Repubblica Romana
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
fa parte della serie Storia di Roma |
|
Fondazione di Roma |
Regno Romano |
Repubblica Romana |
Impero Romano |
Impero Romano d'Occidente |
Impero Romano d'Oriente |
|
Roma antica Storia d'Italia |
La Repubblica Romana (Res Publica Romana) fu quello Stato formato dalla città di Roma e dai suoi territori di conquista nel periodo compreso tra il 509 a.C. ed il 27 a.C., quando la sua forma di governo era una Repubblica oligarchica.
La Repubblica rappresenta una fase fondamentale della storia romana: è questo il periodo delle grandi conquiste, della prima elaborazione del diritto romano che tanta importanza avrà nella storia europea, di un primo contatto con la cultura greca e dei suoi grandi frutti nella letteratura e nella filosofia romana. L'importanza della Repubblica risiede nel fatto che essa costituì un periodo di enormi trasformazioni per Roma, che da poco più di un villaggio divenne, alla vigilia della fondazione dell'Impero, la capitale di un grande e complesso Stato, punto di incontro tra cultura ellenistica e tradizioni latine, avviata a segnare come nessun'altra civiltà precedente la storia dell'Occidente e del Mediterraneo.
[modifica] Istituzioni politiche
I poteri che erano riservati al re (comando dell'esercito, potere giudiziario e massima autorità religiosa) vengono assegnati a due consoli e, per quanto riguarda l'ambito religioso, al pontifex maximus. Con la progressiva crescita di complessità dello stato romano si rese necessaria l'istituzione di altre cariche (pretori, edili, censori, questori) che andarono a costituire la magistratura. Per ognuna di queste cariche veniva osservati due principi: l'annualità, ovvero l'osservanza di un mandato di un anno, e la collegialità ovvero l'assegnazione dello stesso incarico ad almeno due uomini alla volta, ognuno dei quali esercitava un potere di mutuo veto sulle azioni dell'altro. Ad esempio, se l'esercito romano scendeva in campo sotto il comando dei due consoli, questi alternavano i giorni di comando. Mentre i consoli erano sempre due, gran parte degli altri incarichi erano retti da più di due uomini - nella tarda Repubblica c'erano 8 pretori all'anno e 20 questori.
Il secondo pilastro della repubblica romana erano le assemblee popolari, che avevano diverse funzioni, tra cui quella di eleggere i magistrati e di votare le leggi. La loro composizione sociale differiva da assemblea ad assemblea; tra queste l'organo più importante erano comunque i comizi centuriati, in cui il peso nelle votazioni era proporzionale al censo, secondo un meccanismo (quello della divisione delle fascie censitarie in centurie) che rendeva preponderante il peso delle famiglie patrizie. Ciononostante il peso della plebe veniva comunque ad essere accentuato rispetto al periodo monarchico, in cui esisteva un solo organo assembleale (i comizi curiati) costituito da soli patrizi. L'accesso della plebe all'esercito sancito dalla riforma centuriata spinse il ceto popolare a pretendere maggiori riconoscimenti, che nell'arco di due secoli (vedi più avanti) vide tra l'altro la costituzione della carica di tribuno della plebe.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Assemblee romane. |
Il terzo fondamento politico della repubblica era il Senato, già presente nell'età della monarchia. Costituito da 300 membri, capi delle famiglie patrizie (Patres) ed ex consoli (Consulares), aveva la funzione di fornire pareri e indicazioni ai magistrati, indicazioni che poi divennero de facto vincolanti. Approvava inoltre le decisioni prese dalle assemblee popolari.
Esisteva poi la carica di dittatore, che costituiva un'eccezione all'annualità e alla collegialità. In periodi di emergenza (sempre militari) un singolo dittatore veniva eletto con un mandato di 6 mesi in cui aveva da solo la guida dello stato. Eleggeva un suo collaboratore (che comunque gli rimaneva subordinato) detto maestro della cavalleria. Caduto in disuso dopo il periodo delle grandi conquiste, il ricorso a quasto incarico tornerà ad essere praticato nella fase della crisi della repubblica.
[modifica] Storia
[modifica] Fondazione (509 a.C.)
[modifica] Leggenda
Secondo le notizie tramandateci da Tito Livio sulla fondazione della Repubblica, Sesto Tarquinio, figlio dell'ultimo Re di Roma Tarquinio il Superbo, violentò Lucrezia, una nobildonna Romana (alcuni storici affermano in realtà che fu lo stesso sovrano ad essere autore della violenza). Lucrezia riferendo alla propria famiglia l'accaduto e uccidendosi in seguito, spinse i suoi a vendicarla e ad entrare in azione raccogliendo gli uomini necessari. La famiglia di Lucrezia guidò quindi una rivolta che fece fuggire la casa reale, la quale abbandonò Roma per rifugiarsi in Etruria. Lucio Tarquinio Collatino, marito di Lucrezia, e Lucio Giunio Bruto vinsero le elezioni come primi due Consoli, supremi magistrati della Repubblica, entrambi Capi dello Stato Romano.
La leggenda narra che il sovrano esule si rivolse a Porsenna, re della città etrusca di Chiusi, per chiedere un sostegno militare e poter così rientrare a Roma. Porsenna accolse la preghiera del monarca, appartenente alla sua stessa stirpe, si mise personalmente alla testa delle truppe e marciò verso la città. Giunto a Roma, pose la città sotto assedio, ma gli atti di valore dei Romani - fra i quali si ricordano quelli di Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia - indussero dopo qualche tempo il re di Chiusi ad abbandonare l'impresa.
[modifica] Contesto storico
Il significato storico che sta sotto l'elaborazione leggendaria della fondazione della repubblica riguarda due aspetti fondamentali per la storia militare e sociale romana: l'emancipazione politica dagli Etruschi e, soprattutto, l'esito del contrasto tra l'istituzione monarchica ed il ceto dei Patrizi; quest'ultimi, preoccupati dalle iniziative politiche popolari sostenute dai re etruschi (come la riforma centuriata e l'imposizione fiscale "progressiva"), che sembravano condurre ad un sempre crescente peso della plebe, si assicurarono con la cacciata di Tarquinio il Superbo il controllo politico e sociale attraverso un istituto oligarchico.
Il periodo immediatamente successivo alla cacciata dei Tarquini, fu segnato da una crisi militare ed economica per l'Urbe: l'espansione territoriale guidata dai re fu seguita da una controffensiva dei popoli latini circostanti, degli Equi e dei Volsci che ridimensionarono i confini di Roma, la quale perse anche la sua egemonia marittima, mentre l'emarginazione dei ceti plebei artigiani e mercantili, che sotto la monarchia avevano guidato la crescita economica della città, significò una regressione ad economia agricola povera dominata dai grandi proprietari.
I primi Consoli assunsero il ruolo del re con l'eccezione dell'alto sacerdozio nell'adorazione di Iuppiter Optimus Maximus nel grande tempio sul colle Capitolino. Per quel compito i Romani elessero un Rex sacrorum o "Re delle cose sacre". Fino alla fine della Repubblica l'accusa di voler dichiararsi re rimase una delle più gravi in cui poteva incorrere un personaggio potente (ancora nel 44 a.C. gli assassini di Giulio Cesare sostennero di aver agito per prevenire la restaurazione di una monarchia esplicita).
[modifica] Conflitti sociali e secessioni
Le relazioni tra patrizi e plebei arrivarono talvolta a punti di grande tensione nell'età dell'alta e media repubblica, tali da portare i plebei a secedere dalla città - essi letteralmente abbandonavano la città, portandosi dietro famiglia e beni mobili, e accampandosi sulle colline fuori dalle mura. Queste secessioni ebbero luogo nel 494 a.C. (Secessione sull'Aventino), 450 a.C., e attorno al 287 a.C.. Il loro rifiuto di continuare a cooperare con i patrizi portò a cambiamenti sociali in ogni occasione. Nel 494 a.C., a circa soli 15 anni dalla fondazione della Repubblica, i plebei per la prima volta poterono eleggere due rappresentanti, ai quali diedero il titolo di tribuno. La "plebe" giurò di tenere i suoi capi 'sacrosanti' o inviolati, durante il mandato del loro incarico, e di uccidere chiunque avesse fatto loro del male. La seconda secessione condusse ad un'ulteriore definizione legale dei loro diritti e doveri (la redazione delle Dodici Tavole della legge) e portò il numero di tribuni a 10. Soltanto alla metà del IV secolo a.C. le magistrature furono aperte ai plebei. La terza secessione diede (Lex Hortensia) al voto del Concilium Plebis o "Concilio dei plebei", la forza della legge - chiamato oggi "plebiscito".
Il conflitto di classe interno, paradossalmente, favorì l'espansione esterna: la conquista di nuovi territori permetteva di distribuire nuove terre tra la plebe e di "incanalare" verso l'esterno le tensioni, stimolando la coesione sociale (non diversamente da quanto accadeva alle nazioni europee di inizio Novecento alle soglie della Prima Guerra Mondiale). Questo contesto, unitamente alla spinta demografica, favorì la ripresa della Repubblica che avviò un processo di espansione e colonizzazione che l'avrebbe trasformata, in due secoli, nella prima potenza della penisola.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Conflitto degli Ordini. |
[modifica] Espansione in Italia (496 a.C. - 275 a.C.)
[modifica] Lazio
La dominazione etrusca aveva escluso Roma dalla lega delle città latine limitrofe: la ricerca di nuove terre coltivabili e di vie di comunicazione contrappose presto l'Urbe a questi popoli. Un nuovo equilibrio viene stabilito nel 496 a.C., quando dopo la battaglia presso il lago Regillo (risoltasi con un nulla di fatto), Romani e Latini stabiliscono un trattato (Foedus Cassianum) per il quale Roma riconosce alle città latine la loro autonomia ma si riserva il Supremo Comando in caso di guerra. L'alleanza aveva scopi soprattutto difensivi, in vista della minaccia degli Equi e dei Volsci dagli Appennini centro-meridionali. A queste battaglie (battaglia del Monte Algido, battaglia di Corbione) fanno riferimento le leggende di Coriolano e di Cincinnato; dopo aver respinto l'offensiva, i Romani si vedono ostacolata l'espansione a Nord dalla ricca e fiorente città etrusca di Veio, che le contende il dominio sul Tevere. Iniziata nel 447 a.C. (battaglia del Cremera), la guerra si conclude nel 396 a.C. con la distruzione della città ad opera di Furio Camillo, dopo un assedio di dieci anni. L'offensiva romana nel Centro Italia è però ancora ostacolata dalla migrazione di Celti e Sanniti.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Caduta di Veio. |
[modifica] Italia Centrale
Alla fine del V secolo a.C. le popolazioni celtiche migrano dall'Europa Settentrionale (Nord del Reno e del Danubio) per insediarsi nei territori delle attuali Francia, Spagna, isole britanniche, per arrivare (400 a.C.) nell'Italia Settentrionale. Il primo scontro con Roma avviene a Clusium (Chiusi) nel 390 a.C., e al 387 a.C. (o 390 a.C.) risale la pesante sconfitta sul fiume Allia inflitta ai romani dai Galli Senoni ed il seguente saccheggio dell'Urbe. Nonostante il duro colpo Roma non perde il suo ruolo nel Lazio: nel 358 a.C. rinnova il trattato con latini ed ernici in funzione anticeltica, e dieci anni dopo è rinnovato anche il trattato con Cartagine già stipulato al tempo del passaggio dalla monarchia alla repubblica, attorno al 509 a.C..
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Trattati Roma-Cartagine. |
In questi stessi anni i sanniti (ormai organizzati nella Confederazione Sannitica) si muovono verso le coste occidentali dell'Italia. Se in un primo momento i due popoli stringono un'alleanza per far fronte alla minaccia gallica, il conflitto è solo rimandato: i sanniti controllano un territorio che va dal Gargano a Pescara , e l'espansione verso la ricca regione campana è un obbiettivo che li pone in conflitto con le mire territoriali romane. Le Guerre sannitiche (343-290 a.C.), che vedono anche altri popoli (etruschi, umbri, lucani, galli) allearsi ai nemici di Roma, si concluderanno dopo alterne vicende con la vittoria romana. I sanniti devono abbandonare le loro mire territoriali e fornire truppe. Il tempo di liquidare gli ultimi avversari nella regione (Lotte con i Galli Senoni, 285-282 a.C.) e Roma si assicura il predominio dell'Italia centrale.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Guerre sannitiche. |
[modifica] Magna Grecia
Sconfitti i Sanniti, Roma inizia ad estendere la sua influenza più a sud, venendo così, quasi inevitabilmente, ad entrare in urto con gli interessi delle città greche della Magna Grecia, e in particolra modo con quelli di Taranto. Le ostilità sono aperte dai tarantini, che nel 280 a.C. affondano delle navi romane che transitavano (violando precedenti trattati) nel golfo di Taranto e nel contempo chiedono aiuto al re dell'Epiro Pirro.
Questi accoglie le richieste della città di Taranto e sbarca in Italia con un forte esercito per scontrarsi con i romani. Le guerre pirriche durarono dal 280 a.C. al 275 a.C., fino a quando cioè, dopo alterne vicende, Pirro fu sconfitto nella battaglia di Ascoli e fu costretto a rientrare in patria.
I tarantini, abbandonati alla loro sorte, resistettero all'assedio romano per tre anni, capitolando solo nel 272 a.C.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Guerre pirriche. |
[modifica] Egemonia nel Mediterraneo (264 a.C. - 146 a.C.)
[modifica] Guerre puniche
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Guerre puniche. |
Terminate le guerre contro Pirro e le colonie greche dell'Italia meridionale, Roma aveva ormai ottenuto il controllo della penisola italiana, dagli appennini settentrionali fino alla Puglia e alla Calabria. La Sardegna e la Corsica erano sotto il controllo dei cartaginesi, che controllavano anche la parte orientale della Sicilia, mentre quella occidentale era sotto il controllo di Siracusa.
Fino a questo momento Roma e Cartagine non erano mai venute a scontrarsi, sopratutto perché differenti erano gli interessi che muovevano le rispettive politiche espansive; ciò nonostante avevano già da tempo sentito l'esigenza di regolare i reciproci rapporti con dei trattati, che definivano le rispettive zone di influenza.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Trattati Roma - Cartagine. |
Questo stato di cose cambiò quando Roma, padrona della penisola italiana, iniziò a pensare di estendere la sua influenza anche sulla Sicilia, che rappresentava il principale e più vicino "granaio" da cui Roma si poteva approvigionare per le sue crescenti esigenze.
L'occasione di intervenire negli affari siciliani fu data ai romani dalla richiesta di aiuto fatta dai Mamertini, che governavano su Messina e che erano posti sotto assedio dai siracusani. I Cartaginesi interpretarono questo intervento come una violazioe dei tratttati esistenti e dichiararono guerra a Roma, dando inizio alla Prima guerra punica.
La guerra si protrasse per circa 10 anni, dal 264 a.C. al 241 a.C., e fu combattuta principalmente sul mare dove si decise con la battaglia delle Isole Egadi con la vittoria dei romani.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Prima guerra punica. |
Al termine della Prima guerra punica la Repubblica aveva raggiunto una estensione territoriale quasi raddoppiata con la creazione della Privincia di Sicilia formata dai territori ex cartaginesi mentre Siracusa, ancora formalmente libera, era diventata un alleato affidabile. Approfittando della rivolta dei mercenari, detta anche Guerra mercenaria, che squassò il territorio metropolitano di Cartagine per tre anni, Roma nel 238 a.C. si appropriò delle isole di Sardegna e Corsica senza che i punici potessero reagire. Anche questo episodio diede forza all'iniziativa di Amilcare di conquistare territori in Spagna, dove giacimenti di minerali pregiati potevano risollevare le esauste finanze cartaginesi.
Da questi territori, dopo la politica di rafforzamento effettuata dal genero di Amilcare, Asdrubale, muoverà Annibale per condurre la sua guerra in Italia. Nel 218 a.C. dopo aver espugnato e distrutto Sagunto, città alleata a Roma, Annibale intraprese la sua famosa marcia attraverso la Provenza e le Alpi scatenando la Seconda guerra punica.
Questa guerra che si protrasse per oltre vent'anni dal 219 a.C. al 202 a.C. può a buon diritto essere considerata una specie di "guerra mondiale". Fu combattuta principalmente nei territori dell'Italia meridionale ma vide pesantemente coinvolte anche la Spagna e il territorio metropolitano di Cartagine. Inoltre vennero coinvolte le diplomazie di quasi tutto il Mar Mediterraneo dalla Numidia di Siface e Massinissa fino alle dinastie che reggevano l'Egitto, la Siria, i vari staterelli dell'Anatolia, la Grecia e la Macedonia di Filippo V. Quest'ultimo re, con il suo comportamento, diede poi ai Romani la base diplomatica per iniziare le Guerre macedoniche.
La seconda guerra punica, dopo i primi successi di Annibale al Trebbia, al Trasimeno e a Canne si trascinò per anni in battaglie, mai decisive, per la conquista di città dell'Italia meridionale quali Capua, Cuma, Taranto, Locri ripetutamente conquistate e perdute dal generale cartaginese. L'azione degli Scipioni in Spagna riuscì a togliere al controllo punico l'intera penisola; contestualmente le gravi divergenze politiche interne fra l'aristocrazia la classe mercantile cartaginesi crearono l'incapacità punica di portare aiuto ad Annibale in Italia.
Alla fine, sfidando lo stesso Senato romano, Publio Cornelio Scipione in qualità di proconsole della Sicilia organizzò e portò la guerra sotto le mura di Cartagine e dopo due anni di combattimenti riuscì a sconfiggere Annibale, rientrato in patria, nella celebre battaglia di Zama che pose fine alla guerra, mise fine al predominio non solo commerciale dei cartaginesi e pose Roma in condizioni economiche e di prestigio tali da consentirle in pochi decenni di diventare "padrona" dei territori bagnati dal Mediterraneo.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Seconda guerra punica. |
Cartagine, sconfitta dai romani, aveva quindi dovuto cedere anche le redditizie conquiste in Spagna, stava pagando le nuove indennità richieste dopo la sconfitta di Annibale (200 talenti d'argento annui per 50 anni) e fu anche costretta a prestare un contingente alle forze di Roma nelle guerre contro Antioco III, Filippo V e Perseo. La relativa decadenza dello stato era mitigata da un riprendersi del commercio in cui i cartaginesi erano maestri e un nuovo impulso dato all'agricoltura e in particolare alle coltivazioni di ulivo e vite.
Roma, dal canto suo, aveva compleato la conquista della Spagna e dopo aver sconfitto i pirati che vi avevano base, aveva conquistato anche l'Illiria. La sua zona di influenza si era poi estesa ad oriente, dove la Macedonia era divenuta una sua provincia, fino all'Anatolia. Nonostante tutti questi successi, e la crescita della potenza romana, a Roma era presente un partito che propugnava la completa distruzione della rivale africana; tra questi Catone il Censore, che terminava tutti i suoi discorsi con la famosissima frase "Ceterum censeo Carthago delenda est" (Cartagine deve essere distrutta).
Il pretesto che portò alla Terza guerra punica, fu dato ai romani da Massinissa, che da tempo stava aumentando la propria sfera di influenza a danno di Cartagine. Per due volte Cartagine chiese l'intervento dei romani per fermare le azioni dello scomodo vicino, ma in entrambe le occasioni Roma decise semplicemente di non intervenire.
Nel 150 a.C. Cartagine decise di reaggire ai continui attacchi dei nubiani, ben sapendo di contravvenire alle condizioni di pace impostegli dai romani. Infatti questa azione fu presa a pretesto dai romani per dichiarare guerra a Cartagine l'anno successivo.
La guerra che durò tre anni, dal 149 a.C. al 146 a.C., fu combattuta sul suolo africano e si concluse con la definitiva sconfitta dei cartaginesi. Cartagine fu completamente rasa al suolo e su questo fu sparso il sale in modo che non vi potesse più crescere niente.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Terza guerra punica. |
[modifica] Guerre macedoniche
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Guerre macedoniche. |
[modifica] Guerra siriaca
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Guerra siriaca. |
[modifica] Dall'età dei Gracchi alla dittatura di Silla (131 a.C. – 79 a.C.)
Il periodo che va dalle agitazioni gracchiane alla dominazione di Silla, segnò l'inizio della crisi che, quasi un secolo dopo, portò la repubblica aristocratica al tracollo definitivo. A partire dalla riforma agraria di Tiberio Sempronio Gracco nel 133 a.C., le convulsioni politiche divennero sempre più gravi, producendo una serie di dittature, guerre civili, e temporanee tregue armate, nel corso del secolo successivo. Gran parte delle registrazioni politiche del periodo sono sopravvissute, e siamo quindi in grado di comprenderle in profondità.
Gli intenti di Tiberio erano sostanzialmente conservatori. Preoccupato dalla penuria di uomini che aveva notato in varie parti d'Italia e dalla povertà di molti e convinto che in queste condizioni sarebbe stato impossibile mantenere l'ordinamento sociale che era l'ossatura dell'esercito, egli si proponeva, mediante nuove distribuzioni di terre, stabilite da un collegio che le assegnava secondo un principio quantitativo,concedendo quelle in eccesso ai cittadini meno abbienti, di dar nuovo vigore al ceto dei piccoli proprietari agricoli. L'aristocrazia senatoria, arroccandosi in una miope difesa dei propri interessi particolari, ostacolò inizialmente Tiberio, corrompendo un altro tribuno della plebe, Ottavio, tuttavia decaduto dalla carica a causa dello stesso Tiberio, che lo accusò di aver agito contro gli interessi della plebe. Nel 132 infine, una banda di senatori guidati da Scipione Nasica, attaccarono Tiberio, screditato dal popolo a causa di una campagna di propaganda avversa a quest'ultimo, diffusa dall'aristocrazia, causandone la morte , assieme ad alcune centinaia di suoi seguaci. La riforma di Gracco consisteva semplicemente nel mettere delle terre nelle mani dei veterani, ma malignamente, i suoi avversari al senato risposero alle sue macchinazioni politiche uccidendolo in strada.
Una reazione conservatrice restituì potere al Senato, ma questo proseguì la Guerra Giugurtina del 112-105 a.C. in maniera deludente, oltre alla Guerra degli schiavi in Sicilia, e alle sconfitte da parte delle tribù germaniche, tra le quali i Cimbri, che distrussero le armate consolari ad Arausio nel 105 a.C.. Roma venne salvata da Gaio Mario, che ottenne diversi incarichi consolari 103-101 a.C. e sconfisse i Teutoni ad Aquae Sextiae (102) e i Cimbri vicino a Vercellae nell'anno seguente. Il partito democratico, nel 107 a.C., portò al consolato Gaio Mario, che estese il reclutamento ai nullatenenti, sia romani, sia italici e provinciali, organizzando un esercito più efficiente, ma la riforma dell'esercito si rivelò deleteria per la stabilità dello Stato, infatti i proletari arruolati, divennero soldati di mestiere, legati più ai loro comandanti che alle istituzioni repubblicane. Mario, valendosi del proprio prestigio di generale e dell'appoggio dei suoi veterani, impose a Roma il proprio potere personale, concretatosi nell'elezione al consolato per sei anni di seguito. Ma le riforme militari di Mario erano risultate in un esercito di volontari proletari senza particolare amore per il Senato, e gli alleati politici di Mario usarono l'esercito per minacciare il Senato e far passare delle leggi che ne riducessero il potere. Mario mise un freno ai suoi alleati e si mise egli stesso in una posizione di inferiorità.
[modifica] Rivolta spartachista (73-71 a.C.)
L'agricoltura su vasta scala nella penisola italiana iniziò a dipendere dalla schiavitù con il sistema dei latifundia, e venne minacciata da una grave rivolta degli schiavi, guidata da Spartaco che durò dal 73 a.C. al 71 a.C.. Allo stesso tempo Pompeo tentava di domare l'insurrezione iberica.
Spartaco era uno schiavo della Tracia, e venne addestrato come gladiatore. Nel 73 a.C., assieme ad alcuni compagni, si ribellò a Capua e fuggì verso il Vesuvio. Il numero di ribelli crebbe rapidamente fino a 70.000, composti principalmente di schiavi Traci, Galli e Germanici.
Inizialmente, Spartaco e il suo secondo in comando Crixus riuscirono a sconfiggere diverse legioni inviate contro di loro. Una volta che venne stabilito un comando unificato sotto Marco Licinio Crasso, che aveva sei legioni, la ribellione venne schiacciata nel 71 a.C.. Circa 10.000 schiavi fuggirono dal campo di battaglia.
Gli schiavi in fuga vennero intercettati da Pompeo, aiutato dai pirati che, inizialmente, avevano promesso loro di trasportarli verso la Sicilia salvo poi tradirli, presumibilmente in base ad un accordo con Roma, che stava ritornando dalla Spagna, e 6.000 vennero crocifissi lungo la Via Appia, da Capua a Roma. Anche se Crasso svolse gran parte della lotta contro i ribelli, Pompeo reclamò la vittoria. Questa divenne una fonte di tensione tra i due uomini. Grazie all'appoggio dei loro eserciti, Pompeo e Crasso, ristabilito l'ordine in Spagna e in Italia, si fecero eleggere al consolato e nel 70 a.C. abrogarono la costituzione sillana, della quale erano stati dieci anni prima fautori convinti.
In ultima analisi, una volta che i Romani trovarono la giusta guida, i ribelli vennero sconfitti rapidamente. Questo non toglie nulla alle conquiste di Spartaco, che fu in grado di unire una banda di schiavi in una forza combattente in grado di sconfiggere diverse legioni. L'intero incidente mostrò la debolezza del Senato e del regime della tarda Repubblica Romana.
[modifica] Fine della Repubblica (66-27 a.C.)
Alla fine, il mondo Romano divenne troppo grande e complicato per le strutture della Repubblica; le sue contraddizioni erano amplificate dallo scontro tra le due fazioni che si contendevano il potere in senato; quella dei Populares guidata da Giulio Cesare e quella degli Optimates, che troverà il suo campione in Pompeo.
Lo scontro, sempre latente, si mantenne sempre entro i limiti delle tradizonali forme di governo del potere romano, fino al 49 a.C., quando il senato intimò a Cesare di rimettere il suo comando delle legioni che aveva condotto alla conquista delle Gallie, e di tornare a Roma da privato cittadino. Il 10 gennaio abbandonando gli ultimi dubbi, ( Alea iacta est ), Cesare attraverso con le sue truppe il Rubicone dando inizio alla guerra civile contro la fazione opposta.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Guerra civile romana (49 a.C.). |
La guerra civile fu combattuta vittoriosamente da Cesare su tre fronti: il fronte greco, dove Cesare sconfisse Pompeo nella battaglia di Farsalo, il fronte africano, dove Cesare riusci ad avere la meglio sugli Optimates guidati da Catone il giovane con la decisiva battaglia di Utica, ed il fronte spagnolo, dove la battaglia decisiva avvenne a Munda sull'esercito nemico guidato dai figli di Pompeo, Gneo e Sesto.
Cesare, avuta la meglio sulla fazione avversa, assunse il titolo di dictator, assomando a se molti poteri e prerogative, quasi un preludio della figura dell'imperatore, che però egli non assumerà mai, ucciso durante le idi di Marzo nel 44 a.C..
La morte del dittatore, contrariamente alle intenzioni dei congiurati, non portò alla restaurazione della Repubblica, ma ad nuovo periodo di scontri e di guerre civili. Questa volta però i due contendenti, Augusto e Marco Antonio, non erano i campioni di due fazioni tra di loro rivali, ma rappresentanti di due gruppi di potere che combattevano per il predominio sulla parte avversa, senza avere alcuna velleità di restaurare le Repubblica, che come istituzione storica risultava oramai superata.
![]() |
Per approfondire, vedi la voce Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio. |
La guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio terminò con la Battaglia di Azio nel 31 a.C., con la quale il futuro Cesare Augusto sconfisse il rivale Marco Antonio, dando inizio, se non nelle forme sicuramente nei fatti, al periodo imperiale della storia romana.
[modifica] Corpi politici della Repubblica
L'istituzione, a carattere privato, del Primo Triumvirato, rappresentò la materializzazione dei dissapori e delle divergenze che i suoi membri nutrivano in seno contro un antiquata e inetta costituzione repubblicana, non più atta ad amministrare un territorio che abbracciava un mosaico di culture e civiltà così variopinte, da non poter più essere assimilate alle vigenti catalogazioni stereotipate ideate in un tempo quando Roma esercitava la sua egemonia esclusivamente sulla penisola italiana, e che adesso andavano rielaborate per imbrigliare le forze centrifughe che ogni provincia promuoveva.I protagonisti furono tre personaggi eminenti della scena politica romana,Cesare,Pompeo e Crasso, quest'ultimo offuscato dall'antagonismo tra i due più potenti contendenti, emarginazione costernante che si risolse con una sterile campagna militare indetta dal triumviro ai danni dei Parti dove nel 53 a.C. Crasso perì incrinando il prestigio della potenza romana oltre confine.Ma era sul fronte gallico che si decideva la sorte della repubblica romana.Quando Pompeo e il Senato capirono le mire di Cesare, il "Consul sine collega" destituì il futuro padre dell'Impero che però, in una seduta di un sempre meno inportante triumvirato tenutosi a Lucca, rivelando una raffinata diplomazia e abilità persuasiva, fece sì che il mandato, in qualità di proconsole della Gallia, gli fosse reiterato per un altro quinquennio così da perseguire tutti i suoi obiettivi e varcare il Rubicone in aspettativa del trionfo di Roma.
[modifica] Cariche politiche della Repubblica
- Dittatore
- Console
- Pretore
- Edile
- Questore
- Tribuno della plebe
- Censore
- Pontefice massimo
- Princeps Senatus
- Lictor
[modifica] Personaggi della Repubblica
[modifica] Periodo iniziale della Repubblica
- Lucrezia
- Lucio Iunio Bruto
- Cincinnato
- Appio Claudio il Censore
- Guerre sannite 327-290 a.C.
- Guerre puniche
- Annibale - vedi Cartagine
- Scipione l'Africano
- Scipione Emiliano
- Catone il Censore
[modifica] Tarda Repubblica
- gli Ahenobarbi
- Giulio Cesare
- Tiberio Sempronio Gracco
- Gaio Sempronio Gracco
- Gaio Mario
- Lucio Cornelio Silla
- Pompeo Magno
- Marco Licinio Crasso
- Marco Tullio Cicerone
- Spartaco
[modifica] Letteratura latina del periodo della Repubblica
- Media Repubblica
- Tarda Repubblica
[modifica] Bibliografia
- Giannelli, G. La repubblica romana, Milano 1955.
- Mazzarino, S. Dalla monarchia allo Stato Repubblicano, Catania, 1945.
- Piganiol, A. Le conquiste dei Romani, Milano, 1989.
- Vogt, J. La repubblica romana, Roma-Bari, 1987.
Storia | Portale Storia | Categoria:Storia |
Preistoria | Storia antica | Storia medievale | Storia moderna | Storia contemporanea | Storia militare |
Aiutaci partecipando al Progetto Storia e ampliando uno stub di storia! Scrivi alla Taberna Historiae |