Moksha
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I termini Moksha o Mukti (dal sanscrito, liberazione) si riferiscono, in generale, alla liberazione dal ciclo di nascite e morti (Saṃsāra) dovuta al conseguimento della realizzazione spirituale. Nella più elevata filosofia induista, Moksha è vista come la trascendenza di qualsiasi senso di coscienza o identificazione con tempo, spazio e legge di causa-effetto (karma), da parte di un essere legato al mondo fenomenico. Qui il concetto di liberazione (nel senso escatologico del termine) non è visto come un traguardo soteriologico nello stesso modo in cui è concepito, ad esempio, in un contesto cristiano; significa dissoluzione totale del senso dell’individualità, o ego, e distruzione definitiva dell’identificazione con un nome ed una forma (nama-rupa).
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[modifica] Moksha nelle Scuole di Pensiero induiste
L’induismo, supportando l’idea di Moksha, presenta i concetti di Ātman e Brahman. Un errore frequente è quello di considerare questi due concetti (entrambi definiti come “Sé”) un’entità monista comune, un qualcosa che possiede una personalità o degli attributi. Le Scritture induiste come le Upaniṣad e la Bhagavad Gita (e specialmente la scuola di pensiero non-duale Advaita Vedānta), affermano che il Sé o Super-Anima si trova al di là dell’essere e del non-essere, oltre qualsiasi senso di tangibilità o comprensione. Moksha è considerata il finale e definitivo abbandono della concezione materiale e mondana di sé, la perdita del legame all’esperienza nella dualità, ed il ristabilimento della propria natura fondamentale, sebbene tale natura sia vista come ineffabile ed al di là della sensazione.
Ci sono quattro tipi basilari di Yoga (lett. unione, qui inteso come via per raggiungere l'unione con Dio) per ottenere Moksha:
- Karma Yoga - la via dell’azione devozionale;
- Bhakti Yoga - la via dell’amore e della devozione;
- Jñāna Yoga - la via della conoscenza e del discernimento assoluto;
- Raja Yoga - la via “regale” della padronanza di sé e del controllo della mente.
Le differenti Scuole di Pensiero induiste (Darshana) danno più enfasi a certi sentieri rispetto ad altri; alcune tra le più famose sono le pratiche yogiche e tantriche sviluppatesi nell’Induismo. Al giorno d’oggi, le due maggiori scuole di pensiero sono l’Advaita Vedānta e la Bhakti.
La filosofia Bhakti vede il Sé come Dio, più spesso una concezione personificata e monoteistica di Viṣṇu, Śiva o Devi. Al contrario della tradizione abramica, questo monoteismo non impedisce ad un Induista di adorare altri aspetti di Dio, o esseri celesti o maestri, poiché essi sono tutti visti come emanazioni della stessa sorgente. Comunque, è importante notare che la Bhagavad Gita condanna l’adorazione di entità semi-divine, poiché se da un lato questo tipo di adorazione porta benefici e piaceri di ordine materiale e spirituale, esso non aiuta a conseguire Moksha. Il concetto è quello della dissoluzione di sé nell’amore, dal momento che la reale natura dell’essere si manifesta come amore (Prema). Immergendosi interamente nell’amore di Dio, il Karma (a prescindere se buono o cattivo) dell’individuo viene dissolto, è la verità (Sathya) è presto conosciuta e sperimentata.
Il Vedānta si ritrova diviso in tre correnti, sebbene le scuole del dualismo e del dualismo qualificato siano principalmente associate con la linea di pensiero della Bhakti. La più famosa oggi tra queste scuole è l’Advaita Vedānta, una prospettiva non-duale (nessuna separazione tra l’individuale e l’universale, Dio); essa si basa sulle Upaniṣad, sul Vedānta Sutra e sugli insegnamenti del suo fondatore putativo, Adi Shankara. È importante sottolineare che l’Advaita Vedānta non esclude, ma comprende e trascende la Bhakti; questa filosofia afferma che attraverso il discernimento tra reale ed irreale, l’intensa meditazione e la sincera devozione a Dio, il sadhaka (aspirante/praticante spirituale) dovrebbe, così come si pela una cipolla, rimuovere i veli di Maya (illusione) della manifestazione duale, per realizzare dentro di sé l’unità di Ātman e Brahman, e comprendere la natura del Non-manifesto, senza attributi, che paradossalmente è al tempo stesso Essere e Non-essere, immanente e trascendente, tutto e nulla, al di là di qualsiasi descrizione.
[modifica] Moksha tra Induismo e Buddhismo
Nell’Advaita, i concetti di Moksha e di Nirvana buddhista non sono così disuniti da considerarsi incomparabili. Anzi, c’è molta somiglianza nelle rispettive concezioni di “coscienza” ed ottenimento dell’illuminazione. Per gli Advaita, la verità ultima non è una singola Entità Divina di per sé stessa, ma piuttosto un qualcosa che essenzialmente è privo di manifestazione; e questo, per molti Advaita di mentalità aperta, viene visto come una integrazione (anziché una negazione) della vacuità buddhista.
Nell’Induismo dualista, d’altra parte, Moksha non è analoga al Nirvana buddhista. Per Vaishnava e Shivaiti, Moksha significa unione con Dio (con il Suo aspetto personale, detto Ishvara); ed il Buddhismo, essendo una religione non-teistica, non si focalizza su Dio.
[modifica] Simbologia
Nella sacra danza dei templi induisti, così come nella danza classica indiana, Moksha è simboleggiata da Śiva (mentre esegue la danza cosmica o Tandava) che alza una sua gamba, come per liberare sé stesso dalla gravità del mondo materiale.
[modifica] Voci correlate
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