Cappella Colleoni
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La Cappella Colleoni, opera rinascimentale di Giovanni Antonio Amadeo, si trova nella piazza Duomo di Bergamo alta, addossata alla basilica di Santa Maria Maggiore.
Indice |
[modifica] Storia
Voluta da Bartolomeo Colleoni, quale mausoleo proprio e per l'amatissima figlia Medea, sepulcrum sibi vivus extruxsit [...] pro patrie munificenzia et imperii maiestate,[1] dedicata ai santi Bartolomeo, Marco e Giovanni Battista, venne costruita tra il 1470 e il 1476 ma non completata del tutto, alcune opere vennero aggiunte successivamente.
Si è discusso su queste date specialmente su quella d'inizio, voluta da alcuni nel 1470 e da altri, come il Belotti, nel 1472. Entrambe possono esere accettate laddove si dia credito allo scrittore seicentesco Donato Calvi che nel 1476 affermava che l'1 giugno 1470
La costruzione vera e propria del complesso munumentale iniziò, invece, nel corso del 1472 con l'abbattimento della sagrestia di Santa Maria Maggiore, sagrestia la cui esistenza agli inizi del 1472 è provata da una supplica dei rettori della chiesa al Colleoni che eum rogabant ne destrueret. [2]
[modifica] Manu militari
L'abbattimento della sagrestia di Santa Maria Maggiore per fare posto al Mausoleo ha fatto nascere la questione se sia stato un atto di soldatesca iattanza[3] del Colleoni, stanco delle lungaggini burocratiche che ritardavano l'inizio dei lavori, o sia avvenuto con l'accordo degli amministratori della chiesa.
La lettura del mastro di contabilità della nuova sagrestia laddove dice che la precedente era stata ruinata ac accepta per Illustrem condam Bertolomeum colionum[4] ha fatto nascere quella che monsignor Angelo Meli, uno dei maggiori studiosi della Cappella, definisce la leggenda dell'intervento armato. Si è inteso il termine ruinata come conseguenza dell'azione violenta del potere militare mentre voleva esprimere solamente il fatto fisico dell'abbattimento in sé senza con ciò volerlo derivare da una azione armata.
A sostegno dell'abbattimento concordato c'è la dichiarazione di Vanoto Colombi, un fedelisssimo del Capitano Generale, che il 4 aprile 1483 testimoniava che la sagrestia
![]() «destructa fuit et ruinata de consensu tamen presidentium et gubernantium ipsam eclesiam»
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![]() «fu distrutta e abbattuta con il consenso dei rettori e degli amministratori della stessa chiesa,»
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ma l'affetto e la fedeltà del Colombi verso il Capitano la rendono sospetta.
Certo è che il potere e il carisma del Colleoni erano tali da imporsi da soli senza che occorresse l'intervento di soldati.
Il dubbio è destinato a rimanere ma è poca cosa di fronte allo splendore del mausoleo che Bartolomeo Colleoni, pur volendolo per sé, ha lasciato alla sua città arricchendone il patrimonio artistico con un'opera di universale bellezza.
Per quanto riguarda la data finale del completamento dei lavori è ritenuto corretto il 1476 anche in considerazione del fatto che l'Amadeo nel 1474 lavorava alla Certosa di Pavia, cosa che non gli sarebbe stato permesso se la cappella non fosse già stata ultimata e che nel 1475 chiese il saldo dele sue spettanze.
[modifica] L'architettura
L'Amadeo adottò una soluzione architettonica che trova un'accordo formale con la basilica cui si affianca nel tamburo ottagonale e nella cuspide della lanterna. La scelta della copertura e la policromia dei marmi riprendono il protiro di Giovanni da Campione, esaltano le caratteristiche da mausoleo ma rendono allo stesso tempo l'edificio adatto alle celebrazioni liturgiche.
È il capolavoro di Giovanni Antonio Amadeo, un'opera di eccelsa fattura dall'ispirazione composita, saldamente radicata nel medioevo ma proiettata nel Rinascimento lombardo, completato da addizioni successive che rinviano al manierismo barocco.
Il movimento dei volumi e la loro tensione verso l'alto alleggeriscono la costruzione mentre l'insieme delle sculture, che ne fanno parlare la facciata con i loro significati simbolici, la rendono un'allegoria del cursus honorum del condottiero che l'aveva voluta.
[modifica] Facciata
La facciata, composta da tarsie e decorazioni in marmi policromi a losanghe bianche, rosse e nere, ha un rosone sopra il portale, ai lati del quale sono due medaglioni che raffigurano Cesare e Traiano. La sua geometria si sviluppa in senso verticale, seguendo tre fasce parallele, racchiusa da due lesene istoriate culminanti in due pinnacoli uniti da una elegante loggia alleggerita da dieci bifore.
La copertura è formata da un tamburo ottagonale, che poggia sulla loggetta, e dalla cupola a spicchi che termina con la lanterna. Nel tamburo c'è un piccolo rosone, in asse con quello maggiore sottostante, che contiene il serpente di bronzo di Mosè quasi a sottolineare una linea di continuità tra il personaggio biblico e il Colleoni.
La parte alta del basamento contiene nove formelle con bassorilievi raffiguranti storie bibliche e quattro bassorilievi con la vita di Ercole. Sopra le lesene delle finestre ai lati del portale, lavorate con motivi floreali e medaglioni con piccoli busti, vi sono le quattro statue delle Virtù.
La cancellata in ferro battuto, su cui è lo stemma della famiglia Colleoni, è invece del 1912, ed è stata realizzata da Vincenzo Muzio su disegno di Gaetano Moretti.
[modifica] Interno
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L'interno è costituito da un ambiente a pianta quadrata e da un'altro, in posizione laterale, più piccolo con il presbiterio.
Il cenotafio del Colleoni (morto il 3 novembre 1475) è posto sulla parete di fronte all'ingresso.
I pilastri, che hanno alla base delle teste di leoni, sostengono un primo sarcofago con bassorilievi con Scene della crocefissione di Cristo; sopra vi è un secondo sarcofago sostenuto da tre statue, anch'esso con bassorilievi che raffigurano le scene dell'Annunciazione, della natività di Cristo e dell'adorazione dei Magi.
La statua equestre del condottiero in legno dorato, realizzata da Sisto e Siry da Norimberga nel 1501, conclude la struttura piramidale del monumento. Il sarcofago superiore e la statua equestre affiancata dalle statue di Dalila e Giuditta, che vi poggiano, sono racchiusi da un arco sorretto da due coppie di leggere colonne portate da basi di marmo rosso scolpito, il tutto su uno sfondo turchino che restituisce un insieme policromo di eccezionale eleganza e bellezza.
Il monumento funebre di Medea, figlia prediletta del Colleoni, morta il 6 marzo 1470, anch'esso opera dell'Amadeo, si trova sulla parete di sinistra.
Sul sarcofago giace una gentile statua di Medea, supina con un'espressione serena quasi dormiente, protetta da una delicata Maternità inserita fra santa Chiara e santa Caterina in un complesso visivo di grande dolcezza.
Sul fronte ritornano, quasi a contrasto con la leggiadria della scena, le armi del Colleoni: i testicoli colleoneschi e i gigli di Andegavia che con le fasce borgognone racchiudono una Pietà, a memoria costante della forza e del potere raggiunti.
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Il sarcofago ha avuto la collocazione attuale solo nel 1842, quando è stato trasferito dal Santuario della Basella di Urgnano dove si trovava fino a quella data.
Sotto il monumento, il bancale in noce con tarsie bibliche è opera di Giacomo Caniana, 1785.
Il presbiterio, a cui è annessa una piccola sagrestia, ha un altare scolpito da Bartolomeo Manni nel 1676 su cui sono le statue di San Giovanni Battista, San Bartolomeo apostolo e San Marco evangelista.
I banchi intagliati sono opera di Giovanni Antonio Sanz e le tarsie bibliche sono sempre del Caniana, (1773); alla parete è la tela La Sacra Famiglia con S.Giovanni Battista, di Angelika Maria Kauffmann, 1789.
Gli affreschi dei pennacchi, delle lunette e della cupola riproducenti Episodi della vita di San Giovanni Battista, di San Marco e di San Bartolomeo sono di Giambattista Tiepolo, che li realizzò tra il 1732 e il 1733 su incarico dei Reggenti del Luogo Pio della Pietà Bartolomeo Colleoni.
Le lunette sono state restaurate nel 1996.
[modifica] Il simbolismo
La cappella è formalmente un luogo cristiano ma sostanzialmente un mausoleo, apoteosi della forza e del trionfo di un imperator, il Colleoni, discendente da Ercole come amava definirsi.
Il complesso è
La facciata, con i suoi ornamenti e con il gioco dei volumi ascendenti, quasi piega il sacro al pagano nell'esaltazione di un condottiero che equipara a Cesare e a Traiano.
Al centro della facciata campeggia uno splendido rosone, fonte di luce primaria per l'interno della cappella, luce che, tuttavia, si proietta non sull'altare ma sul monumento equestre del Colleoni che domina prepotente sui simboli religiosi presenti quasi timidamente. Il presbiterio e l'altare sono sistemati in un locale laterale in una posizione che può apparire secondaria, mentre lo scenario è monopolizzato dal condottiero che con il suo monumento dorato si impone al visitatore.
Il rosone contiene una ruota, comunemente simbolo di rinascita ma qui allegoria del sole, quel sole che diede la vittoria a Giosuè di cui Bartolomeo si sentiva erede. Un simbolo che
Le trabeazioni delle finestre laterali si inseriscono nel rosone quasi a fermare il movimento della ruota, in questo caso della fortuna, a sottolineare il momento in cui il condottiero raggiunse l'acme della virtus e della potenza.
Avvalorano questa lettura la presenza sul rosone di una statua di un soldato romano in postura di compiaciuta attesa e i busti di Cesare e Traiano che si protendono in uno sforzo evidenziato dalla tensione dei muscoli del collo.
L'opera, tutta, dà
Il cristiano si confonde col pagano, chiesa che testimonia il cammino verso Dio o tempio che divinizza l'imperator come richiamano le iscrizioni sotto i due busti romani, Divus Iulius Caesar e Divus Traianus Augustus.
Le finestre che affiancano l'ingresso contengono delle colonne che richiamano dei fusti di cannone, proprio quei fusti che il Colleoni liberò dall'affusto fisso rendendoli facilmente spostabili, creando così l'artiglieria mobile.
Tutto nella cappella esalta il miles in uno strano miscuglio di religiosità e laicismo di cui è difficile individuare i confini e le prevalenze.
[modifica] Il mistero
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«E tu, Bergamo, il suo sepolcro vano
chiudi.» |
(Gabriele D'Annunzio, Le città del silenzio)
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Per secoli si è creduto che la salma di Bartolomeo Colleoni non si trovasse nel mausoleo ma in qualche altro luogo poiché i sarcofaghi risultavano vuoti ad ogni ispezione, alimentando un appassionante mistero storico sulle sorti dei resti del condottiero.
Si arrivò anche alla leggenda, nata e propagatasi spontaneamente, dello spostamento del feretro dall'arca ad altro sito, forse sotto il pavimento di Santa Maria Maggiore, per ordine di San Carlo Borromeo, basata sul fatto reale che a seguito di una visita pastorale del cardinale, 1575, erano stati effettivamente tolti dalla cappella alcuni cimeli .
![]() «[...] vexilla appensa tollantur intra triduum, nec ullo modo restituantur.»
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![]() «[...] siano tolti entro tre giorni i vessili appesi e non più rimessi.»
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(Card. Carlo Borromeo, decreto 1575, ex Meli, op. cit.)
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La leggenda rimase tale, non comprovata da alcun cenno negli atti della visita pastorale, ed è impensabile che questa omissione fosse deliberata o casuale, specialmente in considerazione della riforma ecclesiastica che il Borromeo stava portando avanti con forza e determinazione: un trasloco così importante e particolarmente sentito dalla comunità bergamasca non avebbe potuto essere fatto senza un provvedimento formale.
Il cardinale, d'altra parte, mantenne il feretro di Medea nel suo sepolcro nella chiesa di Santa Maria di Basella di Urgnano e un comportamento diverso nei confronti di quello del padre, Bartolomeo, sarebbe stato contradittorio e incomprensibile.
È probabile che quella diceria si fosse diffusa per il bisogno di dare una spiegazione razionale alla scomparsa dei resti del Colleoni.
La soluzione del mistero parve arrivare il 14 gennaio 1950 con la riapertura di una massiccia arca lapidea di tipo barbarico già ritrovata l'11 luglio 1651 sotto il pavimento di Santa Maria Maggiore e contenente
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«[...] alquante ossa di statura et misura longhissima, quasi di gigante, et con l'ossa un bastone et una spada di legno [...]»
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(relazione Donato Calvi, 1651, ex Meli, op. cit.)
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La commissione che presenziò a questa riesumazione dichiarò frettolosamente che i resti appartenevano al Colleoni senza rilevare le evidenti contraddizioni che vi si opponevano. Non si spiegava il perché dell'utilizzo di un'arca altomedievale, l'assenza di qualsiasi elemento di identificazione del feretro, la presenza di una spada di legno anzicché di una vera, l'altezza dello scheletro non corrispondente alla statura tramandataci del Colleoni.
I dubbi, mai sopiti, portarono al riesame dei reperti ad opera di una commissione, indicata dal Ministero della Pubblica Istruzione, presieduta da padre Agostino Gemelli che il 21 maggio escluse che le ossa in questione appartenessero al Colleoni: si concludeva una vicenda ma il mistero rimaneva, anzi vi si aggiungeva quello della vera appartenenza delle ossa, forse di un guerriero medievale mentre rimaneva inspiegabile la spada di legno.
[modifica] La soluzione
L'interesse sulla sorte dei resti del Colleoni si era affievolito col passare dei secoli e nonostante sporadiche ispezioni in una sorta di distratta rassegnazione fino al 1922 quando, il 15 giugno, Vittorio Emanuele III durante una visita ufficiale chiese agli accompagnatori dove si trovassero le spoglie del condottiero, creando una situazione di disagio perché nessuno fu in grado di dare una risposta. Questo fatto, particolarmente imbarazzante e in un certo senso umiliante per gli autorevoli ospiti che avrebbero dovuto rispondere, spinse a nuove ricerche e a nuove ipotesi che, tuttavia, non sciolsero il mistero secolare infittito dall'anonimato del feretro contenuto nel sarcofago barbarico rinvenuto nella basilica di Santa Maria Maggiore.
Solamente monsignor Meli insisteva sulla presenza del corpo del Colleoni all'interno della cappella perché così volevano tutte le testimonianze dell'epoca.
Marin Sanudo descrivendo, nel 1483, la Cappella fu particolarmente esplicito,
Questa narrazione di un osservatore che scriveva pochi anni dopo lo svolgimento dei fatti si aggiungeva ad altre meno esplicite ma tutte coerenti verso la tumulazione dentro la cappella, mentre non esisteva alcuna altra testimonianza che affermasse cosa contraria se non il fatto che le arche erano vuote.
I tentativi successivi alla visita di Vittorio Emanuele III furono senza esito, ma posero nuovamente il problema all'attenzione della comunità storico-scientifica sotto la spinta della convinzione del Meli che insisteva per la presenza, seppure non provata, del feretro dentro la cappella.
Nel 1968 fu coinvolta la fondazione Lerici che, nel novembre 1969, inviò propri tecnici dotati di nuovi strumenti di prospezione magnetometrica.
L'ispezione si svolse nella giornata del 21 novembre 1969 attraverso due fasi pressoché contemporanee, una emprica e una geofisica.
Si saggiò con un bastone il fondo dell'arca maggiore che diede una risonanza inconsueta mentre la fortuita caduta di un pezzo della lastra di copertura produsse nell'asse sottostante una fessura dalla quale si intravvedevano quelle che sembravano essere delle ossa.
La prospezione geofisica segnalò, al contempo, la presenza di oggetti metallici variamente disposti alimentando una speranza che si sostituì al disinganno.
Alle ore quattordici e trenta si procedette alla rottura di
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«uno strato ondulato di calce, ed ecco apparire di sotto una cassa lunga e piatta: il beffardo ingannatore.»
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(A. Meli, Bartolomeo Colleoni ritrovato nel suo mausoleo, Bergamo, Il Coventino, 1970)
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La cassa fu aperta alle sedici circa e apparve il feretro di Bartolomeo Colleoni con le braccia incrociate, in buono stato di conservazione con l'abbigliamento che una spia sforzesca aveva descritto
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«Vestito duno zupone de raso carmesino: calze de grana, una turca de panno dargento, Guanti, Spata et Speroni, et col bastone et bereta capitanesca.»
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(ex A.Meli, ibid.)
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Tutto corrispondeva tranne la spada che non fu trovata subito ma il 5 febbraio 1970 in occasione della pulitura della bara: era nascosta dal corpo del Capitano General.
La bara conteneva anche una targa di piombo a memoria del personaggio sepolto
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«BARTOLOMEUS COLIONUS
NOBILIS BERGO. PRIVILEGIO ANDEGAVENSIS ILL.MI IMPERIJ VENETORUM IMPERATOR GENERALIS INVICTUS VIXIT ANNOS LXXX IMPERAVIT IIII ET XX OBIIT. III. NO. NOVEMBRIS CCCCLXV SUPRA MILLE» |
Il Colleoni fu sepolto nel suo monumento il 4 gennaio 1476, due mesi dopo la morte, 3 novembre1475, perché a quella data non era stato ancora completato del tutto: riposa tuttora là.
Oggi D'Annunzio non canterebbe più
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«E tu Bergamo, il suo sepolcro vano
chiudi.» |
[modifica] Analisi artistica
Una presentazione analitica commentata delle opere d'arte della cappella a cui questa voce fa riferimento si trova qui.
[modifica] Note
- ↑ Antonio Cornazzano, Vita di Bartolomeo Colleoni , Vecchiarelli, 1990.
- ↑ ex A. Meli, Bartolomeo Colleoni nel suo mausoleo, Bergamo, Flash, 2000
- ↑ Bortolo Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, Bergamo, Bolis
- ↑ ex A. Meli, op. cit.
[modifica] Bibliografia
- Joanne G. Bernstein, Milanese and Antique Aspects of the Colleoni Chapel, Site and Symbolism - Milano, Arte Lombarda, 1974.
- Susanna Bortolotto, Restauro conservativo della Cappella Colleoni - Milano, S.S.D, 1994.
- Efrem Bresciani, Cappella Colleoni in Bergamo - Milano, Guerini, 1995. ISBN 8878026093
- Peter Burke. Cultura e società nell'Italia del Rinascimento. Bologna. Il Mulino. ISBN 8815081100.
- Peter Burke. Il Rinascimento. Bologna, Il Mulino, 2001. ISBN 8815083979.
- Antonio Cornazzano. Vita di Bartolomeo Colleoni, a cura di Giuliana Crevatin. Manziana, Vecchiarelli ed., 1990. ISBN 8885316166.
- Garin Eugenio. Medioevo e Rinascimento. Bari, Laterza, 2005. ISBN 8842076694.
- Alberto Fumagalli, Segno dell'Amadeo, la facciata della cappella Colleoni - Bergamo, CCIA, 1985.
- Eugenio Garin (a cura di). L'uomo del Rinascimento. Bari, Laterza, 2000. ISBN 8842047945.
- Lubrina edit. a cura, Cappella Colleoni in Bergamo, restauro sculture - Bergamo, Lubrina, 1990.
- Piero Operti. Bartolomeo Colleoni. Torino, S. E. I. 1964. SBN SBL0421295.
- Friedrich Piel, La Cappella Colleoni e il Luogo pio della Pietà in Bergamo - Bergamo, Luogo pio della pietà Bartolomeo Colleoni, 1975.
- Adolfo Ragioneri; Antonio Martinelli. Bartolomeo Colleoni dall'Isola all'Europa. Bergamo, CII, 1990. SBN CFI02003337.
[modifica] Voci correlate
[modifica] Collegamenti esterni
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