Conza della Campania
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
![]() |
|||
---|---|---|---|
Stato: | ![]() |
||
Regione: | ![]() |
||
Provincia: | ![]() |
||
Coordinate: |
|
||
Altitudine: | m s.l.m. | ||
Superficie: | 52 km² | ||
Abitanti: |
|
||
Densità: | 28 ab./km² | ||
Frazioni: | |||
Comuni contigui: | Andretta, Cairano, Caposele, Castelnuovo di Conza (SA), Morra De Sanctis, Pescopagano (PZ), Sant'Andrea di Conza, Teora | ||
CAP: | 83040 | ||
Pref. tel: | 0827 | ||
Codice ISTAT: | 064030 | ||
Codice catasto: | C976 | ||
Nome abitanti: | conzani | ||
Santo patrono: | Sant'Erberto | ||
Giorno festivo: | 20 agosto | ||
![]() |
Conza della Campania è un comune di 1.457 abitanti della provincia di Avellino.
[modifica] Storia
Conza, città importante in età romana e altomedievale, decadde in età moderna anche a causa dei frequenti terremoti che ne decimarono la popolazione. Uno tra i più disastrosi nella sua storia fu quello del 25 ottobre 990, ricordato da molte fonti, dopo il quale la città «restò per metà adeguata al suolo, né da quel tempo è più risorta». Ciò che restava dell'antica Compsa finì per raccogliersi su una collina, con le case raggruppate l'una sull'altra intorno al castello. Il territorio circostante, ricco di acque, boschi e cacciagione, con terreni fertili coltivati a grano e a vigneto, forniva risorse più che sufficienti alla piccola comunità.
La città fu sede vescovile dal VI secolo d. C., prima diocesi suffraganea di Salerno e in seguito, dall'XI secolo, sede arcivescovile metropolitana. In Età moderna l'archidiocesi aveva sei sedi suffraganee (Muro Lucano, Lacedonia, Sant'Angelo dei Lombardi, Bisaccia, Monteverde e Satriano) e racchiudeva ventiquattro paesi appartenenti alle province di Principato Ultra, Principato Citra e Basilicata. I paesi erano, oltre a Conza, Sant'Andrea di Conza, Santomenna, Colliano, San Gregorio, Vietri di Potenza, Selvitella, Auletta, Buccino, Palomonte, Contursi Terme, Oliveto Citra, Senerchia, Quaglietta, Calabritto, Caposele, Teora, Andretta, Cairano, Calitri, Pescopagano, Valva, Laviano e Castelnuovo di Conza.
L'arcivescovo possedeva inoltre le abbazie di Santa Maria de Foris e di San Mauro (nei pressi di Buccino), i feudi rustici di Cisterna, Cerrutolo e Castiglione de Comitissa (vicino Calitri), Castiglione de Murra (nei pressi di Morra), il casale di Mauriello (presso Pescopagano), la terra di Torricella (nell'agro di Buoninventre), il casale di Boiara (presso Teora) e l'abbazia di Santa Maria in Elce (a poca distanza da Calitri). Infine, fuori della diocesi, appartenevano alla Mensa arcivescovile anche l'abbazia di Santa Venere con il feudo di Palorotondo.
Alla fine del XV secolo Conza aveva perso l'importanza avuta nei secoli precedenti, ma conservava numerose memorie degli antichi splendori. La città, che apparteneva ai Gesualdo con il titolo di contea, era circondata da una potente cinta di mura, le strade conservavano la pavimentazione di età romana, oltre a diversi ruderi di edifici antichi; sulla sommità della collina sorgeva il palazzo baronale, «con membri assay», disposto intorno a un cortile, dal quale si accedeva anche al vicino giardino, coltivato in parte a vigneto e in parte a frutteto. Il palazzo era quasi sempre abbandonato, poiché a causa del clima poco salubre della città i feudatari preferivano abitare nei castelli di Gesualdo o di Calitri, più comodi in tempo di pace e più sicuri in tempo di guerra. Nemmeno gli arcivescovi di solito risiedevano a Conza, bensì a Santomenna (d'inverno, per il clima più mite) o a Sant'Andrea (d'estate, per il clima più fresco); in ognuno di questi due casali, sui quali la Curia esercitava la giurisdizione, sorgeva un palazzo arcivescovile.
La cattedrale, intitolata alla Vergine Assunta, era sorta sui resti di una basilica di età romana, della quale aveva mantenuto l'impianto a tre navate, con la navata principale, più alta delle laterali, conclusa da un'abside semicircolare. Nella cripta della cattedrale, secondo la tradizione, erano stati deposti i corpi di diversi santi. La chiesa, giudicata “di buon disegno” e “assai bella”, tra il XV e il XVI secolo accolse le sepolture dei conti di casa Gesualdo, che costruirono all'estremità della navata destra la loro cappella gentilizia, con l'altare privilegiato intitolato a Santa Maria delle Grazie: la cappella era ornata da finissime sculture in marmo, tra cui quattro bassorilievi raffiguranti le virtù cardinali.
Nel 1507 Luigi III Gesualdo, dopo aver prestato atto di sottomissione al re spagnolo Ferdinando il Cattolico, riebbe i feudi che, dopo la sua ribellione ai re aragonesi, gli erano stati confiscati; in cambio dovette corrispondere un sostanzioso indennizzo, che per la città di Conza ammontava a 109 ducati.
Il Cinquecento fu il secolo di maggior splendore per i Gesualdo i quali, una volta reintegrati nel possesso dei loro beni, con un'abile politica di alleanze e matrimoni riuscirono ad accrescere il patrimonio e la potenza della famiglia. Nel 1543 acquistarono il feudo di Venosa e nel 1561 Luigi IV, dopo il matrimonio del figlio Fabrizio con la nipote di papa Pio IV, ricevette il titolo di principe. Il fratello di Fabrizio, Alfonso, a soli 21 fu nominato cardinale e nel 1563 divenne arcivescovo di Conza, primo gradino di una formidabile carriera che lo proiettò ai vertici della gerarchia ecclesiastica, prima come decano del Sacro Collegio e poi come arcivescovo di Napoli.
Tra il Cinquecento e il Seicento furono arcivescovi di Conza anche due zii di Alfonso, Troiano e Camillo, e il nipote Scipione; tutti costoro, pur risiedendo nella propria diocesi, scelsero come abitazione il lussuoso castello di Calitri.
Le fortune di casa Gesualdo ebbero riflessi positivi anche per la città di Conza, che vide migliorare il proprio tenore di vita. Le «Informazioni sulle entrate» del feudo attestano per tutto il Cinquecento una rendita tra i 350 e i 450 ducati.
Ad esempio nel 1539 il feudo rendeva 417 ducati; le voci principali del bilancio erano l'erbaggio di Caperroni, i «terragij» (terratichi) di grano e orzo, il mulino, la bagliva, la fida dei buoi, ma si producevano anche olio, formaggio, vino ed erano state introdotte nuove colture come il lino e i legumi. Nel 1585 le entrate del principe erano l'erbaggio di Caperroni, la mastrodattia, l'affitto del giardino del castello, il forno, il mulino «della macchia», lo jus degli aratri, il «compasso di Conza, Andretta, Sant'Andrea e altri luochi», la bagliva, la fida delle pecore e poche altre cose per una rendita complessiva di oltre 600 ducati, più 900 tomoli di grano, 129 tomoli di orzo e ancora tre pollastri, otto galline, sei «pese di caso e ricotta», otto «pignatelle» d'olio e 16 «ayni».
I censimenti disponibili vanno da 153 fuochi per il 1532 a 188 fuochi nel 1545, per poi diminuire a partire dal 1561 (136 fuochi), fino a raggiungere il minimo nel 1669 (36 fuochi). La diminuzione di popolazione fu causata anche dai due terremoti del 1561 e del 1627; quest'ultimo in particolare dovette arrecare molti danni alla città, sebbene non distruggesse la cattedrale, come testimonia la seguente descrizione, scritta nel 1637:
«Consa, che è arcivescovato et in altri tempi fu Città grande, appena hora conserva la chiesa metropolitana per la celebratione delle fontioni arciepiscopali, essendo nel resto desolata. Gl'abitanti son pochi [...] La chiesa è assai bella, ove sono le sepolture degli antichi Signori Gesualdi conti di Consa [...] Il territorio è grande e bello a meraviglia, ma per carestia d'huomini e bovi non è coltivato».
Nel 1613, con la morte degli ultimi due discendenti maschi, la famiglia Gesualdo si estinse. I feudi furono acquistati da Nicolò Ludovisi, principe di Piombino e marito di Isabella Gesualdo, ultima erede della grande casa, morta nel 1629. Il principe Ludovisi lasciò erede il figlio Giovan Battista che però, caricatosi di debiti, fu costretto a vendere gran parte del proprio patrimonio.
Alla fine del Seicento, nel giro di pochi anni, la famiglia Mirelli acquistò da Giovan Battista Ludovisi, per 45.200 ducati, alcuni feudi che, secondo una perizia del 1635, valevano oltre 100.000 ducati. In particolare la terra di Calitri era stata valutata 68.166 ducati, Teora 13.715:2:10 ducati, Conza 13.761:2:16 e le giurisdizioni di S. Andrea e Santomenna 4.420 ducati. Le trattative di compravendita furono lunghe e laboriose per la diffidenza che il principe Ludovisi nutriva verso i nuovi acquirenti, diffidenza alimentata dagli arcivescovi di Conza, in conflitto di interessi con la famiglia Mirelli per la giurisdizione criminale dei casali di S. Andrea e Santomenna. Venditore e compratore ricorsero all'opera di architetti, notai e tavolari per stimare con esattezza il valore delle loro proprietà e solo dopo numerosi processi si giunse a un accordo definitivo.
A complicare le cose, costringendo gli interessati a rifare molte perizie, intervennero i terremoti che si successero alla fine del secolo, tra il 1688 e il 1694. Quest'ultimo in particolare ebbe effetti disastrosi nei piccoli centri dell'Alta Irpinia; ecco come lo racconta un cronista del tempo:
«La diocese di Conzo ha patito notabilmente, potendosi dire, senza esageratione, che quel monsignor arcivescovo Caraccioli sia divenuto pastore senza ovile, per esser rimaste la maggior parte delle sue terre a lui sottoposte distrutte da questa disgratia [...] Conza può dirsi che più non vi è, e la sua chiesa maggiore di S. Giberto non si conosce ove era».
Nel 1696 Giovan Battista Ludovisi chiese al Sacro Regio Consiglio una consistente riduzione delle tasse da pagare sulle due città di Conza e Venosa, che a causa del terremoto non fornivano più alcuna rendita e delle quali era già stato costretto ad alienare la «tenuta» a favore del duca di Lavello; il principe sperava di ricavare in questo modo almeno i soldi necessari per riparare il castello di Venosa, «di gran magnificenza», e di superare col tempo le difficoltà finanziarie. Invece pochi mesi dopo anche Conza divenne proprietà di Francesco Maria Mirelli, che l'acquistò dai creditori del principe Ludovisi. Donatantonio Castellano, nella Cronica conzana, un manoscritto terminato nel 1691, aveva descritto il vecchio Francesco Mirelli come «un uomo di bassissimi natali», il quale
«nella dilapidatione che fe' anni sono Giovanni Battista de Ludovisio si comprò per un tozzo di pane molte terre, fra le quali Calitri [...] Teora [...] Paternò e le giurisdizioni criminali di queste terre di S. Menna e S. Andrea con diverse frodi ed inganno [...] e tuttavia va trattando comprare Conza, però essendo questo denaro acquistato malamente, e forse con usure e inganni, si verificherà quel detto della scrittura: non gaudebit tertius heres».
La profezia colse nel segno, poiché tre anni più tardi Francesco Mirelli perì, insieme con la maggior parte della sua famiglia, travolto nel crollo del castello di Calitri; alla fine comunque, nonostante l'opposizione dei conzani, Francesco Maria Mirelli, figlio di Carlo e nipote del vecchio Francesco, divenne proprietario della città.
Nella cattedrale il terremoto del 1694 lasciò in piedi solo il coro, l'altare maggiore con il sepolcro di Sant' Erberto, arcivescovo e protettore della città, e alcune cappelle. La cappella gentilizia dei Gesualdo fu scoperchiata e i marmi che decoravano la cappella e i sepolcri di Costanza di Capua (m. 1484), del figlio Luigi III (m. 1524) e di altri componenti della famiglia furono impiegati per ricostruire l'altare maggiore e quello, dedicato a Santa Maria di Loreto, della famiglia Mirelli. La cattedrale fu ricostruita a spese dell'arcivescovo Gaetano Caracciolo (1682-1709) e, dopo il terremoto del 1732, fu rifatta per volere di monsignor Giuseppe Nicolaj (1731-1758).
[modifica] Bibliografia
- Archivio Diocesano di Sant'Angelo dei Lombardi (ADSAL), ms. del 1691, D. A. CASTELLANO, Cronista conzana (parte del manoscritto è riportata in G. CHIUSANO, La Cronista conzana, Conza della Campania 1983, e in La Cronista Conzana del Castellani, a cura di M. Carluccio e F. Celetta, 5 voll., Conza della Campania 1999-2002).
- F. UGHELLI, Italia sacra, II ediz., VI, Venetiis MDCCXX, coll. 795-829;
- F. SACCO, Dizionario geografico-istorico-fisico del regno di Napoli, I, Napoli 1795, pp. 345-347;
- L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico- ragionato del Regno di Napoli, IV, Napoli 1802, p. 122;
- F.P. LAVIANO, La vecchia Conza e il castello di Pescopagano, Trani 1924;
- V. ACOCELLA, Storia di Conza (I) - Il gastaldato e la contea fino alla caduta della monarchia sveva, estratto dagli “Atti della Società Storica del Sannio”, Benevento 1927 - 1928;
- G. GARGANO, Ricerche storiche su Conza antica, Avellino 1934;
V. ACOCELLA, Storia di Conza (II) - La contea dalla dominazione angioina al Vicereame, estratto da “Samnium” 1942, 1945, 1946, poi in volume, Napoli 1946;
- G. CHIUSANO, Memorie conzane, Lioni 1969;
- A. CESTARO, Le diocesi di Conza e Campagna nell'età della Restaurazione, Roma 1971;
- G. FRATIANNI, La cattedrale di Conza. Note archeologiche e architettoniche, in “Civiltà altirpina”, n.s., 1990/2, pp. 8-14;
- G. FELICI, Il principato di Venosa e la contea di Conza dai Gesualdo ai Boncompagni Ludovisi, a cura di A. CAPANO, Venosa 1992;
- E. RICCIARDI, Conza in Campania dopo il terremoto del 1694, in “I Beni Culturali. Tutela e valorizzazione”, 1/1997, pp. 16-18;
- E. RICCIARDI, Conza. S. Maria Assunta, in Santuari della Campania, a cura di U. Dovere, Napoli 2000, pp. 329-330;
E. RICCIARDI, Appunti per una biografia di Alfonso Gesualdo (1540 - 1603), in «Archivio Storico per le Province Napoletane», CXXI (2003), pp. 149-171.
- M. CARLUCCIO, Conza della Campania. Il parco archeologico Compsa, Avellino 2002;
S. Erberto e la cattedrale di Conza, a cura della “Pro-loco Compsa”, Conza della Campania 2005
- E. RICCIARDI,La cattedrale di Conza ai tempi di monsignor Gaetano Caracciolo e la rinascita del culto di S. Erberto, in S. Erberto e la cattedrale di Conza, Conza della Campania 2005, pp. 49-74..
E. RICCIARDI, Gaetano Caracciolo arcivescovo di Conza (1682-1709), in “Archivio Storico per le Province Napoletane”, CXXIII (2005), pp. 319-358
[modifica] Evoluzione demografica
Abitanti censiti