera determinante, a mantenerli al potere o ad ampliarne i domini.
La loro comparsa cambiò il modo di combattere, le loro formazioni, all'inizio semplici e primitive, poi evolutesi nel quadrato-falange, rivoluzionarono le tecniche belliche segnando la disfatta del cavaliere e della cavalleria medievale come arma definitiva.
Indice |
[modifica] La genesi
Il motivo per cui il mercenariato si sviluppò soprattutto nei cantoni elvetici di montagna è da ricercarsi nella loro grande povertà. L'unica risorsa disponibile, oltre la scarna agricoltura indigena, era costituita dall'emigrazione e questa, sostanzialmente, voleva dire prestazione all'estero di servizio militare dietro pagamento di una mercede.
Questa emigrazione era, peraltro, favorita dalla tipologia di attività economiche praticate a causa della conformazione orografica della maggior parte dei cantoni di provenienza. Il territorio montuoso consentiva soltanto l'allevamento e la pastorizia dove la presenza diretta del pastore o dell'allevatore poteva essere più facilmente gestita che nell'agricoltura vera e propria e dove gli stessi potevano essere sostituiti da donne, ragazzi e vecchi, ma anche dalla solidarieà vicinale.
In questo scenario socio-economico
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«in fondo lasciare vedove e orfani non era una gran tragedia.»
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(Franco Cardini, Quella antica festa crudele, Milano, Mondadori, 1995)
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Il mercenariato svizzero si era già manifestato nel XIII e XIV secolo, nella Guerra dei cent'anni, 1337-1453, si misero in luce per il coraggio e la ferocia che uniti all'impeto dei loro attacchi li resero temibili, dando loro rinomanza internazionale.
Fu nel XV e XVI secolo che il fenomeno assunse dimensioni talmente notevoli che i Cantoni ne assunsero il controllo. Spettò così ai Cantoni autorizzare l'arruolamento di questo particolare tipo di emigranti, la cui base sociale era formata prevalentemente da montanari ma anche da appartenti alle nobiltà locali, facendo da intermediari con le loro comunità. I Cantoni ricevevano per questo un compenso, ma, cosa ben più importante, acquisirono una visibilità e valenza diplomatica che si tramutò presto in potere effettivo.
In quest'ottica si possono leggere gli accordi, oggi diremmo di assistenza militare, del 1474 con Luigi XI di Francia, quelli con altri potentati e, specialmente, quello con cui mantenevano Massimiliano Sforza al potere sul ducato di Milano, (1513).
Lo Sforza di fatto dipendeva
[modifica] Patto di Rütli
Le popolazioni di quelle terre, al contrario della maggior parte dell'Europa, non avevano mai delegato la difesa del proprio paese, di cui erano particolamente gelosi, a forze esterne (come la cavalleria feudale o i combattenti stranieri). A partire dal Patto di Rütli, 1 agosto 1291, intesero sempre il combattimento come qualcosa di collettivo che impegnava l'intera comunità e sperimentarono al contempo la solidarietà nazionale di fronte allo straniero.
Col predetto patto federale gli abitanti di Uri, di Svitto e di Untervaldo, i cosiddetti Waldstätte o paesi forestali, si unirono nella lotta contro gli Asburgo, ponendo le basi di quella che sarebbe stata la Confederazione svizzera, come oggi la conosciamo (l'1 agosto è la festa nazionale svizzera a memoria del patto di Rütli) .
[modifica] La condotta
La chiamata alle armi nei cantoni fu sempre generalizzata e portava alla formazione di eserciti molto più consistenti numericamente in rapporto a quelli degli altri paesi e molto più motivati, poiché gli Svizzeri, che erano abituati a lottare per liberarsi dalle dominazioni straniere, dovevano farlo, anche per sopravvivere.
Un'altra peculiarità era data dal fatto che i comandanti, spesso provenienti dagli stessi villaggi, combattevano in mezzo ai propri uomini, con cui avevano avuto consuetudine di vita diretta e personale, partecipando ai loro rischi e ai loro problemi, sviluppando, così, un forte spirito di corpo assente nelle altre formazioni.
In battaglia erano avversari temibili e feroci, molto spesso vincenti e per questo cominciarono ad essere ricercati da sovrani e principi stranieri.
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«E svizzeri sono armatissimi e liberissimi»
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(Niccolò Machiavelli - Il Principe, cap XII,Biblioteca Treccani, Milano, 2002)
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[modifica] La formazione
Combattevano in quadrati massicci, che richiamavano la testuggine romana, armati di picche, opponendosi come istrici dai lunghi aculei agli attacchi della cavalleria che nulla poteva: solo il Piccinino diede loro, a Bellinzona, una sanguinosa lezione, facendo scendere da cavallo i cavalieri ed affrontandoli in un corpo a corpo vittorioso.
Una formazione (o istrice) era composta da seimila uomini, all'incirca settanta file da ottantacinque soldati, armati di una picca di cinque metri e mezzo e disposti a formare un quadrato compatto e serrato. In queste condizioni, sembrerebbe, diecimila picchieri potevano occupare una superficie di sessanta metri per sessanta.
Talvolta accadeva che lo schieramento prendesse la forma di un rettangolo sormontato da un triangolo, come accadde a Morat nel 1476. Nel corso di questa battaglia, gli istrici dimostrarono un'ottima capacità di manovra, compiendo a grande velocità l'accerchiamento delle linee nemiche e marciando in modo da sottrarsi al fuoco dell'artiglieria.
[modifica] La disciplina
I mercenari svizzeri del XV secolo si fecero subito notare e apprezzare per la propria professionalità unita a una disciplina ferrea favorita dalla lunga consuetudine di solidarietà reciproca maturata nelle montagne di provenienza sublimata dalla fiducia nei propri comandanti. A tutto ciò si accompagnava l'esemplarietà, la ferocia e la pubblicità delle eventuali punizioni: erano in questi casi proprio i commilitoni a
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«i condannati ammazzare popularmente [...] Percioché gli Svizzeri hanno queste leggi severissime, che su gli occhi dell'essercito che vede, coloro che per paura fanno cose vituperose e indegne d'huom forte, subito sono tagliati à pezzi da soldati, che gli sono appresso.»
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(Niccolò Machiavelli, L'arte della guerra, Biblioteca Treccani, Milano, 2002)
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Tutto ciò si traduceva nel terrore per l'accusa di viltà o scarso impegno in combattimento che spingeva a una maggiore combattività e abnegazione sui campi di battaglia.
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«Così la maggior paura vince la minore: e per paura di vergognosa morte. non si teme una honorata morte.»
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(Niccolò Machiavelli, ibid.)
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[modifica] L'ingaggio
I comandanti, per lo più piccoli nobili o piccoli feudatari decaduti appartenenti a quella che qualcuno chiamerà spazzatura feudale, combattevano assieme alle proprie truppe e con esse vincevano o morivano.
Gli svizzeri erano devoti e valorosi finché venivano pagati, attenti al denaro ed al bottino, lontani da ambizioni politiche, ma fulminei ad abbandonare il proprio committente se ritardava il soldo: Pas d'argent pas de Suisses (niente denaro, niente Svizzeri).
Non si legavano in nessun modo al sovrano o principe che servivano, ma, terminata la campagna militare, facevano ritorno nel proprio paese. Erano veri professionisti seri e puntuali, inflessibili nel dare ma altrettanto inflessibili nel pretendere il dovuto, divennero uno stereotipo umano e militare non solo per i propri lontani eredi nazionali ma per i contemporanei che ad essi si ispirarono come i Landsknechte tedeschi la cui presenza nei campi di battaglia fu spesso risolutiva.
Appartenevano a quel variegato mondo dei mercenari che non combattevano pro aris et focis[1], e che una vittoriosa campagna bellica poteva rendere carichi di ricchezze.
Contro di essi e dei mercenari in genere si levò la voce di Machiavelli che, con molta acrimonia, li poneva alla base delle disgrazie d'Italia. Gli attacchi dello scrittore furono soprattutto dovuti all'infedeltà dimostrata quando i pagamenti cominciavano a tardare o quando la campagna bellica si dimostrava meno fruttifera del previsto.
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«se uno tiene lo stato suo fondato in sulle arme mercenarie, non starà mai fermo ne sicuro ... è che non le hanno altro amore né altra cagione che le tenga in campo che uno poco di sipendio, il quale non è sufficiente a fare che voglino morire per te [...]»
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(Niccolò Machiavelli - Il Principe, cap XII, op. cit.)
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Gli svizzeri erano, tuttavia, come affermò Tommaso Moro [2], coraggiosi e feroci, e, sprezzanti del pericolo, combattevano per sopravvivere.
Il loro arrivo significò il tramonto della guerra medievale, caratterizzata dalla poca cruenza, dalla limitatezza numerica degli eserciti e dal dominio della cavalleria feudale, e l'inizio della guerra moderna, caratterizzata da grandi bagni di sangue, assenza di pietà per il nemico e diffusione del mercenariato.
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«In confronto al pathos della guerra cavalleresca - dove si gridava, si agitavano insegne, si cantava, si rideva, si piangeva, ci si offendeva ma in fondo si moriva di meno - l'istrice svizzera era un'immagine di cupa, impassibile, inesorabile ferocia.»
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(Franco Cardini - op. cit.)
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[modifica] La Battaglia dei Giganti
La Battaglia dei Giganti, come fu chiamata la battaglia di Marignano (Melegnano), 13-14 settembre 1515, e quella successiva della Bicocca, 27 aprile 1522 possono essere considerate il canto del cigno della potenza militare dei mercenari svizzeri.
Nella battaglia di Marignano la posta in gioco era il controllo di Milano preteso dal Re di Francia Fracesco I, appoggiato da Venezia, contro cui papa Leone X aveva ispirato una Lega, (16 febbraio 1515), tra l'Impero, la Spagna, la Chiesa e il Duca di Milano, Massimiliano Sforza, sostenuto dagli svizzeri.
Massimiliano s'impegnò a pagare agli svizzeri 300.000 ducati, che si procurò vessando i propri cittadini, sollevando, così, malcontento, tumulti e cosa ben più grave disaffezione verso la propria causa.
La battaglia conclusiva si combatté a Marignano e fu uno scontro titanico tra oltre ventimila svizzeri comandati dal cardinale Schiner e un altrettanto imponente schieramento francese.
A Marignano gli svizzeri si scontrarono contro i lanzichenecchi di Francesco I e la battaglia, per quanto incerta, sembrò inizialmente essere loro favorevole, ma l'intervento della cavalleria veneziana comandata da Bartolomeo d'Alviano ne capovolse l'esito e furono battuti pesantemente.
Da questa battaglia la potenza militare degli svizzeri che erano
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«apparsi per un momento l'unico potentato capace di dominare l'Italia settentrionale imponendosi sia alla Francia sia all'Impero.»
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(Giancarlo Andenna, op. cit.)
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ne uscì compromessa. Con la Pace di Friburgo, (29 novembre 1516) e con un sostanzioso compenso Francesco I portò dalla sua parte i Cantoni svizzeri e i loro mercenari che non avrebbero più preso le armi contro la Francia.
Nella battaglia della Bicocca, questa volta a fianco dei francesi comandati da Odet de Foix, conte di Lautrec, (1485-1528), i mercenari svizzeri furono sanguinosamente decimati e sconfitti dagli archibugieri spagnoli: quattro file di mille archibugieri spararono alternativamente per darsi il tempo di ricaricare l'arma, costituendo un muro di fuoco micidiale e vincente.
Fu l'inizio del tramonto di quella che era stata un'arma potente e temuta, il mercenario svizzero.
[modifica] Il tramonto

I mercenari svizzeri caratterizzarono con la propria presenza le guerre europee dei secoli XV e XVI e la loro tecnica di combattimento fu a lungo considerata esemplare. Tuttavia, con il perfezionamento delle tattiche della fanteria, l'evoluzione dell'artiglieria verso dei pezzi sufficientemente mobili, l'introduzione dei proiettili di ghisa che, combaciando perfettamente con le canne delle bocche da fuoco, permettevano un tiro più accurato e con una maggiore gittata e con l'uso sempre più perfezionato dell'archibugio la grande stagione del mercenariato elvetico si avviò verso il tramonto.
I picchieri, lenti e in formazione serrata, divennero un bersaglio ideale per il fuoco nemico e dovettero adattarsi velocemente alle nuove esigenze belliche con ordini di battaglia più aperti e con un grande inserimento di tiratori.
Nel XV secolo, inoltre, comparvero nuovi gruppi di mercenari che cominciarono ad opporre una spietata concorrenza agli Svizzeri, come i già citati Lanzichenecchi. La più agile formazione del tercios spagnoli, ben fornita di tiratori e meglio disposta sul campo e le moderne tattiche degli Olandesi, come quelle di Maurizio di Nassau, limitarono la diffusione del mercenariato elvetico.
Lo sviluppo degli eserciti permanenti ed il bisogno di truppe motivate e affidabili, infine, misero fine alla stagione dei mercenari svizzeri.
I loro ultimi epigoni sono le attuali guardie svizzere del Vaticano.
[modifica] Note
- ↑ de Fourquevaux R. - Instructions sur le faict de la guerre - 1584.
- ↑ Thomas More Utopia - 1516. Nell'opera viene rappresentato un popolo immaginario, gli Zapoleti, che rappresentava in tutto e per tutto gli Svizzeri.
[modifica] Fonti
- Niccolò Machiavelli, Il Principe, Biblioteca Treccani, Milano, 2002.
- Niccolò Machiavelli, L'arte della guerra, Biblioteca Treccani, Milano, 2002.
- Tommaso Moro, Utopia - Bari, Laterza, 1981
[modifica] Bibliografia
- Giancarlo Andenna e altri, Comuni e signorie nell'Italia settentrionale, la Lombardia, Storia d'Italia, Utet, 1998.
- Franco Cardini - Quella antica festa crudele - Milano, Mondadori, 1995. ISBN 8804423137.
- Philippe Contamine - La guerra nel Medioevo - Bologna, il Mulino, 2005. ISBN 8815107819.
- Georges Duby - Lo specchio del feudalesimo - Bari, Laterza, 1998. ISBN 842056502.
- Garin Eugenio, Medioevo e Rinascimento - Bari, Laterza, 2005. ISBN 8842076694.
- Johan Huizinga - L'Autunno del Medievo, GTE Newton, 1997. ISBN 8881838982.
- Jacques Le Goff - L'uomo medievale - Bari, Laterza, 1999. ISBN 8842941971.
- Michael Edward Mallet, - Signori e mercenari. La guerra nell'Italia del Rinascimento - Bologna, Il Mulino, 1983. ISBN 8815002944.
- Rendina C. - I capitani di ventura - Roma, Newton, 1999. ISBN 8882890562.
- Gabriela Piccinni . - I mille anni del Medioevo - Milano, Bruno Mondadori, 1999. ISBN 8842493554.
- Alberto Tenenti, L'età moderna, il Mulino, Bologna, 2005. ISBN 8815108661.
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