Seconda battaglia dell'Isonzo
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Seconda battaglia dell'Isonzo | |||||||
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Parte della Prima guerra mondiale | |||||||
![]() Mappa degli avanzamenti italiani nelle battaglie dell'Isonzo |
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Schieramenti | |||||||
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Comandanti | |||||||
Luigi Cadorna, Emanuele Filiberto, Duca d'Aosta | Conrad von Hötzendorf, Svetozar Boroević von Bojna, arciduca Eugen von Habsburg-Lothringen | ||||||
Effettivi | |||||||
260 battaglioni e 840 pezzi d'artiglieria | 105 battaglioni, 420 pezzi d'artiglieria (più 25 battaglioni giunti secondariamente) | ||||||
Perdite | |||||||
42.000 circa | 47.000 circa |
Fronte Italiano Grande Guerra |
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1a-Isonzo – 2a-Isonzo – 3a-Isonzo – 4a-Isonzo – 5a-Isonzo – Altipiani – 6a-Isonzo – 7a-Isonzo – 8a-Isonzo – 9a-Isonzo – 10a-Isonzo – Ortigara – 11a Isonzo – Caporetto – Piave – Vittorio Veneto |
La Seconda battaglia dell'Isonzo fu combattuta dal 18 luglio al 3 agosto 1915 tra gli eserciti italiano e austriaco.
Dopo il fallimento dell'attacco di due settimane prima, Luigi Cadorna, comandante in capo delle forze italiane, decise una nuova spinta sulle linee nemiche con un più nutrito supporto di armi pesanti e da tiro indiretto.
La tattica del generale era semplice quanto spietata: dopo uno sbarramento di artiglieria, gli italiani dovevano avanzare frontalmente, in massa, verso le ben difese trincee austro-ungariche ed espugnare le posizioni, dopo aver superato i reticolati. L'endemica mancanza di materiali, però – dai fucili, alle munizioni per i cannoni, alle cesoie per tagliare il filo spinato –, rese praticamente nullo il vantaggio del numero, ancora superiore per gli italiani rispetto al nemico (grazie anche ai 290.000 soldati arrivati al fronte prima della battaglia), che pur si dimostrava capace di riassorbire le 45.000 perdite della battaglia in corso. Una tattica siffatta mostrava ancor più il proprio lato inumano, viste le notizie che venivano dal fronte occidentale dove la sua applicazione non aveva dato altro frutto che inutili massacri.
Se sulle teste di ponte vicino Plezzo e Tolmino le schermaglie furono relativamente di basso livello, ma costanti tanto da superare le date ufficiali della Seconda battaglia, sul Carso – in particolare sul Monte Nero – si sviluppò un'estenuante serie di combattimenti corpo-a-corpo che coinvolsero la Seconda e la Terza Armata italiane, con perdite altissime da ambo le parti. La XX Divisione ungherese di fanteria fu messa in rotta, avendo perso due terzi degli effettivi, parte in seguito agli attacchi e parte in seguito alle difficoltà di un terreno che, in quota, non offriva alcuna sicurezza.
Fu in questo periodo che il Carso cominciò a guadagnarsi la sinistra fama che lo avrebbe accompagnato nei decenni a venire, dapprima per le battaglie e in seguito per la tragedia delle foibe.
Il 25 luglio gli italiani occuparono Bosco Cappuccio, un contrafforte a sud del Monte San Michele, un collina poco pronunciata ma otticamente dominante, che presidiava la testa di ponte austriaca di Gorizia da Sud. Il Monte San Michele fu conquistato e brevemente tenuto dagli italiani, ma un disperato contrattacco del colonnello Richter, al comando di una selezione di reggimenti scelti, la riprese dopo aspri combattimenti.
La battaglia si spense da sola, quando entrambi gli schieramenti rimasero a corto di munizioni sia per le armi leggere che per l'artiglieria. Le perdite totali delle tre settimane di scontri si aggirarono attorno agli 91.000 uomini, di cui 42.000 italiani e 47.000 austro-ungarici.