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Guerra arabo-israeliana del 1948 - Wikipedia

Guerra arabo-israeliana del 1948

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Conflitti arabo-israeliani
Moti del 1920 · Moti di Giaffa · Moti in Palestina del 1929 · Grande Rivolta Araba (1936-1939) · Guerra arabo-israeliana del 1948 · Crisi di Suez · Guerra dei sei giorni · Guerra d'Attrito · Guerra del Kippur · Prima invasione israeliana del Libano (1978) · Seconda invasione israeliana del Libano (1982) · Conflitto nel Sud-Libano del 1982-2000 · Prima Intifada · Guerra del Golfo Persico · Seconda Intifada · Terza invasione israeliana del Libano (2006)

Con l'espressione Guerra arabo-israeliana del 1948 (per gli israeliani "Guerra d'indipendenza", per gli arabi "Nakba", ossia "catastrofe") si intende il conflitto che portò nel 1948 allo scontro la componente ebraica della Palestina sotto mandato britannico e la componente araba della stessa regione, appoggiata quest'ultima dalle forze armate d'Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq, solidali nell'intento d'impedire - come invece comunque avvenne - la nascita dell'autoproclamato Stato indipendente ebraico d'Israele.

Indice

[modifica] Contesto storico

Sul finire del XIX secolo il territorio palestinese faceva parte dei vilayet (governatorati) siriani dell'Impero Ottomano ed era a sua volta suddivisa in due Sangiaccati (province ottomane) dove gli ebrei costituivano un'esigua minoranza (circa 24.000 persone), integrata con le popolazioni autoctone.

Grazie all'appoggio della Gran Bretagna (che vedeva di buon occhio la possibilità di insediamenti nella zona di popolazioni provenienti dall'Europa) e alla grande disponibilità economica di cui godevano alcuni settori delle comunità ebraiche, Herzl, uno dei principali sotenitori del sionismo, organizzò il primo convegno sionista mondiale a Basilea nel 1897 e in esso furono poste le basi per la graduale penetrazione ebraica in Palestina, grazie all'acquisto da parte dell'Agenzia Ebraica di terreni da assegnare a coloni ebrei originari dell'Europa e della Russia, per poter poi conseguire la necessaria maggioranza demografica e il sostanziale controllo dell'economia che potessero giustificare la rivendicazione d'un diritto di dar vita a un'entità statuale ebraica.

Come risultato di questi nuovi flussi migratori la popolazione arabo-palestinese inizò a dar vita a movimenti nazionalistici che miravano a stroncare sul nascere quella che era considerata una vera e propria minaccia d'origine straniera.

Con l'esplodere della Prima guerra mondiale e il coinvolgimento dell’Impero Ottomano in questa, molti furono gli ebrei che decisero di lasciare la loro "Terra promessa" per scegliere mete diverse, innanzi tutto gli Stati Uniti, ma già nel 1916, con l'accordo Sykes-Picot, tra Gran Bretagna e la Francia e la successiva Dichiarazione Balfour da parte del Ministro degli esteri inglese, nel quadro della futura spartizione delle aree ottomane in caso di vittoria nel conflitto in atto, venne garantito al movimento sionista che sarebbe stato concesso alla componente ebraica (non tanto a quella locale ma a quella attiva in Europa e nelle Americhe) di dar vita a una "National Home" ("casa nazionale", "un focolaio nazionale") in Palestina, specificando che non dovevano comunque essere danneggiati i "i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche della Palestina". Contemporaneamente gli inglesi promisero alla popolazioen palestinese presente che una volta sconfitto l'impero Ottomano a loro sarebbe stata garantita l'autodeterminazione. Oltre a questo il ministro plenipotenziario di Sua Maestà Sir Henry MacMahon, Alto Commissario in Egitto, promise allo shari-f di Mecca, al-Husayn b. ‘Ali-, in cambio dell'alleanza contro gli Ottomani, il riconoscimento agli Arabi dei diritti all'auto-derminazione e all'indipendenza in cambio della loro partecipazione agli sforzi bellici anti-ottomani, e la creazione di uno "Stato arabo" dai confini non definiti con precisione, ma che avrebbe inglobato all'incirca tutto il territorio compreso fra Egitto e Persia, compresa parte della Palestina.

Con la fine della guerra mondiale, e i successivi gli accordi di San Remo del 1920, si optò per l'autorizzazione da parte della Società delle Nazioni di affidare alla Gran Bretagna e alla Francia mandati, necessari in teoria per educare alla "democrazia liberale" le popolazioni del disciolto Impero Ottomano prima di concedere loro la completa indipendenza. Il mandato britannico divenne operativo completamente nel 1923, anche se l'esercito inglese occupava e controllava completamente il territorio fin dal 1917.

Se la reazione delle popolazioni arabe (musulmane e cristiane) a tali progetti fu vivace e del tutto improntata all'ostilità, diverso fu invece l'atteggiamento del movimento sionista che, forte delle precedenti promesse fattagli, considerò il Mandato britannico sulla Palestina il primo passo per la futura realizzazione dell'agognato Stato ebraico.

Sotto il Mandato britannico l'immigrazione ebraica nella zona subì un'accelerazione, solo negli anni '20 immigrarono nella zona quasi 100.000 ebrei contro poco piu' di 5.000 non ebrei. Il risultato fu quello di portare la popolazione ebraica in Palestina dalle 83.000 unità del 1915, alle 84.000 unità del 1922 (a fronte dei 590.000 arabi e 71.000 cristiani), alle 175.138 del 1931 (contro i 761.922 arabi e i quasi 90.000 cristiani), alle 360.000 unità della fine degli anni '30.

Numerose furono le dimostrazioni di protesta da parte della popolazioen araba locale, che spesso sfociarono in veri e propri scontri a tre tra l’esercito di Sua Maestà britannica, i residenti arabi e i gruppi armati dei coloni ebrei, in un crescendo di assalti a villaggi e insediamenti e conseguenti rappresaglie. Nell'ambito di questi scontri nacque l'Haganah, un'organizzazione paramilitare ebraica, con lo scopo di proteggere i Kibbutz ebraici e i loro abitanti dagli attacchi arabi e respingere gli aggressori. Dall'Haganah nel 1936 si seprarò l'ala politicamente più a destra, che darà vita all'Irgun e da quest'ultimo si separò a sua nel 1940 volta il Lehi, gruppi che agli scopi originali affiancarono l'uso di atti terroristici sia contro la popolazione araba sia contro le forze inglesi.

Spesso gli attriti non erano dovuti all'immigrazione in sé, ma ai differenti sistemi di assegnazione del terreno: gran parte della popolazione locale per il diritto inglese non possedeva il terreno, ma per le abitudini locali possedeva le piante che vi venivano coltivate sopra e di conseguenza molti terreni usati dai contadini arabi erano ufficialmente (per la legge inglese) senza proprietario e venivano quindi acquistati dai coloni ebrei (o loro affidati) o dall'Agenzia Ebraica. Questo, unito alle regole con cui venivano effettuate le assegnazioni (la terra doveva essere lavorata solo da lavoratori ebrei e non poteva essere ceduta o subaffittata a non ebrei), di fatto toglieva l'unica fonte di sostentamento e lavoro a moltissimi insediamenti arabi preesistenti.

Il 14 agosto del 1929 si ebbero i primi scontri generalizzati nel paese, dopo che alcuni gruppi di sionisti marciarono sul Muro del pianto di Gerusalemme, rivendicando a nome dei coloni ebrei l'esclusiva proprietà della Città Santa e dei suoi luoghi sacri; a seguito di questa manifestazione iniziarono a circolare voci su scontri in cui i sionisti avrebbero picchiato i residenti arabi della zona e offeso il profeta Muhammad. Come risposta il Consiglio Supremo Islamico organizzò una contro-marcia ed il corteo, una volta arrivato al Muro, bruciò le pagine di alcuni libri di preghiere ebraiche. Nella settimana gli scontri continuarono e, infiammati dalla morte di un colono ebreo e dalle voci (poi rivelatesi false) sulla morte di due arabi per mano di alcuni ebrei si ampliarono fino a comprendere tutta la Palestina.
Il 20 agosto l'Haganah offrì la propria protezione alla popolazione ebraica di Hebron (circa 600 persone su un totale di 17.000), che la rifiutò contando sui buoni rapporti che si erano instaurati negli anni con la popolazione araba e i suoi rappresentanti. Il 24 agosto gli scontri raggiunsero la città dove furono uccisi quasi 70 ebrei, altri 58 furono feriti, alcune decine fuggirono dalla città e 435 trovarono rifugio nelle case dei loro vicini arabi per poi fuggire dalla città nei giorni successivi agli scontri. Alla fine degli scontri ci furono tra gli ebrei 133 morti e 339 feriti (quasi tutti relativi a scontri con la popolazione araba, quasi 70 solo ad Hebron), mentre tra gli arabi ci furono 116 morti e 232 feriti (per la maggioranza dovuti a scontri con le forze britanniche).

Una commissione britannica giudicò e condannò i sospettati di stragi e rappresaglie ed emise diverse condanne a morte (17 arabi e 2 ebrei, commutate con la prigione a vita tranne quelle di 3 arabi che furono impiccati), condannò fermamente gli attacchi iniziali della popolazione araba contro i coloni ebraici e le loro proprietà, giustificò le rappresaglie da parte dei coloni ebrei contro gli insediamenti arabi come una "legittima difesa" dagli attacchi subiti e vide nel timore della creazione di uno stato ebraico il motivo di questi attacchi, timore che, per rassicurare la popolazione araba, venne pubblicamente giudicato infondato. Oltre a questo la commissione raccomandò al governo di riconsiderare le proprie politiche sull'immigrazione ebraica e sulla vendita di terra ai coloni ebrei, raccomandazione che portò alla creazione di una commissione reale guidata da Sir John Hope Simpson l'anno successivo. La commissione, confermo ufficialmente l'esistenza di questi problemi e mise ing uardia il governo sui rischi per la stabilità della regione nel caso di un loro aggravarsi, sostenendo anche che, dati i sistemi di coltura dei coloni e quelli tradizionali della popolazione araba, non erano rimaste più terre fertili libere da assegnare ai nuovi coloni ebrei.

La politica di Londra tuttavia non mutò, nonostante vi fossero state nel frattempo varie condanne da parte della Società delle Nazioni e la situazione previcitò portando allo scoppio di una guerra civile durata tre anni. Le iniziali richieste della popolazione araba di indire elezioni e di mettere fine al mandato e bloccare completamente l'immigrazione ebraica ebbero come risultato solo una una dura repressione e gli scontri divennero sempre più violenti, causando 5.000 morti tra la popolazione araba, 400 tra quella ebraica e 200 caduti britannici.

Dopo tre tentativi falliti di ripartizione delle terre in due stati indipendenti (ma Gerusalemme e la regione limitrofa sarebbero rimasti sotto il controllo britannico), al termine della rivolta la Gran bretagnia, con il "Libro Bianco" del 1939, decise di imporre un limite all'immigrazione, decisione che causò un brisco aumento dell'immigrazione clandestina, anche a causa delle persecuzioni che gli Ebrei avevano cominciato a subire da parte della Germania nazista fin dal 1933. Londra vietò inoltre l'ulteriore acquisto di terre da parte dei coloni ebrei, promettendo di rinunciare al suo Mandato entro il 1949 e prospettando per quella data la fondazione di un unico Stato di etnia mista araba-ebraica. Ciò indusse pertanto gli ebrei palestinesi e le organizzazioni sioniste a cercare negli Stati Uniti quello che fino ad allora aveva concesso loro l’Impero britannico.

Intanto, se da un lato alcuni palestinesi arabi si erano affidati agli atti terroristici come estrema forma di lotta contro una presenza che veniva considerata quella di un occupante straniero, un ricorso più sistematico al terrorismo fu perseguito dalle organizzazioni militanti sioniste che organizzarono gruppi militari, come l'Haganah e il Palmach, e paramilitari, quali l'Irgun e la più estremistica "Banda Stern ( conosciuta anche come Lehi)", che si occupavano di intimidire l'elemento arabo o di attaccare i militari e diplomatici britannici, causando diverse centinaia di morti tra la popolazione.

Con la seconda guerra mondiale i gruppi ebraici (con l'esclusione del gruppo della Banda Stern che cercò, senza ottenerla, l'alleanza con le forze naziste in chiave anti-inglese) si schierarono con gli Alleati, mentre molti gruppi arabi guardarono con interesse l'Asse, nella speranza che una sua vittoria servisse a liberarli dalla presenza britannica.

Agli inizi del 1947 la Gran Bretagna, provata dalla guerra mondiale e da una serie di sanguinosi attentati, tra cui l'attentato all'Hotel "King David" di Gerusalemme (organizzato dai futuri primi ministri israeliani Menachem Begin e David Ben Gurion anche se quest'ultimo cambio' idea prima che l'attentato fosse compiuto temendo troppe vittime tra i civili) e dell'Ambasciata britannica a Roma, decise di rimettere il Mandato palestinese nelle mani delle Nazioni Unite, cui venne affidato il compito di risolvere l’intricata situazione.

L’ONU dovette quindi affrontare la situazione che dopo trent’anni di controllo britannico era diventata pressoché ingestibile, visto che oramai la popolazione ebraica costituiva un terzo dei residenti in Palestina, anche se possedeva solo una minima parte del territorio (circa il 7% del territorio, contro il 50% della popolazione araba e il restante in mano al governo Britannico della Palestina [1]).

Il 15 maggio 1947 fu fondato quindi l'UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine), comprendente 11 nazioni (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Peru, Svezia, Uruguay, India, Iran, Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, Australia) da cui erano escluse le nazioni "maggiori", per permettere una maggiore neutralità.
Sette di queste nazioni Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Perù, Svezia, Uruguay) votarono a favore di una soluzione con due Stati divisi e Gerusalemme sotto controllo internazionale, tre per un unico stato federale (India, Iran, Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia), e una si astenne(Australia).

Il problema chiave che l’ONU si pose in quel periodo fu se i rifugiati europei scampati alle persecuzioni naziste dovessero in qualche modo dover essere ricollegati alla situazione in Palestina.

Nella sua relazione [1] l'UNSCOP si pose il problema di come accontentare entrambe le fazioni, giungendo alla conclusione che soddisfare le pur motivate richieste di entrambi era "manifestamente impossibile", ma che era anche "indifendibile" accettare di appoggiare solo una delle due posizioni.

Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò quindi un Piano, la Risoluzione dell'Assemblea Generale n. 181, per risolvere il conflitto arabo-ebraico dividendo il mandato britannico sulla Palestina in due stati, uno ebraico e l'altro arabo, a favore votarono 33 nazioni (Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Bielorussia, Canada, Costa Rica, Cecoslovacchia, Danimarca, Repubblica Domenicana, Ecuador, Francia, Guatemala, Haiti, Islanda, Liberia, Lussemburgo, Olanda, Nuova Zelanda, Nicaragua, Norvegia, Panama, Paraguay, Perù, Filippine, Polonia, Svezia, Sud Africa, Ucraina, USA, URSS, Uruguay, Venezuela), contro 13 (Afghanistan, Cuba, Egitto, Grecia, India, Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Arabia Saudita, Siria, Turchia, Yemen), vi furono 10 astenuti (Argentina, Cile, Cina, Colombia, El Salvador, Etiopia, Honduras, Messico, Regno Unito, Jugoslavia) e un assente alla votazione (Thailandia). La nazioni arabe fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo la non competenza dell'assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio andando contro la volontà della maggioranza dei suoi residenti, ma il ricorso fu respinto.

Voti favorevoli (verde), contrari (marrone), astenuti (verdolino) e assenti (rosso) alla risoluzione 181
Voti favorevoli (verde), contrari (marrone), astenuti (verdolino) e assenti (rosso) alla risoluzione 181

Secondi il piano, lo stato ebraico avrebbe compreso tre sezioni principali, collegate da incroci extraterritoriali; lo Stato arabo avrebbe avuto anche un' enclave a Jaffa. In considerazione dei loro significati religiosi, l'area di Gerusalemme, compresa Betlemme, fu assegnata a una zona internazionale amministrata dall'ONU.

Nel decidere su come spartire il territorio l'UNSCOP considerò, per evitare possibili rappresaglie da parte della popolazione araba, la necessità di radunare tutte le zone dove i coloni ebraici erano presenti in numero significativo (seppur spesso in minoranza [2] ) nel futuro territorio ebraico, a cui venivano aggiunte diverse zone disabitate (per la maggior parte desertiche) in previsione di una massiccia immigrazione dall'Europa, una volta abolite le limitazioni imposte dal governo britannico nel 1939, per un totale del 56% del territorio.

La situazione sarebbe dunque stata ([3]):

Territorio Popolazione araba % Arabi Popolazione ebraica % Ebrei Popolazione Totale
Stato Arabo 725.000 99% 10.000 1% 735.000
Stato Ebraico 407.000 45% 498.000 55% 905.000
Zona Internazionale 105.000 51% 100.000 49% 205.000
Totale 1.237.000 67% 608.000 33% 1.845.000
Fonte: Report of UNSCOP - 1947

(oltre a questo era presente una popolazione Beduina di 90.000 persone nel territorio ebraico).

Le reazioni alla risoluzione dell'ONU furono diversificate: la maggior parte dei gruppi ebraici, inclusa l'Agenzia Ebraica e la maggioranza della popolazione ebraica l'accettarono, pur lamentando la non continuità territoriale tra le varie aree assegnate allo stato ebraico. Gruppi ebraici più estremisti, come l'Irgun e la Banda Stern, la rifiutarono, essendo contrari alla presenza di uno Stato arabo in quella che era considerata "la Grande Israele" e al controllo internazionale di Gerusalemme.
Tra i gruppi arabi la proposta fu rifiutata, ma con diverse motivazioni: alcuni negavano totalmente la possibilità della creazione di uno stato ebraico, altri criticavano la spartizione del territorio che ritenevano avrebbe chiuso i territori assegnati alla popolazione araba (oltre al fatto che lo Stato arabo non avrebbe avuto sbocchi sul Mar Rosso e sul Mar di Galilea, quest'ultimo la principale risorsa idrica della zona), altri ancora erano contrari per via del fatto che a quella che per ora era una minoranza ebraica (un terzo della popolazione totale) fosse assegnata la maggioranza del territorio (ma la commissione dell'ONU aveva preso quella decisione anche in virtù della prevedibile immigrazione di massa dall'Europa dei reduci delle persecuzioni della Germania nazista).

La Gran Bretagna si astenne nella votazione e rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, che riteneva si sarebbe rivelato inaccettabile per entrambe le parti e annunciò che avrebbe terminato il proprio mandato il 15 maggio 1948.

[modifica] Fasi della guerra

[modifica] Prima fase: 29 novembre 19471° aprile 1948

Il giorno seguente l'adozione da parte delle Nazioni Unite 7 ebrei furono uccisi da arabi in Palestina in tre separati incidenti: alle 8 di mattino, in quello che fu poi considerato il giorno inaugurale della guerra del 1948 [2], tre Arabi attaccarono un bus che da Netanya andava a Gerusalemme, uccidendo cinque passeggeri ebrei. Mezz'ora dopo un secondo bus attaccato lasciò un passeggero morto. Più avanti nella giornata un uomo di 25 anni fu colpito a morte a Jaffa,[3] dove voci incontrollate parlavano di attacchi di ebrei ad arabi[4]. Prigionieri arabi tentarono anche di aggredire ebrei nella prigione di San Giovanni d'Acri ma furono respinti dai guardiani. A Gerusalemme il Supremo Comitato Arabo proclamò uno sciopero generale di tre giorni, da giovedì 2 dicembre che doveva essere seguito da dimostrazioni di massa dopo la preghiera del venerdì. La decisione del Comitato includeva 8 risoluzioni, l'ultima delle quali chiedeva al governo britannico di "cedere immediatamente la Palestina alla sua popolazione araba".[5] Il 2 dicembre una folla razziò e bruciò botteghe e negozi nel quartiere commerciale ebraico a Gerusalemme, senza che le forze britanniche vi si opponessero. Dall'avvio dello sciopero in poi gli scontri fra arabi ed ebrei si moltiplicarono e l'11 dicembre il corrispondente da Gerusalemme di The Times stimò che almeno 130 persone erano morte, "circa 70 delle quali ebrei, 50 arabi e, fra i restanti, tre soldati e un poliziotto britannici".[6]

Mentre la fine dell'impegno britannico in Palestina volgeva al termine, attacchi alle forze di Londra da parte dell'Irgun e del Lehi aumentarono sicché la volontà d'intervenire da parte britannica divenne via via più inconsistente e riluttante. Due disertori britannici, Eddie Brown, un capitano della polizia che accusava l'Irgun di avergli ucciso il fratello, e Peter Madison, un caporale dell'esercito, sono noti per aver partecipato all'attacco dinamitardo a bordo di un'autovettura contro il Palestine Post del 1° febbraio e contro un gruppo di persone che transitava lungo la commerciale Ben-Yehuda Street il 22 febbraio.[7] Disertori britannici combatterono anche nelle formazioni miliziane ebraiche; la maggioranza con l'Ottava Brigata Corazzata di Yitzhak Sadeh insieme a Moshe Dayan.

Allo stesso tempo, la violenza crebbe sempre più da parte dei due contendenti, impegnati in azioni di cecchinaggio, incursioni e bombardamenti che costarono la vita a numerose persone d'ambo gli schieramenti. Fra il 30 novembre 1947 e il 1° febbraio 1948 427 arabi, 381 ebrei e 46 britannici furono uccisi e 1.035 arabi, 725 ebrei e 135 britannici furono feriti. Nel marzo del 1948 soltanto, 271 ebrei e 257 arabi furono uccisi.

Col passare dei mesi dalla decisione della spartizione, forze sempre più organizzate s'impegnarono in azioni di crescente violenza. La Legione Araba attaccò un convoglio di autobus di civili ebrei a Beit Nabala il 14 dicembre e il 18 dicembre le forze dell'Haganah, forse muovendo dalle loro posizioni fortificate dei kibbutz, e del Palmach, aggredirono il villaggio di al-Khisas. Tre settimane più tardi le prime milizie irregolari arabe giunsero in Palestina e la leadership araba cominciò a organizzare i palestinesi per la guerriglia contro le forze ebraiche. Il gruppo maggiore fu costituito da una formazione di volontari, l'Esercito Arabo di Liberazione, creato dalla Lega Araba e comandato dal nazionalista arabo Fawzī al-Qawuqjī. In gennaio e febbraio, forze irregolari arabe attaccarono comunità ebraiche nel nord della Palestina ma senza conseguire sostanziali successi.

Gli arabi concentrarono i loro sforzi nel tagliare le vie di comunicazione fra le città ebraiche e il loro circondario in aree a popolazione mista. Alla fine di marzo, gli arabi tagliarono del tutto la vitale strada che univa Tel Aviv a Gerusalemme, dove viveva un sesto circa della popolazione ebraica palestinese.

L'Haganah si approvvigionò di armi provenienti dalla Cecoslovacchia (si veda Operazione Balak). L'Yishuv cominciò a lavorare su un piano chiamato Piano Dalet (ossia Piano D).

[modifica] Seconda fase: 1° aprile 194815 maggio 1948

Le forze ebraiche dimostrarono di essere militarmente più forti di quanto gli arabi si attendessero e da maggio le loro unità attaccarono città e villaggi arabi, specialmente quelli che controllavano le strade per isolare le popolazioni ebraiche.

La strada per Gerusalemme era bloccata da combattenti arabi posizionati nei villaggi ai bordi della stessa. La città di Gerusalemme era sotto assedio da parte degli arabi. Numerosi convogli di camion che portavano cibo e altri rifornimenti alla città assediata vennero attaccati. Nell'Operazione Nachshon, l'Haganah proseguì i suoi attacchi ai combattenti arabi mischiati con i civili, e aprirono temporaneamente la strada per Gerusalemme (20 aprile).

Alcuni di questi villaggi lungo la strada per Gerusalemme vennero attaccati e demoliti e la popolazione costretta a fuggire, lasciando peraltro libere le zone per la successiva colonizzazione da parte della popolazione ebraica.

Il 9 aprile avvenne il massacro di Deir Yassin (un villaggio arabo ufficialmente neutrale nel conflitto, che aveva stretto un patto di non agressione con l'Haganah) compiuto dalle forze dell'Irgun e del Lehi, guidate dal futuro Primo ministro israeliano Menachem Begin, che provocò almeno 107 morti arabi, quasi esclusivamente civili, e l'abbandono del villaggio da parte della restante popolazione (circa 750 persone), ebbe un grande risalto nell'opinione pubblica e venne anche denunciato da Ben-Gurion. Alcuni sostengono che la denuncia da parte di Ben-Gurion faceva parte di un suo tentativo di distinguere se stesso e l'Haganah dagli assalitori, forse per conquistare un vantaggio politico nella lotta per la guida dell'ancora non costituito stato di Israele. In ogni caso, gli eventi di Deir Yassin provocarono il panico tra la popolazione araba, e gran parte di essa fuggì. Mentre ciò può aver avvantaggiato le forze ebraiche, che incontrarono minor resistenza dai villaggi spopolati, l'accaduto infiammò però l'opinione pubblica dei paesi arabi, fornendo ad essi ulteriori motivi per inviare truppe regolari a combattere.

Come rappresaglia per la strage, quattro giorni dopo, il 13 aprile, gli arabi sferrarono un attacco contro un convoglio medico che viaggiava verso l'ospedale di Hadassah. Circa 77 tra medici, infermiere e altri civili ebrei furono uccisi.

Per far levare l'assedio, le forze ebraiche (guidate dal colonnello dell'esercito statunitense, col. David Marcus) costruirono la "Burma Road" (che prende il nome dalla strada costruita dagli Alleati tra la Birmania e la Cina, durante la seconda guerra mondiale): una strada tortuosa lungo le impervie montagne che portano a Gerusalemme. La "Burma Road" permise alle forze ebraiche di liberare la città dall'assedio arabo il 9 giugno, pochi giorni prima che le Nazioni Unite negoziassero un cessate il fuoco.

Nel frattempo una frenetica attività diplomatica si svolse tra tutte le parti in causa. Il 10 maggio Golda Meir rappresentò lo Yishuv nell'ultimo di una lunga serie di incontri clandestini tra i sionisti e re ˁAbd Allāh della Transgiordania. Mentre per mesi c'era stato un tacito accordo tra sionisti e Transgiordania per impedire l'istituzione di uno stato palestinese, con la Transgiordania ad occupare le aree arabe, all'incontro del 10 maggio ˁAbd Allāh offrì alla leadership dello Yishuv solo l'autonomia all'interno di un Regno Hashemita ampliato. Ciò era inaccettabile per la leadership ebraica. Ciò nonostante, con una eccezione, l'esercito transgiordano si astenne nella guerra successiva dall'attaccare le aree ebraiche designate della regione palestinese.

Il 13 maggio, la Lega Araba si riunì e concordò l'invio di truppe regolari in Palestina allo scadere del Mandato. ˁAbd Allāh di Transgiordania venne nominato comandante in capo delle armate arabe, ma i vari eserciti arabi rimasero ampiamente scoordinati per tutto il corso della guerra.

[modifica] Terza fase: 14 maggio 1948–11 giugno 1948

Il Mandato britannico sulla Palestina doveva spirare il 15 maggio, ma i comandi ebraici condotti dal futuro primo ministro David Ben-Gurion, dichiararono l'indipendenza il 14 maggio. Lo Stato d'Israele si autoproclamò nazione indipendente e fu rapidamente riconosciuto dall'Unione Sovietica, dagli Stati Uniti d'America e da altre nazioni che sedevano nell'assai limitata Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Nei pochi giorni successivi, approssimativamente 1.000 soldati libanesi, 5.000 siriani, 5.000 iracheni e 10.000 egiziani invasero il neo-costituito Stato. 4.000 soldati transgiordani invasero il cosiddetto Corpus Separatum, la regione cioè che comprendeva Gerusalemme e i suoi dintorni, come pure le aree indicate come parte dello Stato arabo dal Piano di partizione delle Nazioni Unite. Essi furono aiutati da corpi di volontari dell'Arabia Saudita della Libia e dello Yemen.

In un cablogramma ufficiale cablogramma del Segretario Generale della Lega degli Stati Arabi al suo omologo dell'ONU del 15 maggio 1948, gli Stati arabi pubblicamente proclamarono il loro intento di creare uno "Stato unitario di Palestina" al posto dei due Stati, uno ebraico e l'altro arabo, previsti dal piano dell'ONU. Essi reclamarono che quest'ultimo non era valido perché ad esso si opponeva la maggioranza degli arabi palestinesi, e confermarono che l'assenza di un'autorità legale rendeva necessario intervenire per proteggere le vite e le proprietà arabe.[8]

Israele, gli USA e l'URSS definirono l'ingresso degli Stati arabi in Palestina un'aggressione illegittima, il Segretario Generale dell'ONU, Trygve Lie, lo descrisse come "la prima aggressione armata che il mondo abbia mai visto dalla fine della seconda guerra mondiale". La Cina sostenne con decisione le rivendicazioni arabe. Entrambe le parti accrebbero la loro forza umana nei mesi seguenti, ma il vantaggio d'Israele crebbe continuamente come risultato della mobilitazione progressiva della società israeliana, incrementata dall'afflusso di circa 10.300 immigranti ogni mese.

Forze israeliane nel 1948

Forza iniziale 29.677
4 giugno 40.825
17 luglio 63.586
7 ottobre 88.033
28 ottobre 92.275
2 dicembre 106.900
23 dicembre 107.652
30 dicembre 108.300

(Fonte: Bregman, 2002, p. 24 che cita il Diario della guerra di Ben Gurion)

Il 26 maggio 1948, le Forze di Difesa Israeliane (FDI) furono ufficialmente istituite e l'Haganah, il Palmach ed Etzel furono assorbiti dall'esercito del nuovo Stato ebraico.

Man mano che la guerra proseguiva le FDI riuscirono a mettere in campo più truppe delle forze arabe. Dal luglio 1948, le FDI misero in campo 63.000 combattenti; dall'inizio della primavera del 1949, 115.000. Gli eserciti arabi avevano una forza stimata in 40.000 uomini nel luglio 1948, saliti a 55.000 nell'ottobre del 1948 e poco più nella primavera del 1949.

Tutte le risorse aeree ebraiche furono poste sotto il controllo dello Sherut Avir (Servizio Aereo, noto come SA) nel novembre del 1947 e le operazioni aeree cominciarono il mese dopo da un piccolo aeroporto nei sobborghi di Tel Aviv, chiamato Sde Dov, con la prima azione di supporto terrestre ([4] che ebbe luogo il 17 dicembre. Lo Squadrone Galilea fu formato a Yavniel nel marzo 1948 e lo Squadrone Negev fu formato a Nir-Am in aprile. Il 10 maggio, allorché lo SA registrava la sua prima perdita in combattimento, vi erano tre unità aeree, uno Stato Maggiore dell'aeronautica, impianti di manutenzione e logistica operativi. Allo scoppio della guerra il 15 maggio lo SA divenne l'Aviazione Militare Israeliana (Israeli Air Force, IAF, ebraico: זרוע האוויר והחלל Zroa HaAvir VeHaḤalal, lett. "Arma dell'Aria e dello Spazio")), ma durante le primissime settimane di guerra, con la sua flotta di velivoli leggeri non ci poteva essere lotta fra le forze aeree arabe che impiegavano T-6 Texan, Spitfire, C-47 e Avro Anson modificati (Arab Ansons), tant'è vero che la maggior parte delle perdite arabe fu il risultato delle azioni della RAF britannica in risposta alle incursioni arabe sulle base aeree di Sua Maestà a Ramat David oresso Haifa il 22 maggio nel corso delle quali 5 Spitfire egiziani furono abbattuti. Fu anche nel corso di questo periodo che il bilancio della supremazia aerea cominciò a virare a favore dell'Aviazione Militare Israeliana, a causa dell'acquisto di 25 Avia S-199 dalla Cecoslovacchia, il primo dei quali arrivò in Israele il 20 maggio. Ciò creò la paradossale situazione del giovane Stato ebraico che usava derivati dell'aereo nazista Messerschmitt Bf 109 per contrapporsi agli Spitfire egiziani. La prima incursione su una capitale araba avvenne nella notte tra il 31 maggio e il 1° giugno quando tre aerei israeliani bombardarono Amman. [9] Le FDI acquisirono la superiorità aerea nell'autunno del 1948 e le FDI ebbero anche la superiorità per quanto riguarda la potenza di fuoco e l'addestramento del personale, gran parte del quale aveva partecipato ad azioni militari nella seconda guerra mondiale.[10]

La prima missione delle FDI fu quella di resistere agli eserciti arabi e di impedir loro di distruggere i principali insediamenti ebraici, fin quando non giunsero rinforzi e nuove armi.

Il combattimento più pesante lo si ebbe a Gerusalemme e sulla strada Gerusalemme-Tel Aviv, fra la Legione Araba transgiordana e le forze israeliane. Re ˁAbd Allāh ordinò a Glubb Pasha, il comandante della Legione Araba, di entrare a Gerusalemme il 17 maggio, e si ebbero pesanti combattimenti casa per casa fra il 19 e il 28 maggio, con la Legione Araba che riuscì ad espellere le forze israeliane dai quartieri arabi di Gerusalemme, come pure dal Quartiere ebraico della Città Vecchia. Tutti gli abitanti ebraici di essa furono espulsi dai transgiordani. Le truppe irachene fallirono invece nei loro attacchi agli insediamenti ebraici (la battaglia più importante ebbe luogo a Mishmar Haemek), e presero posizione difensiva attorno a Jenin, Nablus e Tulkarm.

A nord, l'esercito siriano fu bloccato nel kibbutz di Degania, dove gli occupanti riuscirono a bloccare le forze blindate siriane solo con armamento leggero. Un carro armato messo fuori uso da una bomba Molotov è ancora presente all'interno del kibbutz. Più tardi un bombardamento d'artiglieria eseguito con cannoni del XIX secolo - veri pezzi da museo - sistemati alla meglio, condusse al ritiro dei siriani dal kibbutz.

Nel corso dei successivi mesi, l'esercito siriano fu respinto, e così pure gli irregolari palestinesi e l'Esercito Arabo di Liberazione (Arab Liberation Army, ALA).

A sud, un attacco egiziano riuscì a penetrare le difese di numerosi kibbutzim israeliani, ma con pesanti perdite. Questo attacco fu bloccato vicino Ashdod.

Le forze armate israeliane riuscirono non solo a mantenere il loro controllo militare dei territori ebraici oro assegnati dal Piano dell'ONU ma ad ampliarlo nelle aree teoricamente attribuite agli arabi.

[modifica] Prima tregua: 11 giugno 1948–8 luglio 1948

L'ONU proclamò una tregua il 29 maggio ed essa entrò in vigore l'11 giugno e sarebbe terminata 28 giorni dopo. Il cessate-il-fuoco fu sorvegliata dal mediatore delle Nazioni Unite Folke Bernadotte. Un embargo di armi fu dichiarato con l'intenzione che nessuna delle parti potesse trarre vantaggi dalla tregua. Al termine di essa, Folke Bernadotte presentò un nuovo Piano di partizione che avrebbe assegnato la Galilea (la regione più settentrionale della Palestina) agli ebrei e il Negev (la regione più meridionale della Palestina) agli arabi. Entrambe le parti contendenti respinsero il Piano. L'8 luglio le forze armate egiziane ripresero le operazioni di guerra, riattizzando in tal modo i combattimenti.

[modifica] Quarta fase: 8 luglio 1948–18 luglio 1948

I 10 giorni che si collocano a metà dell'estate fra le due tregue furono dominati in larga misura dall'offensiva israeliana e dall'atteggiamento difensivo della parte araba. L'Operazione Dani fu la più rilevante, e mirò a mettere in sicurezza e ad allargare il corridoio fra Gerusalemme e Tel Aviv, conquistando le cittadine lungo il tragitto anzidetto di Lydda (poi chiamata Lod) e di Ramle. A seguito della loro conquista, i residenti di Lydda e Ramle, circa 50.000 palestinesi, furono obbligati ad abbandonare le città da parte degli israeliani in quello che sarebbe stato il più ampio singolo esodo di popolazioni di tutto il conflitto.

In un secondo momento di operazioni pianificate, le posizioni fortificate di Latrun, dominanti Gerusalemme e la città di Ramallah, furono ugualmente conquistate dagli israeliani.

Il secondo piano fu l'Operazione Dekel, il cui fine era quello di conquistare la bassa Galilea, inclusa Nazareth. Il terzo piano, per le quali furono destinate scarse risorse, fu l'Operazione Kedem che mirava ad assicurarsi la Città Vecchia di Gerusalemme.[11]

[modifica] Operazione Dani

Lydda (Lod) fu essenzialmente difesa dall'esercito transgiordano, ma anche milizie palestinesi e dell'Esercito di Liberazione Arabo furono presenti. La città fu attaccata da nord, via Majdal al-Sadiq e al-Muzayri'a e da est, via Khulda, al-Qubab, Jimzu e Danyal. Furono anche impiegati bombardieri per la prima volta nel conflitto per bombardare Lydda/Lod. L'11 luglio 1948 le forze israeliane presero la città.

Il giorno dopo, 12 luglio 1948, anche Ramle cadde in mano israeliana.

Il 15 e 16 luglio si ebbe un attacco su Latrun ma esso non portò all'occupazione della cittadina. Un secondo disperato attacco si verificò il (18 luglio) da parte di unità della Brigata Yiftach, dotata di veicoli corazzati, compresi due carri armati Cromwell, ma anche quell'attacco fallì. Malgrado la seconda tregua che cominciò il 18 luglio, gli sforzi israeliani per conquistare Latrun proseguirono fino al 20 luglio.

[modifica] Operazione Dekel

Mentre l'Operazione Dani procedeva al centro, nel nord di attuava l'Operazione Dekel. Nazareth fu presa, per curiosa combinazione, il 16 luglio e allorché la seconda tregua entrò in vigore alle 19,00 del 18 luglio, l'intera Bassa Galielea dalla baia di Haifa al Lago Kinneret era stata conquistata dagli israeliani.

[modifica] Operazione Kedem

Originariamente l'Operazione doveva scattare l'8 luglio, immediatamente dopo la prima tregua, e attuata dall'Irgun e dalla Banda Stern, ma fu rinviata da David Shaltiel, forse perché non credeva nelle loro capacità dopo il loro fallimento di conquistare Deir Yassin senza l'aiuto dell'Haganah.

Le forze dell'Irgun, comandate da Yehuda Lapidot (Nimrod), dovevano aprirsi un varco alla Porta Nuova. Il Lehi doveva distruggere il muro che si stendeva dalla Porta Nuova alla Porta di Jaffa e il Battaglione Beit Hiron doveva colpire dal Monte Zion.

La battaglia era previsto dovesse iniziare il sabato (giornata festiva ebraica) alle 20,00 del venerdì 16 July (che era già il sabato per gli ebrei, con la conseguente applicazione del relativo disposto religioso), un giorno prima del Secondo cessate-il-fuoco della guerra arabo-israeliana. Il piano registrò problemi seri fin dalle sue prime battute e fu posposto dapprima alle 23,00 e poi alla mezzanotte. Non fu prima delle 2,30 di notte che la battaglia cominciò. Gli appartenenti all'Irgun tentarono d'infrangere il blocco alla Porta Nuova ma le altre forze ebraiche in campo fallirono il loro obiettivo. Alle 5,45 del mattino, Shaltiel ordinò una ritirata e la fine delle ostilità.

[modifica] Seconda tregua: 18 luglio 1948–15 ottobre 1948

Alle 19,00 del 18 luglio entrò in vigore la seconda tregua del conflitto, dopo intensi sforzi diplomatici condotti dall'ONU.

Il 16 settembre, Folke Bernadotte propose una nuova partizione per la Palestina in base alla quale la Transgiordania avrebbe annesso le aree arabe, incluso il Negev, al-Ramla e Lydda. Vi sarebbe stato uno Stato ebraico nell'intera Galilea, l'internazionalizzazione di Gerusalemme e il ritorno alle proprie terre dei rifugiati, o il loro indennizzo. Il piano, una volta di più, fu respinto da entrambe le parti. Il giorno dopo, 17 settembre, Bernadotte fu assassinato dalla Banda Stern (Lehi) e il suo vice, lo statunitense Ralph Bunche, lo rimpiazzò.

[modifica] Quinta fase: 15 ottobre 1948–20 luglio 1949

[modifica] Operazioni israeliane

Tra il 15 ottobre e il 20 luglio Israele lanciò una serie di operazioni militari per respingere gli eserciti arabi e rendere sicure le frontiere d'Israele.

Battaglie d'ottobre in quella che per Israele è la sua "guerra d'indipendenza"
Battaglie d'ottobre in quella che per Israele è la sua "guerra d'indipendenza"

Il 24 ottobre, le forze armate israeliane lanciarono l'Operazione Hiram e conquistarono l'intera Alta Galilea, rigettando l'Armata di Liberazione Araba e l'esercito libanese in Libano. Fu un successo completo e alla fine del mese Israele non solo aveva preso l'intera Galilea ma era avanzato anche di 5 miglia in Libano, in direzione del fiume Litani.

Il 15 ottobre le forze armate israeliane lanciarono l'Operazione Yoav nel Negev settentrionale. Il loro obiettivo era quello di inserire un cuneo fra le forze egiziane lungo la costa palestinese e la strada Beersheba-Hebron-Gerusalemme per conquistare infine l'intero Negev. L'Operazione Yoav fu condotta dal comandante del Fronte Meridionale Yigal Allon. L'operazione ebbe un totale successo perché disordinò i ranghi dell'esercito egiziano e forzò le truppe del Cairo a ritirarsi dal Negev settentrionale, da Beersheba e da Ashdod. Il 22 ottobre un commando di sommozzatori della Marina israeliana affondò la nave egiziana Amīr Fārūq.

Il 22 dicembre le forze armate israeliane rigettarono fuori dai confini programmati di Israele le rimanenti forze militari egiziane, lanciando l'Operazione Horev (chiamata anche Operazione Ayin). Il fine dell'operazione fu quello di liberare l'intero Negev dalla presenza egiziana, distruggendo la minaccia portata dall'Egitto contro le comunità ebraiche meridionali e forzando gli egiziani ad accettare un cessate-il-fuoco dopo che tutto il Negev fosse stato conquistato.

L'operazione fu una vittoria decisiva israeliana e le incursioni israeliane a Nitzana e nella Penisola del Sinai obbligarono l'esercito egiziano, che era stato circondato sulla Striscia di Gaza, a ritirarsi e ad accettare il cessate-il-fuoco. Il 7 gennaio fu raggiunto un accordo di tregua. Le forze israeliane sgomberarono il Sinai e Gaza per le pressioni internazionali.

Il 5 marzo fu lanciata l'Operazione Uvda. Il 10 marzo gli israeliani giunsero aUmm Rashrash (lì dove più tardi sarà costruita Eilat) e la conquistarono senza combattere. La Brigata Negeve e la Brigata Golani presero parte all'operazione. Dai vincitori fu innalzato un vessillo artigianale, realizzato con l'inchiostro ("The Ink Flag") e reclamarono Umm Rashrash come parte d'Israele.

[modifica] Risoluzione dell'ONU n. 194

Nel dicembre 1948, l'Assemblea Generale dell'ONU approvò la Risoluzione 194 che dichiarava fra l'altro che nel contesto di un accordo generale di pace "ai rifugiati che avessero voluto tornare alle proprie case e vivere in pace coi loro vicini, sarebbe stato permesso di fare ciò" e che "sarebbe stato pagato l'indennizzo per le proprietà di quanti avessero scelto di non tornare". La Risoluzione dava mandato inoltre di creare una Commissione di Conciliazione dell'ONU. Tuttavia le parti coinvolte nella Risoluzione non fecero alcun progresso per la sua applicazione e anche da ciò derivò il problema dei rifugiati palestinesi.

[modifica] Aeroplani britannici

Proprio a mezzogiorno del 7 gennaio 1949, quattro Spitfire FR 18 della RAF, del 208° Squadrone, in volo di perlustrazione nell'area di Dir El-Ballah, inavvertitamente sorvolarono un convoglio israeliano che era stato da poco attaccato dall'aviazione militare egiziana. I soldati delle forze israeliane spararono contro gli aerei e abbatterono uno degli aeroplani britannici. I restanti tre aerei furono abbattuti da Spitfire di pattuglia dell'aviazione israeliana condotti da Slick Goodlin e John McElroy, volontari provenienti dagli USA e dal Canada rispettivamente. Più tardi in quella giornata quattro Spitfire della RAF appartenenti allo stesso Squadrone, scortati da sette aerei Tempest dello Squadrone n° 213 e da altri otto Tempest del 6° Squadrone, alla ricerca degli aerei abbattuti del 208° Squadrone, furono aggrediti da quattro Spitfire dell'aviazione ebraica e uno dei Tempest fu abbattuto, con la susseguente morte del suo pilota, David Tattersfield.[12] Un altro Tempest fu danneggiato da un aeroplano dell'aviazione israeliana condotto da Ezer Weizman. Ci fu un solo altro scontro fra Israele e RAF nel corso del conflitto, quando un Mosquito PR. 34 del 13° Squadrone in missione tografica di perlustrazione su Israele fu abbattuto il 20 novembre 1948 da un P-51 israeliano condotto da Waine Peake.[13]

[modifica] Conseguenze

[modifica] Accordo di armistizio del 1949

Confronto tra i confini decisi dalla partizione ONU del 1947 e l'armistizio del 1949
Confronto tra i confini decisi dalla partizione ONU del 1947 e l'armistizio del 1949

Nel 1949, Israele firmò armistizi separati con l'Egitto il 24 febbraio, col Libano il 23 marzo, con la Transgiordania il 3 aprile e con la Siria il 20 luglio. Israele fu in grado in generale di tracciare i suoi propri confini, che comprendevano il 78 % della Palestina mandataria, il 50 % in più di quanto le concedeva il Piano di partizione dell'ONU. Tali linee di cessate-il-fuoco divennero più tardi come la "Green Line" (Linea Verde). La Striscia di Gaza e la Cisgiordania furono occupate rispettivamente da Egitto e Transgiordania.

[modifica] Perdite

Israele perse circa l'1 % della sua popolazione in guerra: 6.373 persone. Quasi 4.000 furono militari e il resto civili.

Il numero esatto delle perdite arabe non è noto ma è stimato fra i 5.000 e i 15.000.[14]

[modifica] Conseguenze demografiche

Le Nazioni Unite stimarono che 711.000 palestinesi, metà della popolazione araba della Palestina dell'epoca, fuggirono, emigrarono o furono forzati a sgomberare durante il conflitto.[15] Alcuni hanno rivelato che numerosi palestinesi seguitarono a credere che gli eserciti arabi avrebbero prevalso ed affermarono pertanto di voler tornare nelle loro terre d'origine.[16] Certi storici e l'antico ministro degli esteri israeliano Shlomo Ben-Ami sostengono che durante la guerra "la comunità araba [era] in uno stato di terrore di fronte alla spietatezza dell'esercito israeliano, il cui cammino verso la vittoria fu rafforzato non solo dai suoi exploit contro gli eserciti regolari arabi, ma anche dalle intimidazioni, dalle atrocità e dai massacri perpetrati contro la collettività civile araba".[17] Circa 758.000 - 866.000 ebrei che vivevano nei Paesi e nei territori arabi lasciarono o furono indotti a lasciare i loro luoghi natali a causa dell'insorgere di sentimenti anti-ebraici. [18]; 600.000 di loro emigrarono in Israele, con altri 300.000 che cercarono rifugio in vari paesi occidentali, innanzi tutto la Francia.

[modifica] Note

  1. relazione dell'UNSCOP
  2. Benevisti, 2002, p. 101.
  3. Gilbert, 1998, p. 155.
  4. "7 Jews Murdered", The Palestine Post, 1 dicembre 1947, p. 1.
  5. "Palestine's Arabs Kill Seven Jews, Call 3-Day Strike", New York Times, 1 dicembre 1947, p. 1.
  6. "Fighting in Jerusalem", The Times, 12 dicembre 1947, p. 4; Issue 50942; col E.
  7. Bowyer Bell, 1996, p. 268.
  8. 'The Origins and Evolution of the Palestine Problem: 1917–1988. Part II, 1947–1977.
  9. Aloni, 2001, pp. 7–11.
  10. Morris, 2001, pp. 217–18.
  11. Mappa degli attacchi.
  12. Aloni, 2001, p. 22.
  13. Aloni, 2001, p. 18.
  14. Mid-Range Wars and Atrocities of the Twentieth Century.
  15. Rapporto Generale e Rapporto Supplementare della Commissione di Conciliazione dell'ONU per la Palestina, sul periodo 11 dicembre 1949 - 23 ottobre 1950, pubblicato dalla Commissione di Conciliazione dell'ONU, 23 ottobre 1950. (U.N. General Assembly Official Records, 5th Session, Supplement No. 18, Document A/1367/Rev. 1) La Commissione asseriva che le stime erano state le più accurate possibili, "per quanto le circostanze lo avevano permesso", e attribuiva che la stima più elevata fosse motivata, fra le altre cose, "dal raddoppio delle tessere di razionamento, dall'incremento di persone che erano state deportate da aree diverse da quelle occupate da Israele e da persone che, per quanto non deportate, erano ridotte alla miseria."
  16. "The Arab Refugees", The New York Post. 30 novembre 1948. Reproduction.
  17. Ben-Ami, 2006, p. 42.
  18. Stearns, 2001, p. 966.

[modifica] Voci correlate

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