Cosa nostra
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Cosa nostra è un'organizzazione criminale di stampo mafioso nata in Sicilia la cui origine si fa tradizionalmente risalire agli inizi del XIX secolo ed è messa in relazione all'antico fenomeno del brigantaggio. Tuttavia è doveroso precisare che tale asserzione è poco condivisa; buona parte degli studiosi ritiene di retrodatare il fenomeno al XVI secolo, quando in varie parti d'Italia si erano formate congregazioni paracriminali sul tipo di quella citata dal Alessandro Manzoni, (I bravi e Don Rodrigo), nel suo capolavoro "I promessi sposi". È costituita da un sistema di gruppi, chiamati famiglie, organizzati al loro interno sulla base di un rigido sistema gerarchico composto da gregari di diverso livello detti picciotti e da un capo detto padrino. Con il termine, "Cosa nostra", oggi ci si riferisce esclusivamente alla Mafia siciliana (anche per indicare le sue ramificazioni internazionali, specie negli Stati Uniti d'America), per distinguerla dalle altre, internazionali, genericamente indicate col termine di "mafie".
[modifica] Storia
[modifica] Le origini
"Cosa nostra" nacque nei primi anni del XIX secolo dal ceto sociale dei massari, dei fattori e dei gabellotti che gestivano quotidianamente i terreni della nobiltà siciliana e i braccianti che vi lavoravano. Era gente violenta, che faceva da intermediario fra gli ultimi proprietari feudali e gli ultimi servi della gleba d'Europa: e per meglio esercitare il loro mestiere si circondavano di scagnozzi prezzolati. Questi gruppi divennero rapidamente permanenti assumendo il nome di sette, confraternite, cosche: il primo documento storico in cui viene nominata una cosca mafiosa è del 1837, dove il procuratore generale di Trapani, Pietro Calà Ulloa, riferisce ai suoi superiori a Napoli dell'attività di strane sette dedite ad imprese criminose che corrompevano anche impiegati pubblici. Nel 1863 Giuseppe Rizzotto scrive, con la collaborazione del maestro elementare Gaetano Mosca, 'I mafiusi de la Vicaria', un'opera teatrale dialettale ambientata nelle Grandi Prigioni del capoluogo siciliano. È a partire da questo dramma, che ebbe grande successo e venne tradotto in italiano, napoletano e meneghino, che il termine Mafia venne diffuso su tutto il territorio nazionale. Fin da allora la mafia si caratterizzava come una struttura al di fuori dello stato, ma strettamente legata ad esso.
Con l'Unità d'Italia nella Sicilia della seconda metà del XIX secolo si accelerò il processo, già iniziato in precedenza, di smantellamento della struttura feudale ancora esistente nelle zone rurali e nelle campagne. Questo avvenne quando l'economia siciliana fu integrata in quella del resto del paese. Il governo piemontese inoltre si sostituì alla struttura sociale siciliana, fino a quel momento rigidamente divisa, senza però riuscire ad instaurare con essa un rapporto positivo. Se a questo si somma la necessità dei grossi latifondisti dell'interno dell'isola di affidarsi all'aiuto di qualcuno che garantisse loro un controllo effettivo e totale sulle proprietà, e che se i possidenti non sentivano tale necessità, cosa nostra si prodigava nel rendergliela evidente, ecco che si spiega come mai la Mafia fu involontariamente favorita dal Risorgimento italiano.
[modifica] L'epoca delle rivendicazioni agricole
Anche se non più con un regime feudale, nelle campagne siciliane gli agricoltori erano comunque sfruttati. I grandi proprietari terrieri risiedevano a Palermo o in altre grandi città e affittavano i loro terreni a "gabellotti" con contratti a breve termine, che, per essere redditizi, costringevano il gabellotto a sfruttare i contadini. Per evitare rivolte e lavorare meglio, al gabellotto conveniva allearsi con la Mafia, che da un lato offriva il suo potere coercitivo contro i contadini, dall'altro le sue conoscenze a Palermo, dove si siglavano la maggioranza dei contratti agricoli.
A partire dal 1891 in tutta la Sicilia gli agricoltori si unirono in fasci, sorta di sindacati agricoli guidati dai socialisti locali, chiedendo contratti più equi e una distribuzione più adeguata della ricchezza. Non si trattava di movimenti rivoluzionari in senso stretto ma essi furono comunque condannati dal governo di Roma che, nella persona di Crispi, nel 1893 inviò l'esercito per scioglierli con l'uso della forza. Giuseppe de Felice Giuffrida, considerato il fondatore dei fasci siciliani, venne processato e imprigionato.
Poco prima che fossero sciolti, la mafia aveva cercato di infilare alcuni suoi uomini in queste organizzazioni in modo che, se mai avessero avuto successo, essa non avrebbe perso i suoi privilegi. D'altro canto, però, continuò ad aiutare i gabellotti in modo che, chiunque fosse uscito vincitore, lei ci avrebbe guadagnato fungendo da mediatrice tra le parti.
Quando fu chiaro che lo stato sarebbe intervenuto con la legge marziale, la "fratellanza" (uno dei termini usati all'epoca per identificare Cosa Nostra) si distaccò dai fasci (movimenti che fra l'altro avevano tentato in tutti i modi di evitare la penetrazione di mafiosi nelle loro file, per lo più riuscendoci) e anzi aiutò il governo nella sua repressione.
Il tema delle terre negate ai contadini resterà uno dei principali motivi di scontro sociale in Sicilia fino al secondo dopo guerra. Con Giolitti si permise alle cooperative di chiedere prestiti alle banche e di intraprendere da sole, senza gabellotti, contratti diretti coi proprietari terrieri. Questo, insieme alla nuova legge elettorale del suffragio universale maschile, portò non solo alla vittoria di diversi sindaci socialisti in varie città siciliane, ma anche all'eliminazione del ruolo mafioso nella mediazione per i contratti.
Per stroncare il pericolo "rosso", la mafia dovette allearsi con la chiesa cattolica siciliana, anch'essa preoccupata per gli sviluppi dell'ideologia marxista materialista nelle campagne. Le cooperative cattoliche quindi non si chiusero ad infiltrazioni mafiose, a patto che questi ultimi scoraggiassero in tutti i modi i socialisti. Nel primo quindicennio del novecento si iniziano a contare le prime vittime socialiste e comuniste ad opera della mafia, che colpiva sindaci, sindacalisti, attivisti e agricoltori indifferentemente e indisturbatamente.
[modifica] La prima guerra mondiale e le sue conseguenze
Nel 1915 l'Italia entra nella prima guerra mondiale e vengono chiamati alle armi centinaia di migliaia di giovani da tutto il paese. In Sicilia, come per la leva, i disertori furono numerosi. Essi abbandonarono le città e si dettero alla macchia all'interno dell'isola, vivendo per lo più di rapina. A causa della mancanza di braccia per l'agricoltura e le sempre maggiori richieste di carne dal fronte, moltissimi terreni vengono adibiti al pascolo.
Queste due condizioni fanno aumentare enormemente l'influenza di cosa nostra in tutta l'isola. Aumentati i furti di bestiame e l'abigeato, i proprietari terrieri si rivolsero sempre più spesso ai mafiosi, piuttosto che alle impotenti autorità statali, per farsi restituire almeno in parte le mandrie. I boss, nei loro abituali panni, si prestano a mediare tra i banditi e le vittime, prendendo una parcella per il loro lavoro.
Alla fine della prima guerra mondiale, l'Italia affronta un momento di crisi, che rischia di sfociare in una vera e propria rivolta popolare, ad imitazione della recente rivoluzione Russa. Al nord gli operai scioperano e chiedono migliori condizioni di lavoro, se non l'autogestione delle fabbriche, al sud sono i giovani ritornati a casa a lamentarsi per le promesse non mantenute dal governo (in particolar modo quelle relative alla terra).
Moltissimi quindi vanno ad ingrossare le file dei banditi, altri entrano direttamente nella mafia e altri ancora cercano di riformare i fasci o comunque partecipano ai consigli socialisti siciliani.
Fu in questo clima di tensione che il fascismo fece la sua comparsa.
[modifica] L'epoca fascista
Il fascismo non iniziò subito una campagna contro i mafiosi siciliani, come molti credono. Al contrario per i primi anni cercò l'aiuto della mafia per evitare rivolte nell'isola e per consolidare la sua posizione sul continente. I primi attacchi al potere mafioso furono sferrati da Benito Mussolini infatti, solo nel 1925 quando inviò in Sicilia Cesare Mori (insediatosi a Palermo il 22 ottobre dello stesso anno), il Prefetto di ferro, con l'incarico di sradicare la mafia con qualsiasi mezzo: l'azione del Mori fu ciecamente brutale e si accanì soprattutto contro i pesci piccoli e medi di Cosa Nostra, avvalendosi della collaborazione dei grandi latifondisti e dei proprietari terrieri siciliani: senza alcun riguardo per il fenomeno nel suo insieme, l'azione di Mori mirava soprattutto a ottenere una cifra consistente di condanne da riportare al Duce come prova del successo dell'operazione. Centinaia e centinaia furono gli uomini arrestati e condannati con processi sommari, come il boss Don Vito Cascio Ferro che fu messo in carcere anche in completa assenza di prove. Dopo alcuni arresti eclatanti di capimafia anche i vertici di Cosa Nostra non si sentivano più al sicuro e scelsero tra due vie per salvarsi: una parte emigrò negli USA, un'altra entrò nel partito fascista. Quando il "prefetto di ferro" scoprì numerosi agganci e collegamenti tra personalità di spicco del fascio e famiglie mafiose fu promosso e rimosso dalla carica. I limiti però della sua azione fu lui stesso a riconoscerli in tempi successivi, quando venne nominato senatore del regno per la sua opera contro la mafia, che l'accusa di mafia veniva spesso avanzata per compiere vendette o colpire individui che nulla c'entravano con la mafia stessa. Inoltre, i mezzi brutali, ben oltre la legalità, usati dalla polizia nelle numerose azioni condotte per sgominare il fenomeno mafioso (giusto per citarne una "L'assedio di Gangi") portarono ad un aumento della sfiducia della popolazione nei confronti dello stato, fomentando una delle principali cause della Mafia stessa. Fatto sta che Mori fu il primo investigatore italiano a dimostrare che la mafia può essere sconfitta con una lotta senza quartiere, come sosterrà successivamente anche Giovanni Falcone.
[modifica] La seconda guerra mondiale
Durante la seconda guerra mondiale numerosi boss italoamericani, in carcere negli USA (Lucky Luciano e Vito Genovese, per citare i più noti), furono contattati dai servizi segreti americani, a quel tempo l'OSS (Office of Strategic Service), per essere impiegati con la promessa della libertà al fine di assicurare agli alleati il controllo sull'isola. Non furono contattati solo boss americani ma anche italiani, come Vincenzo Di Carlo, Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Questi contatti avevano lo scopo di facilitare lo sbarco alleato sulle coste siciliane e successivamente, quando il controllo dell'isola era affidato agli alleati, a mantenere l'isola stabile dal punto di vista politico. In particolar modo, quando l'isola tornò sotto il controllo italiano, la mafia fu utilizzata, e quindi involontariamente le si permise di riprendersi dopo l'era di Mori, in funzione anti-comunista.
[modifica] Il dopoguerra
Dopo la seconda guerra mondiale, la società siciliana subì una profonda trasformazione, con una riduzione del peso economico dell'agricoltura a favore di altri settori come il commercio o il terziario pubblico. In questo periodo l'amministrazione pubblica in Sicilia divenne l'ente più importante in fatto di economia. Cosa Nostra naturalmente seppe sfruttare adeguatamente questo cambio di tendenze, catapultando sé stessa verso i nuovi campi socialmente ed economicamente predominanti. Per riuscirci dovette stringere maggiormente, più di quanto aveva fatto in passato, i rapporti con la politica e i politici del partito maggiore in Italia e in Sicilia, la Democrazia Cristiana. Da questo patto la mafia traeva guadagni nella gestione, data grazie ad appalti truccati, dello sviluppo edilizio di infrastrutture e di nuovi quartieri delle maggiori città, della riscossione delle tasse per conto dello stato, dell'assunzione di personale per gli enti statali e in più poteva godere della più totale immunità. La DC come partito ci guadagnava perché Cosa Nostra, per via del controllo sul territorio, era in grado di indirizzare grandi quantità di voti dove voleva, i politici della DC come singoli invece ci guadagnavano in quanto venivano corrotti con grandi somme di denaro.
Sono gli anni del sacco di Palermo, gli anni in cui Salvo Lima era sindaco e Vito Ciancimino assessore ai lavori pubblici. In 4 anni vennero concesse 4205 licenze edilizie, di cui 3011 intestate alla stesse 5 persone, dei muratori che risultavano nullatenenti e che si è poi scoperto essere dei prestanome. In questi anni vennero rase al suolo le splendide ville liberty del centro della città per essere sostituite con palazzi giganteschi. La stessa sorte toccò alle periferie e a molte zone verdi. Tutto questo avvenne anche grazie alla compiacenza di alcuni grandi istituti di credito siciliani che finanziavano imprenditori mafiosi a scapito di quelli onesti.
Un classico esempio dell'immunità raggiunta dalla mafia è il processo di Bari istruito dal PM Cesare Terranova, concluso in prima sessione l'11 giugno del 1969, nel quale erano sotto accusa di associazione a delinquere 64 persone del clan mafioso di Corleone, tra le quali Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Luciano Liggio, con la totale assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove.
È ovvio quindi che di mafia fino alla fine degli anni '70, quando questa situazione iniziò a cambiare, lo stato non voleva che si parlasse.
[modifica] Prima guerra di mafia
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Per approfondire, vedi la voce Prima guerra di mafia. |
La prima guerra di mafia fu scatenata da una truffa a proposito di una partita di eroina nel 1962. Calcedonio Di Pisa, inviato a Brooklyn per consegnare una partita di droga, fu accusato di averne sottratto una parte e fu ucciso il 26 dicembre. Per rappresaglia, fu ucciso Salvatore La Barbera. Seguirono altri attentati fino all'assassinio del fratello di Salvatore, Antonio La Barbera, il 25 maggio 1963.
[modifica] Pizza Connection
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Per approfondire, vedi la voce Pizza connection. |
Con pizza connection si intende il traffico di droga fra gli Stati Uniti e le cosche mafiose di Cosa nostra. Si arricchirono molto le cosche di Palermo precedenti al sacco di Palermo ed alla seconda guerra di mafia. In Sicilia infatti erano collocate le principali raffinerie di eroina al mondo.
[modifica] Seconda guerra di mafia
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Per approfondire, vedi la voce Seconda guerra di mafia. |
Quando la mafia passò dal contrabbando di sigarette al traffico di stupefacenti, la struttura di comando tradizionale si indebolì e nel 1978 scoppiò una guerra interna alla mafia, tra la vecchia mafia storica, composta principalmente dalle famiglie affiliate ai Bontate, ai Badalamenti e ai Buscetta, e quella Corleonese. Questi ultimi furono un gruppo dirigente estremamente feroce, che per dimostrare il suo potere compì una serie di omicidi eccellenti eliminando tutte le personalità dello stato che potevano costituire un ostacolo. In appena due anni, morirono in questa guerra più di mille uomini e tutti appartenenti ad uno schieramento, quello dei gruppi che si erano arricchiti con la pizza connection.
[modifica] La stagione dei maxiprocessi
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Per approfondire, vedi la voce Maxiprocesso di Palermo. |
Le efferatezze commesse durante la guerra di mafia di quegli anni, però, spinsero anche alcuni mafiosi a consegnarsi allo stato. Fra questi c'era il boss Tommaso Buscetta, che nel 1984 incontrò per la prima volta Giovanni Falcone. Buscetta scelse di fidarsi di quel magistrato e cominciò a parlare: sulle sue rivelazioni Falcone, Paolo Borsellino e il suo team - il famoso Pool antimafia ideato da Antonino Caponnetto - istruirono contro Cosa Nostra i maxiprocessi di Palermo, con oltre 1.400 imputati, sferrando il primo vero, duro colpo a Cosa Nostra. Il maxiprocesso era iniziato il 10 febbraio 1986 e si era concluso in primo grado il 16 dicembre 1987 con 342 condanne, 2665 anni di carcere e 19 ergastoli (tra cui Luciano Liggio, Bernardo Provenzano e Salvatore Riina), il 30 luglio 1991 la sentenza d'appello ridimensionò le condanne, ma la Cassazione il 30 gennaio 1992 riconfermò tutte le condanne del primo grado che divennero realtà giudiziarie.
[modifica] L'attacco allo Stato
Dopo questo primo processo ne seguirono altri, vi fu una stagione di veleni interni alla magistratura e alla politica italiana mentre la mafia cercava di riprendersi: nei primi anni Novanta il clan dei Corleonesi, che si era imposto nella guerra di mafia dei primi anni Ottanta, riorganizzò ciò che restava di Cosa Nostra e, dopo l'introduzione dell'articolo 41 bis che induriva il carcere per i reati di mafia, iniziò una stagione di ritorsioni terroristiche con la strage di via dei Georgofili a Firenze, la bomba alla pinacoteca di Milano e i due attentati a Roma (a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro).
I più famosi e terribili attentati restano però le stragi di Capaci, 23 maggio 1992, e di via d'Amelio, 19 luglio 1992, nelle quali hanno perso la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme alle loro scorte.
[modifica] La risposta dello Stato
All'indomani delle stragi in Sicilia come in tutta Italia c'è stato un risveglio della società civile che ha portato ad una durissima presa di posizione nei confronti della mafia. La paura, l'omertà e la tradizionale veste di Cosa Nostra sembravano essere scomparse per la maggior parte della gente, stanca di tutto questo sangue. Migliaia di persone scesero in piazza e nelle strade a manifestare, moltissime finestre e terrazze furono coperte da lenzuoli e cartelli contro la mafia, la così detta rivolta dei lenzuoli. Quasi ogni giorno, e quasi in ogni luogo, c'erano lezioni sulla legalità e di educazione civica, nelle quali il posto da insegnante era preso da Magistrati e Giudici antimafia o da parenti delle vittime. A questo va aggiunta la risposta militare dello stato che con l'operazione "Vespri Siciliani" inviò nell'isola ben 20.000 soldati (dal 25 luglio 1992 all'8 luglio 1998) per presidiare gli obiettivi sensibili come tribunali, case di magistrati, aeroporti, porti ecc.; per citare le parole di Francesco Forgione: "la Sicilia del dopo stragi somiglia più alla Colombia che non all'isola libera, aperta, gioiosamente mediterranea che abbiamo conosciuto da secoli". Il ruolo svolto dall'esercito, nonostante le numerose critiche di aver "militarizzato l'isola", fu ampiamente positivo nel campo della sicurezza urbana. Ci fu una riduzione dei crimini e anche alcuni arresti eccellenti come Toto Riina e Leoluca Bagarella. Inoltre la presenza dell'esercito liberava la polizia da compiti di sorveglianza in modo che tutte le unità fossero usate per le indagini. A tutto questo va aggiunto l'arrivo a Palermo, di Gian Carlo Caselli, come procuratore della Repubblica, lo stesso giorno dell'arresto di Riina, il 15 gennaio 1993. L'azione della procura venne rilanciata, oltre che per i motivi già citati (sostegno popolare e presenza dell'esercito) anche grazie all'azione di questo magistrato esperto. In questo modo fu spezzato il sistema grazie al quale la Mafia poteva svolgere le sue attività indisturbata.
[modifica] Situazione odierna
Sembrano passati secoli da quegli anni, in realtà sono passate solo poche dozzine di mesi, ma il panorama siciliano sembra essere brutalmente cambiato. Anche se "Cosa Nostra" non è più visibile come una volta questo non significa che essa sia scomparsa, infatti ha preferito allontanarsi dal clamore per continuare ad agire più efficacemente sottotraccia (strategia dell'inabissamento). Questo non significa che la mafia sia meno pericolosa, essa continua infatti ad avere contatti (poiché "crocianamente" si potrebbe dire che per la sua stessa strutturazione non potrebbe non continuare ad averne) con il mondo politico. Senza più il sostegno della società civile anche le attività di indagine delle forze dell'ordine e della magistratura non producono rilevanti risultati, come se Cosa Nostra fosse stata finalmente debellata; sebbene negli ultimi anni la lotta alla mafia sia ripresa con una certa incisività delle forze dell'ordine, nessuno può sostenere che la mafia sia stata debellata definitivamente. Non c'è più neanche la volontà politica di dare la caccia alla mafia e ai mafiosi, un punto questo che non è priorità né nei programmi di destra né in quelli di sinistra. Una volontà emersa ed espressa dalle parole scioccanti del ministro Lunardi nel maggio 2002 nelle quali si dichiarava la necessità di convivere con la mafia. Tutto questo unito al discorso del Commissario dell'ONU per la lotta al crimine e alla droga, Pino Arlacchi, al vertice delle Nazioni Unite sulla criminalità e narcotraffico, nel quale egli afferma che nel 2010 la mafia sarà definitivamente sconfitta.
[modifica] Provenzano e Post Provenzano
A partire dagli anni novanta Bernardo Provenzano, con l'arresto di Totò Riina e Leoluca Bagarella, diviene il capo di Cosa nostra (era il braccio destro fin dagli anni ottanta). Cambia radicalmente la politica e il modus operandi negli affari della mafia siciliana; i mandamenti (divisioni mafiose delle zone di influenza in Sicilia) più ricchi cedono i loro guadagni a quelli meno redditizi in modo di accontentare tutti (una sorta di stato sociale), evitando inutili guerre. Tutto è controllato da un boss con il carisma di Provenzano che gestisce in modo impeccabile l'organizzazione. La mafia ora non è più ricca come ai tempi dei grandi traffici internazionali ed è per questo che in Sicilia è diventata più oppressiva e capillare.
L'11 aprile del 2006, dopo 43 anni di latitanza (dal 1963), Provenzano viene catturato in un casolare a 2km da Corleone.
Le strade che si ipotizza potrebbe intraprendere Cosa nostra sono due: la prima prevede un passaggio di poteri, che potrebbe far ritornare al vertice di Cosa nostra a un palermitano o a un trapanese, con l'elezione di un nuovo capo del livello e capacità di Provenzano per continuare allo stesso modo la gestione dell'organizzazione; si pensa così a Matteo Messina Denaro, 43 anni (latitante dal 1993), boss di Trapani come suo padre Francesco, oppure a Salvatore Lo Piccolo, latitante da 25 anni, capo indiscusso di Palermo.
La seconda ipotesi è una sorta di riorganizzazione della mafia sul modello calabro: nessun supercapo ma ognuno con capacità gestionale autonoma dei proventi ricavati dal proprio territorio. È stato osservato che questo potrebbe portare a nuove guerre di mafia (difatti la 'Ndrangheta di recente ha una sorta di commissione, composta dai capi più influenti di ogni 'ndrina che decidono i grandi affari e sedano le faide).
[modifica] Struttura
Le conoscenze sull'organizzazione interna della mafia siciliana si debbono all'opera di Giovanni Falcone, il primo magistrato italiano che ha affrontato sul serio e con successo la mafia.
L'organizzazione di Cosa Nostra è formata da mafiosi che si definiscono uomini d'onore, la sua struttura è verticistica e piramidale. Alla base dell'organizzazione ci sono le famiglie in cui tutti gli affiliati si conoscono fra loro, governate da un capo-famiglia, di nomina elettiva; altre figure importanti sono il sottocapo e i consiglieri, in numero non superiore a 3. Le famiglie si dividono in gruppi di 10 uomini detti decine comandate da un capo-decina. Tre famiglie dal territorio contiguo formano un mandamento, il capo-mandamento è un loro rappresentante, che almeno fino a un certo punto, non fu capo di una delle famiglie, per evitare che favorisse la famiglia di appartenenza. I vari capi-mandamento si riuniscono in una commissione o cupola provinciale, di cui la più importante è quella di Palermo. Questa commissione provinciale è presieduta da un capo-mandamento che, per sottolineare il suo ruolo di "primus inter pares", si chiamava in origine segretario, ma sembra che ora abbia preso il titolo di capo. Per lungo tempo non c'è stato bisogno di un organismo superiore alla commissione provinciale poiché quasi tutte le famiglie risiedevano in quella di Palermo. Quando però l'organizzazione ha messo radici in tutta l'isola si è dovuta creare una cupola regionale detta interprovinciale, alla quale partecipavano tutti i rappresentati delle varie province e dove il titolo di capo era tenuto dal capo della cupola provinciale più potente e quindi di Palermo.
Negli ultimi anni, dopo la riorganizzazione seguita ai colpi inferti dalle forze dell'ordine, la struttura che era già molto semplice si è fatta ancora meno verticistica e meno localizzata: si ipotizza (non ci sono dati certi) che le nuove famiglie di Cosa Nostra siano costituite per funzione piuttosto che per territorio.
La strategia criminosa di Cosa nostra è duplice: da una parte cerca di garantirsi il controllo del territorio in cui risiede, attraverso una imposizione fiscale alle attività commerciali e industriali della zona (il pizzo o racket) e la feroce e immediata punizione di chiunque osi contravvenire alle disposizioni che essa dirama, mentre dall'altra cerca di corrompere il potere politico ed i funzionari dello Stato attraverso l'offerta di denaro e voti, per ottenere l'impunità e una sponda all'interno del sistema, da poter usare a proprio vantaggio. Questo connubio di impunità e controllo garantisce ai mafiosi la possibilità di affrontare qualunque nemico, sia esso malavitoso o istituzionale, da una posizione di forza, sicuri di avere in ogni caso un rifugio protetto e degli amici a cui ricorrere: a volte sfruttando perfino le forze dello Stato stesso.
[modifica] Personaggi politici collusi con Cosa Nostra
- Giulio Andreotti, conferma definitiva (in data 15 ottobre 2004) della condanna di appello, per partecipazione all'associazione per delinquere (Cosa nostra). Tuttavia il reato risulta prescritto.
- Marcello dell'Utri, condanna in primo grado (in data 11 dicembre 2004) a nove anni di reclusione con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Tutt'ora in corso il processo di appello.
[modifica] Economia
Secondo recenti stime fornite dall'Eurispes sembra che il giro d'affari di Cosa Nostra ammonti a quasi quasi 13 miliardi di euro l'anno, così suddivisi:
- 8.005 milioni di euro l'anno dal traffico di droga
- 2.841 milioni da crimini legati ad imprese (appalti truccati, aziende pulite per il riciclaggio di denaro sporco ecc.)
- 1.549 milioni dal traffico di armi
- 351 milioni dall'estorsione e dall'usura
- 176 milioni dalla prostituzione.
[modifica] Bibliografia
I testi indicati sono in ordine cronologico di pubblicazione.
- Saggi
Storia generale e sociologia di Cosa nostra
- Norman Lewis, The Honoured Society. The Mafia Conspiracy observed, London: Collins, 1964; Harmondsworth: Penguin, 1967; con il titolo The Honoured Society. The Sicilian Mafia observed, epylogue by Marcello Cimino, London: Eland, 1984.
- Giuseppe Casarrubea, Intellettuali e potere in Sicilia. Eretici, riformisti e giacobini nel secolo dei lumi, Palermo: Sellerio, 1983.
- Giuseppe Casarrubea e Pia Blandano, L'educazione mafiosa. Strutture sociali e processi di identità, Palermo: Sellerio, 1991.
- Diego Gambetta, La mafia siciliana. Un' industria della protezione privata, Torino: Einaudi, 1992.
- Salvatore Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Roma: Donzelli, 1993, 2004.
- Giuseppe Casarrubea, Gabbie strette. L'educazione in terre di mafia: identità nascoste e progettualità del cambiamento, Palermo: Sellerio, 1996.
- John Dickie, Cosa nostra. A history of the sicilian mafia, London: Hodder & Stoughton, 2004. Edizione italiana: Cosa nostra. Storia della mafia siciliana, traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, Bari: Laterza, 2005.
- Mario Siragusa, Baroni e briganti. Classi dirigenti e mafia nella Sicilia del latifondo, 1861-1950, Milano: Franco Angeli, 2004.
Cosa nostra durante il fascismo
- Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, Milano: Mondadori, 1975, 2004.
- Christopher Duggan, Fascism and the Mafia, New Haven (CT): Yale University Press, 1989. Traduzione italiana, La mafia durante il Fascismo, prefazione di Denis Mack Smith, traduzione di Patrizia Niutta, Soveria Mannelli: Rubbettino Editore, 1992.
- Salvatore Porto, Mafia e fascismo. Il prefetto Mori in Sicilia, Messina: Siciliano, 2001.
- Roberto Olla, Padrini. Alla ricerca del Dna di Cosa nostra, prefazione di Giuseppe Carlo Marino, Milano: Mondadori, 2003.
Cosa nostra dal dopoguerra ad oggi
- Giovanni Falcone, in collaborazione con Marcello Padovani, Cose di Cosa Nostra, Milano: Rizzoli, 1991, 2004.
- Attilio Bolzoni e Giuseppe D'Avanzo, La giustizia è cosa nostra. Il caso Carnevale tra delitti e impunità, Milano: Mondadori, 1995.
- Carlo Ruta, Il binomio Giuliano-Scelba. Un mistero della Repubblica?, Soveria Mannelli: Rubettino, 1995.
- Giuseppe Casarrubea, Portella della Ginestra, Microstoria di una strage di Stato, Milano: Franco Angeli, 1997, 2002.
- Leo Sisti e Peter Gomez, L' intoccabile. Berlusconi e Cosa nostra, Milano: Kaos, 1997
- Giuseppe Casarrubea, Fra' Diavolo e il governo nero. Doppio Stato e stragi nella Sicilia del dopoguerra, introduzione di Giuseppe De Lutiis, Milano: Franco Angeli, 1998, 2000.
- Hanspeter Oschwald, Einer gegen die Mafia. Edizione italiana: Orlando, un uomo contro. Il sindaco antimafia, a cura di Sergio Buonadonna, traduzione di Paolo Caropreso, Genova: De Ferrari, 1999.
- Umberto Santino, Storia del movimento antimafia: dalla lotta di classe all'impegno civile, Roma: Editori Riuniti, 2000.
- Alfio Caruso, Da Cosa nasce Cosa. Storia della Mafia dal 1943 ad oggi, Milano: Longanesi, 2000, 2005.
- Giuseppe Casarrubea, Salvatore Giuliano. Morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, Milano: Franco Angeli, 2001.
- Leone Zingales, Provenzano. Il re di Cosa Nostra. La vera storia dell'ultimo padrino, Pellegrini, 2001.
- Leone Zingales, La mafia negli anni '60 in Sicilia. Dagli affari nell'edilizia alla prima guerra tra clan, fino al processo di Catanzaro, TEV Registri Vaccaro, 2003.
- Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani, 1943-1947, a cura di Nicola Tranfaglia, note di Giuseppe Casarrubea, Milano: Bompiani, 2004.
- Francesco Forgione, Amici come prima. Storie di mafia e politica nella Seconda Repubblica, Roma: Editori Riuniti, 2004.
- Saverio Lodato, Venticinque anni di mafia. C'era una volta la lotta alla mafia, Milano: Rizzoli, 2004.
- Enrico Bellavia e Salvo Palazzolo, Voglia di mafia. Le metamorfosi di Cosa nostra da Capaci a oggi, prefazione di Gian Carlo Caselli, Roma: Carocci, 2004.
- Giuseppe Casarrubea, Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella delle Ginestre, introduzione di Nicola Tranfaglia, Milano: Bompiani, 2005.
- L' amico degli amici. Perché Marcello Dell'Utri è stato condannato a nove anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, a cura di Peter Gomez e Marco Travaglio, Milano: Rizzoli, 2005.
- Saverio Lodato e Marco Travaglio, Intoccabili. Perché la mafia è al potere, Milano: Rizzoli, 2005.
- Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini, La mafia è bianca, presentazione di Michele Santoro, Milano: Rizzoli, 2005.
- Nicola Andrucci, "Cosa Nostra, attacco allo Stato". Montedit 2006
- Opere di narrativa
- Luigi Natoli (William Galt), I Beati Paoli, Palermo: Giornale di Sicilia Ed., 1910; Palermo: La Gutenberg, 1925; Milano: Edizioni La Madonnina, 1949; Romanzo storico siciliano. 2 volumi. Palermo: Flaccovio Editore, con un saggio introduttivo di Umberto Eco e note storiche e bio-bibliografiche di Rosario La Duca, 1971, 2003 Romanzo storico siciliano.
[modifica] Voci correlate
[modifica] Altri progetti
Commons contiene file multimediali su Cosa nostra
Articolo su Wikinotizie: Provenzano arrestato dalla Polizia
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