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Martin Heidegger - Wikipedia

Martin Heidegger

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«Il più considerevole si mostra nel fatto che noi ancora non pensiamo»
(Che cosa significa pensare? - Martin Heidegger)

Martin Heidegger (Messkirch, 26 settembre 1889 - Friburgo in Brisgovia, 26 maggio 1976) fu un filosofo tedesco.

Indice

[modifica] Biografia

La vita di Heidegger si svolse pressoché interamente in Germania; egli infatti viaggiò pochissimo, quasi esclusivamente per alcune conferenze (ad es. a Roma, Zurigo etc.), o seminari. In sostanza, egli si dedicò per l'intera durata della sua esistenza all'insegnamento accademico e all'elaborazione delle sue opere filosofiche, alcune delle quali strettamente legate ai corsi universitari.

Nato nel 1889 a Messkirch, nel Baden, compie i primi studi a Costanza e Friburgo, diventando ben presto allievo del neokantiano Rickert; presso l'università di Friburgo conclude i suoi studi diventando libero docente con una dissertazione riguardante il pensiero di Duns Scoto. Divenuto nel 1916 assistente di Husserl, inizia con lui un periodo di intensa collaborazione e di ricerca, in particolare riguardante il pensiero di Aristotele, Kant e Fichte; nello stesso tempo, svolge esercitazioni accademiche sulla fenomenologia seguendo l'indirizzo tracciato da Husserl. Fra il 1923 e il 1927, divenuto professore presso l'università di Marburgo, svolge corsi su Platone, Hegel, Cartesio e sull'ontologia medievale; in questo periodo comincia il distacco da Husserl, che si concretizzerà poi nella pubblicazione, nel 1927, di Essere e tempo, l'opera principale della filosofia di Heidegger, dedicata al suo maestro e tuttavia segnata da una applicazione molto originale dell metodo e ai concetti della fenomenologia. Nel 1928 sarà proprio Heidegger a succedere, a Friburgo, nella cattedra che era stata di Husserl; la sua carriera universitaria lo porterà, in seguito, fino ad assumere il ruolo di rettore, sia pure per breve tempo, proprio mentre Husserl fu allontanato, a causa delle sue origini ebraiche, dall'insegnamento(ma Heidegger dimostrerà poi la sua estraneità a questo provvedimento). Dimessosi dal rettorato e rifiutato ogni coinvolgimento politico diretto(ma cfr. sotto per quanto riguarda il coinvolgimento di Heidegger col nazismo), continua a tenere i suoi corsi accademici, ma fino al 1942 non pubblica più alcuna opera. Fra i corsi più importanti di questo periodo, troviamo quello su Nietzsche, che verrà poi pubblicato solo nel 1961. Cessata l'interdizione accademica dovuta alle potenze occupanti nel periodo post-bellico, nel 1947 Heidegger pubblica un testo molto significativo, La dottrina platonica della verità, con una lettera sull'umanismo, in cui individua in modo esplicito i motivi che distinguono la sua filosofia, a suo dire niente affatto esistenzialistica, dall'esistenzialismo umanistico in quegli anni molto diffuso in Francia; la sua filosofia infatti è volta alla riflessione sull'Essere, e l'analitica esistenziale svolta in "Essere e tempo" svolge una semplice funzione propedeutica, rispetto a questo tema fondamentale. Proprio in questo periodo, infatti, egli comincia a tracciare, attraverso una serie di saggi e conferenze poi riuniti in varie raccolte, i temi di una svolta intellettuale che sposterà la sua ricerca dal tema del senso dell'essere a quello della verità dell'essere; per adeguarsi a questa svolta, anche il linguaggio delle sue opere diverrà sempre più vicino a quello della poesia e dunque più oscuro e ambiguo. D'altra parte proprio il tema del linguaggio e della poesia sarà uno dei più importanti in quest'ultima fase, come testimonia lo scritto "In cammino verso il linguaggio" del 1959, nonché gli incontri, avvenuti in quest'ultima fase della vita di Heidegger, con poeti come René Char e Paul Celan. Nel 1969 Heidegger, a 80 anni, accetta una intervista televisiva, svolta da Richard Wisser per la Zdf; in questa intervista e in altre conferenze e interviste giornalistiche di questi ultimi anni, centrale è la questione della tecnica, come evento dell'essere che scuote nel profondo l'uomo, minacciandolo nel suo stesso fondamento. A 87 anni morirà a Friburgo, nel 1976.

[modifica] Il coinvolgimento con il nazismo

Nel 1933 Heidegger fu nominato rettore dell'Università di Friburgo ed aderì al partito nazionalsocialista. In questa occasione egli pronunciò un discorso dal titolo "L'autoaffermazione dell'università tedesca", nel quale esortava coloro che erano dediti al servizio del sapere a mobilitarsi intellettualmente per la "riscossa" nazionalsocialista. Si dimise tuttavia dall'incarico di rettore nel 1934, pur continuando ad insegnare; da quel momento in poi Heidegger non partecipò più in alcun modo all'azione politica del nazismo. Nel 1987 un libro di Victor Farias ha sollevato nuovamente la polemica, del resto mai sopita sulla compromissione biografica e filosofica di Heidegger con la ideologia e la vicenda storica del nazismo. Heidegger in proposito non pronunciò mai una netta abiura a riguardo; nel 1967, interrogato in privato a Todtnauberg dal poeta ebreo Paul Celan, che gli rivolse dure parole contestandogli il suo passato nazista, il pensatore tedesco si rifugiò nel più assoluto silenzio. L'anno prima, Heidegger aveva rilasciato una intervista al quotidiano tedesco "Der Spiegel", disponendo però che la stessa apparisse solo dopo la sua morte. In questa intervista Heidegger, pur senza pronunciare alcuna abiura sul nazismo, svolse diverse considerazioni "politiche"; in particolare egli affermò di non essere sicuro che la democrazia sia il sistema di governo adeguato all'età della tecnica; e sottolineò, in particolare, che solo un saldo radicamento nella patria e nella tradizione può garantire l'uomo dalla minaccia del suo annientamento. In questo senso si può sicuramente parlare di una latente persistenza di aspetti ideologici di tipo reazionario, nel pensiero politico (perlopiù inespresso) di Heidegger. Molte sono state le reazioni e le interpretazioni, in particolare di condanna, seguite a questo comportamento quanto meno omissivo di Heidegger. Alcuni allievi o discepoli del pensatore tedesco, come ad es. Karl Löwith o Emmanuel Levinas, hanno preso le distanze sin dagli anni '30-'40, sottolineando anche quanto l'esplicito anti-umanismo dell'opera heideggeriana abbia contribuito, in un certo senso, all'elaborazione di una ideologia totalitaria negatrice dei diritti umani, quale quella nazista. Altri, come H.G. Gadamer, hanno preso le difese del maestro, sottolineando la superficialità di molte accuse, spesso scarsamente documentate e tendenziose. Altri ancora, come Derrida, hanno preso una posizione per certi versi neutrale e maggiormente filosofica, sostenendo che il silenzio di Heidegger sul nazismo scaturì dalla consapevole inadeguatezza del filosofo di misurarsi criticamente con lo spirito di questa ideologia.

[modifica] Essere e tempo

Allievo di Edmund Husserl, con la pubblicazione di Essere e tempo (1927), diede avvio al distacco dalla fenomenologia. L'opera venne interpretata all'epoca come esistenzialista, interpretazione che tuttavia Heidegger respinse a più riprese; sono tuttavia presenti, in quest'opera, profonde implicazioni con le tematiche esistenzialistiche affermantesi in quegli stessi anni anche in Francia sulla scia di pensatori come Kierkegaard, Nietzsche, Dilthey, Bergson e altri. L'opera è concepita da Heidegger come una analitica della condizione dell'esserci umano, con funzione preparatoria rispetto alla considerazione del senso dell'Essere e della sua relazione con la temporalità. Secondo Heidegger l'esserci( Dasein ) dell'uomo, inteso come riferimento costante di questi all'essere, esperisce l'esistenza innanzitutto e perlo più in una condizione deiettiva, ovvero si trova gettato nell'inautenticità. Di questa condizione di inautenticità, propria della quotidianità composta di istanti privi di valore, l'esserci umano può tuttavia riprendersi, raggiungendo la consapevolezza della finitezza della vita, che si mostra all'uomo nella sua unità come essere-per-la-morte. E' a partire da questa decisione anticipatrice, che la temporalità ritrova il suo senso nella dimensione dell'attimo(in questo senso Heidegger sembra rifarsi alvalore dell'attimo nella concezione dell'eterno ritorno proposta da Nietzsche); a partire da questo attimo fondamentale l'esistenza dell'uomo subisce una svolta di senso, che si realizza effettivamente nella modalità che Heidegger definisce della Cura, come aver-cura di sè stesso comprendendo la relazione profonda che lega in modo indissolubile l'esistenza umana alla temporalità. Questa stessa relazione si mostra quindi come il "senso dell'Essere", obiettivo della ricerca heideggeriana; essa tuttavia conosce a questo punto il suo arresto(secondo lo schema dell'opera, mancano infatti la terza sezione della prima parte e l'intera seconda parte, denominata Tempo ed essere). Heidegger spiegherà l'incompiutezza della sua opera con l'insufficienza, da lui avvertita, di un linguaggio filosofico che non fosse inestricabilmente compromesso con la metafisica, di cui egli si proponeva il superamento concettuale.

[modifica] L'evoluzione dell'ontologia

[modifica] Dal senso dell'Essere alla differenza ontologica

Il tema dell'ontologia, affrontato in modo non risolutivo nell'opera capitale del 1927, resta in ogni caso la questione centrale della filosofia di Heidegger anche nei decenni successivi.

Rispetto alla fase del pensiero di Heidegger rappresentata da Essere e tempo, nel corso degli anni Trenta del Novecento maturò tuttavia una svolta che si espresse soprattutto negli scritti pubblicati a partire dal decennio successivo, e tale svolta, pur ricollegandosi a spunti già ben presenti nel periodo precedente, si configurò come un passaggio dalla analitica esistenziale, concepita come fase preparatoria dell'ontologia vera e propria, alla riflessione esplicitamente ontologica.

Di questa nuova fase fu testimonianza un saggio del 1946 dedicato al famoso frammento di Anassimandro, in cui il pensatore presocratico affronta in modo criptico il tema della generazione e distruzione di ogni ente. Il filosofo tedesco partì da una traduzione letterale e tradizionale di quel frammento, del quale fornì, alla fine, un’interpretazione radicalmente nuova, in cui, forzando in modo piuttosto arbitrario la lettera del testo greco, individua nelle parole di Anassimandro la gratuità dell'iniziale e inaugurale pervenire dell'Essere al linguaggio, per così dire nella sua purezza pre-metafisica. Il suo metodo di indagine dopo la svolta si basò sempre più spesso sulla rilettura di testi poetici o filosofici ed in particolar modo di frammenti d’attinenza a pensatori greci arcaici, nel tentativo di ritrovare un linguaggio capace di riferirsi all'Essere senza cadere nelle formule tipiche della metafisica elaborata a partire da Platone, formule che comportavano inevitabilmente la riduzione dell'Essere a Ente, sia pure supremo, ovvero la soppressione della differenza ontologica.

[modifica] Essere come verità e storia dell'Essere

Si trattò, quindi, di far parlare quella stessa prospettiva ontologica che accomunava noi e gli antichi pensatori, entrambi coinvolti in un unico destino, di cui essi rappresentavano l’inizio e noi la fine. Sulla storia della filosofia prevaleva la filosofia della storia, una visione filosofica della storia per la quale l'Essere si disvela e ritorna a "nascondersi" nelle varie epoche: questa convinzione spingeva Heidegger a ricercarne il disvelamento o dispiegamento nel linguaggio frammentario e oscuro dei testi antichi. Secondo il consueto procedimento di Heidegger, l’essenza dell’Essere può essere chiarificata attraverso un’indagine linguistica, il che vuol dire anche etimologica. E' in questo senso che la ricerca sul senso dell'Essere si fa, a partire da questo momento, indagine sulla verità dell'Essere, cioè sull'Essere inteso come "alétheia". Questo termine era composto da "alfa privativa" che indicava appunto la negazione, e dalla radice della parola "léthe" (oblio), presente anche nel verbo "lantháno" significante "nascondere". In quanto "alétheia", quindi, l’Essere si rivela (termine che contiene in sè una contraddizione interna: manifestarsi, celandosi)come un uscir fuori dall’oblio e dall’essere nascosto; e tuttavia il termine primo di questa dialettica resta pur sempre l'oblio, un che di inespresso che sottrae l'Essere a ogni sua presentazione nell'ente(in questo aspetto si avvertono echi della teologia negativa, del resto ben nota al pensatore tedesco), e la storia dell'Essere è innanzitutto concepita da Heidegger come storia del suo nascondimento nel linguaggio e nel pensiero che attraverso il linguaggio si è espresso.

Alla verità dell'Essere, dunque, appartiene originariamente, etimologicamente la sua non-verità: a partire da questo aspetto quindi è possibile anche comprendere meglio il senso dell'inautenticità della condizione umana - centrale già in Essere e Tempo - che non è una connotazione morale, ma la modalità in cui innanzitutto e per lo più l'uomo esperisce il suo riferimento all'Essere.

Anche l’analisi della temporalità dell’Essere si fondava su un’indagine linguistica. Trattavasi, in questo caso, della parola "epoché", in greco "sospensione", che Heidegger collegò all’accezione di "epoca storica", definizione d'uso in molte lingue moderne. L’epoca era la forma propria della temporalizzazione, ed ogni epoca indicava una particolare modalità di sospensione dell’Essere, il quale, in quanto "alétheia", se per un verso si disvelava, per l’altro rimaneva sempre in qualche misura in sé stesso, appunto, in sospensione. E' caratteristica in questo senso l'interpretazione che Heidegger da' della storia della filosofia occidentale come storia della metafisica; la metafisica, in tale interpretazione, non è considerata come un errore filosofico, ma piuttosto come una modalità attraverso cui l'Essere si è dato al pensiero: nelle varie epoche, l'Essere è stato pensato in varie forme, ma sempre più riducendo e perdendo di vista la differenza ontologica. La metafisica è dunque appunto quella forma di pensiero che ha perso di vista la verità dell'Essere, ovvero l'Apertura entro cui l'Essere si da', illuminazione, che è però anche possibilità del suo stesso sottrarsi. La metafisica oblia l'essere, ma oblia anche il nulla, ovvero concepisce l'Essere a partire dalla presenza come unica dimensione della temporalità; ma con Nietzsche, avverte Heidegger, la storia della metafisica giunge al suo compimento, perché egli per primo pone in evidenza il nesso fondamentale che lega l'Essere al nulla, una volta che l'essere sia stato completamente identificato con la presenza stessa(cioè: solo cio che è presente esiste). Il nichilismo non è quindi una degenerazione del pensiero, ma un evento dell'Essere: esso ci permette di intravedere la possibilità di un superamento della metafisica, ovvero della condizione in cui dell'essere non ne è più nulla, purché la filosofia ponga in questione il suo stesso fondamento, ovvero la dimensione della presenza attraverso cui essa finora si è pensata e identificata. A partire da questa riflessione si sviluppa perciò, nella filosofia di Heidegger, una nuova considerazione del tempo e dell'essere: l'esser-presente, che consente all'ente di manifestarsi nella dimensione della presenza, è in realtà la quarta dimensione del tempo, l'unità a partire dalla quale si determinano tutte le altre tre dimensioni. Questa concezione, piuttosto complessa, della temporalità spinge Heidegger a concepire il darsi e sottrarsi dell'Essere, proprio di questa quadridimensionalità del tempo, come Es gibt(letteralmente: "esso da'"): dell'essere non si può dire che è (perché questo significherebbe considerarlo solo nella dimensione della presenza), ma solo che "si da'". E il soggetto di questo darsi(o ritrarsi) dell'essere è identificato da Heidegger come Ereignis, lett.: l'evento.

[modifica] L'essere come evento

Si rende qui palese un ulteriore cambiamento di prospettiva nell'ontologia heideggeriana; la riflessione sulla verità dell'essere ha mostrato come all'essere stesso appartenga, in modo inscindibile, il suo darsi ma anche il suo ritrarsi nella temporalità. Si può quindi affermare che essere e tempo sono uniti da una comune origine, che è individuata da Heidegger nell'Ereignis, ovvero l'evento.

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«Ciò che determina ambedue, tempo ed essere, in ciò che è loro proprio, cioè nella loro co-appartenenza, noi lo chiamiamo Das Ereignis (l'evento).»
(Tempo ed essere - Martin Heidegger)

Il concetto cui Heidegger fa qui riferimento, ovvero l'Ereignis, non va inteso però come puro accadimento. Bisogna piuttosto tener presente, nell'interpretare questo come altri concetti heideggeriani, che il pensatore tedesco intende ricercare nel linguaggio stesso il dettato che l'essere stesso ha consegnato all'uomo, sotto forma di Logos; una sorta di sapere nascosto, che la filosofia ha il compito di riportare alla luce, nel momento stesso in cui si propone di superare l'oblio dell'Essere proprio della metafisica. L'Ereignis è in questo senso l'accadimento del proprio ( Eigen=proprio): esso riconduce l'uomo in ciò che gli è proprio (appropriazione, ovvero Ereignen = donando essere e tempo), ma si preserva, sottraendosi ( Enteignen=dis-propriazione, ovvero mantenersi di essere e tempo nel riserbo del nascondimento). Nel saggio "Sul problema dell'essere", Heidegger giungerà a scrivere la parola Sein, cioè essere, con una barratura incrociata; tale barratura vuole essere appunto l'espressione di una considerazione non più metafisica dell'Essere, che appunto ora viene pensato come evento, che si apre, secondo Heidegger, in quattro direzioni: l'evento è qui pensato come Quadratura (Geviert). Il moto di appropriazione e dispropriazione interno all'Ereignis è qui ripensato come il gioco con cui i Quattro(Terra e Cielo, Divini e Mortali) si mantengono nella reciproca appartenenza, pur conservando la propria libertà. La formulazione di questo pensiero, con cui Heidegger conduce la sua ontologia alla massima ambiguità e oscurità, è in realtà il tentativo del pensatore tedesco di utilizzare un linguaggio poetico e non metafisico, dunque inconsueto e apparentemente poco rigoroso, per sottrarre il pensiero dell'Essere alle capziosità proprie della logica tradizionale. Il pensiero, per riportarsi sulla via dell'essere, dovrà quindi mettersi in cammino verso il linguaggio, lì dove l'essere si rivela come ciò che trascende ogni parola e tuttavia ne è il fondamento. In questo senso Heidegger può affermare che la "filosofia è alla fine" e che essa deve farsi "pensiero poetante" e "poesia pensante"; esso infatti deve ricercare l'essere non nella semplice-presenza degli enti reali, e neppure nell'esistenza dell'uomo(il che comporterebbe una ricaduta umanistica, che egli rimprovera ai filosofi francesi), ma rammemorando l'antica sapienza riposta nel linguaggio, che sfugge alle fredde categorie della logica.

[modifica] L'esistenzialismo e l'etica

Il pensiero di Heidegger si configura essenzialmente come ontologia; in questo senso egli, pur nella evoluzione della sua filosofia, non formulò mai esplicitamente principi o teorie di carattere etico, giacchè l'etica riguarda la condizione esistentiva(cioè strettamente ontica, non ontologica) di un ente particolare, che è l'uomo, e non l'essere, oggetto dell'ontologia. Si possono tuttavia distinguere tre tappe nella trattazione del tema dell'etica, da parte di Heidegger:

  • l'analitica esistenziale svolta in "Essere e tempo";
  • la descrizione dell'ontologia come etica originaria, nella "Lettera sull'umanismo";
  • l'analisi del rapporto dell'uomo con la tecnica, svolta nella conferenza "L'abbandono".

Per quanto riguarda l'opera capitale della Seinsfrage(la questione dell'essere)heideggeriana, sono molteplici gli spunti etici presenti. Va tuttavia tenuto presente che Heidegger, pur distinguendo fra condizione inautentica, ovvero deiettiva, dell'essere umano, caratterizzata dalla chiacchiera, dalla curiosità e dall'equivoco come modo di prendersi cura delle occupazioni della vita quotidiana, e condizione autentica, caratterizzata dalla Cura in quanto progetto totalizzante dell'esserci, che considera la propria temporalità a partire dalla decisione anticipratice per la propria morte, non svolge affatto questa distinzione in un'ottica che potremmo chiamare etica o morale: inautentico è il modo di essere in cui l'esserci è innanzitutto e perlopiù, la sua condizione normale, laddove l'autenticità è una condizione di eccezione che, in un certo senso, conferma la normalità della deiezione. Il "si", ovvero la molteplicità indistinta cui soggiace l'esserci nella sua condizione deiettiva, non è quindi una massa informe, ma un caleidoscopio di relazioni che Heidegger concepisce a partire dalla struttura esistenziale del mit-sein, ovvero dell'essere-insieme: l'esserci non è mai da solo, ma fa parte della sua stessa natura ontologica, il suo essere-con-altri esserci come lui. In questo senso si può dire, come Heidegger stesso afferma nella lettera sull'umanismo, che

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«...se in conformità al significato fondamentale della parola ethos, il termine etica vuol dire che con questo nome si pensa il soggiorno dell'uomo, allora il pensiero che pensa la verità dell'essere(...)è già in sè l'etica originaria»

E' infatti nella lettera sull'umanismo che Heidegger risponde nel modo più esplicito alla pressante richiesta di un'etica che completasse la sua ontologia. Heidegger, risalendo al detto di Eraclito , secondo il quale "il carattere proprio dell'uomo è il suo demone", porta a fondo l'analisi di questo frammento, interpretando etimologicamente la parola ethos come soggiorno, ovvero dimora: ed il linguaggio, in questa seconda fase del pensiero di Heidegger, viene ad essere considerato appunto come il luogo aperto, la dimora, in cui al soggiorno dell'esserci, corrisponde la possibilità che l'essere si manifesti nella sua verità(verità che contiene in sè, come abbiamo detto, la possibilità del suo nascondimento). In un celebre passaggio della lettera sull'umanismo, Heidegger afferma che:

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«Il linguaggio è la casa dell'essere. Nella sua dimora abita l'uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora.»

L'uomo, quindi, non può imporre all'essere la sua verità, ma si deve piuttosto comportare, nei confronti di ciò che è(dell'essere), come nei confronti dell'ospite atteso: custodire e preparare la dimora, rammemorando un incontro passato, e predisponendosi consapevolmente alla possibilità di un incontro futuro. E sono innanzitutto i poeti e i pensatori, in quanto più essenzialmente vicini alla cura del linguaggio, coloro che meglio di ogni altro sapranno, secondo Heidegger, disporsi all'avvento dell'Essere. Nella stessa lettera sull'umanismo, Heidegger respinge fermamente ogni possibilità di definire dei valori etici in modo più preciso. Il pensare per valori, afferma Heidegger, è la più grande bestemmia che si possa fare contro l'essere. Il pensiero dell'essere, invece, non è nichilistica negazione dei valori, ma ripresa della differenza ontologica, che consente all'uomo di esperire la trascendenza dell'essere rispetto all'ente, e quindi di abbandonare la pretesa di impossessarsi dell'ente e di manipolarlo riducendolo a mero oggetto della propria tecnica.

E' proprio a partire da questa considerazione estremamente critica della questione della tecnica e dei suoi riflessi sulla condizione umana e sul suo rapporto con l'Essere, che Heidegger riprende il tema dell'etica originaria, nella conferenza intitolata "L'abbandono". Il termine che Heidegger adopera in questa conferenza è "Gelassenheit", termine che, come sempre accade nell'ultima fase del pensiero di Heidegger, pone significativi problemi di traduzione. Il pensatore tedesco intende con questo termine richiamare l'uomo a un atteggiamento speculativo di fronte alla realtà, che consiste, a suo avviso, in un raccoglimento (cui allude il prefisso tedesco ge-), che lascia-essere (lassen, come verbo, indica appunto l'atteggiamento del lasciare, come l'inglese to let)le cose così come sono, senza intervenire. In questa ultima fase, Heidegger volge il suo pensiero a un atteggiamento per così dire mistico, sintetizzabile nella formula "ormai solo un dio ci può salvare", che egli pronunciò in una celebre intervista. Egli intende lanciare una sorta di allarme nei confronti della tecnica, con cui l'uomo mette a repentaglio sè stesso, nell'obiettivo di conseguire il dominio sull'ente, obiettivo che lo ha infatti portato - come Heidegger sottolinea in questa conferenza - sulla soglia dell'era atomica. Si tratta quindi, di fronte al mondo della tecnica, di conseguire un'etica originaria, basata su un duplice atteggiamento:

  • l'abbandono alle cose, che consiste, nel senso sopra specificato, in un atteggiamento di pensiero che, rifiutando il pensiero calcolante proprio della tecnica, ri-medita il senso profondo della relazione fra l'uomo e l'ente, fino a cogliere quel senso che nel mondo della tecnica si cela, che è la verità dell'essere(considerata come aletheia, cioè come verità celata, ri-velazione).
  • l'apertura al mistero, che consiste nel mantenersi aperti, mediante questa meditazione sulla tecnica, alla possibilità di una nuova manifestazione della verità dell'essere.

In questo atteggiamento per così dire mistico e meditabondo, culmina e si conclude il percorso di pensiero di Heidegger, il quale, per sintetizzare l'etica che egli propone all'uomo della tecnica, cita le parole del poeta tedesco Hebel, il quale scrisse:

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«Siamo disposti o no ad ammetterlo, noi siamo piante che debbono crescere radicate nella terra, se vogliono fiorire nell'etere e dare i loro frutti.»

[modifica] La questione del linguaggio

[modifica] La questione della tecnica

[modifica] Estetica

[modifica] Influenza su altri filosofi

La filosofia di Heidegger ha avuto un enorme influenza sul pensiero di tutto il XX secolo. Importante è stata non solo la recezione e l'interpretazione che ne è stata fatta da numerosissimi filosofi, a partire dai suoi allievi, ma anche gli sviluppi che questa filosofia ha avuto in campo psicologico, ad es. con la psicologia esistenziale di Binswanger, ovvero con la psicanalisi di Lacan, e nel campo letterario, dove la prosa particolarissima e criptica di Heidegger ha influenzato notevolmemente in particolare la poesia(si pensi al rapporto peculiare fra Heidegger e Celan, o a certi aspetti dell'ermetismo e del surrealismo).

[modifica] La ricezione critica

[modifica] Anticipatori di Heidegger

Fra gli anticipatori di Heidegger e i filosofi che in vari modi possono essergli avvicinati ci sono Friedrich Nietzsche, il poeta Friedrich Hölderlin, Søren Kierkegaard e, indirettamente (tramite Nietzsche), Ralph Waldo Emerson, che hanno già svolto prima di Heidegger riflessioni per certi versi analoghe, fra l'altro, sulla poesia, la tecnica, l'essere, la temporalità, l'abitare.

[modifica] Curiosità

In seguito alla pubblicazione di numerose fotografie di Heidegger, che lo ritraevano in atteggiamenti di vita quotidiana nella sua baita di Todtnauberg, nella Foresta Nera, il famoso scrittore austriaco Thomas Bernhard ha stigmatizzato causticamente la figura del pensatore, ritraendolo nel suo romanzo "Antichi Maestri" con una satira molto aggressiva. Eccone una breve citazione:

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«...in Heidegger mi ha sempre disgustato tutto, non soltanto il berretto da notte in testa e i mutandoni invernali tessuti a mano e stesi sulla stufa che lui stesso si accendeva a Todtnauberg, non soltanto il suo bastone da passeggio della Foresta Nera tagliato in casa, ma per l’appunto la sua filosofia della Foresta Nera fatta in casa, tutto in quest’uomo tragicomico mi ha sempre disgustato...»

[modifica] Bibliografia

La bibliografia di Heidegger è molto ricca di opere. Per brevità, ci riferiamo qui alle opere principali, nella loro edizione italiana, indicando fra parentesi la data dell'edizione originale.

[modifica] Voci correlate

Storia della filosofia | Filosofi | Discipline filosofiche | Opere filosofiche

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