Raccuja
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Questa voce necessita di essere controllata (vedi l’elenco delle pagine da controllare). Per maggiori dettagli controlla la pagina di discussione. Se ti ritieni competente in materia, contribuisci a correggere questa pagina e poi rimuovi questo avviso. (pagina segnalata nel mese di maggio 2006) Motivazione: sospetta violazione di copyright. |
![]() |
|||
---|---|---|---|
Immagine:Raccuja-Stemma.png | |||
Stato: | ![]() |
||
Regione: | ![]() |
||
Provincia: | ![]() |
||
Coordinate: |
|
||
Altitudine: | 640 m s.l.m. | ||
Superficie: | 25 km² | ||
Abitanti: |
|
||
Densità: | 56 ab./km² | ||
Frazioni: | Zappa, S. Nicolò, Fossochiodo | ||
Comuni contigui: | Floresta, Montalbano Elicona, San Piero Patti, Sant'Angelo di Brolo, Sinagra, Ucria | ||
CAP: | 98067 | ||
Pref. tel: | 0941 | ||
Codice ISTAT: | 083069 | ||
Codice catasto: | H151 | ||
![]() |
Raccuja è un comune di 1.389 abitanti della provincia di Messina.
Indice |
[modifica] Amministrazione comunale
Sindaco: Damiano Cono Salpietro dal 16/05/2005
Centralino del comune: 0941 660376
Email del comune: disponibile non disponibile
[modifica] Storia
[modifica] Introduzione
La data ufficiale della fondazione del paese di Raccuja risale al 1091, quando il normanno conte Ruggero d'Altavilla, riportando una clamorosa vittoria contro le truppe arabe edificò come ringraziamento al Signore un’abbazia, primo nucleo di quel borgo che si sarebbe più tardi sviluppato attorno a un castello, sede dei nobili feudatari che governarono Raccuja sino al 1812, quando fu abolita la società feudale in Sicilia.
Mentre è sicura la data che pose fine alla dominazione feudale a Raccuja, durata circa seicento anni, non altrettanto può dirsi della data di fondazione del paese: infatti, ultimamente, la tesi che conferma la fondazione del paese per mano di Ruggero nel 1091 è stata del tutto smentita, poiché, grazie all’interesse di molti studiosi che da qualche decennio studiano il paese di Raccuja, sono stati individuati diversi nuclei antecedenti la dominazione normanna in Sicilia (1061) sparsi nell’agro raccujese. Si è scoperto , quindi, che le origini del nostro centro e le tradizioni tramandate per secoli di generazione in generazione, (basti pensare al rito greco che ancora persiste della festa della Madonna Odigitria), risalgono a molti secoli, se non a qualche millennio or sono.
Il lavoro di molti studiosi comprende, oltre la riscoperta dalla storia antica, testimoniata molte volte da simboli o da strutture bizantine, normanne e, anche se con qualche perplessità, greche , anche il compito, più difficile, di riordinare insieme tutti i pezzi di un puzzle sempre più vasto ed intricato, che è quello della storia antica di un paese che, come tanti altri centri sparsi nel nebroideo, è certamente affascinante, ricco di storia e di cultura.
[modifica] San Marco e la dominazione bizantina
La dominazione romana cessò di esistere in Sicilia nel 476 d.C. , quando, a causa degli attacchi barbari, l’impero romano d’Occidente crollò definitivamente in mano ai Visigoti, Franchi, Burgundi, Vandali ed Ostrogoti. Resisteva, invece ad Oriente, l’impero bizantino.
I barbari tennero in mano la Sicilia sino al quando, nel 532 Giustiniano, grande imperatore a capo dell’impero bizantino, intraprese la riconquista dell’Occidente perduto. Fra i territori italiani conquistati rientravano la Sicilia, la Calabria, la Puglia, Roma, Ravenna, dove venne creato l’esarcato, Sardegna, Corsica e Napoli.
In quattro secoli di dominazione bizantina in Sicilia, l’isola si trovò ad affrontare due tipi di cristianesimo, essendo il punto territoriale d’incontro tra Roma e Bisanzio: infatti, l’impero bizantino stava compiendo i primi passi per guadagnarsi il distaccamento definitivo dalla chiesa di Roma, avvenuto nel 1054, quasi un secolo dopo che la Sicilia fosse caduta in mano agli arabi, nell’827.
Sul piano di vista religioso i siciliani rimasero più fedeli alla chiesa di Roma che al patriarcato di Costantinopoli. Nonostante questo vennero fondati in tutta la Sicilia ed in Calabria monasteri greci, retti dall’ordine basiliano, sino ad arrivare al numero di quarantadue, trentuno in Sicilia, undici in Calabria. Questi monasteri erano relativamente isolati tra di loro, anche se ben protetti ed in grado di gestirsi autonomamente.
I più importanti nel Valdemone furono San Pietro e Paolo d’Itala, San Filippo di Demenna o Fragalà, SS Pietro e Paolo d’Agrò e San Fratello, oltre a tanti altri disposti nell’agro, di minore importanza ma sempre rilevanti entro la struttura ecclesiastica. Tra questi di minore importanza figurano San Angelo e San Nicolò del Fico, il monastero che maggiormente a noi interessa.
Oltre al monastero greco, tracce di insediamenti bizantini sono stati ritrovati in altri luoghi del borgo raccujese. Innanzitutto, secondo alcuni studiosi, in località “Cuba”, esisteva una chiesa bizantina: tracce di questa resistono nel terreno, poiché sino agli anni trenta esisteva una piattaforma quadrata che serviva come base all’edificio, e nel nome della località stessa.
A differenza dell’architettura paleocristiana, la quale aveva ereditato dall’architettura romana classica la forma dell’edificio e la disposizione degli elementi principali di una chiesa ( l’altare era posto infondo la navata principale, la quale simboleggiava il passaggio tra la vita materiale terrena e la vita eterna, rappresentata dall’altare), l’architettura ecclesiastica bizantina, essenzialmente geometrica, prevedeva un cubo come elemento base della chiesa; questo era posto su di una piattaforma quadrata ed attorno ad esso si dovevano raggruppare tutti gli elementi cristiani che caratterizzano una chiesa, in modo che il fedele si sarebbe trovato subito immerso in un ambiente del tutto contemplativo. Gli angoli superiori della struttura venivano arrotondati per meglio “amalgamare” una cupola semisferica all’edificio. Ai muri laterali, meno che a quello da cui si entrava, venivano affiancate piccole cappelle che formavano all’esterno delle absidi. Il nome Cuba della località potrebbe derivare dal cubo di formazione della chiesa, perché, come per altre località nebroidee, come Sant’Angelo di Brolo, il nome derivava da qualche struttura o elemento del luogo: Cuba deriverebbe da cubo, Sant’Angelo dal monastero dedicato a San Michele. In un documento datato 1269, scritto dall’abate di San Nicolò, Filagatone, v’è testimoniato che il monastero godesse di terreni, specialmente uno in località Sclesais (oggi Sclisi, nel comune di Raccuja). Il territorio era anticamente posto nel territorio di San Marco.
Se per altri versi il documento è importante per studiare l’antico diritto civile, a noi interessa per testimoniare che San Marco godeva di terreni che concedeva in parte al monastero.
Inoltre il castello Branciforti è risultato dall’ ampliamento da parte di Ruggero di una struttura primitiva romana, che divenne in periodo bizantino carcere. Infatti, secondo Ugo Falcando, storico che scrisse un libro intitolato “ Liber de Regno Siciliae”, il vescovo di Agrigento venne imprigionato nella fortezza carceraria di San Marco: non essendovi alcuna località nel Valdemone che in passato avesse per nome San Marco, all’infuori di San Marco d’Alunzio, paese d’origine greca nel quale però è assente una struttura bizantina di così alta funzione, non ci resta che individuare il quartiere di San Marco con l’antico nucleo abitativo nel luogo dove oggi sorge Raccuja. Dobbiamo però precisare che il castello, o carcere in questo caso, era posto più a monte dell’attuale maniero e divenne in periodo aragonese alloggio signorile; purtroppo, dopo l’abolizione dello statuto feudale in Sicilia, il palazzo signorile, non più usato, venne abbattuto per lasciar posto alla sola parte, che rappresentava gli uffici del vecchio palazzo, che ancor oggi a noi rimane e fortunatamente restaurata di recente.
Ancora, secondo altri studiosi, nei pressi di via Roma, dove si trova una torre normanna e dove si pensa passassero le mura difensive, si trova una porta bizantina, porta delle mura difensive, resistita alle modifiche dei secoli successivi perché inglobata nei sotterranei di una casa privata. La porta, alla quale si accede tramite una botola ed una ripida scala dal piano terra dell’abitazione, facendo parte della cinta muraria, attesta che già nel periodo bizantino Raccuja fosse circondata di mura, e neanche il solo quartiere di San Marco, anche la parte dove nel periodo arabo si sarebbe costruita una torre d’avvistamento e un piccolo villaggio attorno ad essa.
L’origine greca del monastero di San Nicolò, il rescritto di Ugone, nel quale sono inseriti tutti i monasteri fondati da Ruggero, tra i quali manca quello di San Nicolò del Fico, il Falcando e il Liber de Regno Siciliae con San Marco e la sua fortezza, la chiesa bizantina in località Cuba, la porta bizantina sotterranea, non sono che la conferma che Raccuja fosse di origine bizantina e il sostegno delle ipotesi che sostiene l’origine pagana di Raccuja in località Nuperici.
[modifica] La cinta muraria
Il ritrovamento della porta bizantina, il bisogno di difendere una così importante cittadina, Raccuja, avvalorano la probabile esistenza di una cinta muraria che circondava e prestava difesa ai cittadini in caso di attacco nemico.
Recenti studi, con lo studio di testimonianze di anziani e fotografie, oltre che di documenti e possibili confini, hanno localizzato il tracciato della cinta muraria. Questa aveva origine al castello, un tempo molto più vasto di come si presenta a noi oggi: la struttura attuale sorge presumibilmente su un antico fortilizio romano, i cui resti si trovano nel cortile (il pozzo), nel salone centrale (l’arco in arenaria) nella presenza di due mascheroni apotropaici con funzione di scacciare il malocchio, che prenderebbero spunto da riti pagani latini ( uno sulla particolare pietra da balestriere, l’altro nell’angolo destro dell’arco che dal cortile immette allo scalone principale). Un tempo il cortile era circondato da quattro ali murarie adibite ad alloggio del signore nel XVI/XVII secolo; inoltre il complesso difensivo era unito, tramite il torrone sinistro, tuttora integro, al monastero retto dai padri carmelitani calzati e dedicato alla Madonna del Carmelo.
Dalla torre che univa i due edifici o dal campanile della chiesa del Carmelo la cinta muraria difensiva si collegava a quella torre normanna o quattrocentesca sita nel già citato quartiere “Torre”. Le mura scendevano e si collegavano ad un fortilizio con annessa chiesa sito dove oggi si trova la chiesa madre, all’angolo estremo inferiore sinistro di chi guarda il paese dal versante opposto (serro comune), chiesa quest’ultima edificata per come noi la distinguiamo oggi nel 1800, impiantata su quell’antica struttura medievale che, dotata presumibilmente di torre, rappresentava uno tra i fortilizi di difesa più importanti del borgo.
La cinta si collegava, passando dall’odierna via Giovanni XXIII alla torre araba, torre più importante perché offriva una perfetta ed estesa veduta di tutta la valle del Sinagra. Le mura erano dotate molto probabilmente di un cammino di ronda, il quale consentiva il rapido passaggio dei soldati che potevano riferire al nucleo principale presente al castello di un possibile attacco nemico, dato che il maniero non è costruito in un punto strategico perfetto ma sito in quel posto per questioni difensive. Dall’odierno campanile di San Pietro le mura risalivano sul versante destro della montagna, intervallate da ben due torri: la prima, salendo, si trova ancora oggi sotto forma di abitazione, in via Roma, dove è sita la “rabbica” :gli elementi che anno permesso di individuarla sono gli angoli formati da grandi massi di pietra arenaria, tipici del periodo arabo-normanno, una parete per metà scoperta dall’intonaco, che dà sul cortile di casa privata, ma soprattutto una monofora in pietra arenaria che da sullo stesso cortile, ormai otturata dalla muratura ma, esternamente, conservata in buono stato. Tra le due torri del fianco destro si apriva una porta, della quale oggi vi sono pochi resti, situata all’imbocco di piazza Butera, affiancata ad un palazzo nobile seicentesco. Si notino il muro in mattoni e una parte dell’arco a tutto sesto, composto di lunghi conci di pietra arenaria locale. La seconda torre corrisponde probabilmente all’attuale municipio, sito su un antico convento intitolato a San Sebastiano: era un educandato femminile e il campanile della chiesa corrisponderebbe alla torre di difesa. I particolari rimasti dell’antica struttura sono: la pianta dell’edificio stesso, che tende a richiudersi su sé stesso formando un chiostro, nel quale oggi vi si trova solo il plinto di una colonnina in marmo bianco; la porta che da su via Federico II, in pietra arenaria locale, con decorazioni sobrie, che annette in una stanza rimasta inalterata dalle modifiche che hanno trasformato il convento in palazzo municipale. La stanza presenta una porta murata in pietra, la quale pietra proviene probabilmente dalle cave di San Marco d’Alunzio, una finestra che da su via Branciforti della stessa pietra della porta interna e un tetto a capriate; le colonne del monumento dei caduti, dell’antica chiesa.
La cinta svoltava verso sinistra per ricongiungere castello e completare il suo giro intorno al paese: sette le torri e tre quelle attualmente rimaste ed integrate nella struttura urbana caratteristica.
[modifica] Centro storico e suo sviluppo urbano
Dal tracciato murario risulta un borgo sviluppato sul declivio di una montagna, Monte Castagnerazza, degradante verso il fondovalle, a pianta approssimativamente quadrata o romboidale.
Il paese era formato, nel periodo precedente la dominazione normanna, di piccole abitazioni disposte intorno al castello Branciforti, a costituire il borgo bizantino di San Marco e intorno la torre di avvistamento araba, quest’ultime che tendevano a spostarsi verso sinistra, lungo l’attuale via Giovanni XXIII. Questo lo attestano i ruderi della chiesa di San Giovanni, di epoca normanna, ma nella quale sono state trovate tracce di una preesistente basilica, di modeste dimensioni, paleocristiana; il che fa pensare che la chiesa sia stato riedificata su di un luogo di culto pagano, probabilmente un tempio.
Con l’arrivo dei normanni venne edificata, o anche ampliata, la cinta muraria ed attorno le nuove torri costruite sorsero nuovi quartieri (come quartiere Torre, nei pressi della torre presumibilmente localizzata intorno la chiesa cinquecentesca di San Sebastiano martire o quartiere branciforti, sorto a sinistra dell’insediamento bizantino che degradava verso il fondovalle con la porta bizantina.
Tra il XIII/XIV secolo vennero edificate le chiese di San Pietro, vicino la torre araba, il fortilizio dove oggi si trova la chiesa madre, la chiesa di San Sebastiano, il monastero benedettino di San Sebastiano, la chiesa del Carmelo e venne ampliata la chiesa di San Giovanni.
Inoltre in questo periodo, come già si è detto, la parte bizantina del castello venne ampliato in modo tale da servire come alloggio del signore, periodo che corrisponde al passaggio del borgo da dominio Reggio a dominio feudale (1296). Con l’arrivo degli Orioles, primi baroni di Raccuja, alla fortezza vennero aggiunte la tre strutture perimetrali delle quali oggi si trovano i resti della sola zona degli uffici.
Da notare che ancora il quartiere Mancusa non esisteva, perché edificato nel ‘900.
Intorno al XVI secolo vennero costruiti i quartieri che formano il borgo basso del paese: San Pietro e San Salvatore.
Venne edificata la chiesetta di San Salvatore, in stile romanico - gotico, nel 1500, la quale diede inizio alla formazione del quartiere.
Al secolo XVIII - XIX corrisponde l’abbattimento delle mura difensive, delle quali rimasero solo le porte, distrutte nel XX secolo, ed è per questo che la cittadina si ampliò oltre le antiche mura, verso il fondovalle.
Restava però un vuoto tra il borgo alto ed il borgo basso: l’odierna piazza Regina Elena e le vie intorno ad esse. Quando, verso la metà dell’Ottocento subentrò in Europa il nuovo stile liberty, la fisionomia delle grandi città cambiò molto. Anche a Raccuja, dove già esisteva una società colta e raffinata, che avrebbe guidato poi le sorti della cittadina nella prima metà del 1900, venne apprezzato, anche se in ritardo, il nascente stile liberty, con la costruzione di dimore sontuose entro l’abitato, principesche nella campagna circostante. Il versante sud, dopo che vennero abbattute le mura, delle quali restò solo la porta, ma fino ad un certo periodo, venne costellato di vasti e sontuosi palazzi, basti pensare alla villa Li Perni, o ai due grandi palazzi Natoli, il primo che fino a qualche decennio fa ospitava la scuola media, accanto villa Li Perni, il secondo, più in alto, di fronte la caserma dei carabinieri, in piazza Picardi. Inoltre, di fronte la porta medioevale venne costruito l’attuale “circolo”, sede degli svaghi dei nobili prima, del partito democristiano e di destra poi. Sul versante opposto si crearono invece abitazioni borghesi e contadine, in pietra e calce, le quali cingevano altre dimore nobili di impronta seicentesca o settecentesca ( il palazzo al quale è affiancata la porta Sud, il palazzo che da su piazza Butera , tutti vicini l’un laltro).
Infine, nel Novecento, si creò il quartiere Mancusa, sede di abitazioni povere ma anche borghesi.
[modifica] San Nicolò Elafico
Fino a qualche decennio fa il monastero di San Nicola Elafico (l’attributo “del fico” è frutto di una storpiatura dell’appellativo Elafico o Serafico del nobilissimo vescovo di Mira) era considerato il fulcro della fondazione di Raccuja: edificato nel 1091 dal Gran Conte Ruggero d’Altavilla, il monastero doveva sorgere “ad 500 passi à novi nominis oppido Raccudia”, sul luogo dove il conte Ruggero combatté una battaglia contro le forze arabe o saracene, sorto in ringraziamento al Signore per la vittoria dell’esercito al quale il Conte fece capo.
È stato attualmente ritrovato un documento molto preciso, nomasi rescritto di Ugone, arcivescovo di Messina, scritto nell’ottobre 1131, nel quale sono inseriti tutti i monasteri che il conte edificò nella sua conquista siciliana, con lo scopo di convertire il popolo nuovamente al cristianesimo, dopo che l’isola era caduta in mano agli arabi nell’827.
In quest’elenco manca il monastero di San Nicolò in Raccuja, ma non si tratta di una semplice dimenticanza, dato l’elenco così preciso e il documento così importante. Questo attesta che il monastero non è stato fondato nel 1091, né in successiva data.
Un documento datato 1269, scritto dall’abate Filagatone, abate del monastero, oltre ad essere importante per quando riguarda l’antico diritto civile, attesta che, in località Sclesais (attuale Sclisi, nel comune di Raccuja) si trovava un piccolo territorio del monastero, facente parte dei possedimenti di San Marco: “ a causa d’inquirere le cose che essa (la diocesi di Messina) ha in proprietà, mi sono imbattuto anco nella terra di San Marco, in cui molte cose di proprietà della chiesa sono state risolute. Volendole inquirere, mi fu fatto noto da taluni, che il podere che è nel territorio della terra di San Marco vicino il luogo nominato Sclesais, quale podere il sacerdote Giovanni Schedo abitante della stessa terra, piantò a vigneto…”. San Marco era con ogni verosimiglianza l’antica Raccuja, quella esistente sul monte Castegnerazza, presumibilmente contrada di quell’antica città greco-romana, sita sul versante sinistro di “vallone Nuperici “ . Quando l’antica Raccuja decadde o comunque perse importanza, presumibilmente nel periodo bizantino, venne fondato un castello in località San Marco (oggi popoloso quartiere sopra il castello), il piccolo borgo si ampliò ed ottenne sino al XIII secolo le terre che ancora oggi a Raccuja appartengono.
Con la rivolta dei vespri, avvenuta nel 1252, il dominio della Sicilia dalla Francia passò alla Spagna e quest’ultima, dopo la breve parentesi del baronaggio, riorganizzò il governo del territorio, il dominio della cittadina da Regio divenne Feudale e il borgo fu infeudato dagli Orioles, precisamente da Berengario, il quale, a testimonianza dell’antico borgo greco, rinominò la cittadina Raccudia, dato che la gestione del governo cambiò radicalmente nel piccolo borgo di San Marco.
Tornando al documento di Filagatone, avendo il monastero possedimenti nella terra di San Marco, si attesta che già nel XIII secolo il monastero era così importante da possedere dei territori, seppur di modeste dimensioni, e che già era governato da abati di grandi capacità, quali Filagatone o Nicodemo prima, al quale abate Ruggero fece riferimento. Infatti di sicuro il conte non fondò il monastero, ma sicuramente lasciò una somma di denaro, come donazione, in ringraziamento al Signore, con lo scopo di ingrandire il monastero.
Se il monastero non venne fondato dal conte Ruggero ma già nel 1200 aveva così importanza, questo significa che il monastero venne fondato prima di Ruggero, e quindi prima dell’arrivo musulmano in Sicilia. Epoca bizantina, quindi Se il monastero è stato fondato in epoca bizantina questo significa che non solo vi era il villaggio bizantino ove oggi sorge il paese e, presumibilmente quello greco in contrada Neperici, dove sorgeva il principale, ma doveva sorgere un piccolo insediamento di età romana, senza grandi monumenti e solo con qualche alloggio rudimentale in legno del quale oggi non resta più traccia.
Inoltre, se il monastero venne dedicato a San Nicola di Mira, con appellativo greco Elafico o Serafico, che discende dagli attributi che i contemporanei del grande vescovo gli assegnavano, significa che, anche lontanamente, si dovevano avere scambi culturali con la madrepatria, Costantinopoli, perché solo a Raccuja il Santo Niccolò possedeva tale appellativo. Fatto sta che la tesi che sostiene la costruzione del monastero risalente al periodo bizantino regge molto bene ed è molto verosimile.
Il monastero di San Nicolò rappresentò come quasi sempre i grandi monasteri, un’ oasi culturale, lontana dai tumulti che funestarono la Sicilia o la cittadina stessa in quegli anni. Già dall’anno Mille esisteva nel monastero una rinomata biblioteca, caratterizzata principalmente da una raccolta di cosiddetti “Codici raccujesi”, libri e grandi volumi scritti a mano da amanuensi, che raccoglievano tantissimi scritti latini e soprattutto greci, dato che i brasiliani erano di rito greco. Questi libri, di chiari influssi pagani, persistettero sino al ‘900 quando fu conferito ad un gruppo di persone il compito di riorganizzare la raccolta; questi, impunemente, li bruciarono.
Sino alla Riforma protestante e soprattutto alla Controriforma cattolica, il monastero godeva di fama, prestigio ed era retto da grandi abati e dotti monaci; gli abati, intorno al 1450, ottennero il diritto di voto al parlamento siciliano, grande prestigio per l’abate e significativo passo per l’economia e l’importanza del monastero stesso.
Quando però, la Controriforma cattolica stilò un elenco di libri proibiti, che alludevano o parlavano del paganesimo, e quelli facenti parte dei Codici raccujesi rientravano in questa fascia, l’abate che in quegli anni reggeva il monastero si prodigò a regredire l’importanza del monastero invece di bruciare i libri contenuti, perché un monastero di modesta importanza non veniva mai ampiamente controllato. Questo significa che nei codici raccujesi doveva esserci scritto qualcosa di veramente importante, magari la storia dei contatti con la madrepatria Costantinopoli o la storia del borgo greco dell’antica Raccuja, documenti troppo importanti per essere bruciati e mantenere alta l’importanza del monastero e della cittadina.
[modifica] Chiesa Madre
La chiesa più vasta e più importante del comune di Raccuja è senza dubbio la chiesa madre.
Edificata una prima volta agli inizi del XVI secolo in onore di Maria SS Annunziata, la cui statua era prima conservata al monastero dei minori osservanti in contrada Annunziata, la chiesa subì diverse modifiche nel corso dei secoli: una prima nel 1804, quando fu rifatta la facciata, e un’altra verso la prima metà del 1900, per ripristinarla quasi interiormente dopo il terremoto del 1908, che causò alla struttura ingenti danni.
La facciata, interamente in pietra arenaria, è stata eseguita a cavallo tra XVIII e XIX secolo; richiama motivi tardo-barocchi sia nella composizione che negli arredi ma assume forme neoclassiche per la presenza di lesene binate, che a piano terra poggiano su zoccoli e che, sviluppandosi in entrambi i due ordini delle facciata, conferiscono all’edificio un aspetto a forma piramidale. Nel primo ordine si aprono tre porte, una centrale e due laterali, che immettono nelle tre navate nelle quali si suddivide l’edificio; sulla porta centrale spicca uno stemma al centro di un timpano arcuato spezzato; i portali laterali sono più piccoli rispetto a quello centrale ma i loro angoli superiori terminano con due cartocci. Le due finestre, poste sopra i portali laterali, di forma ovale, sono sormontate da un mezzo con richiami finemente scolpiti. Al secondo ordine della struttura si trova una finestra che ha agli angoli un richiamo a cartoccio ed è sormontata da un timpano di forma triangolare. Sulle tre cornici che dividono in due ordini la struttura sono intarsiati motivi floreali con racemi, girali, rosette, figure antropomorfe, ecc.
L’interno, vasto e semplice, è a pianta basilicale latina, a tre navate; quella centrale è separata dalle laterali da una fila di sei colonne, originariamente tutte in pietre arenaria monolitica, successivamente, dopo il 1908, anno del tragico terremoto, le colonne furono ricostruite in calcestruzzo armato, ricopiandone fedelmente i capitelli ed i pulvini; la sola colonna precedente al 1908 che tuttora persiste è la prima a sinistra. Gli archi che uniscono le colonne sono a tutto sesto. Nella chiesa si trovano due sarcofagi nobiliari, uno, in marmo rosso della prima metà del XVII, sorretto da due leoni in porfido, l’altro, in marmo bianco, contenente le spogli di Girolamo Giambruno, oltre a una pala cinquecentesca raffigurante la Madonna del Rosario e una tela del secolo XVII con su dipinta la Deposizione.
Ma le opere più significative presenti in questa chiesa sono le tre statue raffiguranti S. Sebastiano, della Madonna col Bambino e dell’Annunziata, quest’ultima padrona del paese, entrambe di scuola del Gagini. S. Sebastiano è collocato sull’altare sinistro del transetto: è in marmo bianco di Carrara, scolpito probabilmente da Rinaldo Bonanno, scultore della scuola del gagini, nato a Raccuja e vissuto nella seconda metà del XVI secolo. Il santo è raffigurato al momento del suo massimo dolore fisico e del suo martirio, legato, come vuole la tradizione, a un tronco d’albero, col braccio destro sollevato verso l’alto e quello sinistro pendente; entrambi i polsi sono serrati al tronco tramite delle corde. La figura risente molto dell’influenza michelangiolesca, specialmente nel raffigurare la massa muscolare con precisione. La statua poggia su un piedistallo esagonale, decorato con bassorilievi rappresentanti la vita ed il martirio del santo.
La statua di S. Maria di Gesu, alla quale è intestata la chiesa, è stato motivo di disaccordi per quanto riguarda lo scultore. Comunque si sa per certo che la statua sia stata commissionata alla scuola gaginesca dalla famiglia Branciforti, come attesta il bassorilievo inciso sulla base esagonale su cui poggia la statua, raffigurante il leone rampante, simbolo per l’appunto della famiglia. La figura della Madonna si presenta slanciata (gotismo gaginesco) col Bambino benedicente posto nel suo braccio sinistro, mentre quello destro è piegato al seno tra il pollice e l’indice è collocato un piccolo melograno. Il volto è alquanto mesto. Un velo sottile le copre il capo, da cui si intravedono delicate ciocche di capelli. Una veste con pieghe verticali copre la parte superiore della statua. Il resto dell’immagine è interessato mantello che scende fino ai piedi con ricco panneggio verticale ed orizzontale che mette in risalto delicati effetti di morbido chiaroscuro.
Il gruppo scultoreo dell’Annunciazione si trova nella cappella destra dell’altare maggiore; l’angelo Gabriele e la Madonna sono entrambi in marmo di Carrara, commissionati da don Bernardo Lanza di Raccuja a Giambattista Mazzolo, intorno al 1530. La Vergine ha un giovane aspetto, con un volto dolce e molto espressivo. Il suo mantello viene aperto dalla mano destra, lievemente alzata, ed il ginocchio destro, leggermente piegato ne accentua le pieghe. Il lembo azzurro del copricapo le scende dalla testa a forma di arco fino quasi la vita e lascia intravedere la veste sottostante, riccamente orlata e piena di pieghe verticali. Sulla veste possiede ricchi e modellati disegni. Insieme all’angelo, il gruppo è pervaso da una solenne
[modifica] Chiesa San Giovanni
La chiesa di San Giovanni, ormai ridotta a pochi ruderi e di proprietà privata, è probabilmente la chiesa più antica entro il centro cittadino del paese.
La struttura attuale risale al periodo normanno, ma il ritrovamento, al suo interno, di un altare paleocristiano raffigurante una figura umana attorniata da quattro simboli (due rose stilizzate e due spirali), fa pensare che la chiesa sia d’origini antecedenti al periodo normanno; inoltre la pianta dell’edificio si presenta perfettamente rettangolare, come se la chiesa fosse stata edificata su di un tempio pagano dopo l’ufficializzazione della religione cattolica nell’impero romano nel 313.
I muri perimetrali sono stati abbassati rispetto alla struttura originaria e, a testimonianza della vecchia chiesa si trova in via Giovanni XXIII l’antichissima porta della chiesa: il portale è leggermente ad ogiva, in pietra arenaria ed al centro dell’archetto che chiude al di sopra il portone si trova una pietra di forma trapezoidale, sulla quale vi è incisa la seguente iscrizione: DOM S. IOANIS BOLOGNA
L’interno, a disposizione basilicale (tre navate), si presenta ampio e spazioso, anche se a cielo aperto. All’entrata si trova una piccola scalinata che immette nella navata centrale, alla quale fanno contorno due nicchie laterali: quella a sinistra, attaccata al palazzo del proprietario che se ne impossessò all’inizio del novecento, è in pietra arenaria e, sobriamente decorata, presenta al centro un piccolo fiore stilizzato che reca sul “piedistallo” la data di 1676, data quest’ultima, presumibilmente, dell’ultima modifica che ha adattato la struttura al nascente stile barocco di quegli anni.
L’altare principale, affiancato da due piccole absidi laterali, presenta un altare antichissimo, in quanto paleocristiano e una nicchia sopraelevata che anticamente racchiudeva la statua di San Giovanni.
La pietra di cui si compone l’altare paleocristiano è costituita da un unico blocco in arenaria e reca al centro la figura stilizzata di un uomo ( forse Gesù Cristo o San Giovanni o addirittura un dotto dell’epoca) attorniato da quattro simboli rappresentanti due rose stilizzate e due spirali, le stesse figure sullo stesso lato. La pietra, curva ai lati lunghi (verticali), serviva per raccogliere il sangue degli agnelli che ancora la tempo paleocristiano si sacrificavano in onore di Cristo.
Del colonnato non restano tracce, anche se si conservano intatti i loro piedistalli, specialmente dell’ultima colonna sinistra, vicina all’altare, quadrato in basso e poi, come a prendere la conformazione circolare della colonna, rotondo.
Resta solo un capitello, antichissimo, adattato a vaso dopo che la chiesa, intorno al 1920, divenne di proprietà privata; di quest’ultima se ne impossessarono gli Amato - Sciacca, trasformandola in giardino e attaccandola al loro palazzo.
[modifica] Convento Maria SS. Annunziata (minori osservanti)
Il convento dei frati francescani dell’ordine dei minori osservanti venne edificato intorno la metà del XVI secolo e dedicato alla vergine SS Annunziata. I monaci che abitavano il convento vivevano in povertà (come l’ordine francescano richiedeva) ed accettavano, per il funzionamento del convento, solo elemosina ed offerte che i fedeli gli donavano in merito a qualche messa in onore di un defunto oppure per le lezioni impartite a figli e giovani rampolli delle famigli nobili del luogo.
Il convento ebbe vita sino al 1866, anno in cui furono emanate, nel giovane regno d'Italia, le cosiddette “leggi eversive”, che dichiaravano la chiusura di moltissimi conventi, tutti, ad esempio, nella cittadina di Raccuja. In quell’anno del convento se ne impossessò, legalmente o illegalmente, una famiglia nobile raccujese, la quale distrusse il convento e ne ricavò terreni da rivendere o coltivare.
A testimonianza dell’antico chiostro conventuale rimane solo un pozzo di forma ottagonale, originale del ‘500, interamente in pietra arenaria e sopraelevato su uno stilobate di due scalini.
Affiancata al chiostro si trova la chiesa, bisognosa di restauro ma ancora discretamente praticabile all’interno, particolarissima ed interamente manieristica e barocca.
A solo una navata, la facciata e stata rifatta a metà ‘900 ma resta l’antica porta d’accesso, lavorata accuratamente e in stile barocco (XVIII): è fiancheggiata da due colonne scanalate in stile corinzio, con classici capitelli a foglie d’acanto richiuse a cartoccio, sorrette da alti plinti scolpiti a bassorilievo; presenta una cimasa dello stesso ordine delle colonne con lesene finemente intagliate e stemma araldico rappresentante due leoni rampanti che sorreggono lo scudo con il simbolo dei francescani.
L’interno è perimetralmente circondato da sculture in arenaria che vengono a formare una “barriera” valicabile solo alla porta d’ingresso.
[modifica] Evoluzione demografica
Abitanti censiti
Sicilia · Siciliani · Letteratura · Lingua · Storia · Geografia · Province · Vittime della mafia
Artisti: Antonello da Messina · Renato Guttuso Letterati: Scuola siciliana · Giovanni Meli · Luigi Pirandello · Giovanni Verga · Salvatore Quasimodo · Leonardo Sciascia Musicisti: Vincenzo Bellini Re: Federico II · Ruggero II Scienziati: Archimede · Empedocle · Ettore Majorana |
||
Progetto Sicilia | ![]() Franco e Ciccio · Enna · Siracusa · Mascara · Russo · Acireale · Enna (prov) · Palermo (prov) · Festa di S.Agata |
Bar 'a chiazza |