Progetto Pozzo
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Il Progetto Pozzo fu il piano di riforma del campionato italiano di calcio preparato da Vittorio Pozzo nel 1921.
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[modifica] L'infinita crescita del campionato
Il campionato italiano fin dalla sua origine si era quasi sempre articolato su una fase eliminatoria a carattere regionale, seguita da un torneo finale a livello nazionale. Se nel suo primo decennio il numero delle partecipanti al campionato si era mantenuto basso e abbastanza stabile, dopo il 1909 cominciò ad aumentare a dismisura. Il motivo fu in parte l'allargamento geografico ad altre zone d'Italia rispetto all'area nord-occidentale unica ammessa ai primi tornei, ma soprattutto il problema fu legato al fatto che in tale anno venne formalmente introdotto il meccanismo delle promozioni e retrocessioni con la Seconda Categoria, ma quasi subito le retrocessioni furono de facto abrogate a causa di ripescaggi dovuti a più o meno lecite amicizie e favoritismi fra dirigenti, togliendo così il ricambio alle neopromosse che ingrandivano via via sempre più le schiere dei gironi regionali. Nella stagione 1920-21 si arrivò addirittura a ben 88 squadre di cui 64 iscritte al torneo del Nord, quello di gran lunga più importante, tant'è che la finalissima si dovette disputare addirittura il 24 luglio.
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Nella tabella qui a lato, possiamo capire l'incremento esponenziale delle partecipanti al campionato nel corso degli anni Dieci e nell'immediato Dopoguerra. Il torneo era riservato alle squadre del Triangolo Industriale fino al 1912, ammettendo nelle ultime due edizioni una rappresentante del Nord-Est alla finalissima. |
[modifica] I principi della riforma
Il nodo principale che Pozzo affrontò fu quello delle eliminatorie regionali, che erano un grave fastidio per le grandi squadre che le vedevano come, oltre che ovviamente un potenziale rischio, un inutile perdita di tempo che sottraeva spazio alle ben più stimolanti, e redditizie, gare nazionali. La soluzione fu drastica: la loro cancellazione e sostituzione con grandi gironi estesi all'intero Nord Italia. Ciò postulava ovviamente una decisa decurtazione delle partecipanti al campionato, e ci si orientò verso la cifra di 24 partecipanti divise in due gruppi, un livello leggermente superiore a quello delle 16 ammesse alle semifinali della stagione in via di conclusione, calcolato in modo da mantenere sostanzialmente invariato il numero di gare disputate dai futuri campioni d'Italia rispetto al recente passato.
Essenziale per non ripiombare nel caos precedente, fu la rigorosa reintroduzione ed applicazione della regola della retrocessione. A tal fine venne deciso che l'ultima classificata di ogni girone sarebbe scesa in Seconda Divisione, sostituita dalle vincitrici della stessa categoria cadetta.
Ma ciò non è tutto. Infatti l'intero il meccanismo era fin da subito concepito come un periodo di transizione. La prospettiva finale era quello di allargare il torneo sul completo territorio nazionale, fino ad arrivare ad un campionato a girone unico sul modello dell' English League inglese, già sperimentato in Italia nella stagione 1909-10, ma poi inopinatamente accantonato.
[modifica] L'assemblea del 24 luglio
Le spinte delle grandi per l'approvazione del Progetto Pozzo furono molto forti, anche per motivi contingenti. Il campionato che si stava concludendo aveva visto infatti numerose di esse in gravi difficoltà spesso a causa della lunghezza spossante del torneo. Le milanesi fecero magre figure, come in parte il Genoa; addirittura alla Juventus furono fatali le eliminatorie piemontesi, con gravi perdite di incassi per i bianconeri. Il calcio italiano non era più quello puramente dilettantistico di fine Ottocento, i primi colpi di calciomercato, che avvenivano sotto gli occhi fintamente distratti dei dirigenti federali, richiedevano quei ritorni economici per gli investimenti fatti, che solo gli incassi di botteghino in occasione dei big match potevano garantire.
Ma i pochi guadagni delle eliminatorie che le grandi squadre disdegnavano, per le piccole erano fonte di sussistenza, o almeno esse pensavano che lo fossero. Fu così che Pozzo arrivò a presentare il suo progetto a Torino, sede della Federazione, in un clima di tensione la mattina di domenica 24 luglio, lo stesso giorno della finalissima fra Pro Vercelli e Pisa in programma nel pomeriggio nel capoluogo piemontese, e in occasione della quale il Consiglio Federale era stato convocato. Le piccole società, ritrovatesi a loro volta a Novi Ligure il giorno prima, erano decise a dar battaglia. E infatti il Consiglio Federale, con 113 voti contro 65, bocciò la riforma Pozzo.
[modifica] La spaccatura della Federazione
Questa volta, però, le grandi società non accettarono la vittoria numerica delle piccole. Riunitesi fra loro, decisero di dar vita privatamente al nuovo campionato, e nel giro di poche settimane le 24 migliori squadre, con l'intento, secondo i loro propositi, di migliorare il livello del gioco, lasciarono la Federazione en masse. Le squadre provenivano sia dal Nord che dalla Toscana, la Regione che aveva dato prova, anche nella finalissima appena disputata, di aver raggiunto un tasso tecnico sufficiente per poter dignitosamente competere con le formazioni padane.
Le 24 società ribelli fondarono una nuova organizzazione, la Confederazione Calcistica Italiana, con sede a Milano. Il nuovo torneo, denominato Prima Divisione in omaggio alla First Division inglese, fu organizzato dalla Lega Nord, un organismo unitario che prendeva il posto dei numerosi vecchi Comitati Regionali della Federcalcio. Le risolute azioni della neocostituita CCI, e la disponibilità economica che l'accompagnava, causò altri problemi alla FIGC, che perse numerose squadre di Seconda e Terza Categoria che furono inquadrate nella Seconda e Terza Divisione della CCI, oltre all'intero movimento calcistico meridionale, che fu organizzato dalla CCI nella Lega Sud, che qui non abrogò i Comitati Regionali ma si limitò a coordinarne l'opera.
Alla Federazione non rimasero che le briciole. Se ne andarono tutte e sei le società ex-vincitrici del titolo compresi i Campioni in carica, tutte le prime classificate degli ultimi campionati regionali, quattordici delle sedici semifinaliste dell'ultimo torneo, tutte le squadre storiche ancora attive che avevano dato corpo alla Federazione nel pioneristico primo decennio del Novecento. Le società rimaste non avrebbero potuto mettere in scena se non una stagione di bassissimo profilo sportivo, in un torneo composto da poche società di calcio, molte di ginnastica, alcuni circoli ricreativi e addirittura una squadra di frati cappuccini che si narra lodassero il Cielo ad ogni fallo subito...
[modifica] Quadro della società secessioniste
Sono qui elencate le formazioni del concluso campionato del 1921.
Sono evidenziate in bianco le società secessioniste. Un tricolore segnala le squadre ex-campioni d'Italia. In grassetto le posizioni che diedero accesso alla fase nazionale dell'ultimo torneo. In corsivo, infine, le società fallite o disciolte nel corso dell'estate in oggetto.
Liguria
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Piemonte
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Lombardia
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Veneto
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Emilia
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Toscana
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[modifica] La ricomposizione dello scisma
Fu così che nel 1922 l' Italia ebbe due campionati di calcio concorrenti. I dirigenti erano però consci dell'insostenibilità della situazione, e dopo mesi di contatti, affidarono al direttore della Gazzetta dello Sport il compito di stendere un piano per la riunificazione delle due associazioni. Il cosidetto Compromesso Colombo che ne risultò, fu di fatto la vittoria definitiva delle grandi società, dato che la FIGC accettò in pratica il Progetto Pozzo e si avviò sulla strada che la condurrà nel 1929 ad istituire la Serie A.