Basso profondo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Nell'opera lirica, il basso profondo è un basso dotato di una voce dal timbro particolarmente scuro, la cui vocalità gli consente di muoversi con particolare efficacia nella regione più grave del pentagramma. I confini tradizionali del basso sono compresi nelle due ottave di Fa (da Fa grave a Fa acuto); il basso profondo deve poter scendere anche fino al Do grave.
Indice |
[modifica] Il basso profondo nell'opera lirica
Nell'opera lirica il basso nasce profondo. Se consideriamo L'Orfeo di Claudio Monteverdi (1607), il personaggio di Caronte richiede una voce tale da poter toccare il Re grave. Sempre Monteverdi, ne L'incoronazione di Poppea (1642) assegna al personaggio di Seneca nientemeno che il Do grave.
Va ricordato che l'accordatura del diapason al tempo di Monteverdi era leggermente diversa da quella attuale: una nota scritta allora, oggi corrisponde ad un suono più alto di circa ¼ di tono. Tuttavia, anche alla luce di questa considerazione, le note richieste a questi progenitori della voce lirica più grave rimangono eccezionalmente profonde.
Le piccole dimensioni delle sale in cui venivano eseguite queste opere (per lo più nei palazzi e nelle corti della nobiltà dell'epoca) ed il limitato organico orchestrale, favorivano la resa acustica di note così basse le quali, necessariamente, costringono il cantante ad un volume sonoro ridotto rispetto a note più alte.
In seguito tuttavia, col nascere dei teatri d'opera e con l'aumentare il volume delle orchestre, divenne necessario assegnare alla voce di basso note gravi ma più sonore. Salvo rare eccezioni, almeno per i solisti tali incursioni nel registro profondissimo furono dunque abbandonate.
Nel Settecento si definisce l'estensione canonica del basso: da Fa grave a Fa acuto. Definiti i confini, arrivano le eccezioni. Wolfgang Amadeus Mozart, all'inizio della sua carriera, conobbe un basso eccezionalmente dotato nella regione grave, Johann Ignaz Ludwig Fischer. Per lui scrisse ruoli "su misura", come quello di Osmin, nell'opera Die Entführung aus dem Serail (1782), dove il cantante indugia sovente sotto il rigo del pentagramma, fino a "tenere" lungamente un Re grave. A tal proposito si ascolti l'aria "Oh, wie will ich triumphieren!", soprattutto nell'interpretazione del basso Josef Greindl, che ci ha lasciato una superba esecuzione di questa parte, incidendola, nel 1954, col maestro Ferenc Fricsay.
Nel Die Zauberflöte (1791), Mozart creò quello che forse è considerato il ruolo favorito dai bassi profondi: Sarastro. Pur non scendendo mai sotto il tradizionale Fa grave, Sarastro merita pienamente l'appellativo di profondo. È la tessitura, cioè l'alveo di pentagramma nel quale la voce insiste con maggior frequenza, a stabilire la nobile gravità di questa importante parte. Si consiglia l'ascolto di brani come "O Isis und Osiris" e "In diesen heil'gen Hallen", specialmente nell'interpretazione del basso Marti Talvela, insuperato Sarastro, come testimonia l'incisione effettuata nel 1969 col maestro Sir Gerog Solti.
Nel 1867 Giuseppe Verdi compone il Don Carlo, opera nella quale troviamo ben tre bassi importanti: il misterioso frate (Carlo V), re Filippo II e l'inquietante Grande Inquisitore, che appare in un celebre duetto col re e, fugacemente, nel finale d'opera. Pur nella sua brevità, quello del Grande Inquisitore è un ruolo molto impegnativo. Nel duetto con Filippo II, deve risultare più scuro, più terribile e più tenebroso del pur crudele re: in altre parole un autentico basso profondo. Verdi prevede che, durante questo duetto, il vecchio frate possa toccare - la nota è facoltativa - un rotondo Mi grave: si badi che l'organico orchestrale di Verdi è doppio, o anche triplo, rispetto a quello di Mozart. In realtà, nella discografia lirica questa parte è stata oggetto di interpretazioni assai diverse tra loro, non sempre fedeli alla sua tipologia vocale: è il caso di quella di Ruggero Raimondi, un basso dalla voce troppo chiara per questo specifico ruolo. Tra i migliori interpreti dobbiamo segnalare almeno Giulio Neri, Marti Talvela e, soprattutto, Ivo Vinco il quale - a detta del critico musicale Davide Annachini - benché non sia un basso profondo "puro", sa coniugare meglio di altri la necessaria cavernosità dell'Inquisitore con la giusta cantabilità. Vinco ha inciso questo memorabile duetto, assieme al basso Boris Christoff (Filippo II), nell'edizione del Don Carlo diretta dal maestro Gabriele Santini nel 1961.
Concludiamo questo breve excursus con Richard Strauss. Nel 1911 compone Der Rosenkavalier, opera che annovera tra le varie parti quella del barone Ochs. Tre secoli dopo L'Orfeo di Monteverdi, il basso torna ad esplorare la regione estrema del pentagramma. Il compositore gli assegna infatti sia il Re che il Do gravi, inserendolo così, a pieno titolo, nell'alveo del basso profondo.
[modifica] Alcune parti da basso profondo
- Caronte, ne L'Orfeo di Claudio Monteverdi (1607)
- Il Tempo e Nettuno, ne Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi (1640)
- Seneca, ne L'incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi (1642)
- Polyphemus, nell'Acis e Galatea di Georg Friedrich Händel (1718)
- Osmin, nel Die Entführung aus dem Serail di Wolfgang Amadeus Mozart (1782)
- Il Commendatore, nel Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart (1787)
- Sarastro, nel Die Zauberflöte di Wolfgang Amadeus Mozart (1791)
- Marcel, ne Les Huguenots di Giacomo Meyerbeer (1836)
- Baldassarre, ne La favorita di Gaetano Donizetti (1840)
- Silva, nell'Ernani di Giuseppe Verdi (1844)
- Fafner, nel Der Ring des Nibelungen di Richard Wagner (1848-1874)
- Sparafucile, nel Rigoletto di Giuseppe Verdi (1851)
- Jacopo Fiesco, nel Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi (1857)
- Padre Guardiano, ne La forza del destino di Giuseppe Verdi (1862)
- Un frate e il Grande Inquisitore, nel Don Carlo di Giuseppe Verdi (1867)
- Hagen, nel Götterdämmerung di Richard Wagner (1874)
- Il barone Ochs di Lerchenau, nel Der Rosenkavalier di Richard Strauss (1911)
- Il quarto tentatore, nell'Assassinio nella cattedrale di Ildebrando Pizzetti (1958)
[modifica] Celebri bassi profondi
- Pietro Vialetti (1819-?)
- Wilhelm Hesch (1860-1908)
- Juste Nivette (1865-?)
- Alexander Kipnis (1891-1978)
- Maksim Mikhailov (1893-1971)
- Henri Medus (1904-1985)
- Norman Cordon (1905-1964)
- Kurt Böhme (1908-1989)
- Giulio Neri (1909-1958)
- Josef Greindl (1912-1993)
- Michael Langdon (1920-1991)
- Arnold Van Mill (1921-1996)
- Karl Ridderbush (1930-1997)
- Manfred Schenk (1930-1999)
- Marti Talvela (1935-1989)
- Cesare Siepi (1923)
- Ivan Rebroff (1931)
- Kurt Moll (1938)
- Matti Salminen (1945)
- Kurt Rydl (1947)
- Paata Burchuladze (1955)
- Mansueto Gaudio
- Jan-Hendrick Rootering
- Eric Halfvarson
- Gregory Stapp
- Daniel Lewis Williams
[modifica] Il basso profondo nel coro
Nell'ambito della musica corale – indipendentemente che si tratti di musica sinfonica, operistica o sacra – alla sezione dei bassi viene richiesto, talvolta, di scendere a profondità che sono proprie del basso profondo, se non, addirittura, dell'ottavista. Ad esempio, ne La forza del destino (1862) di Giuseppe Verdi, durante l'aria La vergine degli angeli, ai bassi del coro è richiesto di toccare un Mi grave. Nella Seconda sinfonia (1895-1896) di Gustav Mahler, il finale prevede che i bassi tocchino addirittura un Si bemolle ultragrave. Laddove uno o più coristi non siano in grado di eseguire questa nota, il compositore ha previsto che rimangano in silenzio, piuttosto che eseguire lo stesso Si bemolle un’ottava sopra. Infine, nella versione operistica del Candide (1956) di Leonard Bernstein, il compositore assegna ai bassi un Si ultragrave.
Nella repertorio classico europeo queste discese nel profondissimo non sono comunque molto frequenti; diventano però quasi la regola in altri contesti musicali. L'arte del basso profondo è famosa soprattutto grazie, ad esempio, ai cantatori di Tuva (Mongolia), ai Lama tibetani e agli Xhosa in Sudafrica e, soprattutto, ai cori religiosi della Chiesa Cristiana Ortodossa, russa in modo particolare. Questi cori sono quasi sempre formati da sole voci maschili, divise in tenori, I e II, e bassi, I e II. I bassi, a loro volta, hanno al loro interno gli ottavisti (detti anche Strohbass in tedesco), veri e propri "contrabbassi" umani, i quali possono raggiungere, con voce piena e sonora, profondità impressionanti, come il La o il Sol ultragravi.
[modifica] Alcuni brani corali con parti da basso profondo
- Ne otverzhi mene vo vremya starosti (Non scagliarmi indietro nel tempo remoto), Op. 40/5, di Pavel Grigor'yevich Chesnokov.
- Canto della penitenza per la Russia, di Pëtr Il'ič Čajkovskij.
- Nine sili nebesniye (Ora risplende il potere divino), di Alexander Sheremetiev.
- Liturgia di San Crisostomo, per coro, op. 31, di Sergej Rachmaninov.
- Requiem, per soprano, mezzosoprano, 2 cori e orchestra, di György Ligeti.
[modifica] Tecniche di canto profondo
Possedere una voce tanto grave è indubbiamente un dono naturale. Tra le necessarie caratteristiche fisiologiche ve ne sono almeno due fondamentali: corde vocali di dimensioni superiori alla media (soprattutto nella lunghezza), e un volume toracico così imponente da avere, contemporaneamente, sia una notevole capacità di risonanza (le note gravi sono note di petto), sia una considerevole riserva d'aria per far fronte alla "tenuta" di queste note le quali, per risultare sonore, richiedono lo sposatamento d'una importante massa d'aria. Non a caso, infatti, i bassi, specialmente quelli profondi, sono quasi sempre di statura piuttosto alta e di corporatura imponente.
Esistono, tuttavia, tecniche di canto che permettono alla voce di spingersi significativamente ancora più in basso rispetto al limite fisiologico naturale, conquistando agevolmente la regione ultragrave del pentagramma.
Queste tecniche sono principalmente due: il cosiddetto vocal fry ed il canto di laringe.
[modifica] Il vocal fry
Nel vocal fry (noto anche col nome di glottal fry) viene modificata l'oscillazione delle corde vocali. Questo avviene tramite le due cartilagini aritenoidi nella laringe che vengono unite insieme; di conseguenza, l'emissione dell'aria viene compressa e il suono che ne deriva si forma da un'unica grande massa vibrante. La frequenza della vibrazione è molto bassa (20-50 hertz) e il flusso d'aria che attraversa la glottide è molto lento. In questo modo si riesce ad estendere la propria voce di almeno un’ottava verso il basso, cioè fino alla 1ª subarmonica, anche se alcuni cantanti eccezionalmente dotati riescono a controllare questa tecnica ad un livello di perfezione tale da permettergli di toccare addirittura la 5ª subarmonica.
Questo tipo di canto è usato soprattutto dagli ottavisti nella musica religiosa e sacra o comunque d'impronta classica.
[modifica] Il canto di laringe
Grazie a questa tecnica, le corde vocali e la laringe risuonano all'unisono. Sotto il profilo acustico, l'effetto che si ottiene e quello di una voce "multipla": le armoniche che compongono l'onda sonora sono separate e distinguibili le une dalle altre; in altre parole, è come se dalla bocca del cantante uscissero due o più suoni contemporaneamente (diplofonie, trifonie o quadrifonie). Questo tipo di canto permette notevoli possibilità espressive, non solo nella direzione grave del pentagramma, dove, comunque, la voce può scendere alla 1ª subarmonica.
Un tipico esempio di questa tecnica ci viene dalla Sardegna, con il tradizionale Cantu a tenore. In Tuva questa tecnica si chiama Kargyraa (nel resto della Mongolia Charchiraa), mentre in Sudafrica, presso gli Xhosa, assume il nome di Umngqokolo.
Questa impostazione trova la sua applicazione principalmente in contesti di musica folkorica e tradizionale, con l'illustre eccezione del cantante Demetrio Stratos, che ha spinto il canto di laringe ai limiti delle umane possibilità, soprattutto nell'ambito della musica contemporanea e sperimentale.
[modifica] La nota più grave: Si-²
Il cantante tedesco Ivan Rebroff, con le sue 4 ottave e mezzo, è stato, per lunghi anni, l'uomo dotato di maggior estensione vocale al mondo: il suo record è stato pubblicato sul Guinness dei primati fino al 2005; dal 2006 è stato soppiantato da Tim Storms. Rebroff è in grado di toccare un impressionante e sonoro Fa ultragrave (ascolta), esattamente un'ottava sotto il pur già considerevole Fa grave usato, ad esempio, da Sparafucile nel finale del duetto con Rigoletto.
Ma non è l'unico caso. Secondo quanto riportato nella biografia del tenore Giacomo Lauri-Volpi, egli ebbe modo di cantare con un possente basso livornese, Mansueto Gaudio, che riusciva anch'egli ad emettere un incredibile Fa ultragrave (che Lauri-Volpi, nel suo libro, chiama "controfa"). Gaudio si esibiva in questa prodezza vocale solitamente interpretando proprio Sparafucile in Rigoletto, offrendo, al pubblico entusiasta, un'impressionante conclusione del celebre duetto col baritono nell'atto I.
Come detto, è al cantante e compositore statunitense Tim Storms che spetta oggi la palma d'oro per la nota più grave. Secondo quanto riportato dal Guinness dei primati 2006, Storms ha ottenuto ben due record: quello per la maggior estensione vocale maschile (6 ottave) e quello per la nota più bassa. Questo giovane interprete (classe 1972) può arrivare ad emettere nientemeno che la sbalorditiva frequenza di 8 hertz, che corrispondono circa ad un Si-² (meno 2), posto ben due ottave sotto il Si più basso del pianoforte. Un tale infrasuono non è udibile dall'orecchio umano, pertanto questo dato è stato verificato con la misurazione strumentale proprio dai tecnici del Guinness nel gennaio 2002. Gli straordinari record di Storms sono stati ufficializzati a partire dalla pubblicazione dell'edizione 2006. Tim Storms non è un cantante lirico, pertanto la sua segnalazione a margine di questa pagina dedicata al basso profondo è giustificata solo dall'eccezionalità del suo strumento vocale.
[modifica] Curiosità
Alberto Sordi, prima di intraprendere la carriera d'attore, studiò canto lirico e si esibì sulla scena operistica, come basso, per un certo periodo della sua giovinezza. Una volta entrato nel mondo della celluloide, non ha comunque trascurato queste sue origini, tanto che, nel 1956, realizzò una commedia che narra le turbolenti vicende di un aspirante cantante, spiantato e squattrinato, che brama di calcare le scene della lirica. Il film s'intitola Mi permette, babbo? ed è diretto da Mario Bonnard. Assieme ad Aldo Fabrizi, vi compaiono anche cantanti lirici che all'epoca erano delle autentiche celebrità. Tra questi il poderoso basso senese Giulio Neri, con cui Sordi improvvisa un duetto nel quale i due fanno a gara a chi raggiunge la nota più grave. Sordi ha modo, in quella particolare scena, di sfoggiare un timbro da basso profondo di prim'ordine, emettendo un sonoro e corposo Do grave.