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Teresa di Lisieux - Wikipedia

Teresa di Lisieux

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Santa Teresa di Lisieux
Data di nascita
2 gennaio 1873, Alençon
Data di morte
30 settembre 1897, Lisieux
Nome secolare
Thérèse Martin
Nome da religiosa Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo
Ordine Religioso Ordine dei Carmelitani
Beatificazione 1923
Canonizzazione 1925
Dottore della Chiesa 1997
Festa 1 ottobre

Teresa di Lisieux, al secolo Thérèse Françoise Marie Martin, (Alençon, 2 gennaio 1873 - Lisieux, 30 settembre 1897), fu una monaca e mistica cattolica francese del monastero carmelitano di Lisieux.

È venerata come santa dalla Chiesa cattolica nota anche come Santa Teresa del Bambin Gesù e del Santo Volto in base al nome da lei assunto al momento della professione dei voti.
Un anno dopo la sua morte nel 1898 vengono pubblicati i suoi "Manoscritti autobiografici" con il titolo di "Storia di un'anima" tuttavia dopo pochi anni da una prima pubblicazione degli scritti della mistica carmelitana, ad un più attento esame degli studiosi questi si sono rivelati manomessi e censurati e solo da pochi decenni se ne conosce la versione originale. La sua stessa personalità era stata falsificata. (Per un ulteriore approfondimento della questione riguardante la censura degli originali testi teresiani rimandiamo al proseguio di questa voce trattante per esteso più di cento anni di dibattito sulla figura di Thérèse Martin).
Il dibattito seguente alla sua morte infatti ha avuto quindi anche questo senso: di ripristinare la vera e autentica Thérèse.
È considerata, inoltre, sia una mistica dalla spiritualità ingenua o quasi infantile, la «santa delle rose», sia come uno dei vertici massimi del misticismo e della riflessione teologica.
Dalla prima traduzione inglese dei manoscritti autobiografici The Little Flower of Jesus, è conosciuta anche come il Piccolo fiore di Gesù, soprattutto presso i fedeli anglofoni. La sua festa liturgica ricorre il 1° ottobre.
Patrona dei missionari dal 1927, dal 1944 assieme a Giovanna d'Arco, è considerata anche patrona di Francia.
Nel 1978, per i ricercatori, è stato creato a Lisieux un centro di documentazione teresiana.
Dal 19 ottobre 1997, dopo che la richiesta di dottorato era stata fatta al Vaticano, una prima volta nel 1932 e poi ripresa nel 1987, è il 33° Dottore della Chiesa e la terza donna a ricevere questo riconoscimento dopo Teresa d'Avila e Caterina da Siena, entrambe dichiarate dottore della Chiesa cattolica da Paolo VI nel 1970.

Indice

[modifica] Gli inizi di una vicenda

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«Le bébé est un lutin sans pareil, elle vient me caresser en me souhaitant la mort : "Oh ! Que je voudrais bien que tu mourrais, ma pauvre petite Mère !... on la gronde, elle dit: "C'est pourtant pour que tu ailles au Ciel, puisque tu dis qùil faut mourir pour y aller. " Elle souhaite de même la mort à son père quand elle est dans ses excès d'amour !»
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«La piccina è un folletto senza uguali, mi sta accarezzando e mi augura la morte: "Oh! Vorrei proprio che tu morissi, mia povera mammina!..." la si sgrida, ed ella dice: "È perché tu vada in Cielo, infatti tu hai detto che bisogna morire per andarci". Essa augura ugualmente la morte a suo padre quando è nei suoi eccessi d'amore! »
(Brano tratto da una lettera di Zelie Guerin citato dalla stessa Thérèse Martin in Manoscritto autobiografico A,4v)



Sommario: Thérèse Martin nacque ultimogenita di Louis Martin e Zelie Guerin i quali prima di sposarsi avevano entrambi tentato di abbracciare la vita monastica. La loro vocazione per una vita monastica era comunque genuina visto che inizialmente si proposero un matrimonio "giosefita", cioè un'unione non consumata per tutta la vita, sul modello del matrimonio di Maria e Giuseppe; un loro confessore comunque venendo a conoscenza di questo loro accordo li dissuase a perseguirlo ulteriormente, così ebbero nove figli, di cui quattro morti in tenera età: Elena Maria (1864-1870), Giuseppe-Luigi Maria (1866-1867), Giuseppe-Giovan-Battista Maria (1867-1868), Melania-Teresa Maria (16 agosto 1870- 8 ottobre 1870). Tutti i figli ebbero come nome anche Maria in segno di venerazione per Maria, madre di Gesù. Le rimanenti cinque figlie realizzarono tutte l'antico desiderio di una vita monastica dei genitori, ma sarà l'ultimogenita Thérèse a lasciare una traccia indelebile nella storia del misticismo di tradizione cristiana.
Dopo due mesi dalla nascita Thérèse venne data in affido ad una balia a Semallè e trascorse il suo primo anno di vita in campagna, tornando ad Alençon nell'aprile 1874. La madre morì quando Thérèse aveva solo quattro anni e mezzo creando in lei un vuoto affettivo enorme. È da questa mancanza della presenza concreta dell'affetto della madre che prese le mosse il suo percorso.

[modifica] La direzione di una forma di vita

Il problema della conoscenza di Thérèse Martin è quello della direzione di una forma di vita.
Una donna di oggi, Catherine Rihoit, nel presentare il suo progetto di una biografia su questa donna dell'ottocento che è Thérèse Martin, si domanda:

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«Come parlare di lei ancora oggi?

Al di là di un linguaggio ecclesiastico che dà di lei un'immagina pia, di un linguaggio psichiatrico che ne fa una nevrotica e del linguaggio mistico che oggi per noi è di difficile penetrazione, ho scelto di parlare di lei come lei stessa mi ha parlato. Cioè in maniera molto semplice, molto diretta, molto personale. Mi sono interessata a Teresa durante l'infanzia vissuta in Normandia, dato che era l'eroina di tutte le ragazzine. Educata in quell'altra religione che è la morale laica, la sentivo misteriosa e proibita, e avrei voluto avere una di quelle sue medagliette azzurre tuttavia così diffuse.

Sapevo che un giorno, affrontando la questione di Teresa, avrei capito qualcosa di ciò che a lungo mi ero rimasto incomprensibile: il posto di Dio.»
(C.Rihoit "La piccola principessa di Dio")
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«Oggi i modelli femminili sono la mannequin (livello sessuale), la donna d'affari (livello commerciale), la giovane madre (livello riproduttivo) e, a rigore, l'artista (livello ricreativo). Ma l'istanza spirituale della femminilità è scomparsa con il calo delle vocazioni religiose. Di questa femminilità spirituale, profondamente civilizzatrice, il mondo risente la mancanza. E noi cerchiamo a tentoni questa parte perduta.»
(C.Rihoit "La piccola principessa di Dio")

L'impressione che rimane è che la biografa, ben informata di Thérèse, Catherine Rihoit, pur animata da buona volontà e da simpatia per Thérèse, non sembra essere riuscita a cogliere il vero movimento di direzione verso cui il travaglio della mistica d'oltralpe tendeva a dirigersi, a risolvere infine il mistero di questa donna e della sua storia, mistero che sembra infine nascondersi ai nostri occhi proprio dietro le ultime maschere della tubercolosi e della tentazione ateo-materialista e a smentire infine con il suo lavoro quanto scrive Thérèse stessa:

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«Voi non mi conoscete come sono in realtà»
(Teresa di Lisieux)

Va detto tuttavia che altri i quali non avevano questo limite, di essere stati educati alla "religione laica", l'hanno capita ancora meno come il proseguio di questa storia vera evidenzierà.

[modifica] Antefatti di una vicenda

Il 24 agosto 1997 a Parigi, dove si teneva in quell'anno l'incontro mondiale dei giovani, davanti un'immensa platea papa Giovanni Paolo II annunciava:

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«Rispondendo a numerose richieste e dopo attenti studi, ho la gioia di annunciare: la domenica delle Missioni, il 19 ottobre 1997, nella Basilica di San Pietro in Roma, io proclamerò Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo Dottore della Chiesa. Ho voluto darne qui il solenne annuncio.»

Ma come è accaduto che si è infine arrivati a questo evento ?

Louis Martin
Louis Martin

Il capitano dell'esercito napoleonico Pierfrancesco Martin (1877-1865) nel 1830 va in pensione. Vuole rivedere la sua terra natale che è la Normandia, decide perciò di stabilirsi ad Alençon. Pierfrancesco è il nonno paterno di colei grazie alla quale tutti i personaggi che sono partecipi di questa vicenda non sono scomparsi nell'oblio. Già Pierfrancesco è un uomo molto religioso e pur essendo lui un militare di professione, ha origini da contadini, che erano realisti all'epoca della rivoluzione del 1789. Risalendo nell'albero genealogico della mistica di Alençon troviamo un tale Giovanni Martin (1692) che precisa le origini contadine dei Martin.
Il capitano Pierfrancesco Martin si era sposata nel 1818 la figlia di un altro capitano dell'esercito, tale Annamaria Stefania Boureau (1800-1883), e da questa unione nasce nel 1823 a Bordeaux, quale loro terzo figlio, Louis Martin, chiamato Louis come il re di Francia, di tuttaltra indole: ama la poesia, i poeti del romanticismo e in particolare Lamartine e Chateaubriand e il disegno. Questi, che abbiamo così brevemente descritto, sarà destinato a divenire il papà di Thérèse.

Zelie Guerin
Zelie Guerin

Risalendo invece nell'albero genealogico della carmelitana lungo il ramo materno, troviamo una storia per certi aspetti simili. L'antenato Isidoro Guerin (1789-1868), infatti, che era nato proprio nell'anno in cui a Notre-Dame a Parigi veniva consacrata la Dea Ragione della nuova epoca illuminista che si apriva, anche lui divenuto militare di professione, nel 1844 si ritira in pensione ad Alençon. Sposatosi nel 1828 con Gianna-Luisa Macé (1804-1859), donna religiosissima, ebbe due figlie: Marie-Louise (1829-1877) che sarebbe divenuta monaca visitandina a Mans e Azélie-Marie detta Zélie (1831-1877) futura mamma di Thèrèse.

[modifica] Gli inizi di un itinerario evolutivo: prima infanzia ad Alencon (1873-1877)

In rue Saint-Blaise 42, ad Alençon, cittadina della Normandia situata nel nord della Francia, il 2 gennaio 1873 nasce Thérèse Martin. Allora Alençon contava 16 mila abitanti.
In una recentissima biografia romanzata, alquanto verosimile in quanto ben documentata, di Thérèse Martin, ( "La piccola principessa di Dio" di Catherine Rihoit, 1992, pagine 19-20), dove i temi dell'emancipazione della donna si intrecciano all'apologia della pratica della scrittura come via quasi mistica di salvezza in generale ma soprattutto per la donna che vuol salvaguardare la propria soggettività, tanto da trasformare nel suo scritto la vocazione di Thèrèse in vocazione alla scrittura, ma Thérèse fin dall'infanzia è più pensatrice (ma forse sarebbe meglio dire amante) che scrittrice, così vengono descritti i genitori di Thérèse:

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«Da parte sua, mia madre fantasticava su Dio, con la benedizione di suo marito che, dal canto suo... si perdeva in una versione diversa dello stesso sogno. Sebbene per vie diverse, i loro pensieri si dirigono verso lo stesso luogo. Così, separati erano uniti. Un sogno per due: ecco l'origine dell'incontro, la nascita e la crescita del loro amore. Io sono nata da questo sogno, come pure le mie sorelle."......"Noi, i figli, nati da un duplice sogno di purezza, lo porteremo avanti, lo riprenderemo. Una famiglia intera ricamerà questo motivo, come nelle variazioni infinite del punto di Alençon. La forza che mi abita è l'eredità dei genitori. Il loro matrimonio si è costruito su una doppia delusione: il naufragio di due vocazioni di santità. Il loro voto rimbalzerà fino a me, amplificato dalla speranza.»
(C.Rihoit "La piccola principessa di Dio")

Thérèse Martin infatti nasce in una famiglia i cui genitori, Louis Martin e Zelie Guerin avevano desiderato entrambi di abbracciare la vita monastica, ma senza riuscire nel loro intento. Louis Martin, infatti, a 23 anni cercò di farsi accogliere in un monastero agostiniano ma fu respinto per mancanza di istruzione, in particolare per una insufficiente conoscenza del latino. I due monaci mancati, in seguito si conobbero e dopo un breve fidanzamento decisero di sposarsi, cosa che avvenne il 13 luglio 1858.
Così in seguito ricordava questa coppia la loro primogenita Maria Martin:

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«Mio padre e mia madre avevano una fede così grande che, vedendoli parlare insieme dell'eternità, ci sentivamo disposte, quantunque fossimo tanto giovani, a considerare le cose del mondo come pura vanità»
(Testimonianza di Marie Martin)

Andati ad abitare in via del Pont-Neuf, vissero per dieci mesi come fratello e sorella. Uno studioso di questa vicenda e delle politiche del vaticano in tema di creazione di santi, Kenneth L. Woodward infatti rivela:

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«Il giorno del loro matrimonio, però, lei (Zelie) fuggì nel convento di sua sorella, dove singhiozzò davanti al cancello del chiostro perché voleva ancora farsi suora. Per i primi dieci mesi di matrimonio questi furono i sentimenti di Zelie. I Martin non ebbero rapporti sessuali, anche se dal materiale fino ad oggi pubblicato non è chiaro se fu un'idea di Zelie, di Louis o un loro accordo: quello che sappiamo è che Louis era pronto a formalizzare la loro verginità reciproca con un matrimonio "giosefita", cioè un'unione non consumata per tutta la vita, sul modello del matrimonio di Maria e Giuseppe.»
(Kenneth L. Woodward "La fabbrica dei santi. La politica delle canonizzazioni nella chiesa cattolica" - pag.374 - (1990))

Accadde invece che il destino, tramite il loro confessore e padre spirituale, li dissuase da questo proposito, nacquero così nove figli ma di questi, quattro morirono ancora neonati a causa dell'alta mortalità infantile di quell'epoca. Particolare non secondario, a tutti i figli, anche ai maschi, diedero come secondo nome Maria segno evidente di quanta importanza attribuivano a questa figura della cristianità.
Il 15 dicembre 1872 poco prima della nascita della sua ultimogenita Thérèse scriveva:

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«Io amo i bambini follemente, sono nata per averne, ma presto arriverà il tempo in cui dovrò smettere. Il 23 di questo mese avrò quarantun anno, l'età in cui si diventa nonne.»
(Lettere di Zelie Guerin)

E riferendosi a colei di cui è in attesa aggiungerà:

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«Se il buon Dio mi facesse la grazia di poterla allattare, sarebbe un piacere nutrirla!»
(Lettere di Zelie Guerin)

L'ultimo figlio nacque nel 1873, Thèrèse appunto.
Zelie amava e aveva una grande considerazione di Louis tantè che quando il fratello Isidore dovette andare a Parigi per continuare gli studi in Farmacia, dopo essersi consultata con il marito che a Parigi aveva vissuto, lo mette in guardia dai pericoli possibili per la fede presenti nella grande metropoli e gli presenta Louis come un modello. (Lettere di Zelie Guerin)
Poiché il laboratorio di cucito di Zelie Guerin era molto più produttivo del negozio di orologiaio-orefice di Louis Martin, questi lo vendette e si dedicò all'amministrazione del lavoro della moglie la quale tra l'altro aveva ingaggiato una ventina di operaie alle quali dava lavoro e che considerava come una famiglia allargata. A contatto con le "signore" di Alençon iniziò a imparare l'arte dell'abbigliamento e la moda. Si diceva di Zelie che lavorava per abbellire le donne e le chiese.

La rosa simbolo caro a Thérèse
La rosa simbolo caro a Thérèse

Benché tutte le mattine alle prime luci dell'alba lei e Louis attraversavano Alencon per andare alla messa era una donna di ampie vedute per quell'ambiente impregnato di giansenismo: si racconta di un diverbio occorso tra lei e la sua confidente, sua sorella Louise che era anche monaca la quale gli rimproverava di aver mandato la sua primogenita al ballo. Zelie reagì vigorosamente:

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«Bisogna dunque rinchiudersi in un chiostro? Non si può, nel mondo, vivere come dei lupi! In tutto quanto la santa donna ci dice, c'è qualche cosa da prendere e altro da lasciare...Il fatto che Maria prenda un po' di svago la renderà meno selvatica: lo è già tanto!»
(Lettere di Zelie Guerin)

Alcuni hanno voluto dare una spiegazione al rigore di Louise (suor Dositea) adducendo anche il fatto che quando era bambina gli era stato insegnato a leggere e scrivere utilizzando come testo niente di meno che l'Apocalisse di Giovanni. Questo a detta di loro l'avrebbe scossa fortemente mantenendola in una perenne posizione di timore rispetto al Dio.
Non passarono due mesi dalla nascita di Teresa che Zelie, a metà marzo 1873, fu costretta a dare l'ultima figlia, che ormai rifiutava completamente di nutrirsi, a balia presso Rosa Taillè una contadinotta prosperosa la quale abitava a Semallè (Orne) zona di campagna nei dintorni di Alencon. Rosa aveva un figlio e questi anche dopo la morte di Teresa, ormai divenuta famosa oltre i confini della Normandia, non rinuncerà mai a definirsi "fratello di latte della santa".
Thérèse, dopo un anno della sua prima infanzia vissuta così in campagna tra i contadini e i cui ricordi le rimarranno piacevolmente impressi per sempre come afferma in "Storia di un'anima", ai primi di aprile 1874 fa ritorno a casa.

[modifica] Un sogno di inizio percorso

Prima di addentrarsi nel racconto della sua giovinezza, Thérèse racconta nei suoi manoscritti autobiografici un sogno fatto molto prima, quando era ancora "un piccolo Folletto di quattro anni".(Ms A10v)

Il sogno dei tre diavoli

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«Mi ricordo di un sogno che dovetti fare all'incirca a quell'età e che si è profondamente inciso nella mia immaginazione. Una notte sognai che stavo uscendo per recarmi a passeggiare sola in giardino. Giunta alla base dei gradini che bisognava salire per giungervi, mi arrestai, colta da spavento. Davanti a me, accanto al pergolato, si trovava un barile di calce e, su di esso, due orribili diavolini che danzavano con un'incredibile agilità, benché avessero ai piedi dei ferri da stiro. A un tratto essi gettarono su di me i loro sguardi fiammeggianti ed apparvero subito assai più spaventati di me. Si precipitarono giù dal barile e si andarono a nascondere nel guardaroba che si trovava di fronte. Vedendoli così poco coraggiosi volli sapere cosa andavano a fare e mi accostai alla finestra. I poveri diavolini erano là che correvano sui tavoli e non sapevano come sfuggire al mio sguardo. A volte si avvicinavano alla finestra, guardando con aria allarmante se ero ancora là; e vedendomi ricominciavano a correre come dei disperati...»
(Teresa di Lisieux "Manoscritto autobiografico A 10v")

Dopodiché benché Freud avrebbe pubblicato il suo "L'interpretazione dei sogni" solo tre anni dopo, Thérèse si improvvisa psicoanalista e prova ad interpretare il suo sogno e certamente la sua interpretazione è quella giusta, del resto gli stessi psicoanalisti per iniziare il lavoro d'interpretazione di un sogno partono sempre dando credito ai vissuti immediati del sognatore. In questo senso Teresa di Lisieux come autoanalista intepreta bene anche se forse la sua interpretazione è suscettibile di essere ulteriormente amplificata e precisata ma, Thérèse non era stata formata al metodo psicoanalitico, anche perché, come si sà, tale metodo, proprio negli stessi anni, era ancora in gestazione e stava giusto giungendo a maturazione.

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«Certo questo sogno non ha niente di straordinario, tuttavia credo che il Buon Dio abbia permesso che me ne ricordassi per farmi toccar con mano che un'anima in istato di grazia non ha niente da temere dai demoni che sono dei vili, capaci di fuggire davanti allo sguardo di un bambino...»
(Teresa di Lisieux "Manoscritto autobiografico A 10v")

Si è detto approposito di questo sogno che alcuni particolari, ad esempio il ferro da stiro ed altro fanno sicuramente riferimento all'attività imprenditoriale della madre Zelie.

[modifica] Una lettera per il dottor Freud

Per approfondire, vedi la voce Santa Teresa di Lisieux e la psicoanalisi.

Intendiamo riferirci a una lettera scritta da Zelie Guerin, inviata a Pauline il 29 ottobre 1876.

Teresa nel luglio 1876
Teresa nel luglio 1876

Questa lettera è molto importante poiché segna l'inizio di un incontro che forse lei stessa non avrebbe disdegnato visto che proprio lei, che era molto sobria anche nelle cose della religione e del soprannaturale, dando poca importanza anche ai miracoli perfino del vangelo per concentrarsi sul fatto religioso in sè, proprio lei che non ha mai desiderato estasi e pur desiderando si la santità propendeva per una santità della vita quotidiana, una santità molto normale, ebbene proprio lei così come l'abbiamo descritta non ha mancato di occuparsi con interesse dei suoi propri sogni. Accadde anche che un'altra monaca del monastero come fosse una postina non mancò di farle conoscere un suo proprio sogno come fosse un messaggio che la riguardava sapendo come Thèrèse, proprio come Freud ma con meno abilità di interprete ovviamente, prendesse sul serio i sogni. E ancora Thérèse si rammaricava, proprio lei che era immersa nella religione tutta la giornata, che poi alla notte sognasse invece solo cose apparentemente frivole come fiori e paesaggi e atmosfere di campagna.
È, questo appuntamento ch'era nei tempi, comunque l'incontro tra due storie che il processo evolutivo, il divenire storico o il fato che dir si voglia, ha voluto per oscuri motivi che comunque si compisse: la storia della psicoanalisi e la storia di Thérèse.
Questo incontro avviene nel 1925 ad opera del nuovo delfino di Freud, dopo essersi consumato il disaccordo, con Carl Gustav Jung, sulla natura sessuale dell'energia psichica.
L'inglese Ernest Jones e una sua allieva psicoanalista Iseult F. Grant Duff colgono proprio in un passo di questa lettera un indizio rilevante dell'Edipo in Thérèse.
L'idea centrale è di Jones stesso ma la sua allieva prova a svilupparla ulteriormente in scritti successivi.

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«La piccola Teresa mi domandava l'altro giorno se sarebbe andata in Cielo. Io le ho detto che sì, ci sarebbe andata, se fosse stata molto brava. Mi risponde: «Si, ma, se non fossi brava e andassi all'inferno...Oh, so ben io ciò che farei: me ne verrei con te che sarai in Cielo; e come farebbe il Buon Dio a prendermi?...non mi terresti forte forte tra le braccia?» Ho visto dai suoi occhi che essa credeva davvero che il Buon Dio non avrebbe potuto nulla, se fosse stata nelle braccia di sua madre...»
(Zelie Guerin - Lettere.)

[modifica] La morte della madre

Accadde però che Zelie si ammalò di un tumore al seno, i cui primi sintomi si erano già manifestati da tempo, fin dal 1865 e quando Thérèse aveva appena quattro anni, nel 1877, la madre morì.

Nei suoi manoscritti Teresa racconta che questa fu la prima bara che vidi e la seconda fu soltanto quindici anni dopo, quando si trovò di fronte alla bara di madre Genoveffa di Santa Teresa, anch'essa una delle figure più significative della sua breve vita.

[modifica] Il percorso di conversione

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«Je n'étais encore qùune enfant qui ne paraissait avoir d'autre volonté que celle des autres, ce qui faisait dire aux personnes d'Alençon que j'étais faible de caractère...»
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«Ero solo ancora una bambina che sembrava non avere altra volontà che l'altrui, ciò faceva dire alle persone di Alencon che ero debole di carattere...»
(Thérèse Martin Manoscritto autobiografico A,43v)


Sommario: Le due sorelle maggiori, Pauline prima e Marie dopo, sostituirono inizialmente la madre ma presto una dopo l'altra si fecero monache carmelitane chiudendosi per sempre in monastero. La crisi innescata dalla morte della madre si acuì sempre di più e Thérèse giunse a somatizzare anche gravemente il suo stato psichico. Inaspettatamente la nevrosi si risolse nella notte di Natale 1886.
Come spiegare questo evento se non dicendo che l'adolescente destinata a divenire un genio del misticismo ha avuto la fortuna, o la grazia per usare le sue parole, di vivere una guarigione spontanea da una nevrosi che la imprigionava all'interno degli affetti famigliari rendendola infantile per imbarcarsi in un viaggio tutto interiore alla fine del quale (notte della fede) emergeva prepotentemente nella religiosa ancora una volta la necessità di una nuova ristrutturazione del proprio orientamento esistenziale?! Resta il fatto che questa data del natale 1886 rimarrà per sempre impressa nella mente di Thérèse a significare un vero giro di boa della sua dinamica esistenziale. Dopo questa trasformazione Thérèse, infatti, non si riconobbe più e da qui ha inizio la sua «corsa da gigante» (Manoscritto A).

[modifica] La crisi dell'infanzia e la prima conversione (1877 - Natale 1886)

Teresa nel 1881 a otto anni
Teresa nel 1881 a otto anni

Isidore Guerin, fratello di Zelie, nel frattempo era stato nominato co-tutore delle cinque sorelle Martin. Consigliò così Louis Martin, rimasto solo ad accudire i figli, a trasferirsi a Lisieux, cittadina poco più a nord ancora di Alençon, dove lui appunto viveva con la sua famiglia. Louis ne convenne sulla sensatezza del trasferimento, allora Isidore cercò ed infine trovò per loro una villetta di periferia chiamata Buissonnets situata su una collina che dominava la via di Pont-l'Eveque e il 15 novembre 1877 avvenne il trasloco.
Isidore Guerin (1841 - 1909) era stato studente in farmacia all'università di Parigi e aveva avuto come compagno di studi il grande storico del cristianesimo Ernest Renan.
Adesso gestiva quale proprietario una farmacia in piazza Saint-Pierre a Lisieux.
Più incline all'azione che alla contemplazione a differenza di Louis Martin, Isidore Guerin impegnato socialmente e non solo nella preghiera, come monarchico e cattolico, dal 1891 fino al 1896 in qualità di giornalista del giornale "Le Normand", firmerà articoli in particolare avverse alla "Franc-Maconnerie" che, nella foga della polemica del tempo, deborderanno un po' sopra le righe facendo trasparire, tratti di antisemitismo. In particolare in questi articoli cercava di contrastare "le fanfaronate anticlericali" di Henri Cheron che adesso militava nelle file repubblicane ma che aveva lavorato, in passato, come dipendente nella sua farmacia e che in seguito ancora diverrà un noto statista.
Nel dicembre 1888 grazie a A. David, un cugino della moglie, che gli lascia una considerevole eredità tra cui un castello oltre a valori, terre e case, può ritirarsi dagli affari e vendere la farmacia per vivere agiatamente delle proprie rendite e consacrarsi al giornalismo, alla famiglia e ai Martin.
È lui che ha aiutato la famiglia Martin a trasferirsi a Lisieux ed è sempre lui che ha fatto stampare a sue spese la prima edizione di "Storia di un'anima" il 30 settembre 1898, sia pure, a dir la verità come sembrerebbe, senza grande entusiasmo.
Da parte sua Teresa, comunque, prenderà sempre le distanze dal modo di esprimersi della religiosità in suo zio, definendolo chiaramente "Ce chrétien d'un autre auge", "Questo cristiano d'altri tempi". ("Manoscritti Autobiografici" - Manoscritto A, f.51 v.)
Ebbe due figlie, Jeanne si sposerà con il medico Francis La Nèele e Marie, compagnia di giochi d'infanzia di Thérèse (particolare non insignificante: tra i tanti giochi che facevano giocavano a fare l'eremita), entrerà anch'essa al monastero di Lisieux e sarà una delle allieve novizie di Thérèse quando gli sarà affidato l'incarico di maestra delle novizie.

[modifica] Simbiosi e separazione

Teresa decise allora di adottare come sua seconda madre la sorella maggiore Paolina ma pure da essa si sentì abbandonata quando cinque anni dopo, il 2 ottobre 1882, Teresa aveva nove anni, entrò nel convento di clausura delle Carmelitane di Lisieux. Per Teresa che era molto attaccata a lei fu un duro colpo benché Marie, la maggiore di tutte, tentò di sostituire in questa funzione materna Pauline.

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«In un attimo compresi che cosa è la vita, fino allora non l'avevo veduta triste... Vidi che non è altro che una sofferenza ed una separazione continua... Fu come se un pugnale mi si fosse confitto in cuore...»
(Ms A 25 v°)

[modifica] I sintomi di un conflitto

Quest'insieme di cose: un'affetto enorme per la madre, la sua morte, e poi l'abbandono di quella che considerava una sua seconda madre, Pauline, produssero in Thérèse una crisi nervosa con manifestazioni somatiche anche di forte intensità.

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«Alcuni chiodi attaccati al muro della camera le apparivano all'improvviso sotto forma di dita carbonizzate. Gridava allora:

- Ho paura, ho paura!
I suoi occhi così calmi e dolci avevano un'espressione di spavento...Una...volta, mio padre venne a sedersi presso il letto di Teresa. Aveva il cappello in mano. Teresa lo guarda...poi, in un batter d'occhio, cambia espressione, i suoi occhi fissano il cappello e getta un lugubre grido:

- Oh, la grossa bestia!»
(Deposizione di Maria Martin, in "Summarium")

Oltre a ciò le sembra di vedere tutto intorno al suo letto dei grossi precipizi.
Il dottor Notta, interpellato, ritiene tuttavia che non si tratti di isteria.

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«Vedendola sfinita, volli darle da bere ma Teresa gridò in preda a terrore:
- Vogliono avvelenarmi.»
(Maria Martin)

[modifica] Una nuova Madre

Il 13 maggio 1883 domenica di Pentecoste accade l'imprevedibile:

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«...vidi Teresa guardare la statua della Santa vergine...come in estasi per quattro o cinque minuti, poi il suo sguardo si posò su di me con tenerezza.»
(Maria Martin "Summarium")

Si trattava della statua di "Nostra Signora delle Vittorie" detta della "Vergine del Sorriso".

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«D'un tratto...mi penetrò fino in fondo...il sorriso incantevole della Madonna»
(Ms A 30 r°)

Teresa è guarita.

[modifica] Ritorno ad Alençon: la conoscenza del mondo

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«Tre mesi dopo la mia guarigione il Babbo ci fece fare il viaggio di Alençon. Era la prima volta che vi tornavo e grande fu la mia gioia nel rivedere i luoghi in cui era trascorsa la mia infanzia [...]»
(Ms A32v)
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«Il buon Dio mi ha fatto la grazia di conoscere il mondo quel tanto che bastava per disprezzarlo e allontanarmi da esso. Posso dire che fu durante il mio soggiorno ad Alençon che feci il mio primo ingresso nel mondo. Attorno a me tutto era gioia e felicità; io ero festeggiata, coccolata, ammirata; in una parola, per quindici giorni la mia vita fu cosparsa solo di fiori...; e confesso che essa aveva dell'incanto ai miei occhi. Il libro della Sapienza ha ben ragione di dire: «Che la magia delle futilità del mondo seduce anche lo spirito lontano dal male». A dieci anni il cuore si lascia facilmente abbagliare; ed io considero una grande grazia non essere rimasta ad Alencon, poiché gli amici che vi avevamo erano troppo mondani e sapevano troppo conciliare le gioie della terra con il servizio del Buon Dio. Non pensavano abbastanza alla morte, anche se essa era andata a visitare un gran numero di persone che avevo conosciuti giovani, ricche e felici!!! Volentieri ritorno col pensiero ai luoghi deliziosi in cui erano vissute e mi domando dove sono adesso e che profitto hanno ricavato dai castelli e dai parchi in cui le vidi godere della comodità della vita...E vedo che sotto il Sole, tutto è vanità ed afflizione dello spirito...che il solo bene è amare Dio con tutto il cuore ed essere quaggiù poveri di spirito...»
(Ms A32v)
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«Forse Gesù ha voluto mostrarmi il mondo prima della sua prima visita perché potessi scegliere più liberamente la via che dovevo promettergli di seguire.»
(Ms A32v)

[modifica] Scrupoli e sensi di colpa

[modifica] Il superamento dell'infanzia

La Cathédrale Saint-Pierre era anche la chiesa frequentata abitualmente da Thèrèse. Quì in questa chiesa comprese, per la prima volta in vita sua, quando non era ancora nemmeno adolescente, ciò di cui fin da bambina aveva sempre sentito parlare ma non compreso: il senso della passione del Cristo.

La Cathédrale Saint-Pierre.
La Cathédrale Saint-Pierre.

Da questo evento trasformativo, anteprima di una trasformazione ancor più visibile, quella della notte di natale 1886, ch'ella chiama "la mia conversione", deriva il suo secondo nome da religiosa: "Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo". Fu proprio questa comprensione che iniziò a sbloccarla dalla stasi energetica in cui versava (la cosiddetta malattia mentale o nevrosi) e fu quello anche il giorno che diede l'avvio alla sua ulteriore evoluzione.

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«La notte di Natale del 1886 fu, è vero, decisiva per la mia vocazione, ma per essere più esatta, devo chiamarla: la notte della mia conversione. In questa notte benedetta, della quale è scritto che rischiara le delizie stesse di Dio, Gesù che si faceva bambino per amor mio, si degnò di farmi uscire dalle fasce e dalle imperfezioni dell'infanzia. mi trasformò in modo tale da non riconoscermi più. senza questo cambiamento, sarei dovuta restare ancora chissà quanti anni nel mondo. Santa Teresa, la quale diceva alle sue figlie: "Voglio che non siate donne in nulla, ma uguali in tutto ad uomini forti" (Teresa d'Avila "Cammino di perfezione" 7,8), Santa Teresa non avrebbe voluto riconoscermi per sua figlia, se il Signore non m'avesse rivestito della sua forza divina, se non m'avesse armata lui stesso per la guerra.»
(Lettera di Teresa a Padre Adolphe Roulland del 1 novembre 1896)

Ma che cosa era accaduto veramente? Quale avvenimento aveva messo in moto una simile reazione psichica positiva destinata a durare nel tempo?

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«Tornavamo dalla messa di Mezzanotte[...]Il Signore permise che Papà provasse un senso di noia vedendo le mie scarpe nel camino e dicesse delle parole che mi ferirono il cuore: «Bene, per fortuna che è l'ultimo anno!»
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«In quel momento salivo la scala per togliermi il cappello: Celine vedendo le lacrime nei miei occhi mi disse: «Oh Teresa! non scendere, ti farebbe troppa pena guardare subito nelle tue scarpe!». Ma Teresa non era più la stessa, Gesù le aveva cambiato il cuore. Reprimendo le lacrime discesi rapidamente e comprimendo i battiti del cuore presi le scarpe, le posai dinanzi a papà e tirai fuori gioiosamente tutti gli oggetti con l'aria beata di una regina. Celine credeva di sognare!La piccola Teresa aveva ritrovato la forza d'animo che aveva perduta a quattro anni e mezzo, e da ora in poi l'avrebbe conservata per sempre! In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita.»
(Brano tratto da "Manoscritto Autobiografico A 44v)
La Cathédrale Saint-Pierre.
La Cathédrale Saint-Pierre.
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«Nous revenions de la messe de minuit où j’avais eu le bonheur de recevoir le Dieu fort et puissant. (Ps 24,8) En arrivant aux Buissonnets je me réjouissais d’aller prendre mes souliers dans la cheminée, cet antique usage nous avait causé tant de joie pendant notre enfance que Céline voulait continuer à me traiter comme un bébé puisque j’étais la plus petite de la famille... Papa aimait à voir mon bonheur, à entendre mes cris de joie en tirant chaque surprise des souliers enchantés, et la gaîté de mon Roi chéri augmentait beaucoup mon bonheur, mais Jésus voulant me montrer que je devais me défaire des défauts de l’enfance m’en retira aussi les innocentes joies ; il permit que Papa, fatigué de la messe de minuit, éprouvât de l’ennui en voyant mes souliers dans la cheminée et qu’il dît ces paroles qui me percèrent le coeur : " Enfin, heureusement que c’est la dernière année !... " Je montais alors l’escalier pour aller défaire mon chapeau, Céline connaissant ma sensibilité et voyant des larmes briller dans mes yeux eut aussi bien envie d’en verser, car elle m’aimait beaucoup et comprenait mon chagrin : " O Thérèse ! me dit-elle, ne descends pas, cela te ferait trop de peine de regarder tout de suite dans tes souliers. " Mais Thérèse n’était plus la même, Jésus avait changé son coeur ! Refoulant mes larmes, je descendis rapidement l’escalier et comprimant les battements de mon coeur, je pris mes souliers et les posant devant Papa, je tirai joyeusement tous les objets, ayant l’air heureuse comme une reine. Papa riait, il était aussi redevenu joyeux et Céline croyait rêver !... Heureusement c’était une douce réalité, la petite Thérèse avait retrouvé la force d’âme qu’elle avait perdue à quatre ans et demi et c’était pour toujours qu’elle devait la conserver !...En cette nuit de lumière commença la troisième période de ma vie[].»
(Thérèse de Lisieux "Manuscrit A 44v")

[modifica] La via del monastero (1886 - 1888)

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«Dégagé de ses scrupules, de sa sensibilité excessive, mon esprit se développa.»
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«Liberato dagli scrupoli, dalla sua sensibilità eccessiva, il mio spirito si sviluppò.»
(Thérèse Martin, Manoscritto autobiografico A,46v')

Sommario: Decise, quindi, seguendo l'esempio di Teresa d'Avila, di «mettersi sulle tracce» di Gesù di Nazareth, diventando anch'essa monaca, ma essendo minorenne non poteva ancora essere accettata nel monastero di Lisieux.
Fu così che, un anno dopo, nel novembre 1887, insieme all'anziano padre Louis ed alla sorella prediletta Celine, attraversò tutta l'Italia diretta a Roma per rivolgere, infine, questa sua richiesta direttamente a papa Leone XIII.
Thérèse si inginocchiò davanti al pontefice chiedendogli di intervenire in suo favore presso le autorità ecclesiastiche competenti, sebbene non avesse ancora raggiunto l'età minima per l'ammissione; il papa non diede l'ordine auspicato, ma e le rispose rassicurandola che se la sua entrata in monastero era scritta nella volontà di Dio, questo ordine l'avrebbe dato lui, il Signore stesso, la Divina Provvidenza, che certamente aveva più autorità del suo servo in terra.
Bisogna specificare che Leone XIII e la bambina probabilmente non si capirono bene anche perché il Papa stentava a capire il francese di Thérèse, la quale, a sua volta, rimpianse di non conoscere l'italiano. Sentendosi impotente, Thérèse si mise a piangere, ma due guardie svizzere la allontanarono.
L'episodio, che in realtà non ebbe una grossa importanza sull'evolvere del cammino spirituale della Santa, suscitò attenzione nei suoi confronti, da parte degli ecclesiastici francesi (e del restante gruppo di pellegrini), che accompagnavano il viaggio in Italia; attenzione che certo produsse i suoi frutti, dal momento che comunque Thérèse fu infine acolta in monastero pochi mesi dopo, con anticipo sull'età minima di ammissione.

[modifica] La via della scienza d'amore (natale 1886 - 1895)

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«[...]cominciai, per così dire, una corsa da gigante.»
(Manoscritto autobiografico A 45 r°)

Superato così questo primo ostacolo che la necessità della sua evoluzione gli aveva presentato, Teresa continua il suo viaggio nella realizzazione del suo destino lasciandosi alle spalle la propria infanzia, quale fardello che la intralciava, per procedere ulteriormente verso la messa a fuoco della propria vera identità, proprio lei che più di ogni altro soffriva, come spesso diceva, di non riuscire a trovare le parole adeguate per esprimere la sua esperienza interiore. Più leggera, è pronta ad affrontare le nuove prove.

[modifica] Alla ricerca della "Scienza d'Amore"

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«Voici le maitre que je te donne, il t'apprendra tout ce que tu dois faire. Je veux te faire lire dans le livre de vie, où est contenue la science d'Amour.»
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«Ecco il maestro che ti do, egli ti insegnerà tutto quello che tu dovrai fare. Voglio farti leggere nel libro della vita, dove è contenuta la scienza d'amore.»
(Brano tratto dai testi di Margherita Maria Alacoque citato dalla stessa Thérèse Martin in Manoscritto autobiografico B)

La staffetta prosegue e Thérèse così commenta le parole della sua sorella, di fatto antigiansenista, impugnandone il testimone che le porgeva e ripartendo per la millenaria corsa trasformativa dell'immagine di Dio sì che sotto i suoi passi da gigante si allontana e svanisce sempre più il dio antico e terribile degli antenati monoteisti verso il nuovo volto di Dio già nato 2000 anni fa ma con Margherita e Teresa riaffermato e riscoperto poichè nella loro mente in nuova gestazione.

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«La science d'Amour, ah oui! cette parole résonne doucement à l'oreille de mon ame, je ne désire que cette science-là. Pour elle, ayant donné toutes mes richesses, j'estime come l'épouse des sacrés cantiques n'avoir rien donné...»
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«La scienza d'Amore, ah si! questa parola risuona dolcemente all'orecchio della mia anima, io non desidero altro che questa scienza qui. Per essa anche se dessi tutte le mie ricchezze, come la sposa dei sacri cantici, riterrei di non avere dato niente al confronto.»
(Thérèse Martin in Manoscritto autobiografico B [f.1 r°])

[modifica] La scienza d'amore e le altre scienze

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«Il dubbio non era possibile, già la fede e la speranza non erano più necessarie, l'amore ci faceva trovare sulla terra Colui che cercavamo»
(Manoscritto Autobiografico A)

Dopo la cosiddetta "conversione di natale" Teresa cominciò ad essere posseduta da un desiderio di conoscenza incontenibile che lei si gestì nella maniera che racconta:

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«Liberato dagli scrupoli, dalla sensibilità eccessiva, lo spirito mio si sviluppò. Avevo amato sempre il grande, il bello, ma a quel tempo fui presa da un desiderio estremo di sapere. senza contentarmi delle lezioni e dei compiti che mi dava la mia maestra, mi dedicavo da sola a studi speciali di storia e di scienze. Gli altri studi mi lasciavano indifferente, ma questi due rami attraevano tutta la mia attenzione; così, in pochi mesi, acquistai più nozioni che durante anni di studi. Ah, ciò non era che vanità e afflizione di spirito... (Ecclesiaste 2,11) Il capitolo della "Imitazione" che parla di scienze mi tornava spesso alla mente, ma io trovavo il modo per continuare ugualmente, e dicevo a me stessa che, essendo in età di studiare, non c'era male nel farlo. Credo di non avere offeso il buon Dio (nonostante che riconosca di aver speso in queste cose un tempo inutile), perché impegnavo nello studio soltanto un limitato numero di ore, e per mortificare il mio desiderio troppo vivo di sapere, volevo non superare questo limite.»
(Manoscritto Autobiografico A)

La voce interiore dell'amato in lei non era silenziosa come lo sarà in seguito nella "notte della fede", e non aveva bisogno, se non marginalmente, dei rappresentanti di questa voce:

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«[...] la mia confessione era breve, non dicevo mai una parola dei miei sentimenti intimi, essendo così dritta la via su cui camminavo, e così luminosa che non mi occorreva altra guida se non Gesù. Paragonavo i direttori a specchi fedeli che riflettessero Gesù nelle anime, e dicevo che per me il buon Dio non si serviva d'intermediario, bensì agiva direttamente!»
(Manoscritto Autobiografico A)
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«Gesù che, ai tempi della sua vita terrena, esclamava in un impeto di gioia: "Padre mio, ti benedico perché hai nascosto queste cose ai saggi e ai potenti, e le hai rivelate ai più piccoli!" (Matteo 11,5) voleva far rifulgere in me la sua misericordia; perché ero piccola e debole si abbassava verso me, m'istruiva in segreto delle cose del suo amore. Ah, se i sapienti, dopo aver passato la loro vita negli studi, fossero venuti a interrogarmi, senza dubbio sarebbero rimasti meravigliati vedendo una fanciulla di quattordici anni capire i segreti della perfezione, segreti che tutta la loro scienza non può scoprire, poiché per possederli bisogna essere poveri di spirito!»
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«Come dice San Giovanni della Croce nel suo Cantico: "Non avevo né guida, né luce, fuorché quella che mi splendeva nel cuore, quella luce mi guidava più sicuramente che il fulgore meridiano al luogo ove mi attendeva Colui che mi conosce perfettamente".»

[modifica] L'incontro con l'abate Arminjon

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«A quattordi anni, dato il mio desiderio di scienza [...]»

Teresa nella sua autobiografia (Ms A f.47v°),dice che fino all'incontro con Arminjon si "nutriva" soltanto con l'Imitazione ("L'imitazione di Cristo" del monaco agostiniano Tommaso da Kempis), l'unico libro che gli "faceva del bene", non perché non conosceva i vangeli, specifica, ma perché "non avevo ancora trovato i tesori nascosti nel vangelo." L'Imitazione era un testo sacro che Thérèse conosceva a memoria e lo portava sempre con sé indosso sia d'estate che d'inverno. [Manoscritto A f. 47 v°]
Contrariamente alle sue abitudini, perché non leggeva i libri di suo papà, Teresa chiese di poter leggere un libro che le carmelitane di Lisieux gli avevano imprestato. Si trattava di un testo apparso nel 1882 e che radunava una serie di conferenze tenute dall'abate Charles Arminjon (1824-1885) dal titolo "Fin du monde présent et mystères de la vie future" (La fine del mondo presente e i misteri della vita futura).

L'estasi del Belvedere

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«[...] l'impressione che ancora ne risento è troppo grande e dolce perché io possa esprimerla. Tutte le grandi verità della religione, i misteri della eternità, immergevano l'anima mia in una felicità che non era di questa terra [...]»
(Manoscritto A)

Un giorno verso il tramonto Teresa e Celine stavano sul Belvedere dei Buisssonnets e discutevano quasi in estasi dei temi trattati dal canonico di Chambéry Arminjon che tra l'altro proprio ad Agostino si ispirava. Il Belvedere all'istante cessò di essere Lisieux: erano ad Ostia e si confondevano con Monica e Agostino.
Come si sà l'esperienza dell'unione mistica di Agostino con sua madre Monica in Dio fu un momento magico e infatti lo chiama nelle "Confessioni": "momentum intelligentiae", momento d'intelligenza.
Il filoso Jean Guitton lo ha sentito anche lui bene quel momento rivissuto da Teresa di Lisieux e infatti afferma:

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«Ormai non si potrà più visitare quel Belvedere dei Buissonnets, sorta di mistico faro, senza riandare alle lunghe occhiate di Agostino e Monica sulle rive senza confini del mare e dell'eternità[...]»
(Jean Guitton,Il genio di Teresa di Lisieux,1954)

[modifica] La grande decisione: una vita da filosofi

Teresa giunse alla conclusione che la sua scelta di vita non poteva che essere quella di incamminarsi su quella stessa strada già intrappresa dalle sue due sorelle magggiori: pauline e Marie che si trovavano già al carmelo.

[modifica] Il carmelo di Lisieux

L'ordine religioso carmelitano nato in terra di Palestina ha un'origine che risale al 1200 ma i carmelitani a cui Teresa si appresta ad unirsi sono il nuovo ordine carmelitano riformato nel 1500 da Teresa d'Avila (Teresa Sanchez de Cepeda Avila Y Ahumada) e Juan de la Crux (Juan de Yepes Alvarez) entrambi letterati, mistici e poeti.

Teresa d'Avila fondatrice dell'ordine carmelitano in un dipinto del Rubens
Teresa d'Avila fondatrice dell'ordine carmelitano in un dipinto del Rubens
Giovanni della Croce fondatore dell'ordine carmelitano in un dipinto anonimo del XVII secolo
Giovanni della Croce fondatore dell'ordine carmelitano in un dipinto anonimo del XVII secolo

La figura di Teresa d'Avila che così tanto colpisce la piccola Teresa è la figura di una donna delle grandi altezze ma anche donna terra terra di grande praticità e di grandi capacità organizzative da far invidia ad un manager della nostra epoca. Donna di pensiero ma anche donna d'azione.
Teresa, e quì intendiamo riferirci alla piccola Teresa, viveva completamente nel pensiero fin dall'infanzia e i nomi per lei erano per lei persone reali e viventi, i suoi amici per usare le sue stesse parole e non defunti o semplici personaggi storici e come tali li trattava nella sua vita quotidiana. Ecco che cosa vedeva quindi nel carmelo di Lisieux e perché sentiva provenire da esso un calore che l'attraeva. Inoltre aveva conosciuto personalmente le monache della comunità e provava per loro una naturale simpatia e pur conoscendola meglio solo dopo la sua entrata, fu colpita in particolar modo dalla figura di una di loro: madre Genoveffa di Santa Teresa.
La costruzione di questo carmelo è stato concepito dopo la rivoluzione francese allorché due donne di famiglia benestante Désirée et Athalie Gosselin desiderose di divenire carmelitane trovarono un impedimento sembrerebbe di ordine relativo alla loro cagionevole salute così decisero di impegnarsi alla creazione di un nuovo monastero in grado di poterle accogliere e poter così realizzare finalmente il destino a cui si sentivano chiamate.
Infine riuscirono ad entrare al carmelo di Poitiers. Tuttavia non ritornarono sul loro proprosito e il 3 octobre 1835, il vescovo di Bayeux di comune accordo con il parroco di Saint-Jacques di Lisieux propose loro proprio la cittadina di Lisieux appartenente alla sua diocesi come possibile luogo per l'edificazione del nuovo monastero. Nel frattempo Désirée et Athalie Gosselin si erano unite ad un'altra ragazza con i loro stessi propositi proveniente proprio da Lisieux: Caroline Guéret e il 15 marzo 1838 di comune accordo loro che non erano ancora monache partirono in compagnia di due vere monache: madre Elisabeth de Saint Louis et suor Geneviève de Sainte Thérèse (al secolo Claire Bertrand).
Giunti a Lisieux in Rue de Livarot costituirono il primo nucleo della nuova fondazione. Madre Elisabeth de Saint Louis fu eletta prima superiora del nuovo carmelo e suor Geneviève de Sainte-Thérèse, sotto priora e maestra delle novizie.
Nel 1842 alla morte di Madre Elisabeth de Saint Louis gli subentrò come priora proprio suor Geneviève de Sainte-Thérèse che rimase ininterrottamente in questa carica sino al 1886 sì che ormai suo nuovo appellativo era divenuto quello di "fondatrice del carmelo di Lisieux".
Se una scienziata del cuore è stata possibile questo lo si deve anche a queste semplici operaie che non potevano sapere per chi, mattone dopo mattone, stavano costruendo quella casa .
Se una scienziata del cuore è stata possibile questo lo si deve anche soprattutto, tra queste monache, a madre Geneviève de Sainte-Thérèse (1805-1891). Questo lo ha riconosciuto Thérèse e questo gli va riconosciuto. Infatti nessuno si fa da solo ma ognuno è un universale singolare: sono le relazioni che ci plasmano nel bene come nel male.

[modifica] Dalla decisione all'azione concreta

Presa la grande decisione tuttavia c'è un problema che rimane da risolvere. Teresa infatti ha ancora solo 14 anni e per questo deve chiedere prima l'autorizzazione a suo padre e poi anche a colui che è suo co-tutore dalla morte di sua madre: lo zio Guerin. Da parte loro, le monache del carmelo, hanno dato già il loro parere favorevole.
Teresa scelse intenzionalmente il 29 maggio 1887 giorno di Pentecoste per chiedere al padre il permesso di entrare al carmelo all'età di quindici anni. Si rivolse agli Apostoli per tutta la giornata perché gli ispirassero, a lei che, bambina timida, voleva divenire "l'apostolo degli apostoli", le parole che doveva dire.
Il padre gli fece osservare che era ancora troppo giovane per prendere una simile decisione ma Teresa difese tanto bene la sua causa che ben presto lo convinse. Louis Martin allora colse per l'occasione un fiore bianco dal giardino e lo regalò alla figlia che lo conservò e in seguito lo incollò in una immagina di Maria di Nazareth. Questa stessa immagine la ritroveremo a meno di un mese dalla sua morte poiché in essa aggiunse il suo ultimo autografo dell'8 settembre 1897.

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«O Maria, se io fossi la Regina del cielo e voi foste Teresa, vorrei essere Teresa, affinché voi foste la Regina del cielo.»

Ma in quel momento Teresa si identificò simbolicamente in quel fiore che veniva sdradicato dal mondo per "salire la montagna del carmelo" poiché come dice l'Imitazione, commenta Teresa, "Bisogna amare Gesù al di sopra di tutto".
Ottenuto il consenso del padre, cercò di ottenere anche quello del co-tutore, lo zio Isidore Guerin. Questi, al contrario, non gli dette il consenso alla partenza. Anzi gli proibì di parlargli di vocazione prima di avere diciassette anni.

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«Era contrario alla prudenza umana - diceva - fare entrare al carmelo una bambina di quindici anni; la vita di carmelitana essendo agli occhi del mondo una vita da filosofi, si farebbe gran torto alla religione permettendo ad una fanciulla priva di esperienza di abbracciarla. Tutti ne parlerebbero, ecc...ecc...
Disse perfino che per decider lui a farmi partire sarebbe stato necessario un miracolo. Vidi bene che tutti i ragionamenti erano inutili, perciò mi ritirai, col cuore immerso nell'amarezza più profonda. Unica mia consolazione: la preghiera. Supplicavo Gesù di fare il miracolo richiesto, poiché soltanto a quel prezzo avrei potuto rispondere al suo appello.»
(Manoscritto Autobiografico A)

E il miracolo ci fu. Qualche tempo dopo, infatti, lo zio ritornò sui suoi passi e non fece più opposizione.
Era giunto il momento, a questo punto, di affrontare le gerarchie della chiesa a cominciare dal superiore del carmelo di Lisieux chiamato dalle carmelitane "Nostro Padre" e che era anche parroco di Saint-Jacques, il reverendo Delatroètte. Ma questi, interpellato,

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«non acconsentiva al mio ingresso prima dei miei ventun anni! Nessuno aveva pensato a questa opposizione, più invincibile delle altre.»
(Manoscritto Autobiografico A)

Papà Martin, difese la causa di Thèrèse ma il canonico, che già li aveva ricevuti entrambi molto freddamente, si limitò ad aggiungere che non c'erano pericoli ad aspettare e che comunque, nel frattempo, avrebbe potuto fare la carmelitana a casa sua.
Terminò ribadendo la sua contrarietà ma aggiungendo che comunque lui era solo un delegato del vescovo per cui se il vescovo fosse stato di parere favorevole lui non si sarebbe opposto. Uscirono entrambi tristi e papà Martin non sapendo come consolarla le promise che l'avrebbe accompagnata anche dal vescovo quando avesse voluto.
Ma Therèse piangente ma risoluta a raggiungere il suo scopo disse che se il vescovo non gli avesse dato il permesso si sarebbe rivolta al papa dato che era già in programma un pellegrinaggio a Roma.
A questo punto del suo manoscritto Thérèse aggiunge:

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«Prima che entrassi al carmelo, ebbi ancora varie esperienze riguardo alla vita e alle miserie del mondo.»

Dopodiché, senza entrare nei particolari di quali esperienze fece e di quali miserie conobbe, riprende il racconto della sua scalata al Monte Carmelo.
Il vescovo di Bayeux e Lisieux sin dal 1867 era Mons. Flaviano abele Antonio Hugonin che morirà nel 1898 poco tempo dopo aver dato la licenza per la stampa di "Storia di un'anima".
Il giorno 31 ottobre 1887 all'appuntamento con il vescovo e il suo vicario mons. Révérony, si presentarono Teresa che, per sembrare più grande di età si era fatta tirar su i capelli,e papà Martin. Un'espediente inutile questo di Teresa poichè Mons. Hugonin si mostra sempre più reticente al progetto di Teresa:

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«Una ragazza di quindici anni che entra al Carmelo, ecco materia per le alte grida degli anticlericali, che continuano a guardare i religiosi con gli occhi di Diderot e della sua «Religiosa», e che presentano i conventi come succursali di Lesbo
(J.Chalon "Una vita d'amore"))

Benché bene accolti, padre e figlia alleati, tuttavia non riuscirono ad ottenere alcun permesso. Il vescovo disse che avrebbe prima parlato con il superiore del carmelo e già questo non prometteva bene.
L'ultima speranza era quindi quella di rivolgersi direttamente al discendente dell'apostolo Pietro: Papa Leone XIII.
Il pellegrinaggio a Roma era stato organizzato dalla diocesi di Coutances, dato che quello era l'anno delle nozze d'oro sacerdotali di leone XIII. La diocesi di Bayeux si volle associare a questa iniziativa per onorare il papa.
Leone XIII era il primo papa dopo Pio IX che pur continuando ad avere pretese territoriali,(e questo fino al 1929), sull'ex Stato Pontificio, per la prima volta dopo quasi duemila anni era senza più potere temporale.

[modifica] Teresa scende nell'arena dell'azione missionaria a titolo di esercitazione

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«Tu sei uscita dal ghetto cattolico che guardava questi «grandi peccatori» dall'alto della loro buona coscienza. Il tuo «primo figlio» lo vai a cercare in prigione dove lo attende la ghigliottina. Henri Pranzini morirà perdonato senza sapere quello che ti deve, ma tu, tu non lo dimenticherai mai.»
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«Tu es sortie du ghetto catholique qui regardait ces « grands pécheurs » du haut de sa bonne conscience. Ton « premier enfant » tu vas le chercher en prison alors qu'il attend la guillotine. Henri Pranzini mourra pardonné sans savoir ce qu'il te doit, mais toi, tu ne l'oublieras jamais.»
(Tratto da "Perché ti amo Thèrèse" intervento di Guy Gaucher del 1-7-2005)

Prima di proseguire con il racconto del viaggio a Roma per raggiungere il suo obiettivo di diventare carmelitana a tutti gli effetti, avviene nella seconda metà di questo 1887 come un intermezzo che dura circa due mesi i cui attori principali sono: questa ancora bambina tutto sommato, e un criminale incallito.
Thérèse Martin fa il suo ingresso nell'attività missionaria seguendo il mandato del rabbi Gesù di Nazareth dopo la crocefissione, proprio dopo una meditazione-contemplazione del mistero del calvario e crocefissione del maestro e rinnovatore delle antiche scritture ebraiche.
L'incontro col criminale Pranzini avviene immediatamente dopo. Ma chi era Henri Pranzini? Un assassino di tre donne di cui una era una bambina di 11 anni.
Il criminale che Thèrèse chiamava "il mio primo figlio"
Enrico Pranzini francesizzato in Henri-Jacques Pranzini e conosciuto anche con il soprannome di "le Chéri magnifique" era di lontane origini italiane ma nato ad Alessandria d' Egitto. Uomo colto e cosmopolita, parlava circa otto lingue, avventuriero entra nell'esercito dove svolge le funzioni anche di interprete per l'esercito inglese e partecipa alla guerra in Afghanistan. Gli si confaceva una vita libertina e a Parigi dove era giunto insieme ad un suo amico svedese che faceva il pittore frequentava volentieri gli ambienti artistici. Ma uomo d'azione, trafficante con la passione per il gioco questo finì per indurlo a frequentare gli ambienti della piccola delinquenza fino a che un giorno il destino lo farà incontrare con le sue tre vittime: Marie Régnault,che si faceva chiamare Régine de Montille originaria di Chalon, da taluni descritta come donna di facili costumi, aveva abbandonato la provincia per andare à Parigi con la speranza di fare fortuna, la sua domestica Annette Gremeret, e la sua figlia illegittima Marie-Louise, che faceva passare per la figlia della domestica.
La vicenda del Pranzini e delle tre donne troverà il suo epilogo drammatico nella notte tra il 19 e il 20 marzo 1887 con il triplice omicidio avvenuto al numero 17 di via Montaigne a Parigi e la susseguente esecuzione del Pranzini di lì a pochi mesi.
Il delitto ha un vasto eco sia sulla stampa locale, in Francia, che all'estero che sviscererà la vicenda delittuosa in lungo e in largo per il piacere dei lettori.
Gli inquirenti, da parte loro, accertano solo la scomparsa di alcuni gioielli nemmeno di tanto valore e una piccola somma di danaro ma infine seguendo le sue traccie arrestano a Marsiglia un uomo di 30 anni: è lui, il mostro, Pranzini che continuerà a dichiararsi innocente, finanche con un fare insolente e di disprezzo per gli accusatori, sino alla fine. A tutto questo si aggiungeva il fatto che aveva vissuto in Russia e questo rendeva facile accostarlo nel pregiudizio popolare con i nichilisti dell'impero zarista che incutevano terrore.
Il processo si svolge dal 9 luglio 1887 al 14 luglio 1887.
L'esito del processo è abbastanza scontato, la società civile non può perdonare e viene condannato alla ghigliottina come si usava in Francia allora. Il ricorso in cassazione viene respinto sicché la condanna è definitiva.
Tale processo viene seguito da Thérèse sul quotidiano "La croix", che era il giornale che acquistava abitualmente suo papà, malgrado proprio Louis Martin le avesse proibito di leggere qualsiasi giornale. Thérèse disubbidisce a questa ingiunzione ma si giustifica dicendosi che avrebbe letto solo le notizie riguardanti il "grande criminale" come lei lo chiama, il suo "primo figlio". Così ha inizio la sua attività missionaria che la vedrà ben presto passare d'un balzo dai "grandi peccatori" alle "anime sacerdotali" senza muoversi dalla casa paterna prima o dalla sua cella monastica dopo. Quando questi fatti accadevano aveva 14 anni.
"Non erano ancora le anime dei preti che mi attiravano ma quelle dei grandi peccatori..." (MS A)
"Ce n'étaient pas encore les âmes de prêtres qui m'attiraient, mais celles des grands pécheurs..."
Ma a Thèrèse del "grande criminale" importa solo la sua anima che vuole salvare a tutti i costi in una sorta di sfida personale con Satana e quasi per provare la solidità della sua alleanza con Dio.
Per il suo protetto, Pranzini, moltiplicherà preghiere e sacrifici coinvolgendo in questa azione di salvataggio all'ultimo minuto anche la sua sorella Celine che muore dalla curiosità di sapere per chi sono tutte quelle messe che Thérèse l'ha incaricata di far celebrare. Infine Thèrèse cede alla curiosità della sorella del cuore e svela il suo segreto: sono per il suo primo figlio spirituale, Pranzini. E per lei, donna di 14 anni, che aveva esperimentato come pochi altri cosa significa la mancanza della madre e che per giunta sà già di dover rinunciare alla maternità biologica, costituisce anche il suo incamminarsi verso il suo destino, anch'esso naturale, di maternità spirituale
Thérèse sente infine il bisogno di un feedbach delle sue capacità missionarie e lo ottiene. L'esecuzione viene eseguita all'alba del 31 agosto 1887 e leggendo "La Croix" del 1 settembre 1887 Thérèse trova il racconto delle ultime ore di vita del condannato: Pranzini si pente all'ultimo istante e bacia il crocifisso dopo un primo rifiuto. Satana è sconfitto dalla bambina. È l'ingresso vittorioso di Thérèse nell'attività missionaria.

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«Malgrado il divieto fattoci da nostro padre di leggere i giornali, non credevo di disobbedire leggendo le notizie che riguardavano Pranzini. Il giorno seguente alla di lui esecuzione mi trovo sotto le mani il giornale 'La Croix'. Lo apro con ansia e che vedo?...Pranzini non si era confessato, era salito sulla ghigliottina e si disponeva a passar la testa nel lugubre buco, quando ad un tratto, assalito da una subitanea ispirazione, si volta, afferra il Crocefisso presentatogli dal cappellano e ne bacia per tre volte le piaghe santissime...Poi la sua anima andò a ricevere la MISERICORDIOSA sentenza di Colui il quale dichiara che in cielo si ha più gioia per un solo peccatore che fa penitenza, che per 99 giusti che non ne hanno bisogno.»
(Thérèse Martin, Ms A, 46r)

Per un'ulteriore documentazione e approfondimenti su questa sezione:

  • "Le Chéri magnifique - Histoire d’un crime " di Viviane Janouin-Benanti (2001)

[modifica] Un viaggio istruttivo: l'Italia

Teresa di Lisieux poco prima del viaggio in Italia
Teresa di Lisieux poco prima del viaggio in Italia

Ma proseguiamo con quella prova che è il viaggio a Roma che Thérèse deve superare, visto che non è assolutamente diponibile ad accettare, come invece gli era stato consigliato di fare, una "vita da filosofi" a casa sua, ma in un altra casa altra da quella paterna, un monastero concreto con delle regole ben precise e uno stile di vita concreto ben preciso come era il carmelo.
All'età di quattordici anni, dunque, nel novembre 1887, Teresa, sua sorella Celine e il padre attraversarono tutta l'Italia, per recarsi in pellegrinaggio a Roma.

"Ah, che viaggio! mi ha istruita di più da solo, che non i lunghi anni di studio; mi ha mostrato come sia vano tutto ciò che passa, e come tutto sia afflizione di spirito sotto il sole![Ecclesiaste 2,11] Eppure, ho visto delle cose bellissime, ho contemplato le meraviglie dell'arte e della religione, soprattutto ho camminato sulla terra stessa dei santi Apostoli, la terra pervasa dal sangue dei martiri, e l'anima mia si è dilatata a contatto con le cose sacre..." [manoscritto A]

Il viaggio nel complesso durò un mese dal 7 novembre al 2 dicembre, l'organizzatore era l'agenzia Lubin di Parigi e prevedeva il viaggio in prima classe e il pernottamento nei più prestigiosi alberghi della penisola. Il gruppo dei pellegrini era formato da 197 persone, di questi un quarto appartenevano alla nobiltà francese e 65 erano ecclesiastici. La meta per Thérèse, come si sa, era Leone XIII, ma a detta di Celine durante quel viaggio "si combinavano matrimoni".

I tre Martin attraversarono Lisieux ancora addormentata il 2 novembre 1887 alle tre di notte per Parigi.

[modifica] Teresa e l'aristocrazia del nome

"Non avendo mai vissuto in mezzo a gente di gran mondo, Celine ed io ci trovammo in mezzo all'aristocrazia che componeva quasi da sola tutto lo stuolo dei pellegrini. Ben lungi dall'abbagliarci, tutti quei titoli, e quei <<de>> ci parvero fumo e soltanto fumo. Da lontano mi avevano gettato, qualche volta, un po' di polvere negli occhi, ma da vicino vidi che <<tutto ciò che brilla non è oro>>, e ho capito la parola della Imitazione: <<Non correte dietro a quell'ombra che si chiama un gran nome, non desiderate legami numerosi, e nemmeno la particolare amicizia di alcuno>>. [Imitazione di Cristo, 1,3,c.24.2]"

Il pellegrinaggio che ebbe risonanza anche sui giornali italiani oltre che francesi, ebbe una cerimonia ufficiale di apertura che si svolse proprio a Parigi nella cripta della basilica del Sacro Cuore a Montmartre la domenica del 6 novembre.

Il treno partì alle 6,35 dalla Gare del l'Est a Parigi e per delicatezza Mons. Legoux volle assegnare al signor Martin lo scompartimento che portava il nome di san Martin. Ripartiti così da Parigi attraversarono la Svizzera e arrivati in Italia fecero tappa a Milano, Venezia, Padova, Bologna, Loreto, Roma ovviamente che era la meta e poi sulla via del ritorno sostarono anche a Pompei, Napoli, Firenze,Pisa, Genova.

Da Genova via Nizza, Marsiglia e Lione fecero ritorno a Lisieux.

[modifica] Milano: alla conquista del Duomo

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«Milano fu la prima città d'Italia che visitammo. Ne visitammo, senza lasciarci sfuggire nulla, la cattedrale, tutta in marmo bianco, con le sue statue così numerose da costituire una moltitudine quasi infinita. Celine ed io non eravamo mai stanche, sempre le prime subito dopo Monsignor Vescovo, per vedere tutto quanto riguardava le reliquie dei Santi e capire bene le spiegazioni. Per esempio, quando il Vescovo offriva il santo Sacrificio sulla tomba di San Carlo, stavamo con papà dietro all'Altare, la testa appoggiata sulla cassa che racchiude il corpo del santo rivestito dei suoi paramenti pontificali.
Il Duomo di Milano a inizio secolo
Il Duomo di Milano a inizio secolo
Era sempre così... (Ma non quando si trattava di arrampicarsi dove la dignità di un Vescovo non l'avrebbe acconsentito; in questo caso ci staccavamo, senza troppo pensarci, da sua Eccellenza)... Lasciando che le signore paurose si nascondessero il viso fra le mani dopo avere salito sui primi pinnacoli che fanno da corona al duomo, seguivamo i pellegrini più coraggiosi finché giungemmo in cima all'ultimo pinnacolo di marmo, dal quale gustammo la vista sotto di noi della città di Milano i cui numerosi abitanti, sembravano un piccolo formicaio...Discese dal nostro osservatorio, cominciammo le nostre passeggiate in carrozza; dovevano durare un mese e appagarmi per sempre nel mio desiderio di viaggiare senza fatica! Il camposanto ci affascinò ancora più del duomo; tutte le sue statue in marmo bianco, che un geniale scalpello sembrava averle rese vive, sono poste nel vasto cimitero con una specie di disordine che me ne aumentava il fascino...Si sarebbe tentati di consolare gli ideali personaggi fra i quali ci si trova. La loro espressione è così vera, il loro dolore così calmo e rassegnato, che non si può non riconoscere la visione d'immortalità che doveva riempire il cuore degli artisti mentre eseguivano questi capolavori. Qui una bambina getta i fiori sulla tomba dei suoi genitori; il marmo sembra avere perduto la sua pesantezza e i petali delicati sembrano scivolare fra le dita della bambina, come il vento dà già l'impressione di disperderli assieme a quella di far muovere il velo leggero delle vedove e i nastri che ornano i cappelli delle giovinette.»
(Ms A58v)

[modifica] Un battibecco tra Thérèse e un pellegrino francese

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«Pure papà era affascinato; in Svizzera era stato poco bene, ma ora la sua allegria era ritornata e godeva del bello spettacolo che contemplavamo, mentre la sua anima d'artista si manifestava nelle espressioni di fede e di ammirazione che apparivano sul suo bel viso. Un anziano signore (francese) che certamente non aveva l'animo altrettanto poetico, ci guardava di sottecchi dicendo con una certa stizza, pur avendo l'aria di essere dispiaciuto per non potere condividere la nostra ammirazione: «Ah, come si entusiasmano facilmente i francesi!». Credo che questo poveretto avrebbe fatto meglio a restare a casa sua poiché mi parve non essere affatto contento del viaggio; era spesso con noi e sempre dalle sue labbra uscivano espressioni d'insoddisfazione: si lamentava delle carrozze, degli alberghi, delle persone, delle città, insomma di tutto...Papà con la sua magnanimità abituale, cercava di consolarlo, gli offriva il suo posto, ecc...; per lui ogni posto andava bene poiché aveva un carattere diametralmente opposto a quello del suo scomodo compagno...Ah! quanti tipi diversi abbiamo visto, e quale interesse non offre lo studio del mondo quando si è in procinto di lasciarlo!...»
(Ms A59r)

[modifica] A Bologna uno studente manifesta il suo interesse per Thérèse

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«[...]a Bologna [...] vedemmo Santa Caterina che conserva l'impronta del bacio del Bambino Gesù. Potrei dire molti interessanti particolari su ogni città e sulle piccole circostanze del nostro viaggio, ma non finirei più; per questo mi limito alle notizie principali.
Lasciai Bologna con gioia; questa città non la potevo più sopportare a causa degli studenti che la gremiscono e che formavano un codazzo quando avevamo la sventura di uscire a piedi. Soprattutto a causa del piccolo incidente con uno di loro, fui ben contenta di prendere la strada per Loreto.»
(Ms A59v)
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«Scendendo dal treno a Bologna, trovammo un nuvolo di studenti; nella confusione, uno di essi fece presto a sollevare Teresa fra le braccia, senza che noi potessimo impedirlo. Ma ella si raccomandò alla Santa Vergine e lanciò un'occhiata tale all'importuno, che questi ebbe paura e lasciò immediatamente la preda.»
(Deposizione di suor Genoveffa di Santa Teresa, Celine, al 'Processo apostolico di Bayeux', tomo II, f. 470 v.)

[modifica] Roma:alla conquista del Colosseo, un'azione fulminea di due disubbidienti

Fra le più dolci impressioni che ricorda, cita quella che la fece trasalire: la vista del Colosseo.

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«Finalmente potevo vedere questa arena dove tanti martiri avevano versato il loro sangue per Gesù. Stavo già chinandomi per baciare la terra santificata dal loro sangue, ma quale non fu la mia delusione! Il centro non è che un ammasso di ruderi che i pellegrini debbono accontentarsi di guardare perché uno sbarramento ne proibisce l'entrata, inutile d'altra parte perché nessuno prova la tentazione di entrare fra quelle rovine...Ma si poteva venire a Roma senza discendere nel Colosseo?
Il Colosseo: terra santificata dal sangue dei martiri
Il Colosseo: terra santificata dal sangue dei martiri
...La cosa mi sembrava impensabile; non ascoltavo più le spiegazioni della guida tutta occupata com'ero da una sola idea: discendere nell'arena...Vedendo un operaio passare con una scala fui sul punto di chiedergliela; fortunatamente mi seppi trattenere perché mi avrebbe preso per una pazza...L'evangelo ci dice che Maddalena, rimanendo sempre accanto al sepolcro e abbassandosi diverse volte per guardare all'interno, finì per vedere due angeli. Come lei, pur avendo ormai riconosciuta l'impossibilità di vedere i miei desideri realizzati, non cessavo di sporgermi verso le rovine dove desideravo discendere. Finalmente, non vidi degli angeli ma ciò che cercavo; gridai di gioia e dissi a Celine: «Presto, vieni, credo che riusciremo a passare!...» Superammo subito lo sbarramento che in quel punto toccava i ruderi e cominciammo a scalare le rovine che cedevano sotto i nostri passi.
Papà ci guardava attonito per la nostra audacia; ben presto ci disse di ritornare, ma le due fuggitive non ascoltavano più nulla. Come i soldati sentono aumentare il loro coraggio in mezzo al pericolo, così la nostra gioia aumentava in proporzione della fatica che facevamo per raggiungere l'oggetto dei nostri desideri. Celine, più previdente di me, aveva ascoltato la guida e, ricordandosi che aveva indicato un pezzetto di pavimento segnato da una croce come il punto in cui i martiri combattevano, si mise a cercarlo. Lo trovò presto, e tutte e due ci inginocchiammo su questa terra sacra mentre le nostre anime si univano in una stessa preghiera. Il mio cuore batteva da scoppiare quando le mie labbra si avvicinarono alla polvere arrossata dal sangue dei primi cristiani; domandai la grazia di essere anch'io martire per Gesù e sentii nel profondo che la mia preghiera era esaudita!...Tutto questo si svolse in pochissimo tempo; dopo avere raccolto qualche pietra, ritornammo verso i muri in rovina per rifare la nostra rischiosa impresa. Papà, vedendoci così felici, non seppe sgridarci, anzi notai che era fiero del nostro coraggio. Il Buon Dio ci protesse visibilmente, perché i pellegrini non s'accorsero della nostra assenza, tutti presi, più lontano di noi, a guardare senza dubbio le magnifiche arcate sulle quali la guida faceva notare «gli eleganti CORNICHONS e i CUPIDES postivi sopra», cosicché né la guida né «messieurs les abbés» vennero a conoscenza della gioia che riempiva i nostri cuori...»

[modifica] Leone XIII

Ma la vera meta era l'ormai vecchissimo discendente di Pietro la cui udienza era fissata per il 20 novembre.

Il viaggio in Italia da Leone XIII
Il viaggio in Italia da Leone XIII

Arrivati nella città del Vaticano, dunque, Thérèse si trovò subito di fronte ad un primo ostacolo inaspettato: il monsignore che guidava il pellegrinaggio disse che non bisognava parlare al papa.

Thérèse era sgomenta ma approfittò dello sprone della sorella Celine che le consigliava di parlare lo stesso, per farsi coraggio, così chiese direttamente al Papa Leone XIII di entrare nel Carmelo di Lisieux.
Il monsignore che stava accanto al papa, alquanto contrariato, spiegò al pontefice all'oscuro della questione, brevemente di che si trattava. Il papa allora lasciandogli comunque la speranza rimandò tuttavia la decisione al vescovo della sua diocesi. Thérèse ovviamente cercava forse un ordine del papa in suo favore, ordine al quale nessuno avrebbe così osato opporsi ma questo non accadde.
"Monsignore" tuttavia sulla via del ritorno ebbe modo di cambiare opinione su Thérèse e tornati a Lisieux, scaricando ogni responsabilità futura sulle carmelitane di Lisieux che spalleggiarono sin dall'inizio la vocazione di Thérèse, diede il permesso, così che a poco più di quindici anni Teresa il 9 aprile 1888 fece il suo ingresso al carmelo dove assumerà il nome di "Teresa del Bambin Gesù" e in seguito vi aggiungerà "del Volto Santo" così che il nome completo di Thèrèse da religiosa è "Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo".

[modifica] Sulla via del ritorno: Napoli e Pompei

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«L'indomani del memorabile giorno, dovemmo partire di primo mattino per Napoli e Pompei. Il Vesuvio in nostro onore, rumoreggiò tutta la giornata, emettendo, assieme ai suoi colpi di cannone, una spessa colonna di fumo. Terribili sono le tracce che ha lasciato sulle rovine di Pompei. Esse manifestano la potenza di Dio: «Che guarda la terra e la fa tremare, che tocca le montagne e le riduce in fumo...».
Avrei desiderato passeggiare da sola fra le rovine, riflettere sulla fragilità delle cose umane, ma il numero dei turisti riduceva grandemente il fascino malinconico della città distrutta... A Napoli fu tutto il contrario; le numerosissime carrozze a due cavalli resero magnifica la nostra passeggiata al monastero di San Martino, posto su un'alta collina dominante tutta la città; peccato che i nostri cavalli mordessero continuamente il freno dandomi l'impressione che fosse giunta la mia ultima ora! Il cocchiere aveva un bel ripetere continuamente la magica parola dei vetturini italiani: «Appippò, Appippò...», ma i cavalli volevano ad ogni costo rovesciare la carrozza; finalmente col soccorso dei nostri angeli custodi, arrivammo al nostro magnifico albergo. Per tutto il nostro viaggio alloggiammo in alberghi principeschi; non ero mai stata circondata da tanto lusso, ma bisogna proprio ammettere che la ricchezza non dà la felicità se sarei stata più felice sotto un tetto di paglia con la speranza del Carmelo che fra rivestimenti dorati, scale di bianco marmo, tappeti di seta, e con l'amarezza nel cuore... Oh, sì, ne fui convinta: la gioia non la si trova negli oggetti che ci circondano ma nel più profondo dell'anima. La si può possedere tanto in una prigione che in un palazzo, prova ne sia che mi sento più felice al Carmeli, anche tra prove interiori e esteriori, che nel mondo, circondata dalle comodità della vita, soprattutto dalle dolcezze della casa paterna!»
(Ms A65r)

[modifica] A Firenze l'incontro col futuro scrittore Giovanni Papini

Lo scrittore fiorentino Giovanni Papini, che allora era un bambino, racconta che mentre era per via fu fermato da un terzetto formato da un signore con due ragazze, una delle quali in particolare lo impressionò, la ricorda come "dal volto pienotto, tondeggiante, illuminato da occhi dolci, ardenti, profondi". Poiché questi gli chiesero di indirizzarli verso la chiesa fiorentina di Santa Maria Maddalena dei Pazzi questi gli fece da guida.

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«Fui felice di contemplare a Firenze, Santa Maddalena de' Pazzi in mezzo al coro delle carmelitane che ci aprirono la grande grata. Non sapendo che potevamo godere di questo privilegio e desiderando molti di far toccare il loro rosario alla tomba della santa, solo io potei far passare la mano nella grata che ci separava da essa, cosicché tutti mi passarono i loro rosari ed io mi sentii molto fiera del mio incarico...»
(Ms A66r)

[modifica] Genova

Alle 16.16 di domenica 27 novembre "La Superba" accoglie la sconosciuta turista Thérèse Martin che, proveniente da Pisa, discende alla Stazione Principe.

All'uscita dalla Stazione Principe il monumento a Cristoforo Colombo. Sullo sfondo dell'immagine scattata anni prima della visita di Thérèse Martin a Genova si intravvede quella che adesso è chiamata "Salita Santa Teresa di Gesù Bambino
All'uscita dalla Stazione Principe il monumento a Cristoforo Colombo. Sullo sfondo dell'immagine scattata anni prima della visita di Thérèse Martin a Genova si intravvede quella che adesso è chiamata "Salita Santa Teresa di Gesù Bambino

Sul quotidiano cattolico della città "Il cittadino" apparve un articolo dell'evento:

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«Sono oggi attesi in Genova i duchi di Montpensier i quali si recano a visitare la nostra città. Scenderanno all'albergo Isotta. Trovansi pure a Genova , dove arrivarono ieri, duecento pellegrini francesi tra cui numerosi sacerdoti. Ieri visitarono i principali monumenti, la cattedrale, il deposito di Santa Caterina, e le principali chiese.[] Dopo tre settimane di pioggia, di fango, di ventaccio noioso e insoffribile, una giornata limpidamente serena, un sole primaverile, costituiscono addirittura una tale festività, che tutte quelle segnate nel calendario impallidiscono al confronto. Tutta Genova ieri era per via, a godere dell'insperato beneficio della natura che volle così ricompensarci di tanti giorni di broncio e di afflizione metorologica.»

Anche il futuro dottore della chiesa pernottò in quello che allora era considerato uno dei più prestigiosi alberghi della città, il Grand Hotel Isotta al civico n°7 di via Roma. Ancor oggi, una gigantografia presente nell'atrio, ricorda la presenza in questo stabile, nell'ottocento di questo famoso Grand Hotel.
Più o meno in quegli stessi anni e sempre in autunno-inverno, soggiornava spesso a Genova a due passi da via Roma, in zona Portello, un professore universitario ritiratosi anticipatamente in pensione. Si trattava del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Questo spirito critico viene considerato a ragione insieme a Freud e a Marx un esponente della cosiddetta "scuola del sospetto".
Cento anni dopo, i nomi del profeta del "Crepuscolo degli idoli" e quello della mistica, tentata per lunghi anni e a più riprese dall'ateismo, appariranno insieme in più di un libro dedicato allo studio e all'analisi delle affinità e diversità presenti nel loro percorso di vita e di pensiero.
Il breve soggiorno genovese di Teresa è ricostruibile anche grazie al fatto che uno dei membri del pellegrinaggio tenne un diario particolareggiato del viaggio: si trattava del vicario della chiesa di Saint Etienne di Caen, monsignor Huet.

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«Le due grandi curiosità di Genova sono il Campo Santo e la circonvallazione a monte...La cattedrale non ha nulla di ragguardevole come del resto le altre chiese. Ci sono molti bei palazzi. Via Roma, Galleria Mazzini, piazza Vittorio Emanuele sono interessanti, ma è con soddisfazione ancora più grande che dall'alto dei viali che dominano la città, noi contempliamo il centro storico e i numerosi vascelli ancorati nel porto.»

Ancora oggi sono conservate al carmelo di Lisieux due spille che Louis Martin comprò probabilmente nella bottega orafa di Egisto Sivelli al civico n°10 sempre di via Roma e che donò alle figlie.
«C'etait un papillon», così è scritto in alcuni appunti di viaggio tenuti dalla sorella Celine. In effetti si trattava di due farfalle in filigrana d'argento.
Il 28 novembre alle 14,30 ripartirono alla volta di Nizza.

[modifica] La Riviera di Ponente

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«Dopo aver visitato anche Pisa e Genova, tornammo in Francia. Durante il percorso, vedute magnifiche: ecco corriamo lungo il mare e la ferrovia è tanto vicina che mi pare che le onde arrivino fino a noi, ora ecco delle aperte distese di aranceti dai frutti maturi, di verdi olivi dalla ramaglia lieve, di palme graziose..., al cader del giorno vedevamo numerosi piccoli porti di mare che s'illuminavano di mille luci, mentre in cielo scintillavano le prime stelle. Ah, che poesia mi empiva l'anima mentre vedevo tutte quelle cose per la prima e l'ultima volta! Senza rimpianto le vedevo svanire, il cuore mio aspirava a meraviglie diverse, aveva contemplato abbastanza le meraviglie della terra, ora desideravo quelle del Cielo, e io, per darle alle anime, volevo diventare prigioniera!»
(Ms A)

[modifica] La vita in monastero (aprile 1888 - 1896)

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«Le bon Dieu m'a fait la grâce de ne pas craindre la guerre, à tout prix il faut que je fasse mon devoir.»
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«Dio mi ha fatto la grazia di non temere la guerra, ad ogni costo bisogna che io faccia il mio dovere.»
(Thérèse Martin, Manoscritto autobiografico C,23v)

Sommario: Infine Thérèse riuscì ad ottenere il permesso di diventare carmelitana malgrado la sua giovane età, e nell'aprile 1888 entrò in monastero; Thérèse scrisse a proposito del suo desiderio di un monastero con lei sola come unico abitante. Qui dovette esercitarsi alla convivenza talvolta difficile con le altre monache. In una realtà ancora permeata dalle stagioni di spiritualità giansenista ebbe, tuttavia, modo di conoscere la fondatrice del carmelo di Lisieux, Madre Genoveffa, al secolo Claire Bertrand. Questa anziana monaca che raccontò a Teresa come da bambina veniva presa in giro dalle altre bambine che la dicevano «innamorata del prete», fu un vero conforto, modello di vita monastica e riferimento teologico per Teresa. È lei, infatti, che l'esortò a coltivare il valore della «pace» a cui Teresa già aspirava per sua indole. E attorno a questo tema Teresa ricamò il suo pensiero teologico. «Serva Dio con pace e con gioia, si ricordi, figlia mia, che il nostro Dio è il Dio della pace.» (Ms A f.78r) Così le disse colei che per Teresa rappresentò, come scrisse, il suo «modello di santità» che tanto cercava, un modello più confacente alla sua natura.

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«Non sono venuta al carmelo per poter vivere con le mie sorelle, ma unicamente per rispondere alla chiamata di Gesù.»

A partire da questo momento Thérèse esce definitivamente dopo 15 anni dalla comunità familiare ed entra per sempre in una nuova comunità: La Comunità delle Carmelitane Scalze della "Réforme de Sainte Thérèse en France, du Monastère du Sacré-Coeur et de l'Immaculée-Conception de Lisieux", anche se proprio in questa nuova comunità ritroverà anche la vecchia comunità familiare. Qui, tuttavia, per obbedienza alla regola deve innanzitutto rinunciare al tu familiare e dare del "voi" alle stesse sue sorelle di sangue.

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«Finalmente i miei desideri erano compiuti, l'anima mia provava una pace così dolce e profonda che mi sarebbe impossibile esprimerla, e da sette anni e mezzo questa pace mi è rimasta in mezzo alle prove più serie.»
(Ms A68v)

A Lisieux passerà nove anni che si riveleranno di grande ricchezza spirituale. Quando Thérèse entrò al Carmelo vi si trovavano 26 suore e l'età media era di 47 anni. Il carmelo di Lisieux, che si trovava in via Livarot, era stato fondato di recente, nel 1838, ed una delle due fondatrici era ancora vivente proprio nello stesso carmelo, si trattava di madre Genoveffa di Santa Teresa al secolo Claire Bertrand (1805-1891) nata a Poitiers. Thérèse ebbe così modo di conoscerla e si fece un'altissima opinione su di lei e la considerava una santa tanto che, quando poi morì e come Thérèse stessa si esprime: "non se ne seppe più nulla", in qualche maniera questo contribuì ad alimentare in un certo qual modo i suoi "cattivi pensieri" sull'esserci del nulla dopo la morte.

Le giornate di Thérèse in monastero

  • 4,45 - sveglia - (d'inverno alle 5,45)
  • 5,00 - Preghiera
  • 6,00 - Petites heures de l'office (prime, tierce, sexte, none)
  • 7,00 - Messa et action de graces (domenica alle 8h)
  • 8,00 - colazione
  • - lavoro
  • 9,50 - Esame di coscienza
  • 10,00 - Pranzo
  • 11,00 - Ricreazione
  • 12,00 - Silenzio
  • 13,00 - Lavoro
  • 14,00 - Vespri
  • 14,30 - Letture spirituali
  • 15,00 - Lavoro
  • 17,00 - Preghiera
  • 18,00 - Cena
  • 18,45 - Ricreazione
  • 19,45 - Compieta
  • 20,00 - Silenzio
  • 22,30 / 23,00 - Dormire

Era lasciata a ciascuna carmelitana la facoltà di dedicare alla preghiera l'ora di siesta di mezzogiorno e l'ora di tempo libero la sera.

[modifica] Un direttore spirituale e il direttore dei direttori

Entrata al carmelo, il padre gesuita Almire Pichon (nato nei dintorni di Alencon nel 1843 e morto a Parigi nel 1919) diviene il suo direttore spirituale anche se per poco tempo in quanto parte presto per il Canada e Thérèse rimarrà in rapporto con il suo direttore solo per lettera. Purtroppo, non è rimasto niente di questo epistolario, tra l'altro, non molto intenso. Il gesuita le scriveva solo una volta l'anno e le lettere di Thérèse le ha distrutte tutte. Tuttavia, questo direttore spirituale di Thérèse è molto significativo nella vicenda di Thèrèse perché fu proprio lui che, benché, come dice Thèrèse lamentandosene: "Mi trattava troppo come una bambina", lungimirante o forse guidato da una mano invisibile, le disse di fare di Gesù stesso, che è "il direttore dei direttori", il suo direttore spirituale: "figlia mia, che Nostro signore sia sempre il suo Superiore e il suo maestro di noviziato". Thèrèse, anziché sentirsi delusa, fu entusiasta di questo suggerimento e lo applicò alla lettera: "Lo fu, infatti, ed anche 'il mio Direttore'." Tuttavia, Teresa a questo punto ci tiene a precisare:

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«Non voglio dire, con ciò, che l'anima mia fosse chiusa alle mie superiore, ah! ben lungi da ciò, ho sempre cercato che fosse per loro un libro aperto; ma nostra Madre, spesso ammalata, aveva poco tempo per occuparsi di me.»
(Manoscritto autobiografico A)

In seguito, il gesuita fu anche testimone nel processo di beatificazione della santa e fu un ardente suo discepolo.

[modifica] In difesa della priora madre Gonzaga

La priora del carmelo ai tempi in cui vi ha vissuto questa suorina apparentemente insignificante, ora divenuta dottore, era madre Maria di Gonzaga che è stata, in tutti questi anni, accusata e difesa a più riprese. In effetti gli accusatori di questa superiora hanno ragioni da vendere tantè che alcuni si son dovuti arrampicare sugli specchi per trovare qualche buon motivo in suo favore. E, certamente, il fatto che elargiva a sua discrezione il permesso di poter fare la comunione alla giovane novizia che riusciva a catturare topi per il suo amato gatto non depone certamente a suo favore. Alcuni addirittura l'hanno tacitamente accusata della morte di Thérèse in quanto avrebbe potuto essere stata curata meglio e tempestivamente. La stessa Pauline Martin e le altre monache del cosiddetto "clan Martin" non hanno lesinato critiche e accuse nei suoi confronti dopo la dipartita dell'"enfant cherie du monde". Tuttavia, è stato tramandato un aneddoto che sembra riaprire la discussione su questa figura di monaca, in quanto, malgrado il suo autoritarismo e la capricciosità isterica (quando era giovane monaca aveva inscenato una grave crisi di gelosia verso un'altra monaca minacciando, addirittura, il suicidio), la mostra comunque donna di un certo buon senso che, evidentemente, faceva difetto, invece, ad abati di grande studi. Intendiamo con ciò riferirci all'abate Youf, cappellano del carmelo di Lisieux sin dal 1870.
Solo nella lettera del 1 settembre 1890 indirizzata alla sorella Pauline Teresa lo cita di sfuggita:
Domani vado a trovare don Youf. Mi ha detto di fargli un piccolo resoconto solamente da quando mi trovo al Carmelo. Preghi tanto perché Gesù mi lasci la pace che mi ha dato."
Il termine "pace" è quì evidenziato da Teresa, quella stessa pace a cui la fondatrice del Carmelo la esorterà a stabilirsi come conquista.
Ma ritorniamo alla vicenda, ecco quanto riporta Guy Gaucher in "Teresa Martin" avvertendo, comunque, il lettore, per una più chiara intelligilità della vicenda, di tenere presente quel movimento della cultura religiosa rappresentato dal giansenismo, le cui conseguenze avevano devastato la Francia ben più di ogni altro paese europeo: "...I tempi di ritiro continuano a essere per Teresa fonti d'inquietudine. I predicatori dell'epoca non si astengono dal terrorizzare le anime scrupolose insistendo sul peccato, le sofferenze del purgatorio e perfino dell'inferno (...). Teresa sperimenta, in quel momento, grandi prove di spirito, tanto da domandarsi perfino se c'è un Paradiso. Come raggiungere la santità, se il peccato incombe talmente da ogni parte? Il cappellano stesso, l'abate Youf, è uno scrupoloso. Un giorno suor Teresa di Sant'Agostino, religiosa austera e di vita regolarissima esce in lacrime dal confessionale e va a picchiare alla porta della priora.
"Madre mia -le dice - il confessore mi ha detto che ho già un piede nell'inferno e che, se continuo così, vi metterò ben presto anche l'altro".
"Stia tranquilla, io li ho già tutti e due" le risponde madre Maria Gonzaga.
Suor Teresa comincerà il ritiro nel 1891 nel turbamento. Durante tutto il tempo di questi esercizi, dirà suor Agnese di Gesù, " io la vedevo pallida e disfatta, non poteva più mangiare nè dormire, e sarebbe caduta ammalata se questi fossero durati a lungo ".
Non c'è che dire: almeno per quanto attiene a questo episodio, Maria di Gonzaga ne esce fuori a testa alta tanto da meritarsi la comprensione dei cultori di questa vicenda.

[modifica] Annunci della notte della fede (1890 e 1891)

La notte della fede, così come si manifestò chiaramente a partire dall'aprile 1896, non fu un fenomeno improvviso ma si era già annunciato precedentemente nel corso della breve vita di Thérèse.
Abbiamo già una prima avvisaglia di quella che sarà l'ultima prova della fede nel 1890.
Questo primo annuncio è documentato nelle lettere di Thérèse dei primi di settembre 1890.
In particolare, nella lettera alla sorella Pauline (Agnese di Gesù) del 1 settembre 1890 scrive:

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«[...] non capisco il ritiro che faccio, non penso a nulla, in una parola sono in un sotterraneo pieno d'oscurità!... Oh! domandi a Gesù, lei che è la mia luce, di non permettere che le anime siano private, per causa mia, della luce di cui hanno bisogno, ma che le mie tenebre servano a rischiararle. Gli chieda pure che faccia un buon ritiro e che egli sia contento di me quanto lo può essere. Allora anch'io sarò contenta e accetterò, se questa è la sua volontà, di camminare tutta la mia vita per la via oscura che sto percorrendo, pur di arrivare un giorno al termine della montagna dell'amore. Ma credo che questo non avverrà mai quaggiù.»

Questo ritiro avrebbe dovuto preludere alla pronuncia dei tre voti di obbedienza, castità e povertà dell'8 settembre ed alla professione religiosa del 24 dello stesso mese.
Quel giorno, il 24 settembre era presente anche la cugina e compagna d'infanzia Maria Guerin che proprio in quell'occasione decise che sarebbe diventata carmelitana.
Dopo questo primo annuncio, le tentazioni contro la fede, dopo un periodo di tregua, riprendono, infatti, in un secondo annuncio del calvario finale durante il ritiro spirituale avuto luogo dall'8 al 15 ottobre 1891 e predicato da padre Alexis Prou (1844-1914). Thérèse così scrive a proposito di quest'altro evento:

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«J'avai alors de grande épreuves intérieures de toutes sorte (jusqu'à me demander parfois s'il y avait un Ciel).»
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«In quel tempo avevo delle grandi prove interiori, fino a domandarmi talvolta se esistesse un Cielo.»
(Manoscritto autobiografico A -F.80 v°)

[modifica] Un ritratto di Thérèse al carmelo

Madre Maria di Gonzaga così descriveva Thérèse in una lettera inviata al monastero di Tours il 9 settembre 1890:

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«Questo angelo di fanciulla ha diciassette anni e mezzo, ma la ragione di trent'anni, la perfezione religiosa d'una vecchia novizia consumata ed il dominio di sé stessa: è una perfetta religiosa.»
(Correspondance Générale)

[modifica] La morte della fondatrice del carmelo di Lisieux

Il 5 dicembre 1891 muore colei che nel 1838 era stata la fondatrice di questo nuovo carmelo francese, quello di Lisieux. Da quello che Thérèse scrive su Madre Genoveffa di Santa Teresa se ne desume che era la persona che più stimava degli abitanti del suo monastero.

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«...Madre Genoveffa ha lasciato nel mio cuore un ricordo penetrante... Il giorno della sua partenza per il Cielo mi sentii particolarmente colpita; era la prima volta che assistevo a una morte, uno spettacolo veramente straordinario... Mi trovavo proprio ai piedi della santa morente e coglievo chiaramente i suoi più impercettibili movimenti. Pensavo che, durante le due ore passate così, la mia anima si dovesse riempire di fervore; invece una specie di insensibilità si era impadronita di me. Tuttavia, nel momento stesso della nascita al Cielo della nostra Santa Madre Genoveffa, la mia disposizione interiore cambiò e mi sentii ripiena d'una gioia e d'un fervore indicibili; era come se Madre Genoveffa m'avesse comunicato una parte della felicità che era già sua: sono sicura, infatti, che ella andò dritta in Cielo...»
(Ms A78v)

[modifica] Lotta di classe al carmelo

La lotta di classe nel XIX secolo, che ancor oggi lo si ricorda come il secolo di Marx e non solo il XIX secolo, non risparmiava il carmelo. Infatti, l'estrazione sociale della maggior parte delle altre monache presenti al carmelo, a parte la priora in carica che era di estrazione aristocratica, erano tutte figlie di contadini poveri, altrimenti di piccoli borghesi mentre il clan Martin composto da Thérèse e le sue sorelle a cui si aggiungerà la cugina Guerin, venivano considerate figlie di ricchi.
Quale sintomo di quanto era nell'aria del tempo si racconta che mentre Teresa disponeva fasci di fiori attorno al feretro della madre fondatrice, viene aggredita verbalmente da una carmelitana evidentemente travolta da una sorta di invidia di classe:

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«Si vede che quei gran mazzi di fiori sono stati donati dalla vostra famiglia; nasconderanno certo quelli dei poveri.»

Ma la nostra che, come è stato appurato, in quanto a spirito rivoluzionario ne aveva anche da vendere, ovviamente non le risponde e si rifugia come d'abitudine nel silenzio dove si celava il suo amico. (Fonte: "Una vita d'amore" di Jean Chalon)

[modifica] Il sogno del cuore in eredità

Dopo poco tempo la morte di madre Genoveffa, Teresa fa un sogno che così racconta:

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«Io non do importanza ai miei sogni, del resto ne ho raramente di simbolici, e mi domando perfino come mai, pensando tutto il giorno al Signore, io non me ne occupi di più durante il sonno. Generalmente sogno i boschi, i fiori, il mare, e quasi sempre vedo dei bambini belli, acchiappo farfalle ed uccellini come non ne ho visti mai. Lei vede, Madre, che se i miei sogni hanno una apparenza poetica, sono lungi dall'essere mistici... Una notte dopo la morte di Madre Genoveffa, ne feci uno consolante: sognai ch'ella faceva testamento, dando a ciascuna consorella una cosa che le era appartenuta; quando venne il mio turno, credevo di non ricevere niente perché niente le restava più, ma sollevandosi ella disse per tre volte con un tono penetrante: 'A lei lascio il mio cuore'»
(Msc A)

[modifica] Un'epidemia al carmelo

Venti giorni dopo la morte della fondatrice del carmelo di Lisieux, il 28 dicembre 1891, esplode un'epidemia di influenza che sconvolgerà il carmelo. Questa epidemia l'anno precedente aveva già fatto 70 mila vittime in Francia. Alcune tra le più anziane delle monache muoiono, le altre sono immobilizzate a letto. Thérèse ed altre due carmelitane sono le uniche risparmiate dal flagello.

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«La morte faceva sentire il suo dominio dappertutto; le più gravi erano curate da quelle che stavano a mala pena in piedi; non appena una sorella esalava l'ultimo respiro, eravamo costrette a lasciarla sola.»
(Ms A79r)

[modifica] Elezioni al carmelo: Pauline Martin nuova priora

Nel febbraio del 1893 al carmelo di Lisieux ci sono le nuove elezioni che avrebbero dovuto designare una nuova priora in quanto benché il mandato di priora a madre Maria di Gonzaga era già scaduto da un anno, le nuove elezioni erano state procrastinate per via dell'epidemia di influenza. Secondo la Costituzione non si potevano ammettere al Capitolo più di due monache della medesima famiglia. Maria e Pauline vi figuravano già per cui Teresa non entrerà mai al Capitolo e non avrà mai il diritto di votare.
Non senza difficoltà risulta eletta nuova priora, con mandato fino al marzo 1896, quella che fu ai Buissonnet la seconda mamma di Thérèse, Pauline ora madre Agnese di Gesù. Agnese di Gesù, quale nuova priora, nomina la priora uscente, maestra delle novizie, tuttavia, consiglia a Maria di Gonzaga di farsi aiutare nello svolgimento di questo incarico da Thérèse quale vice-maestra. Madre Maria di Gonzaga accetta il consiglio sicché questo incarico per lei sarà una investitura solo formale perché di fatto la nuova maestra delle novizie sarà Thèrèse e tale rimarrà sino alla morte.
In MsA f.80 v° Thérèse dice che poté veramente vivere non più nella "via del timore" proprio con l'elezione di Pauline a priora.

[modifica] Tutta la famiglia Martin al carmelo di Lisieux

Il 1894 è l'anno della morte di papà Martin che nei precedenti anni era stato colpito da arteriosclerosi cerebrale che gli aveva procurato stati di agitazione e gravi turbe psichiche. Come disse Teresa fu un calvario per tutta la famiglia. Nel "mondo" era rimasta Celine che tra l'altro si pensava, unica tra le sorelle, che si sarebbe maritata. Ma quando Louis morì anche Celine, che insieme ai signori Guerin gli prestava le ultime cure, entrò al Carmelo portandosi una delle nuove conquiste della nuova era tecnologica, la macchina fotografica, ed è a lei, che si deve, se sono rimaste fotografie di Thérèse. Con l'arrivo dell'Intrepida (soprannome dato da papà Martin a Celine mentre Thérèse era soprannominata l'orfanella della Beresina) tutta la famiglia Martin escludendo solo Leonie era al completo nello stesso carmelo di Lisieux. Celine, ormai venticinquenne, delle sorelle Martin è quella che ha trascorso più tempo nel mondo, ha rifiutato molte domande di matrimonio e della vita spensierata e frivola al castello di proprietà dei Guerin scrive a Thérèse:

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«...passiamo le giornate a sbellicarci dalle risa, mentre io sono assetata di solitudine.»
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«Teresa mia!...Oh! ne ho fatte di meditazioni su di te, sul nostro affetto reciproco...mi sembra che...tu mi sia troppo indispensabile, perciò intuisci il resto!»

Ma Celine entrando al carmelo non porta solo la macchina fotografica ma anche un grosso quaderno sul quale ha copiato numerosi passaggi del "Vecchio Testamento" che Teresa non conosceva perché erano proibiti al carmelo ed è proprio a questo quaderno che Teresa si interessa di più.

[modifica] L'allieva prediletta
Giovanna D'Arco alias Thérèse Martin
Giovanna D'Arco alias Thérèse Martin

Tra le novizie che, con il nuovo incarico, appresero dalla giovane maestra, una le era stata affidata in particolare, suor Maria della Trinità e del Santo Volto, al secolo Marie Louise Josèphine Castel (1874 - 1944).
Carmelitana a Parigi dal 1891 al 1893, entra nel Carmelo di Lisieux il 16 giugno 1894. Novizia prediletta dell'ormai dottore della chiesa Teresa di Lisieux, in seguito curò la pubblicazione della giovane maestra insieme alle sorelle Martin.
Il suo noviziato fu molto travagliato e Celine riporta questa frase di Teresa quando la sua allieva finalmente pronunciò i voti:

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«Mi sembra di essere Giovanna d'Arco che assiste alla consacrazione di Carlo VII.»

Maria della Trinità prima di entrare al Carmelo era stata testimone di alcuni fenomeni di "magnetismo". Ne mise al corrente Teresa la quale, il giorno seguente si racconta che le abbia detto:

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«Vorrei farmi magnetizzare da Gesù! Sì, voglio ch'egli s'impossessi delle mie facoltà in tal modo ch'io non compia più se non azioni divine e dirette dallo Spirito dell'amore.»

A testimonianza della loro amicizia ci sono rimaste le nove lettere che Teresa le scrisse tra l'aprile del 1896 e il 12 agosto 1897 più il "Cahier Rouge" dove Maria della Trinità scrisse i suoi ricordi di Teresa.

[modifica] Teresa al rogo
Teresa nel ruolo di Giovanna D'Arco
Teresa nel ruolo di Giovanna D'Arco

Per il 21 gennaio 1895 Teresa come autrice, scenografa e attrice di teatro è occupata a preparare un lavoro su Giovanna d'Arco. In questa rappresentazione teatrale l'autrice mette in scena una ventina di personaggi. Lo spettacolo è necessitato di prove su prove, confezione di costumi, preparazione della scenografia. Accade però che durante le prove, che si svolgono in maniera alquanto realistica, Teresa rischia di fare la fine della sua eroina, ma fortunatamente le fiamme vengono ben presto domate.

[modifica] Viver d'amore - Morir d'amore

Il 26 febbraio 1895 compone la poesia "Viver d'amore" che secondo la sorella Celine, rimane la regina delle sue composizioni poetiche. In essa Teresa, ancora una volta e meglio, canta le ragioni dell'amore, quelle ragioni di cui, lei, è consapevole che agli occhi del mondo appaiono una follia.
È un viver d'amore conseguente, radicale, estremista, il cui significato è, quindi, inevitabilmente anche "morir d'amore". Questo "morir d'amore" per Teresa rappresenta la consapevolezza che non è possibile trovare facili compromessi tra le ragioni dell'amore e le ragioni del mondo, per cui viver d'amore è anche un uscire dal mondo, vissuto, come è tradizione delle correnti apocalittiche della cristianità, come un esilio da quella che sarebbe, in questa concezione, la vera patria.
Questa poesia, recentemente è stata musicata dal compositore Frei Hermano Da Camara all'interno della sua "Missa Portuguesa".

[modifica] La crisi della maturità o la seconda conversione: la notte della fede (1896-1897)

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«Il faut avoir voyagé sous ce sombre tunnel pour en comprendre l'obscurité»
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«Bisogna avere viaggiato sotto questo buio tunnel per comprenderne l'oscurità»
(Thérèse Martin, Manoscritto autobiografico C,5v)

Sommario: È quindi a partire da quell'evento del natale 1886 che si fece chiara in Thérèse la sua vocazione di carmelitana che non fu scalfita né dai dubbi sulla sua vocazione, avuti proprio alla vigilia della sua professione, né da quelli sulla sua stessa fede in Dio manifestatisi simultaneamente a quella tubercolosi che la condusse alla morte. Questi dubbi, come traspare da quel poco che ne ha scritto, sono da relazionarsi anche al clima di positivismo e scientismo di fine secolo che permeavano anche le mura di un monastero. È invece proprio in questa situazione di dubbio che Thérèse trovò forza per la sua vocazione. Questa vocazione più profonda è il suo essersi "sentita chiamata dall'amore" che l'indusse alla ricerca della "scienza d'amore" come ribadisce lei stessa nel citare la sua amica Margherita Maria Alacoque in quel «poema di settembre» che è il manoscritto B.
A questo punto del suo percorso evolutivo avvenne un fatto inaspettato, ma decisivo: l'ordine di scrivere la sua autobiografia impartitole dalla superiora del monastero (carica ricoperta, in quel periodo, dalla sorella maggiore della santa, entrata nello stesso Carmelo di Lieisux, anni addietro) nel 1895. Ha così modo di mettere in scritto la sua ricerca spirituale dell'amore e di farsi conoscere.
Morì due anni più tardi e gli scritti autobiografici, dal titolo di Storia di un'anima, indurranno alla riflessione i suoi devoti.


[modifica] Passione e morte di Thérèse Martin

Quello che segue è il racconto documentato degli ultimi 18 mesi di vita della mistica al carmelo di Lisieux. È il periodo che per consuetudine di tutti gli studiosi e conoscitori della vita della carmelitana di Lisieux, viene denominato "notte della fede" e che rapportato alla vita del suo maestro, costituisce il "calvario" di Thérèse, che è calvario in due sensi: nello spirito, per via della prova della fede e nel corpo, per via della tubercolosi, che a quei tempi era molto difficile curare e guarire. In quel periodo in Francia morivano di questa malattia, circa 150 mila persone all'anno. In quegli stessi anni il microbiologo tedesco Koch stava lavorando proprio allo studio e alla cura di questa malattia. Infine riuscì nel suo intento ma solo molti anni dopo.
Questi diciotto mesi sono i mesi della vera e propria passione di Thérèse che nella sua carne e sangue, con eroismo e combattività realizza l'imitazione di Cristo, anzi una vera e propria identificazione in Gesù di Nazareth, infatti non è un caso che nel "manoscritto C", scritto proprio nell'avvicinarsi della "sera", fa proprie le parole di commiato del Maestro riportate da Giovanni nel capitolo 17 del suo vangelo.

[modifica] La vera missione di Thérèse: "Amare l'amore e far amare l'Amore"

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«Amare, essere amata e ritornare sulla Terra per far amare l'Amore»
("Consigli e ricordi - 18 luglio 1897" di Celine Martin)

Il suo desiderio di recarsi in missione in Indocina non si realizzò mai a causa della sua malattia, la tubercolosi, che cominciò a manifestarsi dall'aprile del 1896, nel giorno di pasqua. Il progredire inarrestabile della malattia, tuttavia, non le impedì di prendersi cura dei missionari in partenza per il sud-est asiatico e pregare per loro.
A questo scopo, madre Maria di Gonzaga che allora era la superiora del carmelo di Lisieux, affidò quali fratelli spirituali, secondo una consuetudine del tempo, i missionari Maurice Belliere e Adolphe Roulland, missionari rispettivamente in Africa ed in Cina, affinché essa sostenesse per mezzo della preghiera il loro lavoro apostolico. Thérèse che aveva sempre desiderato avere un fratello prete scrisse:

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«Quel che gli chiediamo è di lavorare per la sua gloria, di amarlo e di farlo amare"»
(Lettera 220, in Opere complete)

In una lettera a padre Belliere paragona la loro unione a quella di Margherita Maria Alacoque e Claude La Colombière.
Maurice Bartolomeo Belliere era un seminarista della diocesi di Bayeux. Il 29 settembre 1897, vigilia della morte di Teresa, s'imbarcò per Algeri dove doveva entrare al noviziato dei Padri Bianchi. Dopo alcuni anni di missione in Africa, colpito dalla malattia del sonno, tornò in Francia e morì il 14 luglio 1907, all'età di trentatre anni.
Adolphe Roulland era un seminarista della Società delle Missioni Estere di Parigi. Ordinato sacerdote il 28 giugno 1896 si imbarcò per la Cina il 2 agosto dello stesso anno. Nel 1909 ritornò in Francia dove ebbe diversi incarichi. Morì il 12 giugno 1934.
Dei due "fratelli spirituali" Thérèse ha conosciuto di persona solo Adolphe Roulland che, divenuto sacerdote, andò a celebrare una delle sue prime messe proprio al carmelo di Lisieux.
Dello scambio epistolare di Thérèse e i missionari sono rimaste 36 lettere, di cui 11 di Thérèse a Belliere, 11 di Belliere a Thérèse, 8 di Roulland a Thérèse e 6 di Thérèse a Roulland.

[modifica] Il sogno dei cittadini del Cielo e la riconquista della fede

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«... credevo, sentivo che c'era un Cielo e che questo Cielo è popolato di anime che mi vogliono bene[...] il mio cuore si è sciolto d'amore e di riconoscenza, non solo per la Santa che mi aveva visitato ma anche per i Beati cittadini del Cielo...»
(Teresa di Lisieux - Manoscritto B)

Tuttavia anche se le prove e le sofferenze in questi ultimi due anni non gli mancarono, già un mese dopo la manifestazione della malattia che la condurrà alla morte, non gli mancò il sostegno e il conforto di quelli che lei chiamava, suoi amici e "cittadini del Cielo".
Infatti il 10 maggio di quello stesso 1896, gli apparve, non in visione ma in sogno, nel suo vissuto quale una messaggera dell'aldilà, colei che in terra era considerata il braccio destro di Teresa d'Avila insieme a Giovanni della Croce: Anna di Gesù, al secolo Anna De Lobera, colei che realizzò, nel 1604, la riforma del carmelo in Francia. Questa le apparve insieme a due monache sconosciute e le confermò la stima e l'amore dei suoi amici dell'aldilà.
Il peso della vita materiale per Thérèse continuò ovviamente, anzi aumentò sino all'esito che conosciamo, ma certamente questo incontro, sia pure sul piano del sogno, deve averle dato quella forza di lucidità, per lo meno da non farla soccombere definitivamente, schiacciata dalle forze della materia ma soprattutto schiacciata dalle voci di questa forza che, se vincente, l'avrebbe condotta alla disperazione.
Questo è il racconto dalla viva voce di Teresa di quello che fu come un raggio di quella luce che comunque risplende e risplenderà per sempre nelle tenebre, fino alla vittoria finale.

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«Gesù, il temporale si abbatteva molto forte sulla mia anima dopo la bella festa del tuo trionfo, la radiosa festa di Pasqua, quando un sabato di maggio, riflettendo sui sogni misteriosi che sono talvolta accordati a certe anime, mi dicevo che doveva essere una ben dolce consolazione tuttavia non la chiedevo. La sera, contemplando le nubi che coprivano il cielo, la mia piccola anima si diceva ancora che i bei sogni non erano per lei e si addormentò sotto il temporale... L'indomani era il 10 maggio, la seconda domenica del mese di Maria, forse l'anniversario del giorno in cui la Santa vergine si degnò di sorridere al suo piccolo fiore...

Al primo chiarore dell'alba, mi trovai (in sogno) in una sorta di galleria. C'erano diverse altre persone ma lontane, solo Nostra Madre era vicino a me. Improvvisamente, senza aver visto come fossero entrate, vidi tre carmelitane con le loro cappe e i grandi veli. Mi sembrava che venissero per Nostra Madre, ma compresi chiaramente che venivano dal Cielo. Nel profondo del cuore gridai: Ah! come sarei contenta di vedere il volto di una di queste carmelitane. Allora, come se la mia preghiera fosse stata da lei udita, la più alta delle sante avanzò verso di me. Caddi subito in ginocchio. Oh! Felicità! La carmelitana alzò il velo, o piuttosto lo sollevò, e me ne ricoprì...senza esitazione alcuna riconobbi la venerabile Madre Anna di Gesù, la fondatrice del Carmelo in Francia. Il suo volto era bello, di una bellezza immateriale, non ne emanava alcun raggio e, malgrado il velo che ci avviluppava entrambe, vedevo quel volto celeste rischiarato da una luce ineffabilmente dolce, luce che non riceveva, ma che produceva esso stesso...
Non saprei ridire la gioia della mia anima, queste cose si sentono e non si possono esprimere...Parecchi mesi sono passati da questo dolce sogno. Tuttavia il ricordo che lascia nella mia anima non ha perduto nulla della sua freschezza, dei suoi incanti Celesti...Vedo ancora lo sguardo e il sorriso pieno d'amore della Venerabile Madre. Credo ancora di sentire le carezze di cui mi colmò.
...Vedendomi così teneramente amata, osai pronunciare queste parole: «O Madre mia! La supplico, mi dica se Dio mi lascerà a lungo sulla terra...Verrà presto a prendermi?...» Sorridendo con tenerezza, la Santa mormorò: «Sì presto, presto...Te lo prometto» «Madre, aggiunsi, mi dica ancora se Dio non mi domanda qualche cosa di più delle povere piccole azioni e dei miei desideri. Egli è contento di me?» Il volto della Santa assunse un'espressione incomparabilmente più tenera della prima volta in cui mi parlò. Il suo sguardo e le sue carezze erano la più dolce delle risposte. Tuttavia mi disse: «Dio non domanda altro da te, Egli è contento, molto contento!». Dopo avermi accarezzata con ancora più amore, come non l'avrebbe mai fatto la più tenera delle madri con suo figlio, la vidi allontanarsi...Il mio cuore era nella gioia, ma mi ricordai delle mie sorelle e avrei voluto domandare qualche grazia per loro, ahimè...mi risvegliai!...

O Gesù! Il temporale allora non scrosciava, il cielo era calmo e sereno... credevo, sentivo che c'era un Cielo e che questo Cielo è popolato di anime che mi vogliono bene, che mi considerano come loro figlia...Questa impressione mi rimane nel cuore, tanto più che la Venerabile Madre Anna di Gesù mi era stata fino ad allora assolutamente indifferente. Non l'avevo mai invocata e il suo ricordo non affiorava al mio spirito che sentendone parlare, fatto peraltro raro. Così quando compresi a qual punto ella mi amasse, come le ero poco indifferente, il mio cuore si è sciolto d'amore e di riconoscenza, non solo per la Santa che mi aveva visitato ma anche per i Beati cittadini del Cielo...»
(Teresa di Lisieux - Manoscritto B)

[modifica] Genesi di "Storia di un'anima"

Nel 1895, durante il priorato della sorella Pauline, le fu ordinato, dalla stessa sorella, ora sua superiora, di mettere in iscritto i suoi ricordi. Nacque così il "Manoscritto autobiografico A" redatto quando ancora non era iniziata la prova della fede. In seguito, nel settembre 1896 e poi in giugno 1897, sempre in obbedienza alla nuova priora, madre Maria di Gonzaga (la quale fu consigliata in questo di nuovo dalla stessa Pauline), redasse rispettivamente gli altri due manoscitti: B e C che nell'insieme formarono quell'opera postuma che prenderà il titolo di Storia di un'anima, libro che ebbe una accoglienza eccezionale, nel quale racconta la sua vocazione e la semplicità della sua vita. La carmelitana ha chiaramente precisato il suo progetto sin dall'inizio del Manoscritto:

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«Mi ha chiesto di scrivere spontaneamente ciò che mi si presentasse al pensiero; non è dunque la mia vita propriamente detta che mi accingo a scrivere, ma i miei pensieri sulle grazie che il buon Dio s'è degnato accordarmi.»
(Teresa di Lisieux "Manoscritto autobiografico A")

Alcuni studiosi dei suoi scritti formatisi al metodo psicoanalitico nel quale storicamente il metodo dell'associazione di idee costituiva assieme al pensiero onirico la via maestra per accedere all'inconscio, ritengono che questi manoscritti di Teresa sono paragonabili ad una vera e propria anamnesi psicoanalitica dove la resistenza operata dal pensiero razionale viene messa come in pausa.
Dopo l'edizione critica, i manoscritti erano riprodotti secondo un ordine cronologico: A, B, C. Attualmente però alcune edizioni pubblicano i manoscritti A [Agnese], da taluni chiamato dall'incipit anche "Storia primaverile di un piccolo fiore bianco" , e C rinominato G [Gonzaga] come costituenti uno il seguito dell'altro, infine il manoscritto B rinominato M [Maria] come uno scritto autonomo. A quest'ultimo scritto talvolta ci si riferisce come al "poema di settembre" perchè composto in settembre e perchè il più poetico dei tre. Per chi conosce la genesi di tali manoscritti, non può che condividere questo tipo di presentazione, in quanto il più corrispondente al vero.

[modifica] Ateismo e materialismo

Tuttavia fu proprio quando era ormai minata fisicamente dalla tubercolosi che è stata tentata a più riprese dall'ateismo e dal materialismo in una lotta interiore che lei stessa racconta nei manoscritti B e C: una personale (e presumibilmente drammatica e sofferta) notte della fede, ultima crisi ed anche ultimo passo di conversione verso la santità.

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«...ma ad un tratto le nebbie che mi circondano diventano più spesse, penetrano nella mia anima e l'avvolgono in tal modo che non mi è più possibile ritrovare in essa l'immagine così dolce della mia Patria, tutto è scomparso! Quando voglio riposare il mio cuore stanco delle tenebre che lo circondano, con il ricordo del paese luminoso al quale aspiro, il mio tormento raddoppia; mi pare che le tenebre, assumendo la voce dei peccatori, mi dicano facendosi beffa di me: - Tu sogni la luce, una patria dai profumi più soavi, tu sogni di possedere eternamente il Creatore di tutte queste meraviglie, credi di uscire un giorno dalle nebbie che ti circondano. Vai avanti, vai avanti, rallegrati della morte che ti darà non già ciò che speri, ma una notte ancora più profonda, la notte del nulla. -
Madre carissima, l'immagine che ho voluto darle delle tenebre che oscurano la mia anima è tanto imperfetta quanto un abbozzo paragonato al modello, ma non voglio continuare a scriverne, temerei di bestemmiare... ho paura d'aver già detto troppo... Ah! che Gesù mi perdoni se Gli ho fatto dispiacere, ma Egli sa bene che, pur non avendo il godimento della Fede, mi sforzo almeno di compierne le opere. Credo di aver compiuto più atti di fede da un anno che in tutta la vita.»
(Manoscritto Autobiografico C, 6v°-7r°)

E ancora a madre Agnese confida il suo timore peraltro non fondato e tipico del freddo e ottuso scientismo ma che comunque lei paventa come qualcosa di serio e di molto prossimo a realizzarsi:

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«Quello che oggi si impone al mio spirito è il ragionamento dei peggiori materialisti: in seguito la scienza, facendo continuamente progressi, spiegherà tutto in modo naturale; si avrà allora la ragione di tutto ciò che esiste e che finora appare ancora come problema, perché rimangono ancora molte cose da scoprire...»

[modifica] La prova della fede: descrizione e testimonianze

  • A partire dalla Pasqua del 1896 inizia per la carmelitana di Lisieux un periodo caratterizzato dalla "notte della fede", che perdurerà fino alla morte. Tale tentazione contro la fede è descritta soprattutto nel "Manoscritto C", nei "Derniers Entretiens" e in alcune lettere e poesie di quest'epoca.
  • Emmanuel Renault che si è occupato in particolare della prova della fede che la carmelitana di Lisieux ha patito, cita la confidenza fatta da Thérèse ad una consorella:
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«Se sapesse in quali tenebre sono immersa. Non credo alla vita eterna. Mi sembra che dopo questa vita mortale non ci sia più niente: tutto è sparito per me, non mi resta che l'amore.»
  • Madre Agnese (Pauline) rivela a suor Luisa di Gesù (carmelitana del monastero di Lisieux dal 1919 al 1982) che Thérèse si sentiva talvolta assalita con una tale violenza da uno spirito di blasfemia che si mordeva le labbra con forza per non proferire le parole empie che le venivano, malgrado la sua volontà, alla bocca.

Proprio riferendosi a questa testimonianza, taluni hanno parlato di confidenza indiretta a proposito di quanto Thérèse stessa scrive nella "Preghiera n°18":

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«Spesso devo far diventare rossa con il sangue del mio cuore l'arena del combattimento.»

[modifica] Un carmelitano smarrito

Proprio in questo ultimo periodo della vita della mistica di Lisieux un ex-provinciale dell'ordine dei carmelitani, padre Giacinto Loyson (1827 - 1912), aveva abbandonato il suo ordine religioso e la chiesa cattolica stessa e si prodigava con grande impegno in attività contrarie ad esse anche se in buona fede sembrerebbe e non per un qualche tornaconto personale, percorrendo la Normandia e facendo conferenze. Si trattava in particolare soprattutto di un suo disaccordo sul nuovo dogma, proclamato da poco, sull'infallibilità papale.
Questo padre carmelitano aveva un grande talento di oratore, sennonché intorno al 1864 assunse toni liberali ammettendo i principi della rivoluzione francese. Nella sua prima conferenza a "Notre Dame" "Dio personale e vivente" seguita da ben 4000 persone, affermava che appunto questa questione era il nodo religioso del XIX secolo. Nel 1867 veniva scelto come superiore della "Maison de Paris" e nel 1868 il papa lo riceveva e si felicitava. Tuttavia in quello stesso 1868 comincia a domandarsi se non deve uscire dalla chiesa cattolica per poter continuare a seguire la sua religiosità.
Nel 1869 Loyson decide di lasciare l'ordine carmelitano e si comincia a parlare di un nuovo Martin Lutero. A 45 anni nel 1872 si sposa, si associa ai "Vieux-Catholiques" e si sforza di fare esistere una Chiesa cattolica non-romana.
Nel 1873 gli nasce un figlio e fa un giro di conferenze in Svizzera, Olanda, Belgio.

I punti principali del suo programma sono:

1 - Rifiuto dell'infallibilità del Papa.
2 - Elezione dei vescovi direttamente dal clero e dal popolo cristiano.
3 - Celebrazione eucaristica nella lingua nazionale.
4 - Libertà di sposarsi per i preti.
5 - Intiera gratuità del culto.

Loyson nel 1909 scriverà di suo figlio Paolo che si era sposato nel 1896:

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«Il mio povero caro figlio è nel campo degli empi[...]Egli non pensa e non parla più di Dio vivente come invece bisognerebbe. Egli conosce molto male il cristianesimo e non ama la Chiesa. Io invece amo la Chiesa e se la combatto è proprio perché l'amo.»
(Informazioni tratte da "Le père Hyacinthe" di A.Houtin - 1920)

Teresa venne a conoscenza di questa vicenda, vicenda che la rattristò molto e lei che già era presa più che mai dall'impegno per la propria conversione da una sorta di ateismo istintivo, il 19 agosto di quel 1897 in particolare innalza una preghiera per il ritorno del Loyson alla casa comune. Dopo la morte di Teresa, padre Loyson venne a conoscenza dell'amore fraterno che essa ebbe per lui e le conserverà un affetto e una stima particolari che non verranno mai meno. (Corrispondenza tra il Carmelo di Lisieux e Loyson del 1911)

[modifica] Un nuovo amico: Théophan Venard

Come si è visto è nel Cielo più che sulla Terra che la mistica ha vissuto la sua breve vita terrena ed è nel Cielo più che sulla Terra che essa aveva e coltivava le sue amicizie, alcune grandi, altre minori e sconosciute ai più ma per lei molto significative. Tra queste negli ultimi anni della sua vita, quindi già a malattia inoltrata, va annoverata la sua grande amicizia per un giovane missionario in Indocina Théophan Vénard (1829-1861) morto martire all'età di 31 anni e di cui nel novembre 1896 aveva letto la vita e alcune sue lettere. Thèophan Venard, come dirà in alcune sue lettere indirizzate alle sorelle, Teresa lo sentiva proprio come suo simile e il 2 febbraio 1897 per il trentaseiesimo anniversario del suo martirio scriverà un'intera poesia a lui dedicata e che spiega anche l'ultimo suo desiderio che però la tubercolosi gli rese impossibile attuare: di partire anche lei come il suo amico Théophan per la terra di missione e proprio nella medesima terra di missione che è l'attuale Vietnam dove le monache di Lisieux avevano fondato da poco un nuovo Carmelo ad Hanoi.
Quando pensieri di una concezione puramente materialistica della storia e della vita la attaccano e ossessionano tentandola ripetutamente, Teresa cerca il ritratto di di Théophan per cercare un po' di conforto e questo ritratto non la lascerà mai più.

[modifica] Sogno di una monaca su Thérèse

L'8 gennaio 1897 nell'iniziare l'ultimo anno della breve vita di Thérèse una consorella di Thèrèse, suor Teresa di Sant'Agostino fa un sogno.
Di questa monaca Thérèse esprime una sua opinione in Ms C, 13 v°/14r°. Ulteriori informazioni su questo argomento si possono trovare in "Ultimi colloqui" - Testimonianza di suor teresa di Sant'Agostino.
Si riporta qui di seguito il sogno e il commento che ne fa Thèrèse dopo esserne venuta a conoscenza.

Il sogno dello sposalizio di Thérèse

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«Mi trovavo in un appartamento molto oscuro, chiuso da una pesante porta nera sotto la quale filtrava una raggio di luce abbagliante.

Dall'appartamento vicino che io indovinavo illuminatissimo, una voce disse: -Si richiede suor Teresa di Gesù Bambino. - Ed ebbi allora l'impressione che ai miei lati, in una parte ancora più oscura dell'oscuro appartamento si preparava la mia piccola sorella per rispondere a questa chiamata. Che cosa le facessero, io l'ignoro, ma intesi la stessa voce insistere: - Bisogna che sia bellisssima ! -

A questo punto mi risvegliai persuasa che la mia sorella Teresa del Bambin-Gesù ci avrebbe lasciato molto presto per il Cielo.»
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«Je me trouvais dans un appartement trè sombre, fermè par une lourde porte noire, sous laquelle percait une raie de lumière éclatante. De l'appartement voisin, que je devinai éblouissant de clarté, une voix s'éleva:

- On demande soeur Thérèse de l'Enfant-Jésus! - Et j'eus alors l'impression qu'à mes coteés, dans une partie plus obscure encore du sombre appartement on préparait ma chère petite soeur pour répondre à cet appel. Que lui faisait-on, je l'ignore, mais j'entendis la meme voix insister: - Il faut qu'elle soit trè belle! -

Et là-dessus, je m'éveillai, persuadée que ma soeur Thérèse de l'Enfant-Jèsus allait bientot nous quitter pour le Ciel.»

Teresa in questo sogno vi riconobbe esattamente il suo stato d'animo, infatti questo fu il suo commento:

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«La preparazione a cui vengo sottoposta e soprattutto la porta nera sono esattamente l'immagine di quel che passa in me. Voi non avete visto che del rosso in questa porta così scura, questo significa che tutto è scomparso per me e che non mi resta altro che l'amore.»
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«La préparation qu'on me fait et surtout la porte noire est si bien l'image de ce qui se passe en moi. Vous n'avez vu que du rouge dans cette porte si sombre, c'est-à-dire que tout a disparu pour moi et qu'il ne me reste plus que l'amour.»

Del resto Thèrèse di questa prova di purificazione, "bisogna che sia bellisssima", aveva scritto:

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«[Questa prova]...mi toglie tutto quel che si sarebbe potuto trovare di soddisfazione naturale nel desiderio che avevo del Cielo...»
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«...enlève tout ce qui aurait pu se trouver de satisfaction naturelle dans le désir que j'avais du ciel...»
(Ms C, 7v°)

[modifica] Fino alla fine il desiderio del sacerdozio anche per le donne

Teresa ha sempre desiderato di poter accedere al sacerdozio che invece gli era negato per il suo esser donna. Sembrerebbe che non sia riuscita a farsene una ragione se fino alla fine continuerà a nutrire speranze in questo senso.
All'8 febbraio 1897 risale infatti l'ultimo suo componimento teatrale su San Stanislas Kostka che di nuovo riprende proprio questa tematica.
Fu santa Barbara infatti che portò la comunione al santo gesuita che la richiedeva. In questo lavoro teatrale Thèrèse sostiene che forse Santa Barbara proprio come lei Teresa abbia desiderato essere sacerdote quando era sulla Terra ma che abbia potuto realizzare questo suo sogno solo una volta in Cielo. In questo modo Thèrèse con la storia di santa Barbara e San Stanislas Kostka sembra risolvere la questione che riguarda anche lei.

[modifica] Una poesia bellicosa: "Le mie armi"

In questo ultimo anno della vita di Thérèse c'è da segnalare che il 25 marzo 1897 una delle sue novizie, la cugina e amica d'infanzia Maria Guerin, fa la professione religiosa e diviene suor Maria dell'Eucarestia. Questo evento ispira a Thérèse una delle sue poesie più bellicose:"Mes armes" (Le mie armi).
Alcuni esegeti dei testi teresiani leggono questa poesia come il testamento di Teresa. Questo testamento venne cantato nel coro della comunità dalla stessa Maria Guerin che era considerata per la sua voce "l'usignuolo" della comunità.
Tuttavia proprio in quel periodo uno dei suoi due "fratelli preti", l'ancora seminarista Maurice Belliere stava svolgendo controvoglia il servizio militare di cui non vedeva l'ora che terminasse. Nel momento storico in cui si svolse questa vicenda infatti lo stato francese valutava che l'essere seminaristi non esentava dal servire la patria. Così Thérèse decise di inviare "Le mie armi" anche al suo fratello soldato Maurice.

[modifica] Una vicenda tra satanismo e massoneria

Tra i lavori teatrali composti da Thérèse e di cui fu anche oltre che autrice, regista, scenografa e attrice, ve n'è uno composto per la festa di san Luigi Gonzaga che cadeva il 21 giugno 1896 e che era anche la festa della madre priora Maria di Gonzaga subentrata di nuovo, dopo il priorato di Madre Agnese, nell'incarico. Questo lavoro si intitolava "Il trionfo dell'umiltà". La vicenda trattata da Thèrèse ha un precedente nella vita reale in una vicenda tra satanismo e massoneria che ha i suoi inizi nel maggio-giugno 1895 e che, mentre Thèrèse e le altre monache mettono in scena al teatro del carmelo, è ancora in corso di svolgimento.
Come si sa, Giovanna d'Arco rappresentava per Teresa l'eroina per antonomasia. Ebbene Teresa in questo testo teatrale non esita ad affermare che la nuova Giovanna D'Arco si chiama Diana Vaughan. Ma chi è Diana Vaughan? Una fidanzata di Satana pentitasi e convertitasi a fidanzata di Gesù. Il nome di Diana Vaughan in quel periodo era nelle prime pagine dei giornali che la descrivevano come figlia di un americano e di una francese che a vent'anni viene iniziata al palladismo, una sorta di spiritismo-satanico-massonico. Precisiamo, per correttezza, che i massoni in quell'epoca venivano presentati come spaventosi demoni, le etichette tuttavia nel loro semplicismo non rendono ragione della complessità di un movimento di pensiero, basti pensare che l'evangelista Giovanni è sempre stato tenuto in alta considerazione dalla massoneria.
Orbene nel 1893 Diana Vaughan va ad abitare a Parigi dove entra in amicizia con il dottor Bataille e un marsigliese Leo Taxil il cui vero nome è Gabriel Jogand-Pagés. Entrambi sono dei fuoriusciti dalla massoneria.
Nel 1895 la satanista è pronta per convertirsi al cattolicesimo, almeno così recitano i giornali, in particolare il giornale cattolico «La Croix» che l'8 maggio 1895 invita i suoi stessi lettori a pregare Giovanna D'Arco per la conversione dell'ormai ex satanista. Finalmente il 6 giugno la Francia cattolica esulta e il 13 giugno viene confermata come data della conversione ufficiale.
Arrivati a questo punto, con una inversione di marcia, l'ex sacerdotessa di Satana si lancia in una lotta senza tregua contro il satanismo e la massoneria pubblicando le "Memorie di una ex palladista".
Nella primavera 1896 Diana Vaughan raggiunge il massimo di notorietà e il giornale "L'univers" gli dedica un ampio articolo. Tuttavia Diana Vaughan fino ad allora nessuno l'aveva mai incontrata di persona benché il suo nome era arrivato anche in Vaticano da Leone XIII il quale, letta "La Novena Eucaristica" composta dalla stessa Diana Vaughan, mostra approvazione.
Chi fa conoscere Diana Vaughan alla nostra ingenua mistica è lo zio Isidore Guerin che porta "Le memorie di una ex palladista" al carmelo.
Anche Thèrèse risulta molto interessata a questo racconto della lotta tra le forze della luce e il principe delle tenebre, da qui l'ispirazione alla composizione di un breve lavoro teatrale "Il trionfo dell'umiltà".
Questo lavoro di Thèrèse messo in scena da lei stessa nel piccolo teatro del carmelo è un successo presso il pubblico di sole carmelitane e Madre Agnese chiede a Teresa,che ormai ha fama di poetessa, di scrivere qualcosa di poetico per incoraggiare Diana Vaughan nel perseguire sulla nuova strada.
Teresa tuttavia non riesce a scrivere alcunché così invia a Diana Vaughan semplicemente una lettera con una sua foto nei panni di Giovanna D'Arco che era stata fatta da Celine durante il lavoro teatrale in cui Teresa recitava la parte della Pulzella d'Orlean.
L'epilogo di questa storia avviene il 19 aprile 1897. Nel frattempo erano cominciati a sorgere forti dubbi, così Diana Vaughan per quella data annuncia una conferenza stampa a Parigi in cui si mostrerà al pubblico.
All'appuntamento sono presenti quattrocento giornalisti. "Le Normand" del 24 aprile 1897 pubblica un lungo resoconto di quella conferenza stampa.
Teresa quando seppe la verità, lei che aveva ricevuto anche una lettera di risposta dalla sedicente Diana Vaughan, andò a prendere quella lettera che aveva conservato e la gettò nel letamaio.
Alla conferenza stampa infatti i giornalisti videro proiettata una immagine di Giovanna D'Arco in prigione: era la foto di Teresa. Poi entrò un signore basso, grassottello, calvo e barbuto e disse: "Diana Vaughan sono io!". Si trattava di Leo Taxil esponente di una loggia massonica ed ex direttore del giornale "L'anticlericale".

[modifica] La morte della grande mistica

A partire dall'8 luglio 1897 lasciò definitivamente la sua cella per l'infermeria del monastero e due giorni dopo interrompe la composizione del manoscritto C che rimane così incompiuto.

[modifica] Tre segretarie per Thérèse Martin

Le tre segretarie sarebbero Pauline, Marie e Celine , le sue tre sorelle al carmelo e lei inferma e a letto un giorno vedendosi attorniata da loro tre che l'ascoltavano e prendevano appunti delle sue parole le chiamerà affettuosamente Pietro, Giacomo e Giovanni identificando come altre volte sé stessa con Gesù di Nazareth.

[modifica] Thérèse Martin è Gesù di Nazareth

Questo del resto è in sintonia con la sua linea interpretativa dei quattro testi sacri che stanno a fondamento del cristianesimo: i vangeli.
Mettendo a confronto nel "Manoscritto autobiografico C" Matteo (22,37-40) con Giovanni (13,34) approposito della legge cristiana che affranca dalla ormai obsoleta legge ebraica veterotestamentaria, sottolinea come nella formulazione di Giovanni c'è meno ambiguità. Quì infatti non si tratta più di amare il prossimo come sè stessi ma di amarlo come Gesù lo ama. Il progetto che va sdipanandosi nella mente di Teresa si fa sempre più chiaro: Gesù è Teresa dunque così come Teresa è Gesù. Non si tratta più di avere fede ma come ebbe modo di scrivere, anche la speranza non è più necessaria: l'amore è sufficiente per fondere due cuori in uno solo. Non sono più io che vivo ma è Dio che vive in me.

[modifica] Genesi dei "Derniers Entretiens"

A partire dal 6 aprile 1897 Madre Agnese di Gesù aveva cominciato a raccogliere le ultime parole di Thérèse nel famoso "Cahier Jaune" e presto, dal luglio 1897, era stata imitata dalle altre due sorelle incoraggiate in questo progetto del resto anche dall'unica sorella che si trovava ancora nel mondo, Leonie, che viene regolarmente al parlatorio per chiedere notizie della sorella malata. A Celine, infatti Leonie scrive il 18 luglio 1897:

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«Quanto ella deve coprirti col profumo delle sue virtù! Se tu potessi mettere tutto ciò per iscritto, sarebbe molto consolante per me, perché io non ho come voi, piccole sorelle amate, la fortuna di essere vicina alla mia sorella cara.»

Alla morte di Thérèse e dopo la pubblicazione e fortuna di "Storia di un'anima", l'insieme di questi scritti più altre testimonianze prenderanno il nome di "Derniers Entretiens" o "Ultimi Colloqui" che susciteranno contestazioni soprattutto da parte di quei lettori e studiosi della carmelitana che non condivideranno la chiave di lettura conformista e riduttiva della vita e delle opere di Thérèse che pur avendo avuto tanta fortuna tra i devoti meno esigenti non riscuote assolutamente credito tra i lettori più smaliziati di Thérèse che dal loro punto di vista la vedono, in tali schemi interpretativi, sminuita e ridotta, falsificandone, anche se quasi sempre in buona fede, la sua vera identità.
Tale critica trova ulteriore giustificazione nel fatto che i "Derniers Entretiens" (o "Ultimi Colloqui") non sono propriamente le parole che Thérèse ha scritto in prima persona come gli altri scritti a lei attribuiti ma sono gli appunti delle ultime conversazioni che lei ha intrattenuto, tra il luglio e il settembre 1897, in particolare con la sorella Pauline/suor Agnese di Gesù.
Le parole che in questi appunti vengono a lei attribuiti non danno la certezza che furono proprio quelle le sue parole come invece per gli altri scritti di cui si hanno gli originali autografi. Occorre poi tener presente la disinvoltura con cui - a parere degli storici - le sue consorelle, e in primo luogo Pauline/suor Agnese, corressero i suoi scritti originali prima che fossero pubblicati.
I "Derniers Entretiens" sono ovviamente una interessante e utile documentazione che si aggiunge ad altre per comprendere più profondamente il vero senso della vicenda Thérèse Martin ma il rispetto per la verità di questa storia con le sue luci e anche con le sue ombre esige comunque che ogni affermazione che in esso viene a lei attribuito vada per lo meno preso con le pinze.
Uno studioso di questa vicenda oltre che carmelitano, Jean François Six, riteneva che tale insieme di scritti non andassero nemmeno inseriti nell'edizione delle "Opere Complete di Thèrèse Martin" ma che dovessero essere semmai pubblicati a parte.

[modifica] Poter morire in un campo di battaglia

Stando a quanto scritto in "Ultimi colloqui" la religiosa di Alencon il 4 agosto 1897 avrebbe riferito di avere fatto il seguente sogno:

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«Mi sono addormentata un attimo durante la preghiera. ho sognato che mancavano soldati per una guerra contro i prussiani. Lei [NDR:si rivolge a Madre Agnese che, al suo capezzale, appuntava su un taccuino le sue parole]ha detto: bisogna mandare suor Teresa di Gesù Bambino. Ho risposto: preferirei molto che fosse per una guerra santa.

Sono partita lo stesso."
Poi aggiunse animatamente:
"Oh Madre mia, come sarei stata felice, per esempio, al tempo delle crociate, combattendo contro gli avversari della fede.

Oh no, non avrei avuto paura del fuoco! È possibile che io muoia in un letto ?"»

All'8 settembre risale il suo ultimo autografo su una immagine di Nostra Signora delle Vittorie a lei molto cara.

[modifica] Ultime persecuzioni

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«Essendomi alzata molto presto, trovai la mia piccola sorella pallida e sfigurata per la sofferenza e l'angoscia. Mi disse:

«Il diavolo mi gira intorno; non lo vedo ma lo sento...mi tormenta, mi tiene come in un pugno di ferro per impedirmi di concedermi il più piccolo sollievo, aumenta le mie sofferenze per portarmi alla disperazione...»
«E non posso pregare! Posso solo guardare la Madonna e dire: Gesù!...Come è necessaria la preghiera di compieta: "Procul recedant somnia et noctium phantasmata. Liberaci dai fantasmi della notte»
«Provo qualche cosa di misterioso...»

Fortemente impressionata, accesi un cero benedetto e poco dopo le era ritornata la calma.»
("Consigli e ricordi - 16 agosto 1897" di Celine Martin)

[modifica] La tentazione del suicidio

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«C'è da perdere la ragione" mormora riferendosi agli intollerabili dolori che sopporta.

E per quanto riguarda la prova al livello del pensiero:
"Come si possono avere tali pensieri quando si ama tanto il buon Dio?"
Vedendo madre Agnese prendere imperturbabilmente appunti sulle sofferenze che sopporta commenta: "Madre mia, è facile scrivere belle cose sulla sofferenza, ma scrivere non è nulla, nulla. Bisogna esserci per sapere."

"Non credevo che si potesse soffrire così tanto...non lo avrei mai creduto."»
(Derniers Entretiens)

Il 22 settembre la sua situazione si fa particolarmente drammatica: la sofferenza raggiunge punte elevatissime e Thérèse sente che non ce la fa più a sopportare tanto dolore. Vede vicino a lei i medicinali, vorrebbe farla finita. Poi però non ne fa nulla ma si confida con le sue sorelle e chiede di non lasciare più vicino a lei la possibilità di una simile scorciatoia. (Tratto dalle annotazioni del "Cahier Jaune")

[modifica] Il giorno della vittoria

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«Non muoio, entro nella vita»
(Lettera di Thérèse a Maurice Bellière del 9 giugno 1897))
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«Il giorno della sua morte, nel pomeriggio, io e madre Agnese di Gesù eravamo sole, accanto a lei. Tremante e disfatta, Teresa ci chiamò in suo aiuto...Soffriva terribilmente in tutto il corpo e, posando un suo braccio sulla spalla di madre Agnese di Gesù e l'altro sulla mia, restò così con le braccia in croce. In quel momento suonarono le tre e il pensiero di Gesù Crocifisso si presentò al nostro spirito: la nostra piccola martire non ne era stata forse la vivente immagine? L'agonia cominciò poco dopo; fu lunga e terribile.»
("Consigli e ricordi" di Celine Martin))

All'ora dell'Angelus (le 18) la comunità che da circa due ore stava nell'infermeria è congedata dalla priora. Teresa sospira:

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«"Madre mia! Non è ancora l'agonia?...Non muoio ancora?..."
"Sì, povera piccola, è l'agonia ma il buon Dio la vuole forse prolungare di qualche ora."»

Poi verso le sette di sera, stando al racconto riportato nei "Derniers Entretiens" Teresa guardando il suo Crocifisso avrebbe esclamato:

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«"Oh! Io l'amo!...Dio...ti amo!..."
Improvvisamente, dopo aver pronunciato queste parole, cadde dolcemente indietro, con la testa inclinata a destra.»
(Derniers Entretiens)
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«Ma, all'improvviso, si raddrizzò come chiamata da una voce misteriosa, aprì gli occhi e li fissò estatici un po' sopra la statua miracolosa della vergine. Questo sguardo si prolungò per qualche minuto, il tempo di recitare lentamente un Credo." Infine " chiuse gli occhi e rese l'ultimo respiro...»
("Consigli e ricordi" Celine Martin))
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«Nostra Madre fece velocemente suonare la campana dell'infermeria per chiamare la Comunità.
«Aprite tutte le porte» disse nel contempo. Queste parole avevano un tono solenne e mi fecero pensare che in Cielo anche Dio le dicesse ai suoi angeli.»
(Dermiers Entretiens)

Morì il 30 settembre, di giovedì, verso le 19,20.
Risuona ancora la sua voce:

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«Tu che mi sorridesti all'alba di mia vita
Vieni e sorridi ancora...Madre... scende la sera!...»
(Teresa di Lisieux "Poesia n°54" - maggio 1897)

Madre Agnese fece recapitare ai Guerin un biglietto:

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«Miei amatissimi parenti, mia carissima Leonia, il nostro Angelo è in Cielo. Ha reso l'ultimo respiro alle ore sette stringendo il Crocifisso sul cuore e dicendo: "Oh, io vi amo". Aveva appena levato gli occhi al Cielo...Chissà che cosa vi vedeva!!!»
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«Dopo la morte, conservò il suo celeste sorriso. Era di una bellezza che rapiva. teneva così stretto il suo Crocifisso che bisognò strapparglielo dalle mani per seppellirla. Suor Maria del Sacro Cuore ed io compimmo quest'ufficio insieme a suor Amata di Gesù e rilevammo allora che non dimostrava più di 12 o 13 anni.»
(Dermiers Entretiens)
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«Era appena spirata che sentii il mio cuore spezzarsi dal dolore, e uscii precipitosamente fuori dall'infermeria. Mi sembrava nella mia ingenuità che l'avrei vista nel cielo, ma il firmamento era coperto di nuvole; pioveva.
Allora appoggiandomi su una colonna dell'arcata del chiostro, dissi singhiozzando: «Se almeno ci fossero delle stelle in cielo!». Avevo appena pronunciato queste parole che il cielo si rasserenò, le stelle brillarono nel firmamento, non c'erano più nuvole! Mio zio e mia zia (i coniugi Guerin), che se ne tornavano a casa loro con gli ombrelli dopo aver trascorso nella nostra cappella tutto il tempo di agonia della nostra cara piccola sorella, furono tanto sorpresi di questo cambiamento improvviso e si chiedevano l'un l'altra cosa potesse significare tutto questo.»
("Consigli e ricordi" di Celine Martin)
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«Alzati, amica mia, bellezza mia e vieni. Poiché sì, l'inverno è passato, la pioggia è cessata, se n'è andata. Riappaiono i fiori sulla terra, il tempo del canto è venuto e la voce della tortora si ode nella nostra terra.»
(Questa citazione tratta dal Cantico dei Cantici era stata scelta da Celine Martin per dedicarla alla sua sorella morente - "Consigli e ricordi - 28 settembre 1897" di Celine Martin)

[modifica] Un'ultima fotografia

Il giorno dopo il corpo di Teresa venne esposto nel coro, dietro le grate. Davanti al feretro sfilarono fino alla domenica sera parenti, amici e fedeli facendo toccare al corpo esamine di Teresa rosari e medaglie come era usanza di quei tempi.

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«Dopo la morte della serva di Dio, un riflesso della beatitudine eterna si impresse sul suo viso; aveva un sorriso celestiale, ma quello che ho trovato di più straordinario è che, dalle sue palpebre abbassate, fortemente chiuse e serrate, si sprigionava una tale intensità di vita e felicità, che non c'era per niente della morte; mai ho rivisto ciò, in seguito, in nessun'altra suora defunta. Era così bella che l'indomani, 1 ottobre 1897, nella infermeria, prima della «rimozione del corpo», volli fare una foto, ma non c'era lo spazio e non avevo che un obiettivo a fuoco lungo. E tra l'altro mi era necessario farlo contro sole e di fronte al viso che era visibile in tal modo dal di sotto, con i chiaro-scuri e le ombre invertite. Tuttavia si distingueva perfettamente il suo bel sorriso e i suoi tratti non erano per niente alterati.
Domenica 3 ottobre, nel pomeriggio, mentre era esposta nel coro, nel suo feretro pieno di fiori, feci un'altra foto, ma i lineamenti si erano tirati e anche - cosa strana - le sue sopracciglia bionde erano diventate castano-scure, quasi nere. Noi la trovavamo maestosa, ma non la riconoscevamo più.»
("Ricordi e consigli" di Celine Martin)

[modifica] La sepoltura

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«Dopo la mia morte, bisognerà non permettere che vengano date ghirlande per la mia bara, come fecero per Madre Genoveffa. È denaro buttato via, e non significa niente; ma col denaro che spenderebbero per questo, chiedete alle persone che riscattino dalla schiavitù dei poveri negri piccini. Dite che mi fa piacere questo. Vorrei un piccolo 'Teofano' e una piccola 'Maria Teresa'.»
("Derniers Entretiens" - 21-28 maggio 1897)

Il ricordo di Madre Genoveffa e di Théophan Venard ritornano a farsi presenti ancora una volta nell'ora suprema quali presenze gemelle, anime grandi tra le più affini alla sua.
Lunedì 4 ottobre alle ore nove un carro funebre trainato da due cavalli conduce l'involucro mortale del grande spirito vivente nel nuovo cimitero delle Carmelitane e ne occupò il primo posto. Segue un piccolissimo corteo con alla testa la sorella Leonie Martin che porta il lutto, circondata dai Guerin.

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«Sulla sua tomba è stata messa una croce di legno con questa scritta:
« Suor Teresa del Bambin Gesù. 1873 - 1897 »

Madre Agnese di Gesù, che aveva dipinto la croce, all'inizio vi aveva scritto queste parole:

Ricordati, o mio Dio,
Che voglio portar lontano
Il fuoco tuo.

Ma questa scritta venne per caso cancellata da un operaio che portò questa croce quando la pittura era ancora fresca. A madre Agnese di Gesù sembrò una indicazione del cielo e rimpiazzò la sparita iscrizione con quest'altra che vi apparve dopo:

«Voglio passare il mio cielo facendo del bene sulla terra»
Epigrafe che lei non aveva osato mettervi all'inizio, per eccesso di discrezione.»
("Consigli e Ricordi" di Celine Martin)
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«Poi la vita monastica riprende il suo ritmo regolare, fondato sulla preghiera, il lavoro, gli esercizi della vita comunitaria. Il silenzio, turbato un istante, ricade sul carmelo di Lisieux. Perché in questi luoghi «la vita e la morte d'una carmelitana non sono contrassegnate che da un lieve cambiamento all'orario dei lavori e degli uffici corali propri d'ogni giorno.»
(George Bernanos, "Dialoghi delle carmelitane" in Guy Gaucher, "Teresa Martin dopo la lettura critica dei suoi scritti" - 1987)

[modifica] Ritornerò

Già a suo tempo la mistica aveva già espresso il suo pensiero per cui sarebbe ben andata volentieri anche all'inferno se lì avesse potuto portare avanti l'opera di redenzione, adesso "ritornare" è il verbo che sintetizza il suo ultimo anelito nel momento della dipartita. Non restare ma ritornare, non vegliare dall'alto ma ritornare quì, in una parola "discendere".

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«Tutto passa in questo mondo mortale, anche la piccola Teresa passa...ma tornerà!»
(Derniers Entretiens - 1 agosto 1897)
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««Tu ci proteggerai dal cielo, non è vero?»
Lei con spontaneità mi rispose:
«No, io discenderò!»»
("Consigli e ricordi - 25 settembre 1897" di Celine Martin)
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«Teresa, negli ultimi mesi di vita, era come assillata dal desiderio di tornare sulla terra, una volta arrivata in cielo. Ci pensava sempre, senza interruzione, domandandosi, con una certa inquietudine, se sarebbe stato possibile. Già nel mese di marzo suor Maria del Sacro Cuore, avendola vista in preghiera nell'eremitaggio di San Giuseppe, le disse: «Che cosa chiedi con tanto fervore?». Teresa disse: «Chiedo a San Giuseppe di voler bene sostenere presso Dio il mio grande desiderio di tornare sulla terra...»»
("Consigli e ricordi" di Celine Martin)
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« Sì, io voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra (...). Non voglio riposarmi finché vi siano anime da salvare...ma allorché l'Angelo avrà detto: 'Il tempo è finito!', allora io riposerò.»

[modifica] Cento anni dopo......

Uno dei tanti possibili finali per questa bella storia vera è quello immaginato dal biografo di Thérèse, Jean Chalon: un finale irriverente senza dubbio e tuttavia vi si intuisce che l'autore vuol suggerirci una qualche verità su Thérèse che certamente infine ha colto quale assiduo frequentatore della sua vita e dei suoi scritti.

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«[...]dopo Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d'Avila, potrebbe essere proclamata dottore della Chiesa nel 1997, in occasione del centenario della morte. Si sentirebbe, allora, risuonare in Vaticano la risata di Teresa, che preferiva i fiori di campo ai fiori della retorica, e l'amore divino agli onori terrestri.»
(Jean Chalon "Teresa di Lisieux - Una vita d'amore")

[modifica] Thérèse Martin dopo la morte

Questa è la storia della vicenda Thérèse Martin che però non finisce con la sua morte ma continua, almeno per quel che ci è dato di vedere nel regno del visibile, con il dibattito su Thérèse Martin tuttora in corso mentre scriviamo.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni


Teresa di Lisieux (1873-1897)
Teresa di Lisieux (il dibattito 1897-2007)
- approfondimenti -
Documentazione Teresa di Lisieux e la psicoanalisi


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