Brigantaggio
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Brigantaggio è un termine con il quale sono comunemente indicati - accomunandoli a volte tra loro in modo sommario ed improprio - fenomeni di banditismo comune e politico assieme a vere e proprie insurrezioni e sedizioni legittimiste.
Nella Storia d'Italia il termine è stato impiegato - trovando la propria origine nella pubblicistica e nella storiografia risorgimentale e post-risorgimentale - specialmente riferendosi ai moti di ribellione politico–sociale scoppiati in Italia - ed in particolare nel Mezzogiorno - in coincidenza con l’Unità d'Italia e negli anni immediatamente successivi.
Va altresì ricordato che l'identificazione di un determinato gruppo di combattenti e rivoltosi con termini quali brigante o bandito dipende in buona parte dal punto di vista della potenza che, detenendo il monopolio della forza e della legge, s'impone sul territorio interessato dalla ribellione, con l'obiettivo di screditarla ed isolarla dal suo tessuto sociale. Un egregio esempio di quanto controverso possa essere l'uso di tali termini è dato dal fatto che i partigiani che diedero vita alla Resistenza italiana erano comunemente definiti banditi dalle forze d'occupazione naziste, e come tali trattati.
Le prime forme di brigantaggio politico registrate come tali sono già riscontrabili in epoca antica, durante le guerre civili e servili che lacerarono la Roma repubblicana. Il fenomeno si acuì ed estese durante il principato, soprattutto nelle Province, sovente a causa delle malversazioni operate dai magistrati locali.
"Briganti" vennero detti (dai francesi) anche i soldati dell'esercito regolare borbonico e dell'armata sanfedista riunita dal cardinale (laico) Fabrizio Ruffo, che combatterono vittoriosamente contro l'occupazione francese e contro la Repubblica napoletana del 1799, quest'ultima sostenuta, ma non riconosciuta, dalla Francia. Questi eventi però vanno meglio inquadrati nelle cosiddette insorgenze antigiacobine, movimenti popolari di resistenza all'invasione francese, presenti un po' in tutta la penisola italiana.
Solitamente questi movimenti nacquero in condizioni di forte ineguaglianza sociale, in territori dove il potere si concentrava nelle mani delle élite latifondiste, che mantenevano il controllo del territorio e dei propri interessi con la forza e con la collusione dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche. Rappresentando solitamente l'unica istanza di opposizione al potere esercitato dalle oligarchie sulle classi contadine, alcuni di questi briganti guadagnarono in alcuni casi fama e appoggio dalla popolazione assumendo, nella cultura contadina e nella letteratura, un carattere a volte leggendario, come ad esempio avvenne nel caso dei cangaçeiros, che per circa 70 anni agirono nel Nordest del Brasile.
[modifica] Il brigantaggio post-unitario
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«Lo stato italiano[1] è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti".»
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Esecuzioni e Propaganda |
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Settembre 1863, un bersagliere mostra il cadavere del "brigante" Nicola Napolitano dopo la fucilazione.
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Il periodo di più aspra lotta brigantesca si apre nel Mezzogiorno d'Italia all'indomani dell'occupazione militare del Regno delle Due Sicilie e la sua susseguente annessione al nascente Regno d'Italia. Le bande di briganti in questo periodo erano composte da ex soldati del disciolto duosiciliano (rimasti fedeli alla dinastia borbonica), da contadini e pastori che lottavano contro i proprietari terrieri e i latifondisti (i quali, in continuità rispetto al dominio borbonico, continuavano a detenere gran parte della terra del meridione, rendendo i contadini di fatto servi della gleba) e da malviventi e latitanti, adusi a vivere alla macchia. Altri motivi che spingevano alla rivolta i contadini erano costituiti dalla privatizzazione delle terre demaniali e dalla leva obbligatoria introdotti (come nel resto d'Italia) dal governo unitario, oltre ad una tassazione più elevata di quella precedentemente in vigore. Particolare importanza ebbe la diffusa delusione per il fallimento del nuovo governo nel migliorare le durissime condizioni di sfruttamento e sopraffazione, ereditate dai Borbone. Da ultimo, ma non per importanza, l'annessione al Regno d'Italia era sentita dalla popolazione come una minaccia alla propria fede e alle proprie tradizioni.
L'arretratezza delle infrastrutture e della rete viaria del Mezzogiorno ereditata dai Borbone, infine, facilitavano grandemente l'occultamento delle bande brigantesche.
Il brigantaggio si contrappose, anzitutto, con le milizie civiche, armate dai notabili e dai possidenti meridionali, che più ebbero a soffrire della stagione di violenze eppoi all'esercito italiano, generalmente indicato come 'piemontese'. Ma ormai il Regno d'Italia era succeduto al cessato Regno di Sardegna e il suo esercito arruolava in grande maggioranza Lombardi, Emiliani, Romagnoli, Toscani, Marchigiani, Umbri, Siciliani.
L'azione delle bande, diffusa un po' in tutto il territorio continentale appartenuto all'ex-Regno delle Due Sicilie, è stata definita, a seconda del punto di vista: brigantaggio (appunto), rivolta, più equanimemente ovvero, da un punto di vista maggiormente ostile alla unità d'Italia, resistenza.
[modifica] L'inizio della rivolta 1860-1861
Già nell'ultima fase della spedizione dei mille i Borbone, asserragliati a nord del Volturno intorno a Gaeta, avevano deciso di fare ricorso a formazioni armate irregolari a supporto delle truppe regolari ancora attive tra il Sannio e l'Abruzzo, al fine di coprire il fianco rispetto all'avanzata verso sud dell'esercito sardo, guidato dal generale Enrico Cialdini. All'estremo sud continua a resistere, e lo farà sino alla primavera del 1861, la cittadella di Messina (che, già nel luglio 1860 aveva smesso di combattere, pattuendo di liberare la città e di non ostacolare Garibaldi nel passare lo stretto) e solo il 20 marzo 1861, tre giorni dopo la proclamazione dell'Unità d'Italia, si arrese la guarnigione della cittadella di Civitella del Tronto, al confine tra Abruzzo e Marche.
A seguito della partenza dei Borbone di Napoli, dopo la sfortunata conclusione della battaglia del Volturno e dell'Assedio di Gaeta, il partito legittimista prese ad organizzarsi per tentare di cacciare l'invasore (supportati dai Borbone di Napoli, esuli a Roma, un poco dai Borbone di Spagna, dalla nobiltà legittimista e da parte del clero).
Nelle formazioni irregolari, che la popolazione locale denominava masse, affluirono migliaia di uomini: ex soldati dell'esercito sconfitto e disciolto, coscritti che rifiutavano di servire sotto la bandiera italiana, popolazione rurale, banditi di professione e briganti stagionali, che si dedicavano già alle grassazioni nei periodi nei quali non potevano trovare impiego in agricoltura. Si registravano sollevazioni diffuse, seguite dal rovesciamento dei comitati insurrezionali, sostituiti con municipalità legittimiste. A Napoli, l'ex-capitale travagliata da una grave crisi economica, agiva la propaganda del comitato borbonico della città, che riuscì, perfino, a organizzare una manifestazione pubblica a favore della deposta dinastia. Nel mese di aprile venne sventata una cospirazione anti-unitaria e arrestate oltre seicento persone, fra cui 466 ufficiali e soldati del disciolto esercito borbonico.
Nella primavera del 1861 la rivolta divampava ormai in tutto il Mezzogiorno continentale, assumendo spesso le forme di estese jacquerie contadine, per questo votate alla sconfitta nel loro impari confrontarsi con un moderno esercito calato in forze a combatterle. Si materializzava, tuttavia, il rischio concreto di un collegamento di tutte le formazioni della rivolta, dalla Calabria alle province contigue allo Stato Pontificio, dove risiedeva il re deposto, Francesco II, con un'azione centrata fra Irpinia e Lucania, ciò che condusse ad un incremento notevole sia delle forze impegnate, sia della ferocia con la quale la repressione delle insorgenze fu attuata.
[modifica] La repressione di Cialdini 1861-1864
Nell'agosto 1861 venne inviato a Napoli il generale Enrico Cialdini, con poteri eccezionali per affrontare l'emergenza del brigantaggio. Egli seppe rafforzare il partito sabaudo, arruolando militi del disciolto esercito meridionale di Garibaldi e perseguendo il clero e i nobili legittimisti. In una seconda fase, comandò una dura repressione messa in atto attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro interi centri abitati: fucilazioni sommarie ed incendi di villaggi in cui si rifugiavano i briganti erano all'ordine del giorno, restano tristemente famosi il cannoneggiamento di Mola del 17 febbraio 1861, e gli eccidi di Casalduni e Pontelandolfo, nell'agosto 1861. L'obiettivo strategico consisteva nel ristabilire le vie di comunicazioni e conservare il controllo dei centri abitati. Le forze a sue disposizione consistevano in circa ventiduemila uomini, presto passate a cinquantamila unità nel dicembre del 1861.
Gli strumenti a disposizione della repressione venivano, nel frattempo, incrementati, con la moltiplicazione delle taglie e l'istituto delle deportazioni (questa era la forma reale del domicilio coatto). Nell'agosto 1863 venne emanata la "famigerata" legge Pica. Tale legge, contraria a molte disposizioni costituzionali, colpiva non solo i presunti briganti, ma affidava ai tribunali militari anche i loro parenti e congiunti o semplici sospetti.
A cavallo degli anni 1862 e 1863 le truppe dedicate alla repressione vennero aumentate sino a centocinquemila uomini (circa i due quinti delle forze armate italiane del tempo) ed il generale Cialdini poté riassumere l'iniziativa, giungendo ad eliminare le grandi bande a cavallo ed i loro migliori comandanti e, soprattutto, ad estinguere il cosiddetto "focolaio lucano".
[modifica] La continuazione sporadica della rivolta 1865-1870
Con le sue azioni, il Cialdini aveva raggiunto l'obiettivo strategico principale contro il brigantaggio, cancellando le premesse per una possibile sollevazione generale delle provincie meridionali: la rivolta non era ancora terminata, ma era venuto meno qualsiasi carattere di azione collettiva, si affievoliva l'appoggio popolare. La resistenza degenerò, sempre più spesso, in mero banditismo. Solo nel 1867, infatti, Francesco II delle Due Sicilie sciolse il governo borbonico in esilio. Continuava l'azione di poche ed isolate bande di irriducibili ma, vista l'impossibilità di ottenere risultati politici e per non logorarsi in un'eterna guerra civile, la spinta insurrezionale volgeva gradualmente al termine.
Nel gennaio 1870 il governo italiano soppresse le zone militari nelle province meridionali, sancendo così la fine ufficiale del brigantaggio.
[modifica] Esito e conseguenze
Secondo le stime di alcuni giornali stranieri che si affidavano alle informazioni "ufficiali" del nuovo Regno d'Italia, dal settembre del 1860 all'agosto del 1861 vi furono nell'ex Regno delle Due Sicilie 8.964 fucilati, 10.604 feriti, 6.112 prigionieri, 64 sacerdoti, 22 frati, 60 ragazzi e 50 donne uccisi, 13.529 arrestati, 918 case incendiate e sei paesi dati a fuoco, 3.000 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 1.428 comuni sollevati; poiché ufficiali c'è da considerare che come tali queste cifre furono sicuramente sottostimate dal ministero della guerra, nonostante si riferissero ad un solo anno.
I problemi che avevano originato il brigantaggio e che, in gran parte, risalivano alla responsabilità del governo borbonico, restavano però irrisolti e, in seguito, per molti abitanti del Sud l'unica speranza di sopravvivenza fu legata all'emigrazione. Lo squilibrio strutturale tra nord e sud d'Italia verrà affrontato in modo più organico dalla classe dirigente italiana e prese avvio il dibattito sulla questione meridionale, nei termini sociali ed economici in cui la conosciamo ancora oggi.
[modifica] Il dibattito storiografico
Alcuni storici propongono di rivedere i capitoli che riguardano l'insegnamento di alcune pagine del recente passato italiano. In parte è in corso una rivendicazione del ruolo svolto dal sud come finanziatore dello sviluppo industriale del Regno d'Italia; in altra parte viene accentuato un discorso di storia economica e monetaria come elemento chiave per capire gli squilibri nord-sud. È in questo periodo che il sistema bancario si struttura in modo simile a oggi: un meridione con poche tasse e alta raccolta di risparmi che non vengono investiti nel territorio, ma finanziano le industrie del nord Italia. La tassazione imposta dal Regno d'Italia, la stessa del nord estesa al nuovo regno, e ulteriori aggravi come la tassa sul grano, coincisero temporalmente con la massiccia emigrazione che si verificò dopo l'unità d'Italia. L'afflusso di risparmi dagli emigranti (compresi moltissimi Veneti, Romagnoli, Liguri e Piemontesi) alle famiglie fu un importante ammontare di riserve di valuta estera (che valeva molto rispetto alla moneta italiana dell'epoca) che si sommava alle riserve auree (443 milioni di Lire-oro, all'epoca corrispondenti ad oltre il 60% del patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme) integrate (dopo il loro fallimento) con l'acquisizione nella futura Banca d'Italia delle banche del sud. Taluni critici e storici interpretano il brigantaggio come un sintomo del processo di trasferimento di ricchezza dal Meridione verso il nord.
[modifica] Briganti famosi
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- Carmine Crocco detto Donatelli
- Giuseppe Musolino
- Pietro Masi detto Bellente di Appignano (Provincia di Macerata)
- Vicenzo Curcio
- Antonio Angelo Del Sambro detto U' Zambr
- Gaetano Tranchella
- Gaetano Manzo
- Antonino Maratea detto Ciardullo
- Alfonso Carbone
- Cosimo Giordano
- Luigi Alonzi detto Chiavone
- Nunzio Tamburrini
- Antonio Trapasso detto Gallo
- Domenico Tiburzi detto Domenichino
- Pietro Monaco
- Maria Oliviero detta Ciccilla
- Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco
- Antonio Cotugno
- Giuseppe Tardio
- Gioseffi Teodoro detto Caporal Teodoro
- Berardo Viola
- Cicco Cianci
- Domenico Straface detto Palma
- Salvatore Giuliano
- Vincenzo Macrini
- Giuseppe Schiavone
- Vincenzo Capraro
- Angelo Pugliese
- Costanzo Maio
- Pasquale Cavalcante
- Angelo Bianco detto Turri Turri
- Vincenzo Mastronardi detto Amato
- Federigo Bobini detto Gnicche
- Bernardo Colamattei detto Il brigante delle Mainarde
- Antonio Locaso detto ‘U Craparidd
- Stefano Pelloni detto il Passatore
- Ferdinando Mittiga
- Nicola Napolitano detto il Caprariello
- Sataliviti, all'anagrafe Antonio Catinella
- Marco Sciarra definito il re della campagna
[modifica] Bibliografia
- Mack Smith, Storia d'Italia, Editori Laterza, Roma-Bari, 2000 ISBN 88-420-6143-3
- Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia! PIEMME 2003 ISBN 88-384-7040-5
- Giovanni Saitto, La Capitanata fra briganti e piemontesi, Edizioni del Poggio 2001
[modifica] Filmografia
- Li chiamarono briganti! (1999) di Pasquale Squitieri.
[modifica] Note
- ↑ Il brano, scritto nel 1920, si riferisce al Regno d'Italia costituito sotto la monarchia Sabauda.
[modifica] Voci correlate
- Risorgimento
- Spedizione dei Mille
- Unità d'Italia
- Regno delle Due Sicilie
- Regno d'Italia
- Terrone
- Casa Savoia
- Borbone di Napoli
- Camillo Cavour
- Giuseppe Garibaldi
- Nino Bixio
- Stati italiani preunitari
- Guerra civile
- Riforma agraria
- Latifondo
[modifica] Collegamenti esterni
- Brigantaggio in provincia di Benevento
- Il Brigantaggio - I.D.I.S. (Istituto per la Dottrina e l'Informazione sociale)
- Valle del Salto