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Panthera tigris - Wikipedia

Panthera tigris

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Nota disambigua - La voce Tigre rimanda qui. Se stai cercando altri significati del termine, vedi Tigre (disambigua).
Tigre

Panthera tigris
Stato di conservazione
In pericolo
Classificazione scientifica
Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Classe: Mammalia
Ordine: Carnivora
Famiglia: Felidae
Sottofamiglia: Pantherinae
Genere: Panthera
Specie: P. tigris
Nomenclatura binomiale
Panthera tigris
Linnaeus, 1758
Sottospecie
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La tigre (Panthera tigris) è uno dei più grandi e affascinanti predatori terrestri. Nel sottobosco della giungla, suo habitat abituale, si muove con perfetta silenziosità, nonostante la sua mole, per tendere agguati alle prede. Dispone, a questo scopo, di alcune importantissime "armi" naturali. Il mantello, dotato di striature ben marcate, garantisce al felino ottime possibilità di mimetizzarsi in mezzo all'erba alta, soprattutto nell'ora del crepuscolo, quando il sole calante e le ombre lunghe lo rendono più difficile da scorgere.

La tigre, inoltre, può fare affidamento su due sensi sviluppatissimi, l'udito e la vista. Gli occhi, che le consentono di osservare anche il più piccolo movimento della preda prescelta, sono strutturati secondo le esigenze di un predatore notturno; grazie alla particolare conformazione dell'occhio, è in condizione di sfruttare i più tenui raggi di luce e di muoversi con disinvoltura nelle tenebre notturne.

La tigre ha compiuto probabilmente la sua evoluzione nelle fredde foreste settentrionali della Siberia e poi si è diffusa in Asia circa 2 milioni di anni fa, durante il Quaternario. La sua ascendenza può essere collegata a un animale lungo 2 metri, vissuto sulla Terra 40 milioni di anni fa, che è considerato l'antenato degli attuali felini, compresi i gatti domestici. Questo predatore, conosciuto come Dinictis, aveva un corpo lungo e affusolato e denti aguzzi classificabili come canini.

Non è dato sapere con certezza come abbia avuto inizio la fase di diffusione della specie. Si suppone che un peggioramento delle condizioni climatiche siberiane abbia indotto molti esemplari a migrare verso sud, in cerca di territori più ospitali. Da lì la specie incominciò a diffondersi sia verso Oriente sia verso Occidente, arrestandosi soltanto di fronte a luoghi inadatti alle sue esigenze, come la vasta catena montuosa dell'Himalaya e il deserto di Gobi.

Panthera tigris tigris
Panthera tigris tigris

Alcuni animali si spostarono verso la Manciuria e la Corea, mentre altri raggiunsero il Turkestan e successivamente l'India. L'assenza della specie dallo Sri-Lanka induce gli studiosi a supporre che le tigri non approdarono in India prima della separazione di questa grande isola dal continente asiatico. Nelle foreste indiane i felini trovarono una nicchia ecologica particolarmente favorevole, che ebbe come conseguenza un grande incremento del loro numero. La diffusione verso Oriente della specie proseguì con successo nelle zone meridionali dell'Asia. La tigre si insediò così nella Cina e nell'Indocina, spingendosi fino alla penisola di Malacca. Alcuni esemplari riuscirono poi a superare a nuoto lo Stretto di Malacca, a raggiungere Sumatra e successivamente a stabilirsi, sempre via mare, nelle isole di Giava e Bali. Altre terre, invece, si rivelarono troppo lontane anche per queste intrepide nuotatrici. Ciò spiega la loro assenza nel Borneo e a Celebes.

Indice

[modifica] Sottospecie

In ogni zona le tigri hanno sviluppato caratteristiche diverse, dando vita ad alcune sottospecie. La più grande fra queste è la siberiana (Panthera tigris altaica), che misura fino a 4 m di lunghezza e pesa circa 280 kg. Ha testa massiccia, pelo lungo e zampe posteriori robuste e tozze. Il mantello con estese parti di colore bianco, prezioso aiuto per mimetizzarsi con l'ambiente nevoso, e la struttura massiccia sono frutto di adattamento a luoghi dove la temperatura può scendere fino a 35° sotto zero. La sottospecie è fortemente minacciata di estinzione; si ritiene che non ne sopravvivano più di 200 esemplari allo stato libero. Altre sottospecie hanno avuto una sorte peggiore. La tigre del Caspio (Panthera tigris virgata), la tigre di Giava (Panthera tigris sondaica) e la tigre di Bali (Panthera tigris balica) sono estinte. La tigre reale o del Bengala o indiana (Panthera tigris tigris) sopravvive in poco più di 4000 esemplari ed è di gran lunga la sottospecie più consistente. Abita in India, dove trova riparo soprattutto nelle foreste di mangrovie del delta del Gange, in quell'intrico di banchi sabbiosi, isole e isolotti che è conosciuto con il nome di "Sundarbans", ma è presente anche nel Bangladesh, in Birmania e in alcune zone del Nepal.

La tigre della Cina meridionale (Panthera tigris amoyensis), dotata di un manto liscio con striature nere corte e larghe, un tempo era comune in tutta la parte orientale del Paese ma oggi è avvistabile soltanto nella provincia dell'Hunan. Il numero dei suoi esemplari allo stato libero è stato valutato in non più di 80 unità. Migliore è la situazione in cui si trova la tigre indocinese, la cui popolazione, poco più di un migliaio di esemplari, è distribuita prevalentemente fra la Malaysia, la Thailandia e la Birmania.

[modifica] Tigri melaniche

Diversi autori ne parlano nei loro trattati, ma non è stata ancora provata la trasmissione di questo carattere, cioè non è geneticamente codificato e come tale si ritiene che possano essere degli esemplari cromaticamente abberranti, le tigri di colore blu, o nero descritte dagli autori H. R. Caldwell, 1924; J. C. Caldwell, 1954; Pocock, 1929, 1939; Stonor, 1964; in diverse opere.

[modifica] Comportamento

Non molto si sa sulle abitudini della tigre allo stato selvatico. I rari studi fin qui effettuati si riferiscono soprattutto alla sottospecie più comune, quella del Bengala. È comunque noto che questo felino, a differenza del leone, raramente si trova in spazi aperti. Le sue maggiori garanzie di successo nella caccia risiedono, infatti, nella possibilità di inseguire furtivamente la preda per poi tenderle l'agguato nel momento più opportuno. In un territorio privo di alberi il suo sgargiante mantello si staglierebbe in modo troppo evidente, mettendo sull'avviso gli altri animali; esso si confonde invece molto bene con l'ambiente nel folto della giungla o nel sottobosco in prossimità di pozze d'acqua.

Le tigri, animali solitari, sono di norma poco disponibili a dividere il proprio territorio con altri simili. Sono stati osservati, tuttavia, occasionali incontri che non si sono conclusi con una lotta e anche casi di spartizione di una preda. È stato pure osservato che i maschi hanno un più spiccato senso di territorialità: essi tollerano le intrusioni delle femmine assai più di quelle compiute da rappresentanti dello stesso sesso, mentre le femmine sono più predisposte alla condivisione con esponenti di entrambi i sessi.

Le tigri marcano il territorio graffiando gli alberi, spruzzando le piste battute con urina e secrezioni prodotte da ghiandole anali e anche depositando le proprie feci in luoghi ben evidenziati. Questi segnali forniscono informazioni sul detentore del territorio e inoltre mettono sull'avviso i maschi a riguardo di femmine in calore.

Come tutti i predatori, la tigre cerca di risparmiare al massimo le proprie energie per impiegarle nella caccia. Perciò trascorre anche l'80% del tempo riposando o dormendo. Si muove all'alba o, preferibilmente, con le luci del crepuscolo per poi cacciare, se necessario, l'intera notte. Complice l'oscurità, può percorrere grandi distanze camminando lungo i letti dei ruscelli, i sentieri e anche le strade battute dall'uomo. Quando avvista la preda, striscia in avanti tenendo il corpo quasi a livello del suolo per evitare di essere scorta. Le strisce del mantello si rivelano in quei momenti molto utili per confondere la sua immagine con le ombre proiettate dall'erba alta.


[modifica] Ambienti

Gli ambienti adatti alla tigre presentano tre caratteristiche di valore primario: abbondanza di nascondigli, che le consentano di spiare la preda senza essere vista a sua volta; prossimità con l'acqua; ricchezza di animali da cacciare. All'interno di questo tipo di habitat, il felino - come abbiamo rilevato - agisce entro i limiti di un proprio territorio.

Il possesso di un'area è particolarmente importante per la femmina, che soltanto se ha la certezza di muoversi in un ambiente ben conosciuto e ricco di prede, può crescere i suoi piccoli con relativa tranquillità. Il problema si pone soprattutto quando essi non possono ancora seguirla nella caccia: in questa situazione, infatti, la madre deve trovare cibo a poca distanza dalla tana, così da poter tornare e allattare la prole a intervalli regolari. La progressiva crescita dei figli le consentirà poi spostamenti sempre più lunghi, ma comunque l'impegno di alimentare a sufficienza se stessa e i cuccioli resta sempre molto gravoso per la madre. Il territorio di un maschio è abitualmente tre o quattro volte più grande rispetto a quello di una femmina, e ciò si spiega col fatto che la sua pulsione riproduttiva lo stimola all'incontro con più femmine in estro.

Le tigri compiono, all'interno dei loro territori, percorsi anche molto lunghi; questi itinerari sono disseminati di tane e nascondigli in cui riposare. Tutti i tipi di foresta costituiscono un buon habitat per la tigre del Bengala. Oltre a quelle di mangrovie, già menzionate, sul delta del Gange, essa popola le umide foreste di alberi sempreverdi dell'Assam, quelle decidue del Nepal e quelle spinose dei Ghati occidentali. Ma il predatore si sente a proprio agio anche nelle giungle ricche di alta vegetazione, nel folto delle distese di bambù, nelle paludi e nelle boscaglie. È però fondamentale che questi ambienti forniscano acqua e nascondigli in abbondanza.

In Birmania la tigre predilige le fitte foreste subequatoriali, mentre quelle malesi e indonesiane mostrano un ottimo adattamento alla foresta pluviale. Gli esemplari della sottospecie siberiana si spostano, invece, lungo il bacino dell'Amur preferendo le foreste montane non abitate dall'uomo. Per proteggersi nei periodi più freddi, sviluppano uno strato isolante di grasso sul ventre e sui fianchi.

Areale, passato e presente, di Panthera tigris
Areale, passato e presente, di Panthera tigris

Diversamente dal leone e dal leopardo, la tigre non ha l'abitudine di salire sugli alberi. Accade tuttavia che femmine con piccoli rivelino buone doti di arrampicatrici in caso di necessità: quando, per esempio, devono sottrarsi all'attacco di un branco di cani selvatici chiamati dhole. Il grande felino è ben più forte di un dhole, a cui può spezzare il cranio con un solo colpo delle enormi zampe anteriori. Ma l'aggressione di un branco, che può essere formato anche da 30 esemplari, costituisce una minaccia molto seria. Gli scontri, quando avvengono, sono improntati a estrema violenza. La tigre, assalita da tutti i lati, prima di soccombere può lasciare sul terreno una decina di avversari. I dhole talvolta, anziché uccidere il predatore, si limitano ad allontanarlo per impossessarsi di una sua preda.

Diversamente da altri felini, la tigre è molto attratta dall'acqua, ed è facile, quando il clima è caldo, vederla immersa in fiumi o ruscelli. Nuotatrice capace di percorrere lunghe distanze, insegue le prede anche nelle grandi pozze d'acqua, da cui riemerge tenendo in bocca l'animale appena ucciso. La forza dimostrata nell'effettuare questi trasporti è sorprendente. Può trascinare in un luogo sicuro, dove cibarsi con tranquillità, un maschio di bufalo indiano del peso di circa 900 kg. Per tale impresa occorrerebbero almeno 10 uomini.

Le tigri cacciano quello che trovano, non essendo vincolate a una dieta specializzata. Si alimentano di preferenza di cervi, cinghiali, scimmie, uccelli, ma non disdegnano neppure pesci, rane, lucertole. Gli animali vecchi e infermi si orientano su prede facili, come il bestiame domestico e, in circostanze estreme, anche sull'uomo.


[modifica] A caccia

La tigre ha un fabbisogno alimentare di 3-4 tonnellate di carne all'anno. Abitualmente caccia da sola. In casi eccezionali, però - come è già stato rilevato - si sono visti due esemplari cooperare all'abbattimento di una preda molto grande.

L'attività ha inizio di preferenza all'imbrunire. Il felino percorre, lento e silenzioso, i sentieri del proprio territorio, fermandosi talvolta per fiutare od osservare qualche traccia di possibili prede. Taluni esemplari sembrano compiere un preciso percorso, già ben delineato da marcature precedenti. La ricerca di cibo è comunque irta di difficoltà. Si è calcolato che su oltre 20 tentativi di agguato solo uno si conclude positivamente.

La tigre, dopo aver avvistato la preda, si nasconde nell'erba alta per avvicinarla quanto più è possibile senza farsi scorgere. Perché il suo attacco abbia possibilità di successo, deve trovarsi in un raggio d'azione che non superi i 10-20 metri. Quando il momento appare opportuno, il felino balza come una molla addosso all'animale facendo leva sulle potenti zampe posteriori.

Spesso la sua stessa mole è sufficiente a far cadere a terra la preda, che viene subito artigliata con le zampe anteriori. Successivamente la tigre affonda i denti all'altezza delle prime vertebre del collo della vittima, in prossimità del cranio. Le zampe posteriori, saldamente appoggiate al terreno, le danno il giusto equilibrio per scuotere con violenza la testa dell'animale, provocando in breve la rottura della colonna vertebrale.

In taluni casi, la tigre attacca frontalmente puntando alla gola della preda; i denti affilati recidono vitali vasi sanguigni e anche se la giugulare non viene lesa, il felino ha forza sufficiente per trattenere la vittima nella sua morsa finché non muore per soffocamento.

Cacciatrice dalla enorme forza, la tigre è in grado di uccidere anche animali grandi due volte la sua taglia, lacerando loro i tendini all'altezza delle ginocchia con le sue zampe anteriori, per renderli impotenti. Successivamente si abbatte sul loro dorso uccidendoli nel modo già descritto.

Dopo averla uccisa, la tigre trascina la carcassa della preda in un luogo isolato, lontano da animali spazzini come avvoltoi e sciacalli, e di preferenza in prossimità dell'acqua. Essa è solita cominciare il pasto dai quarti posteriori squarciando la pelle con gli artigli e i denti affilati e passandovi poi sopra la lingua rasposa. Un adulto di tigre del Bengala può divorare anche 30 kg di carne in una volta sola. In seguito sentirà il bisogno di dissetarsi. Se la preda non è ancora totalmente consumata, il predatore seppellisce i resti sotto un cumulo di foglie e ritorna sul luogo diverse notti di seguito per completare il pasto. Durante questo periodo, non si allontana mai troppo dalla carcassa per difenderla dagli altri animali affamati. La voracissima tigre si nutre di qualsiasi parte della preda, compresi polmoni, reni e altri organi interni; a differenza di altri felini, continua a ripulire la carcassa anche quando la carne, con il passare dei giorni, incomincia a imputridire.

Panthera tigris altaica
Panthera tigris altaica

La femmina di tigre, impegnata a portare cibo ai piccoli, li sorveglia durante il pasto e mangia soltanto quando essi sono sazi. Si è calcolato che una madre deve uccidere una volta ogni cinque-sei giorni, raggiungendo una quota annua di 60-70 prede, mentre una femmina priva di cuccioli soltanto una volta ogni otto giorni, non superando il numero annuo di 40-50 uccisioni. I cuccioli imparano a cacciare osservando la madre. La loro iniziazione comincia fin dalle prime settimane, attraverso i modelli di comportamento suggeriti dal gioco.

La tigre sceglie con prudenza le sue prede, per evitare ferimenti che potrebbero renderla invalida. Se si orienta verso animali grandi, come elefanti o gaur, punta soltanto sui più giovani. Ha ben pochi rivali, in natura, se si fa eccezione per l'uomo e per i cani selvatici radunati in branco. Le iene hanno tendenza a rubarle il pasto soltanto in sua assenza: venendo sorprese dal predatore in prossimità della carcassa, infatti, corrono il rischio di essere uccise se non si danno a precipitosa fuga.

Lo stesso discorso vale per gli sciacalli. Esemplari di questa specie sono stati osservati mentre si avvicinavano alla carcassa, strappavano rapidamente piccoli pezzi di carne e poi correvano a divorarli in un luogo sicuro. La scena si ripeteva più volte. Pur trattenendosi sulla preda il minor tempo possibile, gli animali correvano tuttavia grandissimi rischi.


[modifica] Ciclo vitale

L'accoppiamento tra tigri è possibile in ogni stagione dell'anno. Il periodo di estro in una femmina dura, però, non più di una settimana. In questa fase essa trasmette un messaggio olfattivo che viene raccolto dal maschio di un territorio non molto distante. Questo a sua volta emette dei richiami che trovano una risposta nelle vocalizzazioni della femmina. Il rituale prevede, nel momento dell'incontro che si svolge nel denso sottobosco, che i due potenziali partner assumano una caratteristica espressione (arricciamento del naso, esposizione della lingua e labbro superiore retratto) chiamata "flehmen". Essi, poi, si abbandonano a un gioco costituito da inseguimenti simulati e violenti colpi con le zampe anteriori.

Durante l'accoppiamento, la femmina emette grugniti misti a ruggiti mentre il maschio alterna note acute e lunghi gemiti. La durata della copulazione è molto breve, circa 15 secondi, ma l'atto viene ripetuto anche 20 volte in un giorno. La coppia rimane unita per un periodo che oscilla fra i tre e i cinque giorni. Conclusa questa fase, i partner si separano. Il maschio è perciò escluso da tutte le future cure parentali.

La gestazione ha una durata di 95-112 giorni, durante i quali la femmina continua ad andare a caccia fin quasi al momento del parto, che avviene generalmente di notte. Essa cerca un nascondiglio sicuro nel folto della vegetazione e dà alla luce i piccoli molto velocemente. Poi, esausta, si corica su un fianco dando inizio all'allattamento dei neonati. La cucciolata può variare da uno a sei piccoli, ma solitamente è composta da tre o quattro esemplari. In genere uno solo di essi riesce a raggiungere l'età matura. Alla nascita i cuccioli, che misurano dai 30 ai 35 cm, con una coda lunga circa 15 cm, sono ciechi e inetti, totalmente dipendenti dalla madre. Aprono gli occhi per la prima volta dopo una settimana, proprio nel momento in cui la fame spinge la femmina ad abbandonarli per la prima volta per andare a rifornirsi di cibo. La madre si allontana di notte, caccia più rapidamente che può, si ingozza e ritorna dai piccoli. Durante il giorno rimane costantemente accanto a loro. L'allattamento la impegna, inizialmente, per circa tre quarti della giornata, per ridursi progressivamente con il passare delle settimane. I denti da latte dei tigrotti spuntano alla fine della seconda settimana, i denti permanenti a un anno di età. Lo svezzamento avviene quando essi hanno cinque o sei mesi.

Dopo circa un mese dal parto, la madre prende l'abitudine di divorare, dopo ogni abbattimento della preda, una quantità di cibo superiore alle sue necessità. Ciò avviene perché, quando torna dai piccoli, ne rigurgita una parte predigerita affinché se ne nutrano. A partire dal terzo mese, essa porta invece ai cuccioli pezzetti di carne appena strappati dalla preda.

Sul mantello dei neonati sono già delineate le strisce, ma il colore di fondo si manterrà più pallido, rispetto a quello degli adulti, fin verso i 6 mesi. Questa è l'età in cui la femmina porta per la prima volta i figli con sé a caccia. Dopo averli nascosti nel sottobosco, uccide una preda e poi invita i giovani ad alimentarsene prima di cibarsi a sua volta. Il comportamento della madre costituisce un modello per i futuri cacciatori.

I figli possono rimanere accanto alla madre un paio d'anni, e probabilmente anche di più nel caso della tigre siberiana, ma i legami affettivi non si estinguono del tutto neppure dopo la separazione. I maschi sono generalmente i primi a lasciare il nucleo familiare. La madre ritorna in estro dopo il distacco dalla prole.

Il primo compito delle tigri in fase di emancipazione è quello di delimitare un proprio territorio di caccia. Durante questa ricerca esse si trovano ad attraversare zone già occupate da esemplari adulti, che possono tollerare un rapido passaggio, ma puniscono con aggressioni le soste troppo prolungate. La non facile impresa si conlude solitamente dopo qualche mese. A quattro anni la tigre è sufficientemente matura per dare alla luce e crescere i propri figli, anche se la fase di maturazione può dirsi compiuta soltanto un anno più tardi.


[modifica] Minacce

Malgrado le misure di tutela, tutte le sottospecie della tigre sono oggi in pericolo di estinzione. Si tratta di un processo in accelerazione a partire dagli ultimi due secoli. Fino alla metà del 1700, gli esemplari di questa specie erano numerosi e si spostavano agevolmente in ogni parte dell'Asia, costituendo i propri territori ovunque vi fosse abbondanza di prede. La loro popolazione complessiva superava sicuramente la cifra di 100.000 unità, di cui 40.000 erano abitatrici delle giungle indiane. Ciò si spiega facilmente se si considera che le armi allora in possesso dell'uomo sconsigliavano lo scontro con il temibile predatore.

A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, la situazione incominciò a cambiare radicalmente. Le armi da fuoco, divenute più efficienti, misero gli esponenti delle classi agiate nella condizione di fare della caccia alla tigre uno sport elitario. Contemporaneamente, l'infittirsi dei rapporti commerciali con l'Europa provocò la forte richiesta sul mercato di legname di pregio, come per esempio il mogano, che cresce nelle foreste indiane.

[modifica] Uccise per sport

La conseguente opera di deforestazione produsse effetti disastrosi sull'habitat della tigre. La sparizione degli alberi ebbe infatti ripercussioni sull'intera catena alimentare. Gli erbivori depauperati della loro fonte di cibo dovettero allontanarsi dai luoghi abituali per evitare di morire di fame. Il grande predatore, a sua volta, fu condizionato da questi spostamenti per non essere privato delle sue prede. Ciò lo costrinse a uscire dalle abituali nicchie protettive e ad avere contatti ravvicinati più frequenti con gli uomini.

Così la tigre divenne, per i cacciatori d'epoca vittoriana, una sorta di "status symbol". L'animale, molto temuto dalle popolazioni, costituiva un trofeo di grande prestigio per chi l'abbatteva in una sorta di duello definito "sportivo", che però in realtà di sportivo aveva ben poco, giacché le regole del gioco erano state stabilite unicamente da una delle parti, vale a dire dall'uomo. Gli ufficiali britannici e gli indiani appartenenti alle caste più elevate rivaleggiavano nel numero delle tigri uccise, lodandosi reciprocamente per il sangue freddo dimostrato durante la caccia. In realtà i cacciatori non correvano molti rischi. Il rituale venatorio prevedeva che "battitori", arruolati fra la popolazione locale, si muovessero nella giungla disturbando con suoni fragorosi la tigre in modo da indirizzarla verso i cacciatori che, appostati nelle portantine fissate al dorso di elefanti non dovevano fare altro che sparare a colpo sicuro. Il risultato fu un autentico massacro ai danni della specie. Fra i potentati indiani nessuno superò il maharajah di Sarguja, il quale uccise nel corso della sua vita ben 1157 tigri.

Queste cifre non devono stupire. Lo sport si mescolava, allora, a criteri utilitaristici. Le autorità indiane consideravano la tigre un animale estremamente nocivo e pagavano una taglia ai suoi uccisori. Ciò stimolava a sua volta un altro mercato, quello delle pelli, che in occidente avevano quotazioni molto alte. La caccia diventava perciò un affare proficuo.

Sarebbe tuttavia ingiusto, come già si è detto, attribuire soltanto alla caccia lo sterminio della specie. Era interesse di coloro che si dedicavano all'attività venatoria mantenere in vita una popolazione che consentisse loro di continuare a praticarla. Esistevano funzionari britannici e dignitari locali previdenti, che si preoccupavano della salvaguardia dell'habitat, avendo cura di prelevare alberi solo dove la foresta poteva agevolmente rigenerarsi. Purtroppo allo scempio compiuto dai cacciatori si aggiunse l'opera di devastazione dei coltivatori locali, in cerca disperata di terra con cui aumentare i raccolti e sfamare le famiglie. Questo fatto diede inizio a un tragico "circolo vizioso". La tigre, snidata dai suoi territori originari, si avvicinò ancora di più agli insediamenti umani, assumendo l'abitudine di predare il bestiame domestico. Gli agricoltori si vendicarono disseminando il terreno di esche avvelenate che fecero vittime in numero probabilmente superiore a quello causato dai cacciatori.

Il quadro che offre la realtà del XX secolo, a partire dai primi decenni, è tragico dal punto di vista della fauna selvatica. Per fare fronte alla crescente domanda di abitazioni e di terre da coltivare, ampie zone di foresta vengono abbattute. Legname di alto pregio prende abitualmente la strada dell'Occidente e al posto degli alberi abbattuti ne vengono messi a dimora altri dalla crescita più rapida che consentono profitti a breve termine. Viene trascurato il fatto che le nuove piante non sempre costituiscono un'alimentazione adatta a soddisfare la fauna erbivora locale. Da ciò una conseguente diminuzione delle prede e dei predatori.

[modifica] Progetto Tigre

Nel 1972, il governo indiano ha preso una decisione che si è rivelata forse determinante per la salvaguardia della specie: quella di condurre un'indagine sulla situazione degli esemplari superstiti. Ne è emerso un numero drammaticamente basso: solo 1800 tigri. La stessa indagine, condotta sull'intero areale asiatico della specie, ha consentito di apprendere che le sottospecie di Bali e del Caspio si erano ormai estinte e la medesima sorte era probabilmente toccata alla sottospecie di Giava. Migliore la situazione nell'isola di Sumatra, in cui si era registrata la presenza di 600 esemplari, e in Indocina, dove la popolazione era stata valutata nel numero di circa 2000 esemplari. Assai limitato, ma relativamente stabile, appariva il numero degli appartenenti alla sottospecie siberiana, abitatrice di un ambiente meno sottoposto allo sfruttamento da parte dell'uomo.

Dopo questi rilevamenti, si è imposto il ricorso a misure drastiche per tutelare gli esemplari superstiti. Il governo indiano ha preso per primo l'iniziativa vietando la caccia alla tigre e l'esportazione delle sue pelli e accogliendo successivamente l'invito, proveniente dalle grandi organizzazioni protezionistiche, di istituire riserve che costituissero zone di rifugio e di ripopolamento della specie. Così ha preso corpo il Progetto Tigre, finanziato grazie anche a una raccolta di fondi a livello internazionale promossa dal WWF. Indira Gandhi, in quell'epoca primo ministro, si interessò personalmente alla costituzione di un comitato per il coordinamento fra tutti gli Stati dell'India. L'esempio è stato seguito da altri Paesi. Riserve sono state istituite anche entro i confini del Bangladesh, del Nepal e del Bhutan.

Ma l'istituzione delle riserve non è di per sé bastante a garantire il futuro della specie. Là dove le popolazioni sono ridotte, il problema della variabilità genetica si impone in maniera preoccupante. L'impossibilità di incontrare, durante gli spostamenti, un vasto numero di esemplari, rende concreta la minaccia che si svolgano accoppiamenti fra consanguinei, dando vita a soggetti portatori di malattie ereditarie o addirittura di sterilità.

Panthera tigris sumatrae
Panthera tigris sumatrae

Secondo le valutazioni degli scienziati, il numero necessario a garantire il mantenimento di un sano corredo genetico è di 500 esemplari. Appositi "corridoi" fra diverse riserve sono stati realizzati per favorire gli incontri fra popolazioni. Il progetto è tuttavia irrealizzabile là dove le riserve sono troppo vicine agli insediamenti umani. È infatti impossibile chiedere a coltivatori bisognosi di sfruttare al massimo ogni pezzetto di terra di sacrificare ulteriori lembi di terreno.

Programmi di riproduzione in cattività sono in atto con la collaborazione di molti zoo. In tali programmi si è avuto cura di evitare incroci fra animali imparentati tra loro così da ottenere nuovi esemplari geneticamente affidabili. Non hanno invece alcun valore, ai fini del rinsanguamento, le tigri cosiddette "generiche", frutto di indiscriminati accoppiamenti in cattività, di cui è ormai impossibile definire l'origine.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

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