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Inceneritore - Wikipedia

Inceneritore

Da Wikipedia.

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Gli inceneritori, così come gli inceneritori con recupero energetico, detti anche anche termovalorizzatori, sono impianti che smaltiscono rifiuti (generalmente i rifiuti solidi urbani, che trattati adeguatamente vengono definiti CDR, ovvero combustibile derivato dai rifiuti) usandoli come combustibile per produrre calore e/o elettricità.

Denominazioni e funzioni

Inceneritore di Kwai Chung, Hong Kong, attualmente dismesso
Inceneritore di Kwai Chung, Hong Kong, attualmente dismesso

Indice

Spesso gli inceneritori vengono chiamati "termovalorizzatori". La differenza sostanziale rispetto a un semplice inceneritore è che un termovalorizzatore oltre a incenerire i rifiuti riutilizza parte del calore come in una piccola centrale elettrica, anche se con rendimenti molto inferiori.

Il termine "termovalorizzatore" è tuttavia criticato, in quanto il riuso ed il riciclo sono nettamente più "valorizzanti" dell'incenerimento: per esemplificare, si risparmia molta più energia riutilizzando e riciclando una bottiglia di plastica di quanta energia non si ricavi dalla sua combustione, perché quest'ultima permette di recuperare solo una minima parte dell'energia e delle materie prime consumate per produrla; d'altro canto – anche in una situazione ideale di alti valori di riciclo e recupero – è necessario smaltire, eventualmente anche mediante incenerimento, i rifiuti residui dell'intero processo di gestione dei rifiuti.

Sono inoltre da considerare le emissioni più o meno tossiche che si ottengono con l'incenerimento, e che invece con il riciclo ed il riuso sono minori anche se difficilmente valutabili. Il termine "termovalorizzatore" appare dunque fuorviante: è opportuno utilizzare gli inceneritori esclusivamente per i rifiuti non riciclabili.

La stessa normativa italiana in materia – come quelle europee – non usa il termine "termovalorizzatore", bensì quello di "inceneritore", che del resto è più preciso perché questo strumento si differenzia da altre tecniche di recupero di energia da rifiuti per il fatto che dà come prodotto finale della cenere, per l'appunto. D'altronde, anche il solo termine inceneritore potrebbe essere considerato fuorviante e impreciso, perché i termovalorizzatori non producono solo cenere ma recuperano anche un minimo di energia. Perciò la definizione più precisa (anche se più lunga) sarebbe inceneritore con recupero energetico.

Diffusione in Italia e in Europa

Impianti in Europa (2002) [1]
Nazione Numero impianti Quantitativi trattati (t/anno)
Austria 2 406 700
Belgio 18 2 652 000
Danimarca 32 3 136 000
Francia 112 11 965 800
Germania 60 16 787 400
Inghilterra 3 1 071 000
Italia 50 3 488 776
Norvegia 4 273 000
Olanda 11 4 412 000
Portogallo 2 933 800
Spagna 8 1 070 300
Svezia 19 2 344 000
Svizzera 31 3 150 700
Ungheria 1 420 000
Totale 354 52 111 476

I termovalorizzatori/inceneritori sono dotati di sistemi di controllo e riduzione delle emissioni che ne fanno, a detta di alcuni, una realtà compatibile con le esigenze di tutela ambientale, tanto che sono inseriti all'interno di svariati contesti urbani in tutto il mondo (ad esempio a Vienna, Parigi, Londra, Copenaghen e Tokyo).

In Europa sono attivi attualmente 304 impianti di termovalorizzazione/incenerimento, in 18 nazioni. Paesi quali Svezia (~45%), Danimarca (~50%) e Germania (~20%) ne fanno uso (fra parentesi le quantità incenerite); in Olanda (ad Avr e Amsterdam) sorgono alcuni fra i più grandi termovalorizzatori/inceneritori d'Europa, che permettono di smaltire fino a un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti all'anno (~30%). In Olanda comunque la politica – oltre a porsi l'obiettivo di ridurre il conferimento in discarica di rifiuti recuperabili – è quella di bruciare sempre meno rifiuti a favore di prevenzione, riciclo e riuso [2] (ad esempio mediante incentivi, come cauzioni e riconsegna presso i centri commerciali sul riutilizzo delle bottiglie di vetro e di plastica).

Di contro altri paesi europei ne fanno un uso molto limitato o nullo: Austria (~10%), Spagna ed Inghilterra (4-5%), Finlandia, Irlanda e Grecia (0%) sono esempi in tal senso.

In Italia i termovalorizzatori sono relativamente poco diffusi, anche a causa dei forti dubbi che permangono sulla nocività delle emissioni nel lungo periodo e delle conseguenti resistenze della popolazione: la maggior parte dei circa 3,5 milioni di tonnellate di combustibile da rifiuti italiani viene incenerita in impianti del Nord, ma il totale nazionale ammonta a circa il 12% sul totale dei rifiuti solidi urbani[3] (si confrontino le medie sopra citate).

A Trezzo sull'Adda, in provincia di Milano, c'è uno dei più moderni termovalorizzatori/inceneritori in esercizio in Europa. A Brescia, in prossimità della città, c'è uno dei termovalorizzatori più grandi d'Europa (ca. 750 000 tonnellate l'anno: il triplo di quello di Vienna) che soddisfa da solo circa un terzo[4] del fabbisogno di calore dell'intera città (1100 GWh/anno) e che, nonostante sia stato oggetto di diverse procedure di infrazione da parte dell'Unione Europea, nell'ottobre 2006 è stato proclamato «migliore impianto del mondo»[5] dal Waste to Energy Research and Technology Council,[6] un organismo indipendente formato da tecnici e scienziati di tutto il mondo e promosso dalla Columbia University di New York; ha suscitato però qualche perplessità il fatto che questo organismo annoveri tra gli "enti finanziatori e sostenitori" la Martin GmbH,[7] che è tra i costruttori dell'inceneritore premiato.

Nel resto del settentrione sono diffusi principalmente piccoli impianti a scarso livello tecnologico con basso rendimento, per i quali sono necessari dei rammodernamenti (come a Desio, Valmadrera e Cremona). Il meridione invece si distingue per una pessima gestione del problema rifiuti: la scarsissima raccolta differenziata, essendoci pochissimi inceneritori, sfocia in un eccessivo ricorso all'utilizzo della discarica (fra i più alti in Europa), e ha spesso richiesto la spedizione dei rifiuti dal Sud agli inceneritori del Nord (e a volte anche verso l'estero).

Per approfondire, vedi la voce gestione dei rifiuti.

Incentivi all'incenerimento

In Italia, la produzione di energia elettrica tramite incenerimento dei rifiuti è indirettamente sovvenzionata dallo Stato per sopperire alla sua antieconomicità: infatti questa modalità di produzione è considerata (in violazione delle norme europee), come "da fonte rinnovabile" (assimilata) alla stregua di idroelettrico, solare, eolico e geotermico.
Le modalità di finanziamento sono due, correlate ma diverse:

  1. pagamento maggiorato dell'elettricità prodotta per 8 anni (incentivi cosiddetti CIP 6);
  2. riconoscimento di "certificati verdi" che il gestore dell'impianto può rivendere (per 12 anni).

Incentivi CIP 6

Per quanto riguarda gli incentivi CIP 6 (circolare 6 del Comitato Interministeriale Prezzi), chi gestisce l'inceneritore – per otto anni dalla sua costruzione – può vendere al GRTN (la società cui è affidato il compito di assicurare la fornitura di energia elettrica italiana) la propria produzione elettrica a un costo circa triplo rispetto a quanto può fare chi produce elettricità usando metano, petrolio o carbone. I costi di tali incentivi ricadono sulle bollette degli utenti, che comprendono una tassa per il sostegno delle fonti rinnovabili. Ad esempio nel 2004 il Grtn ha ritirato 56,7 TWh complessivi di elettricità da fonti "rinnovabili", di cui il 76,5% proveniente da termovalorizzatori e altri fonti assimilate, spendendo per questi circa 2,4 miliardi di euro.[8] A titolo di confronto, nel 2006 a seguito dell'introduzione degli incentivi in conto energia per il fotovoltaico sono stati stanziati solamente 4,5 milioni di euro per 300 MW di potenza.[9]

Sempre il CIP 6 prevede inoltre che gli impianti incentivati godano di un innalzamento della tariffa riconosciuta dal Grtn per compensare eventuali spese aggiuntive per l'attuazione del protocollo di Kyoto, annullando così del tutto i benefici della riduzione delle quote gratuite di emissione da 28 a 3,5 Mt/a di CO2 prevista dal Piano nazionale di assegnazione delle emissioni (Pna) 2008-2012, attualmente in fase di approvazione, e rischiando perciò di comprometterne l'intero impianto, giacché gli impianti CIP 6 sono il settore su cui si concentra la gran parte delle riduzioni.[10]

Certificati verdi

Si tratta di certificati che corrispondono ad una certa quantità di emissioni di CO2: se un impianto produce energia emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto un impianto alimentato con fonti fossili (petrolio, gas, carbone ecc.) perché "da fonti rinnovabili", il gestore ottiene dei certificati verdi che può rivendere a industrie o attività che sono obbligate a produrre una quota di energia mediante fonti rinnovabili ma non lo fanno autonomamente.[citazione necessaria]

Per approfondire, vedi le voci certificato verde e protocollo di Kyoto.

Il parere dell'UE e la norma italiana

In realtà, secondo la UE, solo la parte organica dei rifiuti potrebbe essere considerata rinnovabile; la restante parte può essere considerata esclusivamente una forma di smaltimento del rifiuto, escludendo esplicitamente la valenza di "recupero".[11]

Pertanto, l'Unione Europea ha inviato una procedura d'infrazione all'Italia per gli incentivi dati dal governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti inorganici considerandoli "fonte rinnovabile". A tal proposito già nel 2003[12] Il Commissario UE per i Trasporti e l'Energia, Loyola De Palacio, in risposta ad una interrogazione dell'On. Monica Frassoni al Parlamento Europeo, ha ribadito l'opposizione dell'Unione Europea all'estensione del regime di sovvenzioni europee previsto dalla Direttiva 2001/77 per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili all'incenerimento delle parti non biodegradabili dei rifiuti. Queste le affermazioni testuali del Commissario all'energia: «La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell'articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile». Il fatto che una legge nazionale (legge 39 dell'1-3-2002, art. 43) proponga di includere, nell'atto di recepimento italiano della Direttiva 2001/77 [13], i «rifiuti tra le fonti energetiche ammesse a beneficiare del regime riservato alle fonti rinnovabili, ivi compresi i rifiuti non biodegradabili» non elimina l'infrazione alla normativa europea.

Chi difende tale impostazione si richiama a una norma della direttiva comunitaria 2001/77/CE apparentemente in contraddizione con le direttive europee nel campo, la quale autorizza in deroga l'Italia a computare l'elettricità prodotta dalla quota non rinnovabile dei rifiuti nel totale dell'elettricità prodotta da fonti rinnovabili ai fini del raggiungimento dell'obiettivo del 25% di produzione rinnovabile nel 2010: proprio questa deroga nel 2006 è stata attaccata in sede di Parlamento europeo coll'emendamento (articolo 15 bis) alla legge Comunitaria 2006.[8].

Coll'eliminare gli incentivi agli inceneritori, si vuole ristabilire un'equilibrio di trattamento tale da consentire la piena applicazione della strategia integrata di smaltimento dei rifiuti (si veda in proposito la voce sulla gestione dei rifiuti); a tale esigenza fa riscontro la necessità secondo alcuni di aumentare l'incenerimento in Italia (in proposito, si veda la panoramica sugli impianti italiani e le considerazioni sul ruolo dell'incenerimento nella gestione dei rifiuti.

A tale disputa si contrappone quella fra chi ritiene gli inceneritori antieconomici e chi li ritiene vantaggiosi e minimizza il ruolo degli incentivi, dicendo che il guadagno principale degli inceneritori con recupero di energia deriva dallo smaltimento dei rifiuti e non da tali incentivi: posizione apparentemente smentita dall'intensa attività di pressione politica esercitata sul Parlamento in merito alla cancellazione degli incentivi nella finanziaria 2007. Il testo approvato in Parlamento, per eliminare l'infrazione alle norme europee, escludeva tutte le fonti "assimilate" da questi incentivi, mentre il testo del «maxiemendamento» approvato colla fiducia ha concesso una deroga a tutti gli impianti già in funzione o autorizzati, e in febbraio questo «errore materiale»[14] non è ancora stato corretto.

Tecnologie di incenerimento

Gli inceneritori più diffusi in Italia ed in Europa sono "a griglie". Trattandosi sostanzialmente di impianti che sfruttano il calore sviluppato dalla combustione, non è importante solo il tonnellaggio di combustibile (i rifiuti), ma anche il suo potere_calorifico cioè il calore sviluppato durante la combustione (in genere pari a circa 9000-13000 MJ/t). In altre parole, un inceneritore progettato (ed autorizzato) per bruciare 100000 t di rifiuti con potere calorifico di 13000 MJ/t, può arrivare a bruciare anche il 45% in più se i rifiuti hanno potere calorifico di 9000 MJ/t.[15]

Il funzionamento di un termovalorizzatore a griglie può essere suddiviso in sette fasi fondamentali:

  1. Arrivo dei rifiuti — Provenienti dagli impianti di selezione opportunamente dislocati sul territorio (ma anche direttamente dalla raccolta del rifiuto tal quale), i rifiuti sono conservati in un'area dell'impianto dotato di sistema di aspirazione, per evitare il disperdersi di cattivi odori. Con una gru i materiali sono depositati nel forno. La tecnologia di produzione della frazione combustibile (CDR) ed il suo incenerimento sfrutta la preventiva disidratazione biologica dei rifiuti seguita dalla separazione degli inerti (metalli, minerali, ecc.) dalla frazione combustibile, che può essere "termovalorizzata" producendo energia elettrica con resa nettamente migliore rispetto all'incenerimento classico e con una diminuzione di impatto ambientale.[16]
  2. Combustione — Il forno è, solitamente, dotato di una o più griglie mobili per permettere il continuo movimento dei rifiuti durante la combustione. Una corrente d'aria forzata viene inserita nel forno per apportare la necessaria quantità di ossigeno che permetta la migliore combustione, mantenendo cosí alta la temperatura (fino a 1000 °C e più). Per mantenere tali temperature, qualora il potere calorifico del combustibile sia troppo basso, talvolta viene immesso del gas metano in una quantità variabile fra i 4 e 19 m³ per tonnellata di rifiuti.
  3. Produzione del vapore — La forte emissione di calore prodotta dalla combustione di metano e rifiuti porta a vaporizzare l'acqua in circolazione nella caldaia posta a valle, per la produzione di vapore.
  4. Produzione di energia elettrica — Il vapore generato mette in movimento una turbina che, accoppiata ad un motoriduttore ed alternatore, trasforma l'energia termica in energia elettrica.
  5. Estrazione delle scorie — Le componenti dei rifiuti non combustibili (circa il 10% del volume totale ed il 30% in peso, rispetto al rifiuto in ingresso) vengono raccolte in una vasca piena d'acqua posta a valle dell'ultima griglia. Le scorie, raffreddate in questo modo, sono quindi estratte e smaltite in discarice speciali. Ovviamente, separando preventivamente gli inerti dalla frazione combustibile si ottiene una riduzione delle scorie. L'acqua di raffreddamento (circa 2.5 mc/t) deve essere depurata prima di essere scaricata in ambiente.
  6. Trattamento dei fumi — Dopo la combustione i fumi caldi passano in un sistema multi-stadio di filtraggio, per l'abbattimento del contenuto di agenti inquinanti sia chimici che solidi. Dopo il trattamento e il raffreddamento i fumi vengono rilasciati in atmosfera a circa 140° C.[17]
  7. Smaltimento ceneri — Le ceneri residue della combustione (circa il 30% in peso ed il 10% in volume del materiale immesso nell'inceneritore) sono normalmente classificate come rifiuti speciali non pericolosi, mentre le polveri fini (circa il 4% del peso del rifiuto in ingresso) intercettate dai sistemi di filtrazione sono normalmente classificate come rifiuti speciali pericolosi. Entrambe sono normalmente smaltite in discariche per rifiuti speciali; ci sono recenti esperienze di riuso delle ceneri pesanti.

Recupero energetico

Gli inceneritori a recupero energetico permettono di ricavare energia per produrre corrente elettrica, anche se con rese piuttosto basse, e calore.

Secondo l'APAT "lo sviluppo tecnologico ha limitato drasticamente il numero degli insediamenti privi di tecnologie per il recupero energetico (nello specifico, dei 44 impianti di incenerimento dei rifiuti urbani nel 2001 solo 8 sono senza recupero di energia)" [18].

Scaldando del vapore, si alimentano delle turbine che producono elettricità, ma i rifiuti non sono un buon combustibile per la produzione di elettricità, perché avendo un basso potere calorifico lavorano a temperature molto inferiori rispetto alle centrali a combustibili fossili, producendo quindi vapore a pressione relativamente bassa e conseguentemente poca elettricità: spesso viene pertanto bruciato anche gas metano.

Un'importante tecnologia che può essere abbinata agli inceneritori è il teleriscaldamento, che grazie al recupero del calore prodotto, permette di aumentare notevolmente il rendimento energetico del termovalorizzatore. Va rilevato però che solo una piccola minoranza degli attuali termovalorizzatori è collegata a sistemi di teleriscaldamento.

L'efficienza energetica di un termovalorizzatore è variabile tra il 19 e il 27% se si recupera solo l'energia elettrica [19] ma aumenta molto col recupero del calore (cogenerazione). Ad esempio, nel caso dell'inceneritore di Brescia si ha un rendimento del 26% in produzione elettrica e del 58% in calore per teleriscaldamento, con un rendimento energetico totale dell'84%.[20] Bisogna però considerare che non sempre il calore recuperato può essere effettivamente utilizzato, sia per la mancanza delle strutture necessarie sia per le variazioni stagionali (ad esempio, in estate lo sfruttamento del calore può calare notevolmente, se non ci sono sistemi per sfruttarlo per il raffreddamento).

A titolo di confronto una moderna centrale termoelettrica innovativa a ciclo combinato, il cui scopo primario è però quello di produrre elettricità, ha una resa del 57% per la produzione elettrica, e se abbinata al teleriscaldamento raggiunge l'87%.[21]

Per approfondire, vedi la voce teleriscaldamento.

Scorie

L'incenerimento dei rifiuti produce scorie solide pari circa al 10-12% in volume e 15-20% in peso dei rifiuti introdotti, e in più ceneri per il 5%.[22]

  • Le ceneri volanti e le polveri intercettate dall'impianto di depurazione dei fumi sono rifiuti speciali altamente tossici (in quanto concentrano molti degli inquinanti più nocivi), che come tali sono soggetti alle apposite disposizioni di legge e sono poi conferiti in discariche speciali.
  • Le scorie pesanti, formate dal rifiuto incombusto – acciaio, alluminio, vetro e altri materiali ferrosi, inerti o altro –, sono raccolte sotto le griglie di combustione e possono poi essere divise a seconda delle dimensioni e quindi riciclate se non troppo contaminate.

Le scorie sono generalmente smaltite in discarica e costituiscono una grossa voce di spesa. Tuttavia, possono rivelarsi produttive: un esempio di riciclaggio delle scorie dei termovalorizzatori è l'impianto BSB di Noceto, nato dalla collaborazione fra CIAl (Consorzio Imballaggi Alluminio) e Bsb Prefabbricati: qui si trattano le scorie provenienti dai termovalorizzatori gestiti delle multiutiliy Silea S.p.A. (impianto di Lecco) e di Hera S.p.A. (impianti di Rimini, Ferrara, Forlì, Ravenna): 30.000 tonnellate di scorie l'anno da cui si ricavano 25.000 tonnellate (83%) di materiale destinato alla produzione di calcestruzzo, 1.500 tonnellate (5%) di metalli ferrosi e 300 tonnellate (1%) di metalli non ferrosi di cui il 65% di alluminio. Le scorie e le ceneri vengono caricate su un nastro trasportatore; i rottami ferrosi più consistenti sono subito raccolti, quelli più piccoli vengono rimossi poi con un nastro magnetico; appositi macchinari separano dal resto i rimanenti metalli a-magnetici (prevalentemente alluminio); tutto il resto, miscelato con opportune dosi di acqua, inerti, cemento e additivi, e reso così inerte, va a formare calcestruzzo subito adoperato per la produzione di elementi per prefabbricati.
E così, paradossalmente, il termovalorizzatore, nell'ideale comune spesso considerato l'antitesi della raccolta differenziata, può rivelarsi un valido alleato nella lotta per il riciclaggio. Inoltre, con un trattamento di questo genere, in quanto ultimo anello della catena del sistema di riciclaggio l'inceneritore può annullare del tutto il ricorso alla discarica, che è sempre la soluzione peggiore. Un'altra tecnologia che si sta sperimentando è la vetrificazione delle ceneri. Con questo sistema si inertizzano le ceneri, risolvendo il problema dello smaltimento delle stesse come rifiuti speciali, inoltre si studia la possibilità di un loro riutilizzo come materia prima per il comparto ceramico e cementizio (tecnologia della torcia al plasma).

Altre tecnologie di incenerimento

Esistono alcune alternative ai classici termovalorizzatori a combustione a griglia, per la verità poco diffuse in Europa.

Torcia al plasma

Una tecnologia molto interessante è la torcia al plasma, originariamente sviluppata per la Nasa allo scopo di mettere alla prova i materiali realizzati per resistere alle altissime temperature cui sono sottoposte le navicelle spaziali al rientro nell'atmosfera a causa dell'attrito. Il plasma generato dalla torcia comprende gas ionizzato a temperature comprese fra i 7 000 e i 13 000 °C: l'elevatissima quantità di energia, applicata ai rifiuti:

  • decompone le molecole organiche (in una zona di reazione dove la temperatura va dai 3 000 ai 4 000 °C), che, con l'aggiunta di vapore d'acqua, producono così un gas di sintesi simile a quello prodotto una volta nei gasogeni a carbone, e più precisamente composto di idrogeno (53%) e monossido di carbonio (33%), nonché anidride carbonica, azoto molecolare e metano (recuperato per produrre elettricità);
  • fonde i materiali inorganici e li trasforma in una roccia vetrosa simile alla lava, totalmente inerte e non nociva, che può essere usata come materiale da costruzione (in questo modo non può essere recuperato il materiale ferroso o l'alluminio come con le scorie degli inceneritori). In questa "lava" sono totalmente conglobati e quindi resi inerti tutti i metalli pesanti, perciò non si hanno ceneri volanti che li contengano. Tuttavia, si ipotizza che in procedimenti come questo si producano enormi quantità di nanopolveri, anche se non ci sono studi sulla loro effettiva composizione e dispersione nell'ambiente.

Questi sono gli unici scarti: il tipo di combustione non permette la produzione di nessun composto tossico o pericoloso come diossine, furani o ceneri (si veda però sotto). Per questo un reattore al plasma può anche trattare pneumatici, PVC, rifiuti ospedalieri e altri rifiuti industriali. Inoltre, è un processo relativamente economico, che costa circa il 20-40% in meno di un termovalorizzatore di ultima generazione.[22]

Gassificatori e pirolizzatori

Un'alternativa a tutti gli impianti di incenerimento per combustione sono i gassificatori (da non confondersi coi rigassificatori), che sfruttano la dissociazione molecolare, definita pirolisi; si tratta di impianti che utilizzano tecnologie che in passato erano usate per produrre gas a partire dal carbone. In pratica i rifiuti (che devono essere finemente sminuzzati) vengono investiti da una corrente di ossigeno più o meno puro (gassificatori) o di azoto (pirolizzatori) molto caldi, determinando la produzione di gas di sintesi e l'ossidazione parziale dei rifiuti, nonché di altri sottoprodotti.
Rispetto ai normali inceneritori, per via delle particolari condizioni in cui avviene il processo: la minor temperatura riduce di oltre cento volte l'emissione di polveri sottili (e in particolare sarebbe ridotta la produzione di nanopolveri); la produzione di acido cloridrico, anidride solforosa e monossido di carbonio è ridotta a meno della metà; gli ossidi di azoto sono ridotti a un terzo; i metalli pesanti di 20-50 volte; la concentrazione di diossine e furani è inferiore ai livelli misurabili.[22]

Per approfondire, vedi la voce gassificatore.

Questioni sanitarie e ambientali

Gli inceneritori possono operare solo se dotati di adeguati sistemi di abbattimento delle emissioni in grado di garantire il rispetto delle norme di legge.

I limiti di concentrazione degli inquinanti imposti dalla normativa sono riferiti al metro cubo di fumi e non all'emissione totale. Pertanto, bruciando più rifiuti si ottengono più fumi e quindi più emissioni inquinanti, ma si rimane sempre nei parametri di legge.

Detto in altri termini, i limiti sono relativi alla concentrazione dell'inquinante all'emissione, ma non al flusso di massa: quindi si occupano della qualità dell'emissione, per incentivare l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, ma non dell'impatto complessivo sull'ambiente degli impianti.

Per tale motivo, le norme non garantiscono un valore di concentrazione degli inquinanti "sicuro" in base a studi medici ed epidemiologici sull'effetto degli inquinanti, ma si riferiscono ai valori che è possibile ottenere tecnicamente con gli impianti nuovi.

D'altro canto, a ogni miglioramento della tecnologia (ma evidentemente con un inevitabile ritardo) vengono in genere imposti per le emissioni limiti man mano più severi, cui qualsiasi nuovo impianto si intenda costruire si deve sottomettere (in genere quelli già esistenti non sono obbligati).

Non sono comunque mancati casi di impianti, come quello di Brescia, in cui si siano rilevate alcune infrazioni per il mancato rispetto di normative o per il superamento del tonnellaggio di rifiuti inceneriti originariamente ammesso. Tuttavia l'accertamento di un'infrazione è difficile che sfoci in provvedimenti molto severi come il sequestro dell'impianto, perché in tal caso si creerebbe un'emergenza rifiuti molto pericolosa. Nel marzo del 2007, tuttavia, l'inceneritore di Trieste è stato posto sotto sequestro per il superamento dei limiti di legge riguardanti le emissioni di diossina, superiori anche di 10 volte il limite. [23]

Pertanto, l'adeguamento dei vecchi impianti alle nuove normative procede a rilento, ed è solitamente collegato agli ampliamenti degli impianti. Da ciò deriva che spesso impianti di piccole dimensioni inquinano più di impianti maggiori.

Norme sulle emissioni

Le nuove tecnologie permettono oggi di raggiungere valori assai elevati di abbattimento delle emissioni inquinanti, nel rispetto del Decreto Legislativo 133/2005 [24].

Il provvedimento regola tutte le fasi dell'incenerimento dei rifiuti, dal momento della ricezione nell'impianto fino alla corretta gestione e smaltimento delle sostanze residue:

  • disciplina i valori limite di emissione degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti,
  • i metodi di campionamento, di analisi e di valutazione degli inquinanti derivanti dagli stessi impianti,
  • i criteri e le norme tecniche generali riguardanti le caratteristiche costruttive e funzionali, nonché le condizioni di esercizio degli impianti, con particolare riferimento alle esigenze di assicurare una elevata protezione dell'ambiente contro le emissioni causate dall'incenerimento e dal coincenerimento dei rifiuti,
  • i criteri temporali di adeguamento degli impianti già esistenti alle disposizioni del presente decreto;
  • prevede che i cittadini possano accedere a tutte le informazioni, cosí da essere coinvolti nelle eventuali opportune decisioni.

Emissioni in atmosfera e nelle acque

Per ogni tonnellata di rifiuti immessi, si ha l'emissione di circa 6000 metri cubi di fumi [25].

I limiti di legge imposti agli inceneritori per le emissioni in atmosfera sono evidenziati nella seguente tabella, in paragone - semplificato - con altri tipi di impianto presenti sul territorio (si veda il DL 133/2005 [24] e il DL 3 aprile 2006, n. 152 [26]):

Limiti normativi alle emissioni in atmosfera: medie giornaliere (mg/Nm3)
Valori reali di un moderno impianto
Inquinante Incenerimento
(DL 133/2005, 2000/76/CE)
Grandi impianti di combustione a carbone
anteriori al 1988
(DM 12/7/1990)
Grandi impianti di
combustione a gas nuovi
(DL 152/2006)
Cementifici
(DL 152/2006)
Silla 2, 2005 [27]
Polveri totali 10 50 5 50 0,14
Anidride solforosa 50 400 35 600 2,2
NOx 200 200 100 1800-3000 138,7
Monossido di carbonio 50 250 - - 8,2
Diossina 0,1 x 10-3 10 x 10-3 - 10 x 10-3 0,0147 x 10-3
Metalli pesanti - 10 - 5 -
Piombo 0,5 - - - 0,0013
Cadmio 0,05 - - - 0,0003
Mercurio 0,05 - - - 0,001

I "valori reali di un moderno impianto" sono il risultato dell'applicazione delle migliori tecnologie disponibili, in via facoltativa oppure a seguito di restrizioni legislative regionali. L'applicazione di tali tecnologie e di limiti maggiormente restrittivi rispetto a alla normativa nazionale può essere prescritta in fase di autorizzazione dell'impianto [citazione necessaria] e costituisce un onere non indifferente nella costruzione e gestione degli impianti. Allo stesso modo possono essere motivatamente consentiti limiti superiori ai valori di legge, come previsto dallo stesso DL 133/05.[citazione necessaria]

Le emissioni di sostanze tossiche persistenti (in particolare diossina, furani) seppur entro i limiti di legge, sono da considerarsi comunque significative se sono protratte nel tempo nello stesso luogo: lo stesso DL 152/2006 evidenzia questo fatto per chiarire i limiti particolarmente severi su queste sostanze in impianti dalla lunga vita operativa. [28]

le emissioni di un inceneritore non si limitano all'atmosfera, ma si estendono anche alle acque reflue degli impianti: il DL 133/2005 fissa valori massimi anche in questo ambito, riferiti al litro d'acqua scaricata.

Valori limite nelle acque di scarico dell’impianto

inquinante quantità (mg/l)
solidi sospesi totali (polveri) 30 - 45
mercurio 0.03
cadmio 0.05
tallio 0.05
arsenico 0.15
piombo 0.2
cromo 0.5
rame 0.5
nikel 0.5
zinco 1.5
diossine e furani 0.3 (ng/l)
Idrocarburi_policiclici_aromatici 0.2 (ng/l)

A partire dagli anni ottanta, visto l'inasprimento delle leggi, si è affermata l'esigenza di rimuovere i macroinquinanti presenti nei fumi della combustione (ad esempio ossido di carbonio, anidride carbonica, ossidi di azoto e gas acidi come l'anidride solforosae l'acido cloridrico), i microinquinanti (metalli pesanti, diossine ecc.) e di perseguire un più efficace abbattimento delle polveri.

Le polveri

Per approfondire, vedi le voci particolato, nanopolvere e nanopatologie.

Gli inceneritori, e in generale qualsiasi processo di combustione di combustibili solidi e liquidi, rilasciano nell'aria polveri sottili. Indicativamente, per un inceneritore, considerando una produzione di fumi di 6000 m³/t di rifiuti e il limite giornaliero di 10 mg/m³, l'emissione è di 60 grammi/t.

Tuttavia, questa è una indicazione solo quantitativa: molto importante è anche l'aspetto qualitativo cioè la finezza delle polveri emesse (PM10, PM2,5). In genere più sono alte le temperature di combustione e più aumenta la frazione di particolato fine e ultrafine. Tali polveri sottili sono nocive a causa delle loro piccole dimensioni e del fatto che con sé possono trasportare, tramite fenomeni chimico-fisici quali l'adsorbimento, materiali tossici e nocivi residui della combustione, come idrocarburi policiclici, policlorobifenili, benzene, metalli pesanti e diossine, pericolosi perché persistenti e accumulabili negli organismi viventi.

È innegabile che gli inceneritori contribuiscano all'emissione antropica di polveri fini e ultrafini in aree urbane, motivo per cui tali emissioni sono sotto osservazione per valutarne l'importanza relativa rispetto alle altre fonti (naturali o antropiche), che non è ancora chiarita, motivo per cui – anche per via delle recenti preoccupazioni sulle nanopolveri – i termovalorizzatori sono visti con un certo sospetto da una parte dell'opinione pubblica, mentre altri li considerano sostanzialmente innocui, e segnalano anche il miglioramento delle prestazioni ambientali conseguibile grazie al teleriscaldamento.

È opportuno ricordare, come termine di paragone, che la legge italiana e le norme europee pongono come limite medio massimo di concentrazione delle polveri sottili nell'aria il valore di 50 microgrammi/m³ (milionesimi di grammo per metrocubo d'aria). Purtroppo i limiti relativi alle emissioni degli inceneritori (e degli altri impianti industriali) non considerano la finezza delle polveri, ma solo il peso totale di 10 milligrammi/mc (millesimi di grammo al metrocubo di fumi). Ad oggi, l'unico ambito in cui i limiti sono imposti sul PM10 è quello dei veicoli (si vedano le norme Euro3 ed Euro4).

Diossine e furani

Per approfondire, vedi le voci diossina e furano.

Le diossine ed i furani sono tossici, cancerogeni e mutageni per l'organismo umano. Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare e sono solubili nei grassi, dove tendono ad accumularsi. Proprio per questo motivo tendono ad accumularsi nella catena alimentare e nell'organismo umano per cui anche una esposizione a livelli minimi ma prolungata nel tempo può recare gravi danni alla salute. Le sorgenti delle diossine sono varie e hanno avuto molte variazioni nel corso degli anni, ed è difficile quantificarne esattamente la rilevanza relativa: gli inceneritori sono comunque una delle fonti maggiori, e vanno tenuti sotto accurata osservazione (si veda la voce diossina).

Per quanto concerne l'incenerimento, le diossine vengono prodotte quando materiale organico è bruciato in presenza di cloro, sia esso ione cloruro o presente in composti organici clorurati come le plastiche in PVC.

La soglia minima di sicurezza per tali sostanze è ancora oggetto di investigazione scientifica; i limiti imposti dalla UE sulle emissioni sono di 0,1 nanogrammi/m3, cioè un milionesimo di grammo per metro cubo di fumi (sulle leggi valgono le considerazioni precedenti, all'inizio del paragrafo).

Per ridurre l'emissione di vari inquinanti fra cui la diossina, negli inceneritori è vietato (per legge) che i fumi scendano sotto gli 850° C, che è poi il motivo per cui gli inceneritori non possono accettare materiale dal potere calorifico troppo basso oppure devono integrare la combustione con metano.[17] L'obiettivo di minimizzare le emissioni di diossina contrasta in parte con il recupero dell'energia, in quanto una elevata temperatura di combustione e un veloce raffreddamento dei fumi (condizioni ideali per ridurre la formazione di diossina) sono incompatibili con una massima efficienza nel recupero dell'energia termica.[29]

Gli impianti tecnologicamente più avanzati presentano un elevato grado di efficienza tale da contenere le emissioni a livelli significativamente inferiori al limite di legge (che quindi andrebbe coerentemente rivisto) ma bisogna considerare che la legge impone solo delle misurazioni periodiche e non continue sulla produzione di diossina,[30] e che solo in pochissimi impianti italiani è tenuta sotto costante controllo. Inoltre, le misurazioni, necessarie solo ad assicurare il rispetto della legge, spesso non sono precise e non servono a conoscere l'effettiva emissione in atmosfera. Ad esempio, in inceneritori come quello di Brescia la concentrazione di diossina nei fumi può essere abbastanza bassa da risultare non rilevabile dagli strumenti adottati (a Brescia la soglia di misurabilità è di 0,04 ng/m3 di fumi, ovvero circa 240 ng/t di rifiuti). Quindi, se la concentrazione fosse di poco inferiore a tale soglia (e dunque non rilevata dagli strumenti), data un'emissione di 5 000 000 m3 di fumi al giorno, la produzione di diossina sarebbe di 200 000 ng/giorno, cioè la massima dose giornaliera tollerabile (0,15 nanogrammi) per oltre 1,3 milioni di persone, ma non verrebbe rilevata.[17]

Gli inceneritori rilasciano diossina non solo nell'atmosfera attraverso i fumi, ma anche nella terra e nell'acqua: le diossine sono presenti nelle scorie e nei residui solidi o liquidi del filtraggio dei fumi, e possono diffondersi o per percolazione nel luogo di deposito di tali rifiuti o per dispersione delle acque di lavaggio delle zone di inquinate. La quantità di diossina nelle scorie – secondo misurazioni del DETR, Dipartimento inglese per l'ambiente – è di circa 12-72 nanogrammi/kg; il miglioramento tecnologico ha ridotto notevolmente l'emissione complessiva di diossina, tuttavia i sistemi di filtraggio più sono efficienti più concentrano le diossine prodotte nei loro residui: nei residui del filtraggio dei fumi attraverso precipitatori elettrostatici delle polveri (circa 30 kg/t di rifiuti) in passato la concentrazione era elevatissima, fra i 6600 e i 31100 ng/kg; negli impianti recenti è di 810-1800 ng I-TEQ/kg (quindi ca. 24,3-54 ng diossina/t rifiuti) e 680-12200 ng I-TEQ/kg nei fanghi dalle torri di lavaggio dei fumi (circa 10-15 kg/t di rifiuti, quindi ca. 8,5-152,5 ng diossina/t rifiuti).[31]

Uno dei principali motivi della differenza tra i risultati dei diversi studi risiede nel diverso arco temporale in cui questi si sono svolti, infatti il fattore di emissione delle diossine da incenerimento si è ridotto di circa 50 volte negli ultimi 15 anni, quindi chiaramente studi degli anni '90 forniscono dati notevolmente diversi da quelli più recenti.

Soluzioni di filtraggio delle emissioni nocive al camino

I sistemi di depurazione dei fumi attuali sono costutuiti da varie tecnologie e sono pertanto detti multistadio. Questi sistemi si suddividono in base al loro funzionamento in semisecco, secco, umido e misto. La caratteristica che li accomuna è quella di essere concepiti a più sezioni di abbattimento, ogniuna in linea di massima specifica per determinati tipi di inquinanti.

A partire dagli anni ottanta si è affermata l'esigenza di rimuovere i macroinquinanti presenti nei fumi della combustione (ad esempio ossido di carbonio, anidride carbonica, ossidi di azoto e gas acidi come l'anidride solforosa) e di perseguire un più efficace abbattimento delle polveri. Si è passati dall'utilizzo di sistemi, quali cicloni e multicicloni, con rendimenti massimi di captazione degli inquinanti rispettivamente del 70 e dell'85%, ai filtri elettrostatici o filtri a manica che garantiscono rendimenti notevolmente superiori (fino al 99% ed oltre).

Accanto a ciò, sono state sviluppate misure di contenimento preventivo delle emissioni, ottimizzando le caratteristiche costruttive dei forni e migliorando l'efficienza del processo di combustione. Questo risultato si è ottenuto attraverso l'utilizzo di temperature più alte (con l'immissione di discrete quantità di metano), di maggiori tempi di permanenza dei rifiuti in regime di alte turbolenze e grazie all'immissione di aria per garantire l'ossidazione completa dei prodotti della combustione.

Tuttavia l'aumento delle temperature, se da un lato riduce la produzione di certi inquinanti (per es. diossine), dall'altra aumenta la produzione di ossidi di azoto e soprattutto di particolato il quale quanto più è fine, tanto più difficile è da intercettare anche per i più moderni filtri, per cui si deve trovare un compromesso, considerato anche che il metano usato comunque ha un costo notevole. Per questi motivi talvolta gli impianti prevedono postcombustori a metano e/o catalizzatori che funzionano a temperature inferiori ai 900 °C.

Gli inceneritori mediamente emettono CO2 in misura di circa 350 kg per tonnellata di combustibile, contro i 428 di una centrale termoelettrica. Per una valutazione completa dell'influenza sulle emissioni globali di anidride carbonica bisognerebbe tuttavia considerare la tipologia di rifiuti (organici o no) e la possibilità di evitare altre forme di smaltimento che possono provocare maggiori emissioni, specie se comportano lunghi viaggi («turismo dei rifiuti»).[17]

Abbattimento NOx

Vanno citate le attrezzature specificatamente previste per l'abbattimento degli ossidi di azoto, per i quali i processi che vengono normalmente utilizzati sono del tipo catalitico o non catalitico. La prima di queste tecnologie, definita Riduzione Selettiva Catalitica (SCR), consiste nell'installazione di un reattore a valle della linea di depurazione in cui viene iniettata ammoniaca nebulizzata, che miscelandosi con i fumi e attraversando gli strati dei catalizzatori, trasforma gli ossidi di azoto in acqua e azoto gassoso, gas innocuo che compone circa il 79% dell'atmosfera. La seconda tecnologia, chiamata Riduzione Selettiva Non Catalitica (SNCR), spesso preferita perché più economica, presenta il vantaggio di non dover smaltire i catalizzatori esausti ma ha caratteristiche di efficacia inferiori ai sistemi SCR, e consiste nell'iniezione di un reagente (urea che in temperatura si dissocia in ammoniaca) in una soluzione acquosa in una zona dell'impianto in cui in cui la temperatura è compresa fra 850 °C e 1.050 °C con la conseguente riduzione degli ossidi di azoto in azoto gassoso e acqua.

Abbattimento dei microinquinanti

Altri sistemi sono stati messi a punto per l'abbattimento dei microinquinanti come metalli pesanti (mercurio, cadmio ecc) e diossine.

Riguardo ai primi, presenti sia in fase solida che di vapore, la maggior parte di essi viene fatta condensare nel sistema di controllo delle emissioni e si concentra nel cosiddetto "particolato fine" (ceneri volanti). Il loro abbattimento è poi affidato all'efficienza del depolveratore che arriva a garantire una rimozione superiore al 99% delle PM10 prodotte, ma nulla può contro il PM2,5 e le nanopolveri. Per tale motivo le polveri emesse sono considerate particolarmente nocive.

Per quanto riguarda l'abbattimento delle diossine e dei furani il controllo dei parametri della combustione e della post-combustione (elevazione della temperatura a oltre 850°), sebbene in passato fosse considerato di per sé sufficiente a garantire valori di emissione in accordo alle normative, è oggi considerato insufficente e quindi accompagnato (nei nuovi impianti) da un ulteriore intervento specifico basato sulle proprietà chimicofisiche dei carboni attivi. Questo ulteriore processo viene effettuato attraverso un meccanismo di chemiadsorbimento, cioè facendo "condensare" i vapori di diossine e furani sulla superficie dei carboni attivi. Questi non sono altro che carbone in polvere, il quale può esibire 600 m² di superficie ogni grammo: detto in altri termini funziona come una specie di "spugna". Queste proprietà garantiscono abbattimenti dell'emissione di diossine e furani tali da premettere di operare al di sotto dei valori richiesti dalla normativa. Anche qui la filtrazione della polvere di carbone esausta è affidata al depolveratore in quanto evidentemente i carboni esausti (cioè impregnati di diossine) sono altamente nocivi e sono considerati rifiuti speciali pericolosi, da smaltire in discariche speciali.

Sono allo studio metodi di lavaggio dei fumi in soluzione oleosa per la cattura delle diossine che sfruttino la loro spiccata solubilità nei grassi.

Abbattimento delle polveri

La pericolosità delle polveri prodotte da un inceneritore è estremamente elevata. Questo è confermato dai limiti particolarmente severi imposti dalla normativa per i fumi. Infatti, se da un lato la combustione dei rifiuti produce direttamente enormi quantità di polveri dalla composizione chimica varia, dall'altra alcune sezioni dei sistemi di filtrazione ne aggiungono di ulteriori (in genere calce o carboni attivi) per assorbire metalli pesanti e diossine come sopra spiegato. Pertanto, le polveri finiscono per essere un vero e proprio concentrato di sostanze fra le più pericolose per la vita umana ed animale.

Per tali motivi, l'importanza e l'efficacia dei depolveratori è molto elevata. Vengono in genere usati sia filtri elettorostatici (dagli elevati consumi elettrici ma abbastanza efficaci se frequantemente ripuliti), sia filtri a maniche (non adatti ad alte temperature e soggetti ad intasamento). Attualmente la legge non prevede limiti specifici per le polveri fini (PM10, ecc.) per cui la reale efficacia di tali sistemi su queste particelle è oggetto di dibattiti accesi. Tuttavia il rispetto della legge vigente è, in genere, ampiamente garantito. In ogni caso, le polveri trattenute devono essere smaltite in discariche per rifiuti speciali pericolosi: in taluni casi vengono smaltite all'estero (in Germania le miniere di salgemma vengono usate per questo oltre che per i rifiuti radioattivi).

Note

  1. Dati tratti da http://www.provincia.torino.it/ambiente/file-storage/download/rifiuti/pdf/ALLEGATO_PPGR_06.pdf
  2. (EN) Ministero per l'Ambiente dei Paesi Bassi: "National waste management plan", 2003
  3. Rapporto Rifiuti 2005 dell'Osservatorio Nazionale dei Rifiuti, capitolo 2, vol. 1.
  4. Dato menzionato nello studio sul futuro inceneritore torinese del Gerbido.
  5. Iorisparmio.eu: Il termovalorizzatore di Brescia è "il migliore del mondo"
  6. (EN) WTERT Waste-to-Energy Research and Technology Council
  7. (EN) Martin GmbH
  8. 8,0 8,1 Dall'approfondimento di Ecosportello.org del 18 settembre 2006 sull'incentivazione dei termovalorizzatori.
  9. Notizia da edilportale.com.
  10. QualEnergia anno V n. 1, gennaio-febbraio 2007.
  11. La Corte di Giustizia Europea (C 458/00 del 13.02.2003) ha chiaramente sancito che l’incenerimento di rifiuti in un impianto dedicato non può essere considerato come "recupero" nemmeno sotto il profilo energetico.
  12. 20 novembre 2003, risposta E-2935/03IT.
  13. Recepita in Italia col D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387.
  14. Così era stato definito in risposta alle polemiche seguite alla presentazione del maxiemendamento.
  15. Fatto citato nelle Note preliminari relative allo Studio di Impatto Ambientale del progetto di “impianto di termovalorizzazione dei rifiuti della provincia di Torino
  16. Sul combustibile, si segnalano alcuni timori: esso deve (per legge) avere caratteristiche tali da scongiurare quanto più possibile un eventuale rilascio di sostanze nocive nell'ambiente durante la fase di deposito e trasporto prima dell'utilizzo.
  17. 17,0 17,1 17,2 17,3 Mario Tozzi, L'Italia a secco: la fine del petrolio e la nuova era dell'energia naturale, Rizzoli, 2006.
  18. apat.gov.it: Gestione dei rifiuti
  19. Relazione di De Stefanis sul recupero energetico nel ciclo integrato di gestione dei rifiuti
  20. Il recupero di energia dalla combustione di rsu.
  21. http://www.torinoscienza.it/img/pdf/it/s10/00/0023/00002379.pdf .
  22. 22,0 22,1 22,2 Scheda monografica riassuntiva sul recupero di energia da rifiuti, p. 5.
  23. http://it.news.yahoo.com/15022007/58-56/sequestrato-impianto-acegas-aps-trieste-per-rischio-diossina.html
  24. 24,0 24,1 parlamento.it: Decreto Legislativo 133/2005, "Norme in materia di incenerimento dei rifiuti" Informazioni più dettagliate sulle emissioni sono disponibili nell'allegato 1 http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/05133dl.pdf (200kb).
  25. Studio sul futuro inceneritore torinese del Gerbido, p. 34.
  26. parlamento.it: Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, "Norme in materia ambientale"
  27. Studio sul futuro inceneritore torinese del Gerbido, p. 41.
  28. Si veda ad esempio questo articolo di altreconomia.it (marzo 2006), nel paragrafo dedicato ai rischi da diossina.
  29. Dioxin, 2005, Wikipedia in lingua inglese, Come funziona un inceneritore?, 2005, Greenpeace Italia
  30. Fatto menzionato nello studio sul futuro inceneritore torinese del Gerbido, p. 40.
  31. Inventario europeo delle diossine: (EN) "Releases of dioxins and furans to land and water in Europe" (1999), p. 91 sgg. (dati risalenti al 1994).

Voci correlate

Collegamenti esterni

Quadro normativo

Funzionamento dei termovalorizzatori e informazioni generali

Valutazioni della termovalorizzazione

Esempi di termovalorizzatori

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