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Terza invasione del Libano - Wikipedia

Terza invasione del Libano

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Aree del Libano bombardate da Israele
Aree del Libano bombardate da Israele

La Terza invasione israeliana del Libano del 2006, detta anche nel gergo dei militari israeliani Operazione Just Reward è stata un'operazione militare su vasta scala iniziata dall'esercito dello stato ebraico il 12 luglio 2006 contro il Libano e i militanti dell' Hezbollah.

Da diversi giorni in Israele la tensione era molto alta a seguito del reintensificarsi dell'Intifada palestinese, che aveva portato al rapimento di un soldato israeliano e di alcuni coloni. La risposta dell'esercito fu molto dura, con numerose e sanguinose incursioni di carri armati e lanci di missili nella striscia di Gaza, seguiti prontamente da repliche palestinesi.
In questo contesto si collocarono nuovi lanci di razzi Katyusha e colpi di mortaio sul territorio israeliano e la cattura di due soldati da parte dell' Hezbollah libanese e l'uccisione di altri 8: fatto che spinse il premier israeliano Ehud Olmert a ordinare una dura rappresaglia sul suolo del Libano. La storia dei due Stati è già segnata da numerosi scontri di diversa entità, fra cui il conflitto arabo-israeliano del 1948, gli atti terroristici di Settembre Nero e l'invasione del 1982 (Prima guerra israelo-libanese), conclusasi solo nel 1985.

Il lancio di colpi verso Israele ebbe luogo alla frontiera fra le regioni di Ras Nakram e Bint Jbeil e provocò tre morti fra i civili. L'agguato contro i soldati invece, secondo quanto riportato dalla televisione sciita al-Manār, si verificò alle 9 nei pressi della fattoria Zarit, vicino alla cittadina di Tsahal, dove i militanti di Hezbollah attaccarono due Hummer che stavano pattugliando il confine; altri 2 militari morirono e altri rimasero feriti nell'attacco. Hezbollah subito rivendicò a sé la responsabilità dell'accaduto, offrendo uno scambio di prigionieri: "In linea con la promessa da parte della Resistenza islamica di liberare i nostri detenuti, la Resistenza islamica (braccio armato di Hezbollah) ha sequestrato questa mattina alle 9 (locali) due soldati israeliani e li ha portati in un luogo sicuro". Il leader degli Hezbollah Hassan Nasrallah ha commentato il rapimento come "un'operazione di qualità" per deprimere il morale ebraico.

Conflitti arabo-israeliani
Moti del 1920 · Moti di Giaffa · Moti in Palestina del 1929 · Grande Rivolta Araba (1936-1939) · Guerra arabo-israeliana del 1948 · Crisi di Suez · Guerra dei sei giorni · Guerra d'Attrito · Guerra del Kippur · Prima invasione israeliana del Libano (1978) · Seconda invasione israeliana del Libano (1982) · Conflitto nel Sud-Libano del 1982-2000 · Prima Intifada · Guerra del Golfo Persico · Seconda Intifada · Terza invasione israeliana del Libano (2006)

Secondo Israele, l'attacco sferrato sarebbe la reazione al tentativo israeliano di assassinare Mohammed Deif, capo delle Brigate ʿIzz al-Dīn al-Qassām, braccio armato di Hamas. Pare d'altra parte che Hezbollah stesse preparando l'operazione da 5 mesi e fosse in attesa del momento più adatto; la zona è poi molto adatta ad operazioni di questo genere, tanto che il fortino di Karkum sorge in territorio libanese a poche centinaia di metri dal confine.

Alla notizia dei due rapimenti Olmert parlò di "atto di guerra" e lanciò un'offensiva con carri armati e cacciabombardieri nel sud del Libano, mentre i soldati erano ricercati con l'uso degli elicotteri. Nelle prime ore di ricerca un carro armato saltò su una mina e i suoi occupanti rimasero uccisi. Il governo israeliano, per bocca del ministro della Difesa Amir Peretz, considerò "interamente responsabile il governo libanese" e chiese a Beirut "azioni immediate e serie per localizzare' i soldati rapiti, e assicurarne il ritorno in Israele". Furono bombardati e distrutti un ponte autostradale e due strade, isolando la zona di Tiro. Furono attaccate anche centrali elettriche e il fuoco di artiglieria fu coperto dalla marina militare, che colpì obiettivi posti lungo la costa.

Nell'attacco dell'artiglieria israeliana morirono a Qasmiyeh due civili libanesi, mentre altri 5 e un militare rimasero feriti. Appreso dell'invasione, Kofi Annan condannò sia i rapimenti, chiedendo l'immediato rilascio dei soldati, sia l'operazione militare, poiché "qualsiasi attacco deliberato contro civili inermi è da considerare un atto di terrorismo". D'altra parte il rappresentante personale di Annan, Gier Pederson, al termine di un incontro con il Primo Ministro del Libano Fouad Seniora chiese "a Hezbollah di liberare i soldati". A questo appello si unirono anche gli USA.

Olmert convocò una riunione straordinaria con gli alti comandi militari e dei servizi segreti e contemporaneamente ordinò la mobilitazione di 6000 riservisti dell'esercito, dislocati alla frontiera con il Libano. Dichiarò poi che erano giorni difficili per Israele, ma anche che chi colpiva l'avrebbe pagata cara: "Voglio chiarire che quanto accaduto stamane non si definisce come un attentato terrorista, ma come l'atto di uno Stato sovrano che ha attaccato Israele senza ragione e senza provocazione (...) Il governo libanese, al quale 'Hezbollah' partecipa, vuole destabilizzare la regione: il Libano è responsabile (dell'attacco) ed è responsabile delle conseguenze delle sue azioni". Inoltre Israele, per bocca del portavoce Frederick Jones, accusa la Siria di sostenere attivamente gli Hezbollah, che sono anche finanziati dal regime dell'Iran ("Sappiamo che Siria e Iran appoggiano direttamente Hezbollah"); della stessa idea è Roger Bouchaine, direttore dell’osservatorio geopolitico mediorientale.

La radio nazionale di Israele ha poi riportato che la notizia che la popolazione che vive nelle città e nei villaggi vicini al confine con il Libano ricevette l'ordine di entrare nei propri rifugi.

Intanto le posizioni dei politici israeliani erano differenti. Il capogruppo del Likud, Gideon Saar, affermò che "il terrorismo si sconfigge solo distruggendo le organizzazioni terroristiche. Solo mosse molto aggressive potranno ristabilire il potere di deterrenza israeliano". Nella notte Olmert incontrò Benjamin Nethanyahu, leader del Likud, in previsione di un possibile governo di unità nazionale. Fra i laburisti invece nascono dissensi riguardo alla necessità di un'invasione.

Secondo il politologo palestinese Jibril Rajoub, consigliere di Abu Mazen, la situazione "offre l'opportunità di tornare ai negoziati, di uscire dalla logica unilaterale. Hamas ed Hezbollah considerano le operazioni atti di eroismo ma hanno scatenato l'offensiva israeliana. Esiste la possibilità di un accordo. Per Amos Harel, giornalista di Haaretz, "è probabile che l'allargamento della crisi semplifichi i dilemmi israeliani. Ci sono tutte le indicazioni che ci stiamo preparando a un'escalation militare".

Indice

[modifica] Si intensificano i venti di guerra

Città israeliane attaccate dagli Hezbollah
Città israeliane attaccate dagli Hezbollah

Nella notte venne attaccato l'aeroporto di Beirut, rendendolo inutilizzabile, e la stazione da dove trasmette al-Manār, la TV dell'Hezbollah. La giornata successiva si aprì con nuovi lanci di razzi dal territorio libanese verso Israele; ad essere colpito fu l'aeroporto di Kiryat Shmona, nell'Alta Galilea, e Naharaya, causando la morte di due donne. La replica ebraica risultò prontissima: nei raid aerei morirono 52 civili, fra cui 10 ragazzi e bambini sotto i 15 anni, ai quali si aggiunsero 100 feriti. Anche una piccola moschea sciita di Budai fu bombardata dall'aviazione. Nella zona si trovava pure l'importante sito archeologico della valle della Beqāʿ.

Navi della marina militare entrarono nelle acque territoriali libanesi, bloccando l'accesso ai porti. L'aviazione intanto proibì il traffico aereo sul Paese dei Cedri, costringendo il dirottamento di tutti i voli all'aeroporto di Larnaca, a Cipro.

Tutto questo continuava a legarsi all'offensiva contemporaneamente in atto a Gaza, dove venne colpito il ministero degli Esteri palestinese.

Fouad Siniora, convocò per le ore 12.00 una riunione straordinaria del suo esecutivo, durante la quale il governo libanese chiese ad Israele di fermare le violenze per evitare nuove vittime civili e affermò che "verranno adottate tutte le misure per opporsi alle violenze israeliane". Fa lo stesso il ministro dell'Informazione di Beirut, Ghazi al-Aridi: "La principale richiesta del Libano è un cessate il fuoco completo e la fine di questa aggressione aperta". Inoltre fu espulso l'ambasciatore libanese negli Stati Uniti, a seguito delle sue dichiarazioni di sostegno alla lotta di Hezbollah.

Nonostante ciò Israele attaccò i quartieri meridionali di Beirut, roccaforte di Hezbollah, e bombardò la base militare di Riyaq, a poco meno di cinque chilometri dal confine con la Siria. La stessa cosa si ripeté con la base militare di Klaiaat e con la strada che congiunge Beirut a Damasco; quest'ultimo era un estremo tentativo di tagliare le vie di fuga ai sequestratori che, secondo i servizi segreti, stavano cercando di portare i soldati ebraici verso la Siria e poi l'Iran.

Israele minacciò quindi un'operazione in grande stile via terra; "Tutte le operazioni sono legittime per spazzare via il terrore", dichiarò Udi Adam, responsabile del comando settentrionale, che aggiunse: "Credo che saremo presto in grado di liberarci di questa minaccia completamente", annunciando di aver colpito centinaia di postazioni per il lancio di razzi. Nonostante questa ottimistica dichiarazione in questa giornata furono circa 80 i colpi di mortaio e razzi sparati verso Israele.

Intanto le operazioni militari spaventano le borse locali: il BLOM, principale indice dei titoli libanese chiuse con una flessione del 10%, la più pesante perdita dal 1996, anno della sua creazione. In Israele, invece, il calo fu del 4,3%, il più alto dall'ottobre 2000. Anche in Egitto si ebbe un forte calo dell'indice CASE30: -3,8%.

A soffrire fu anche il turismo libanese: centinaia di turisti stranieri cercarono di lasciare il Paese dirigendosi verso la Siria. Fra queste persone vi era anche il ministro dell'Economia rumeno Codrut Seres, che era in visita ufficiale. Per Michel Touma, direttore del quotidiano filo-maronita L'Orient Le Jour "è una catastrofe. Il Paese stava vivendo un periodo ripresa economica e si registrava il pieno di turisti".

Di fronte a questa ondata di violenze iniziarono ad arrivare le dichiarazioni di politici di tutto il mondo. La prima potenza occidentale ad intervenire diplomaticamente nella crisi fu la Francia, che considerò sproporzionata la reazione di Israele agli attacchi di Hezbollah. Più tardi il presidente Jacques Chirac sottolineò che bisognava perseguire la fine delle violenze e richiese che gli ostaggi venissero immediatamente liberati. Quindi fu la volta di una conferenza stampa congiunta del presidente americano George W. Bush e del cancelliere tedesco Angela Merkel, che ribadirono il loro consenso alla lotta al terrorismo, anche se la Merkel preferì porre l'accento sull'impegno affinché tornasse la pace.

Terminata la conferenza congiunta, il presidente Bush disse di approvare l'azione di Israele per fermare i terroristi, sottolineando il diritto alla difesa, ma affermò anche che questo non doveva rendere debole il Libano ("abbiamo lavorato molto a rafforzare la fragile democrazia libanese"); la colpa fu attribuita da Bush alla Siria, "che ospita Hezbollah e dovrebbe essere richiamata a risponderne". La Lega Araba respinse seccamente quest'ipotesi.

L'Alto rappresentante della politica estera dell'Unione Europea, Javier Solana, dopo un colloquio con Kofi Annan, affermò che si sarebbe potuto recare di persona in Libano per verificare la situazione, mentre il dipartimento europeo condannava la reazione sproporzionata di Israele agli attacchi di Hezbollah. Anche l'Iran condannò con forza l'attacco di Israele.

Il premier britannico Tony Blair richiamò Israele al rispetto del diritto internazionale; il ministro degli Esteri francese Philippe Douste-Blazy accusò lo Stato ebraico di atti di guerra. Al contrario Benita Ferrero Waldner, commissario UE per le relazioni esterne, rifiutò di condannare Israele. Il ministro degli Esteri italiano, Massimo D'Alema, invece condannò duramente le azioni di Hezbollah, ma bollò come sproporzionate le misure adottate da Israele.

Il Verde Paolo Cento, invece, esortò a una condanna dell'azione di Israele da parte della comunità internazionale, che avrebbe dovuto proporre una forte strategia di pace, mentre Silvio Berlusconi affermò che la reazione di Israele andava capita. Per Franco Giordano, segretario di Rifondazione Comunista, "L'invasione del Libano da parte delle truppe israeliane è un'inconcepibile violazione di un territorio sovrano (...) è un atto di guerra unilaterale che arriva all'indomani dell'occupazione e i raid sulla striscia di Gaza: un'escalation che rischia di sfociare in una nuova guerra (...) lo stesso rapimento di militari sul territorio israeliano è un atto inaccettabile. L'Italia e l'Europa in prima fila nella comunità internazionale - proseguì - devono mettere in atto ogni iniziativa possibile volta a ottenere la loro liberazione. Come anche per la liberazioni dei ministri palestinesi messi agli arresti dal governo di Tel Aviv". Per Carlo Giovanardi al contrario "tra gli aggressori di uno Stato indipendente e democratico e gli aggrediti che si difendono non è possibile nessuna equidistanza".

Le posizioni nell'Unione sono molto diverse e contro Cento e Giordano si schierò il sottosegretario agli Esteri con la delega per il Medio Oriente Gianni Vernetti: "Israele ha subito due attacchi terroristici sul proprio territorio. Non c'è dubbio che c'è una situazione negativa che sta crescendo, con un ruolo negativo di Iran e Siria che stanno gettando benzina sul fuoco". Da parte sua l'ambasciatore israeliano Ehud Gol attaccò l'Unione: "Mi aspetterei che l'Unione Europea, Italia inclusa, inserisse Hezbollah nella lista delle organizzazioni considerate terroristiche. (...) Ce l'ho con Ugo Intini, il sottosegretario agli Esteri, che ha parlato di spirale di violenza e di reazione spropositata. Non abbiamo cominciato noi, siamo sotto attacco. (...) nella coalizione di governo italiana alcuni sono amici di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah. Oliviero Diliberto andò da lui in Libano".

Nel pomeriggio il governo israeliano dichiarò che non avrebbe contrattato su scambi di ostaggi e che i due soldati israeliani erano ancora vivi. Si trattava di Ehud Goldwasser, 31 anni, e di Eldad Regev, di 26. Notizie su di loro furono date da Dan Halutz, capo di Stato maggiore dell'esercito ebraico: "Sappiamo che i soldati sono vivi e riteniamo il governo libanese pienamente responsabile. (...) Israele non è in guerra con il Libano ma tra i due Paesi c'è una crisi di alto livello". D'altra parte nemmeno il governo libanese pensò a scambi di prigionieri e dichiarò di volersi impegnare a mediare fra Hezbollah e Israele; il ministro libanese per gli Affari sociali [[Mila Mawad] parlò di liberazione dei soldati ebrei ma non di rilascio di miliziani sciiti. Infatti la stragrande maggioranza della popolazione libanese condannava le azioni di Hezbollah, che da parte loro festeggiarono le perdite israeliane e inneggiarono nelle strade al jihād.

Secondo notizie da fonte non precisata, razzi Katyusha lanciati dagli Hezbollah avrebbero colpito la città di Haifa, a 30 km dal confine. Il fatto fu però smentito dagli stessi miliziani, che avrebbero invece attaccato la base militare di Zaaoura sulle Alture del Golan. D'altra parte Israele confermò che Haifa era stata colpita e 500.000 persone passarono la notte nei rifugi. Nonostante le indicazioni annunciate dai mezzi di comunicazioni israeliani, molti residenti nelle zone di confine con il Libano fuggirono verso sud. Olmert fu spinto così a riunire il Consiglio per la Sicurezza.

A sera a Rai News 24 lo shaykh Khodor Nour Eddin, dell'Ufficio Politico di Hezbollah, auspicò un intervento dell'Italia per mediare nella crisi: "Vorremmo l'aiuto del vostro popolo per riuscire ad avere una vita serena". Aggiunse poi: "L'unico modo per liberare i nostri uomini prigionieri degli israeliani era prendere dei soldati israeliani come ostaggi (...) se attaccheranno Beirut, noi attaccheremo Haifa, non devono pensare di poter fare quello che vogliono". Poco dopo l'aviazione israeliana scatenò un nuovo attacco sui quartieri a sud di Beirut. Tre razzi lanciati da unità navali colpirono invece nuovamente l'aeroporto. "Israele è in guerra e continuerà a bombardare il Libano e a fare pressione su Beirut finché le milizie Hezbollah non saranno smantellate e disarmate lungo i confini settentrionali, affermò l'ambasciatore israeliano negli USA Daniel Ayalon.

Il vicepremier israeliano Shimon Peres spiegò alla CNN quale sembrava a lui evidente essere la situazione: "Hezbollah tiene in ostaggio il governo libanese con l'unico scopo di distruggere la pace". Intanto il segretario dell'ONU, Kofi Annan, decise di inviare una delegazione in Vicino Oriente per parlare con i ministri degli esteri della Lega Araba, composta dai diplomatici Vijay Nambiar, Terje Roed Larsen e Alvaro de Soto.

[modifica] 14 luglio: l'attacco continua

Poco prima dell'alba del 14 luglio l'aviazione israeliana attaccò nuovamente, a tre ondate, i quartieri meridionali di Beirut, provocando 2 morti e 17 feriti. Nella valle di Beka fu colpita anche una base del movimento palestinese filo-siriano Fronte popolare di liberazione della Palestina-Comando generale. Secondo la TV libanese Lbc a est di Beirut era stato distrutto il radar dell'esercito libanese a Hammana, vicino alla strada per Damasco. A sud della capitale invece fu nuovamente colpito il ponte sul fiume Awali, all'ingresso nord del porto di Sidone. In altri tre raid morirono 3 persone : mentre entrava in azione la contraerea libanese, furono colpite la superstrada costiera che porta al Sud Libano, due campi da gioco e due cavalcavia.

Intanto Roni Bar-On, ministro israeliano degli Interni, minacciava di morte il leader di Hezbollah affermando: "il suo destino è segnato". Da parte sua Olmert annunciò che Israele avrebbe fermato l'operazione militare in Libano solo una volta attuata la risoluzione 1559 delle Nazioni Unite, che prevedeva il disarmo di Hezbollah e il dispiegamento dell'esercito libanese nel sud del Paese.

Mentre il premier libanese Siniora incontrava gli ambasciatori dei paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu, l'aviazione israeliana bombardava di nuovo l'aeroporto di Beirut e motovedette della marina stazionavano davanti al porto di Tripoli. Secondo la TV al-Arabiyya dieci navi da guerra israeliane si sarebbero dirette verso le acque libanesi. Intanto, le ambasciate della UE studiarono misure di evacuazione dei cittadini europei. Si pensò ad un'evacuazione via mare, ma sarebbe stato necessario sempre il consenso di Israele.

Quattro aerei della compagnia di bandiera libanese Middle East Airlines nella mattinata riuscirono fortunosamente a decollare dall'aeroporto internazionale di Beirut e si misero al riparo in Giordania. Intanto Al-Arabiyya mandava in onda le immagini della torretta di un sommergibile israeliano al largo delle coste libanesi.

I miliziani replicarono lanciando numerosi razzi contro il Quartier Generale dell'aviazione israeliana del Nord, sul monte Niron, e contro Naharya. Alcuni militanti avrebbero anche varcato il confine e avrebbero avuto uno scontro a fuoco con soldati israeliani. Secondo il giornale Haaretz l'aviazione ebraica avrebbe però distrutto i bunker nei quali erano immagazzinati i missili a corto raggio delle milizie libanesi. D'altra parte parve che i missili distrutti fossero stati forniti dall'Iran. per il ministro della Difesa israeliano Amir Peretz "L'attuale situazione potrebbe durare a lungo, forse più a lungo di quanto ci aspettiamo (...) Sarà l'atteggiamento mentale della gente a decidere la lunghezza delle operazioni". Un generale israeliano minacciò: "Attaccheremo obiettivi più significativi di quelli colpiti finora. Se avessimo deciso di farlo prima, sarebbe finita con l'uccisione di centinaia di civili e dunque abbiamo tenuto conto di considerazioni etiche". Da parte sua Jubran Sufan, ambasciatore libanese all'ONU, chiese al Consiglio di Sicurezza "un immediato cessate il fuoco, la fine del blocco aereo e navale del Libano e dell'aggressione israeliana".

Intorno alle 13.30 ora locale aerei dello stato ebraico lanciarono volantini su Beirut annunciando l'imminenza del bombardamento del tunnel Salim Salam, che collega il centro della città con l'aeroporto. Questo atto rese ancora più concitata la situazione nella capitale libanese, con migliaia di persone che, in un esodo di 240.000 persone già iniziato il giorno precedente, abbandonavano la periferia sud per affollarsi al centro città, rifugiandosi spesso nelle scuole. Diventò invece impossibile spostarsi verso Sud, perché questa zona del Paese era isolata: gli Israeliani avevano infatti già distrutto 11 ponti.

La quarta vittima libanese della giornata morì a Bent Jbeil quando la sua casa fu centrata da un missile israeliano. Una donna morì invece nel villaggio di Zahrani, dove era stata attaccata la centrale elettrica, provocando il blackout nella zona. L'azione israeliana si abbatté anche sulla radio Hezbollah al-Nūr, ma non riuscì a interromperne le trasmissioni. Due missili furono inoltre sparati dalle forze aeree israeliane nei pressi della residenza del presidente del Parlamento libanese, lo sciita Nabih Berri.

La milizia Hezbollah compì invece un salto di qualità: attaccò una nave israeliana con un drone, un aereo senza pilota. La nave venne danneggiata gravemente e 4 marinai furono uccisi.

Le dichiarazioni della giornata furono come sempre molteplici; il cardinale Angelo Sodano dai microfoni di Radio Vaticana avvertì: "Il Vaticano deplora l'attacco al Libano, una nazione libera e sovrana (...) assicura la sua vicinanza a quelle popolazioni che hanno già sofferto per la difesa della propria indipendenza (...) Il diritto alla difesa da parte di uno stato non esime dal rispetto delle norme del diritto internazionale, soprattutto per ciò che riguarda la salvaguardia delle popolazioni civili". Vladimir Putin chiese il cessate il fuco per mettere "fine allo spargimento di sangue". Condanna da parte del premier palestinese Ismail Haniyeh: "Abbiamo paura per il destino dei nostri fratelli libanesi a seguito degli attacchi di questa gente cieca". Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad avvertì Israele che un attacco contro la Siria sarebbe stato considerato come un attacco all'intero mondo islamico e avrebbe portato a una risposta feroce.

Per il presidente dell'Europarlamento Josep Borrell "la situazione esplosiva in Libano e nei Territori palestinesi era drammatica e rischiava di sfociare nuovamente in una guerra aperta". Il ministro degli esteri finlandese Erkki Tuomioja ha dichiarato: "Il vecchio principio occhio per occhio, aggiornato nella versione venti occhi per occhio non può servire i legittimi interessi di sicurezza del popolo israeliano".

Romano Prodi dichiarò: "pur riconoscendo la legittima preoccupazione di Israele e condannando il rapimento dei soldati, deploriamo l'escalation nell'uso della forza e i gravi danni alle infrastrutture del Libano e le vittime civili dei raid". A sera il premier italiano ebbe un colloquio telefonico con il premier siriano Bashar al-Asad sull'escalation di violenze. Gianfranco Fini criticò pesantemente Prodi per le sue affermazioni: "negare ad Israele perfino il diritto all'autodifesa lo induce a guardare solo e Washington e azzera la capacità di azione dell'Europa".

Per Fausto Bertinotti la crisi "non ha origine solo dalla drammatica e inquietante situazione in quel teatro di guerra, ma anche nella inconsistenza dell'Europa nel prevenire il precipitare della crisi". Per Fabrizio Cicchitto l'equidistanza rischiava di incentivare l'aggressione del fondamentalismo islamico. Secondo Umberto Ranieri, presidente della commissione esteri della Camera, "Israele ha il diritto di difendersi. Anche le norme internazionali prevedono la legittimità della reazione, tuttavia in proporzione all'aggressione".

Al Consiglio di sicurezza dell'ONU gli USA difesero Israele e attaccarono Siria e Iran, ponendo il veto su risoluzioni che parlassero di uso sproporzionato della forza. Il consiglio non riuscì quindi ad arrivare a stendere un testo condiviso.

[modifica] 15 luglio del 2006

Crollo di un edificio ad Haifa avvenuto il 17 luglio in seguito ad un attacco degli Hezbollah
Crollo di un edificio ad Haifa avvenuto il 17 luglio in seguito ad un attacco degli Hezbollah

L'aviazione israeliana colpì a Tripoli la strada che portava verso il confine siriano; a poca distanza di quel punto si trovava il valico di Al Abbudieh da dove passavano le migliaia di turisti (fra cui almeno 300 italiani) evacuati dal Paese. Un altro raid aereo si abbatté sul vicino campo di profughi palestinesi di Badawi, a nord di Tripoli, nel Libano settentrionale. Sempre a Nord venne distrutto il ponte di Bared, che collegava la zona di Akkar a quella di Dinnieh, cisterne di combustibile e impianti del gas. Numerosi altri bombardamenti presso Tibnin, Sultaniye, Al-Hush, Ain-Ball, Bein al-Hinniyeh e al-Asbah, mentre gli aerei sorvolarono a bassa quota, senza lanciare proiettili, il campo profughi di Nahr al-Bared.

Altri bombardamenti ebbero luogo presso il porto di Tiro. L'esercito israeliano impose poi agli abitanti di Marwahin di abbandonare il villaggio, che si trovava pochissima distanza dalla linea blu che separava lo stato ebraico dal Libano. In caso di non ottemperanza dell'ordine minacciarono la distruzione dell'abitato. Una persona morì in un attacco ad Hermel, al confine con la Siria. Fonti locali non verificabili parlarono di 220 morti nei raid.

Hezbollah da parte sua lanciò una decina di razzi in direzione delle città della costa, senza però provocare particolari danni materiali. L'unico colpo che andò a segno fu un razzo che per errore cadde su una nave egiziana. L'aviazione israeliana invece riprese il suo volantinaggio nei cieli di Beirut, con una caricatura di Nasrallah e la scritta "La gente libanese lo conoscerà: si presenta come un fratello, invece è un serpente". I volantini, caduti nel centro città, vennero subito sequestrati dalla polizia locale.

Tramite ministro all'immigrazione il governo israeliano tornò poi a minacciare Nasrallah: "non può beneficiare di alcuna immunità: alla prima occasione lo liquideremo, perciò gli conviene pregare Allah".

Secondo il quotidiano arabo al-Hayāt, citando fonti interne al Pentagono, Israele avrebbe dato un ultimatum alla Siria: "Washington ha informazioni secondo le quali Israele ha dato a Damasco 72 ore di tempo per fermare l'attività di Hezbollah al confine israelo-libanese ed arrivare al rilascio dei due soldati rapiti, altrimenti lancerà un'offensiva dalle conseguenze disastrose". Al Cairo si svolse a partire dal mattino una riunione di urgenza dei ministri degli esteri della Lega Araba, a cui presero parte anche i tre inviati delle Nazioni Unite. Il vescovo maronita di Zahle, mons. Mansour Houbeika, lanciò un appello alle coscienze affinché terminassero i bombardamenti. I leader religiosi di tutte le religioni, espressero la loro condanna verso le operazioni militari, sottolineando la pericolosità della situazione ed invitando tutti a svolgere un ruolo costruttivo per frenare l'ondata di violenza. Condanna venne anche dall'arcivescovo maronita di Beirut, mons. Paul Matar. I bombardamenti distrussero anche luoghi di culto, fra cui la cattedrale di San Michele, che si trovava vicino alla sede di Hezbollah.

In Siria il partito Baʿth, espresse appoggio incondizionato a Hezbollah: "Il popolo siriano è pronto a estendere il suo pieno appoggio al popolo libanese e alla sua eroica resistenza nel far fronte all'aggressione barbara di Israele e ai suoi crimini". Di diverso avviso Bush: "La soluzione a breve termine è che Hezbollah deponga le armi e smetta di attaccare Israele", mentre Putin si appellava proprio alla Siria perché esercitasse un ruolo importante per la pace.
Per il presidente del Venezuela Hugo Chavez "la responsabilità fondamentale per le nuove violenze in Medioriente ricadeva nuovamente sull'impero USA".

Il re ʿAbd Allāh II di Giordania e il presidente egiziano Hosni Mubarak chiesero a Israele di fermare gli attacchi. Il premier turco Recep Tayyp Erdoğan espresse la sua disapprovazione: "Israele deve rivedere la sua posizione, altrimenti rischia di rimanere isolato".

La Francia invece, oltre a sostenere il Libano, era preoccupata per l'incolumità dei suoi connazionali residenti in Libano, si preparava alla loro evacuazione dopo aver realizzato quella dei turisti; il premier De Villepin infatti valutava "la situazione ora per ora per adattare il nostro dispositivo. Vogliamo prendere tutte le misure necessarie alla sicurezza dei nostri cittadini sul posto". La stessa opzione era considerata dagli USA, che avevano 25.000 loro concittadini in Libano.

[modifica] 25 luglio del 2006: bombardamento demolitivo di una postazione dell'UNIFIL

La comunità libanese di Sidney manifesta per la pace
La comunità libanese di Sidney manifesta per la pace

Il 25 luglio del 2006, accadde un fatto gravissimo, a Khiam, nel sud del Libano, dove le forze della IDF distruggono una postazione di osservazione dell'UNIFIL, affermando di averlo fatto per "errore" (nell'era dei satelliti artificiali, degli aerei spia UCAV, e dei missili a guida GPS). Questo bombardamento comporta la morte ed il ferimento di una decina di funzionari dell' ONU ed avviene qualche giorno dopo che il presidente George Walker Bush dichiarasse di aver autorizzato l'invio di "nuovi armi americane" all'esercito israeliano.

Molti analisti militari affermano che successivamente, contro il vicino complesso sotterraneo del vecchio centro di detenzione israeliano di Khiyam, siano state impiegate nuovi armi "non convenzionali" , forse la bomba RNEP, che consisterebbe in una specie di gigantesco ago in acciaio rivestito di tungsteno con un nucleo in uranio, che però secondo alcuni osservatori, celerebbe al suo interno anche un nuovo tipo di bomba nucleare, una bomba mista fissione-fusione, costituita da una matrice porosa o lamellare di uranio arricchito, sotto forma di idruro metallico, oppure caricata o "drogata" con idrogeno, in modo da costituire un ipotetico dispositivo a "fusione fredda" con la capacità di generare una enorme quantità di calore e pressione nel corso di una deflagrazione esplosiva, che si sospetta possa perforare strati di terreno (anche in granito) spessi decine di metri, nonché robusti bunker sotterranei in cemento armato ed acciaio.

Dal luogo dell'esplosione si vide innalzarsi una nube di fumo a forma di fungo (alto circa 1 Km) di colore nero-violastro (non incandescente), che sembrerebbe simile a quello prodotto dalla vaporizzazione dell'uranio. Inoltre nell'enorme cratere prodotto (profondo circa 10 m) costantemente si registra un' aumento della radiazione nucleare, e si afferma che nei crateri siano state trovate tracce di uranio arricchito oltre la soglia considerata sicura anche per una breve permanenza.

[modifica] Voci correlate

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