Storia della Sicilia dall'Unità d'Italia
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Il 1860 fu l’anno in cui la popolazione di Sicilia, a maggioranza del 99,5% si pronunciò a favore di una nazione italiana unificata sotto la guida di Vittorio Emanuele II nel plebiscito indetto in ottobre da Garibaldi. Questo suffraggio universale è molto discusso; tra l'altro la percentuale del 99,5% viene messa in dubbio da qualunque storico moderno e studioso di statistica. La storia successiva e il sorgere della questione meridionale dimostrano la possibile inconsistenza di quella affermazione. Erano dati ufficiali, forse creati ad arte, a tavolino, e non verificabili; infatti l'analfabetismo dei molti non rendeva né pensabile, né attuabile alcun controllo, ma è anche vero che in tanti si illusero sulle promesse di Garibaldi di una totale autonomia di governo. Infatti nel primo periodo Garibaldi aveva instaurato la sua "dittatura" sulla Sicilia.
[modifica] Il dopo referendum
Il periodo rappresentava, soprattutto presso le classi piu’ povere, i braccianti e i contadini, la ripresa della speranza; l’entusiamo era grande, affamati dalla nobiltà e taglieggiati dai gabellotti, ritennero imminente la distribuzione delle terre dei latifondi e dei feudi della chiesa; ma i piu’ si ritennero ingannati quando si resero conto che invece non ci sarebbe stata alcuna autonomia di governo regionale.
Il Conte Camillo Benso di Cavour, che aveva fretta di concludere, scavalcando Garibaldi e le sue promesse, impose le leggi piemontesi alla regione che, di fatto, risultò annessa al regno di Piemonte. Venne ignorato del tutto che la Sicilia godeva già di leggi proprie e di una certa autonomia sotto il regno dei Borboni e che lo stesso Garibaldi premeva perché fossero mantenute le sue promesse. Tutto ciò provocò in poche settimane il passaggio dall’entusiasmo ad una vera e propria forma di ostilità per tutto ciò che sapeva di “piemontese”. Non fu certo una buona mossa neanche quella di inviare funzionari e amministratori del nord in Sicilia con la motivazione che c’era troppa corruzione e clientelismo. Era troppo diverso il loro modo di pensare e questo aggravava le incomprensioni, mentre cresceva l’ostruzionismo verso l’Italia in analoga maniera a quel che c’era stato nei confronti di Napoli.
La distribuzione delle terre, promessa da Giuseppe Garibaldi, non era avvenuta, le tasse si erano aggravate, senza tener conto dell’estrema povertà degli isolani e soprattutto era stata imposta con durezza la coscrizione obbligatoria. In un mondo contadino in cui il numero di braccia era quello che faceva la quantità di raccolto, il toglierne per il lungo servizio militare riduceva molte famiglie alla disperazione. Il fatto era aggravato dalla mentalità locale che vedeva come disonorevole per la donna lavorare i campi o fare la spesa. Togliere il giovane figlio maschio dalla casa equivaleva a creare un ulteriore dramma; inoltre i renitenti e i disertori dandosi alla macchia, bollati come banditi, finivano con l’ingrossare le fila della malavita.
[modifica] Il banditismo e lo sviluppo della mafia
La "nuova" organizzazione amministrativa della regione, spezzettata in piccole province, e la creazione di ben quattro organismi di polizia, unita al dilagare della corruzione tra gli stessi funzionari finirono col favorire gli intrallazzi, i taglieggiamenti e le guerre tra bande. E’ in questo periodo che compare in maniera evidente il termine mafia; nel 1863 ottiene un grande sucesso una commedia dal titolo “I mafiusi di la Vicaria” ambientata nella prigione di Palermo. La mafia esisteva già da tempo ma è ora che si “ufficializza” come mezzo di potere dei proprietari terrieri per domare i lavoratori o come sistema dei gabellotti per intimidire gli stessi proprietari, e diventa piano piano anche il mezzo mediante il quale le autorità impotenti a governare il territorio tengono a freno ogni velleità di rivolta. Anche il politico inizia a capire che gli conviene fare patti di mutuo interesse con il mafioso locale. Questi amministra la sua giustizia, anche sommaria, risolvendo problemi che l’amministrazione venuta dal nord non riesce neanche ad inquadrare, sopperisce, col suo paternalismo interessato, a risolvere problemi che lo stato invece accentua e agli occhi del “povero siculo” risulta quindi piu’ efficiente e “giusto”. E' forse questa l'origine della sfiducia verso lo stato, che appare lontano e vessatorio.I notabili locali e le vecchie classi dirigenti si adattarono presto alle nuove regole, divennero presto convinti fautori, per proprio tornaconto, dell’annessione al regno piemontese, proprio per mantenere i vecchi privilegi. Perfino la tardiva distribuzione delle terre del latifondo e dei feudi ecclesiastici, iniziata nel 1861, a gente troppo misera, che finiva con l’indebitarsi per acquistare le sementi ed era costretta a svendere le terre stesse per debiti, sortì solo l’effetto di riformare i latifondi con nuovi proprietari ed acquirenti e, per giunta, a prezzi stracciati. Il romanzo “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, "I Viceré" di Federico de Roberto e i romanzi di Giovanni Verga illustrano bene tutto ciò.
[modifica] La Sicilia sotto la legge marziale
Di lì a qualche anno, nel 1863, la Sicilia si trovò sotto la legge marziale del generale Govone e con la facoltà di fucilare la gente sul posto. Venne preferita infatti la repressione sommaria e dura, arrestando la gente senza processo ed usando anche la tortura per vincere l’omertà. Le repressioni non colpivano selettivamente ma anche la semplice renitenza alla leva provocava durissime ritorsioni contro la popolazione di interi villaggi che veniveno privati dell'acqua potabile. Scrive il Correnti nella sua Storia della Sicilia che ad un giovane sarto palermitano, Antonio Cappello, sordomuto dalla nascita, vennero inferte 154 bruciature con ferri roventi perché ritenuto simulatore dagli ufficiali piemontesi della visita di leva. Alla fine del periodo si contavano oltre 2500 morti e la condanna di quasi tremila banditi. Ciò che di fatto mancava alla Sicilia allora come nel passato era una classe borghese colta e “illuminata” che sapesse cogliere le occasioni migliori; al suo posto invece permaneva quella aristocrazia sonnolenta e sfruttatrice che viveva sperperando le rendite del latifondo in cui torme di poveri, ignoranti e sfruttati, contadini vivevano al limite basso della miseria. Non c’era stata in Sicilia alcuna rivoluzione francese a cambiare le cose e l’Inquisizione era stata abolita solo mezzo secolo prima.
[modifica] Le rivolte indipendentiste
L’esperienza rivoluzionaria del 1848 con il suo scontato epilogo aveva già rivelato la debolezza della classe colta e borghese di Sicilia quando il governo provvisorio presieduto da Ruggero Settimo si era sfaldato tra i contrasti delle varie fazioni monarchica, repubblicana, autonomista e federalista. Così, dopo la sanguinosa repressione, che ne era seguita con il cannoneggiamento di Messina ad opera della marina borbonica, erano nati altri progetti di insurrezione; un esule siciliano il La Farina nel 1857 aveva fondata la Società Italiana col motto ”Indipendenza, Unità, Casa Savoia” e l’insurrezione di Francesco Riso nell’aprile 1860 a Palermo aveva convinto l'indeciso Garibaldi ad intervenire. Dopo la delusione per l'annessione della Sicilia, anziché di una autonomia federalista, come si sperava, fu ulteriore occasione di malcontento, nel 1862, il fatto che all’Aspromonte, Garibaldi, che in Sicilia aveva reclutato i volontari, fu affrontato e ferito, proprio perché a sparare furono i “piemontesi”; un’ulteriore aggravamento di ostilità verso “lo stato” lo alimentava l'atteggiamento della Chiesa che scomunicava coloro che acquistavano le terre confiscatele e la gestione spesso scandalosa e corrotta delle procedure di vendita. Nel 1866, nel corso della guerra di secessione, scoppiò a Palermo un’altra rivolta proprio in conseguenza di tali vendite irregolari che avevano fruttato oltre 600 milioni di lire servite, come annunciò pubblicamente il 16 marzo 1876 il primo Ministro Marco Minghetti a pareggiare il bilancio dello Stato. Le proprietà ecclesiastiche vendute davano lavoro a migliaia di contadini, che così persero la loro unica fonte di reddito. La rivolta venne sedata dalle truppe del generale Raffaele Cadorna, con i soliti mezzi sbrigativi. Scriveva Garibaldi nel 1868 ad Adelaide Cairoli "... non rifarei la via del sud, temendo di essere preso a sassate..", egli aveva promessa la terra ai contadini ma quanto promesso non era poi stato mantenuto.
[modifica] Il crollo economico della Sicilia
A differenza di ciò che si crede i Borboni non erano stati dei retrogradi sfruttatori; non bisogna dimenticare che la prima ferrovia in Italia, la Napoli-Portici, era nata sotto il loro regno, che la prima città illuminata a gas in Italia (e una tra le prime in Europa) era stata Napoli e che i cantieri navali di Palermo erano già allora in produzione. Era il 1853 quando partiva il primo piroscafo dal Mediterraneo per l'America (Il "Sicilia" della Società Sicula Transatlantica). Con l'Unità e le politiche liberiste del nuovo Regno, a cui vennero estese le metodologie di governo che erano proprie dello stato Sabaudo, entrarono in crisi i principali settori industriali delle regioni meridionali, perché persero i mercati nazionali trdizionali e non poterono reggere alla concorrenza inglese e francese.
Il Regno delle due Sicilie non aveva un elevato debito pubblico al momento della sua caduta, anche a causa della bassa quantità di investimenti in opere di modernizzazione; al contrario, il Regno di Sardegna ne aveva uno molto elevato anche a causa delle guerre sostenute contro gli austriaci. In seguito all'Unità venne unificato anche il debito, facendo gravare anche sui contribuenti meridionali gli investimenti effettuati in Piemonte nel corso degli anni '50 del secolo. I fondi del Banco delle Due Sicilie, che era la Banca nazionale del regno borbonico, (443 milioni di Lire-oro, all'epoca corrispondenti al 65,7 del patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme) vennero incamerati dal nuovo stato italiano concorrendo a costituire il capitale liquido nazionale nella misura di 668 milioni di Lire-oro. L'istituto fu poi scisso in Banco di Napoli e Banco di Sicilia, partendo con evidente perdita iniziale di competitività nei confronti delle imprese bancarie nazionali.
La fiscalità, divenuta più gravosa rispetto a quella borbonica, finiva così col finanziare gli investimenti al nord. Sulle spalle dei siciliani abituati all'unica tassa sul reddito borbonica che copriva tutte le spese pubbliche anche locali, si venivano a caricare le nuove tasse comunali,le nuove tasse provinciali, il focatico ( che essendo una tassa di famiglia colpiva duramente le famiglie numerose), la tassa sul macinato ( che affamava proprio i piu' poveri che, cercando di macinare il proprio esiguo raccolto, incorrevano nella famelica imposta), la nuova tassa di successione ed altre cosiddette addizionali .
Il nuovo stato, peraltro, era ancor piu' restio dei Borboni ad investire in Sicilia: ad esempio, dal 1862 al 1896 vennero investiti per opere idrauliche al nord 450.000.000 contro soli 1.300.000 in Sicilia. Mentre nel resto d'Italia si moltiplicavano le linee ferroviarie la Sicilia ebbe la sua prima, brevissima, Palermo-Bagheria solo nel 1863. Scriveva Francesco Saverio Nitti nel suo libro "Nord e Sud" che lo stato, nel 1900, spendeva 71,15 lire annue per abitante in Liguria e solo 19,88 per abitante in Sicilia, tutto ciò mentre sul totale di lire 111.569.846 di debito pubblico dello stato il Piemonte concorresse per 61.615.000 lire e la Sicilia solo per 6.800.000
La politica liberista dei governi unitari fu quella che aggravò maggiormente la situazione economica della Sicilia. Con la politica del libero scambio venne disincentivata la produzione della seta siciliana e del tessile locale, troppo frammentati, a vantaggio della grossa impresa del nord e così avvenne anche per la locale industria alimentare anch’essa troppo parcellizzata; perfino i settori dell’industria pesante decaddero per mancanza di commesse e fondi. Se ne avvantaggiava la produzione del grano, del vino e degli agrumi, che venivano esportati durante la guerra di secessione. Questo durò soltanto fino al 1887 quando il cambiamento della strategia del governo italiano, da liberista a protezionista e la guerra doganale finirono con l'assestare il colpo di grazia all'economia oramai essenzialmente agricola della Sicilia, privandola dei suoi mercati.
Furono anni in cui avvenne un progressivo spopolamento, per fame, delle campagne. È proprio in questa serie di fattori che si individua da più parti il sorgere della mai più risolta questione meridionale.
[modifica] Lo spopolamento delle campagne e l'emigrazione
Le città relativamente piu’ ricche, soprattutto quelle della costa orientale, con l'afflusso costante di gente in cerca di lavoro proveniente dall'interno, videro incrementare la loro popolazione e con essa i loro problemi sociali. La popolazione di Catania che nel 1861 era di 68.810 abitanti, nel 1880 aveva gia superato le 90.000 unità. In quest’ultima città erano avvenuti consistenti investimenti a partire dagli anni settanta nel settore industriale della raffinazione dello zolfo che si avvantaggiava della presenza del porto per la sua commercializzazione. Iniziava anche lo sviluppo delle ferrovie a supporto della stessa, (infatti la stazione della Società per le Strade Ferrate della Sicilia venne costruita nella stessa zona delle raffinerie) e il 3 gennaio 1867 veniva aperto il tronco ferroviario Giardini-Catania della ferrovia Catania –Messina il cui primo tratto era stato inaugurato l’anno prima.
Fu così che, mentre perdurava il banditismo e il malessere sociale, nacquero nel 1892, dopo un congresso operaio a Palermo, i Fasci dei lavoratori. Presto venivano reclamate la divisione delle terre ai contadini e la soppressione dei “gabellotti”. Nel 1893 scoppiarono gravi sommosse nell’isola; la componente anarchica sfociava in eccessi e ciò diede al Crispi,divenuto capo del governo nel 1894 il motivo per scatenare una durissima repressione e lo scioglimento dei “Fasci”. Il sottosviluppo, l’analfabetismo,l’alta mortalità infantile e la malaria uniti alle spaventose e disumane condizioni di lavoro nelle zolfare disseminate in tutte le province medio-orientali della Sicilia e all’estrema miseria dei villaggi di pescatori delle zone costiere fecero sì che il governo nazionale,a partire dal 1882, incentivasse l’emigrazione verso il nord America, soprattutto gli Stati Uniti e il verso il Brasile e l’Argentina nel sud America.
Le statistiche affermano che tra il 1871 e il 1921 quasi un milione di siciliani abbiano lasciato l’isola.
[modifica] Dalla fine del secolo alla prima guerra mondiale
Il grande politico ennese Napoleone Colajanni fu l'esponente siciliano di maggiore spicco nel Psrlamento nazionale e nel sistema politico italiano del primo novecento.
[modifica] La Sicilia nel periodo fascista
[modifica] La Sicilia in guerra-Lo sbarco alleato in Sicilia
[modifica] Sicilia tra il 1945 - 1948
[modifica] Bibliografia
- Giuseppe Casarrubea, Storia segreta della sicilia - Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra,2005-Tascabili Bompiani
- Jean Huri ,Storia della Sicilia,2005- Brancato Editore ISBN 88-803-1078-X
- Santi Correnti,Breve storia della Sicilia, 2002-T.e.Newton-ISBN 88-7983-511-4
- Giuseppe Giarrizzo,Catania, 1986-Laterza-ISBN 88-420-2786-3
- Sandro Attanasio,Sicilia senza Italia,1976-Mursia editore
- Denis Mack smith, Storia della Sicilia medioevale e moderna,1976-G.Laterza e f.
- Max Polo,Storia della Mafia, 1974-Ferni edit.Ginevra
- Michele Pantaleone, Mafia e politica, 1962-Einaudi
- Aa. Vv, Storia illustrata della Seconda guerra mondiale,1970-Sansoni editore
[modifica] Voci correlate
- Salvatore Giuliano
- Antonio Canepa
- Andrea Finocchiaro Aprile
- Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia
- Movimento Indipendentista Siciliano
- Portella della Ginestra
- Storia di Enna
[modifica] Collegamenti esterni
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